LOTTA COME AMORE: LcA giugno 1997

Cosa fare?

Stiamo mettendo insieme questo numero del giornalino in un rapido "crescendo" di temperature: è metà maggio, ma sembra già estate.
Il caldo, il sole, ma soprattutto l'incalzare della stagione turistica con le case da affittare e perfino le tettoie e i garages, spingono all'aperto coloro che, durante l'inverno, avevano potuto trovare un rifugio meno precario, ma sempre e comunque temporaneo.
Un piccolo rivolo di uomini e donne senza altro obiettivo che quello di sopravvivere ogni giorno e di riposare qualche ora di notte.
Segno più di disadattamento che di povertà. Questa abita nelle case e sa di ticket sanitari, di bollette minacciose, di bustepaga già spese ancora prima di averle in mano...
Due italiani su dieci, recitano le statistiche, vivono sotto la soglia di povertà. Ma le statistiche, come non ci mettono in mano l'ormai famoso mezzo pollo a testa consumato in media da ogni italiano, così non ci possono costringere a guardarci intorno sempre e comunque per individuare i "due" su dieci matematicamente poveri. Ci sono realtà territoriali in Italia dove, su dieci persone, ci sono dieci poveri. Dove la povertà non è un problema fronteggiabile con la solidarietà di vicinato, ma è strutturale.
Nasce, cioè, non per caso, ma da condizioni di approfitto e privilegio. Da spirali di accaparramento delle risorse intrecciate e, molte volte, paradossalmente incrementate dai tentativi di intermediazione della politica assistenziale.
E si sposa a condizioni di lavoro che ritornano ad essere largamente tollerate anche se fuori di ogni regola perché ciò che conta (e che dà legittimità allo sfruttamento) è dare un boccone di pane oggi ridurre gli indici di disoccupazione, dimostrare che si fa qualcosa... Racconti di schiavitù che riguardano non solo le prostitute africane o dell'est, ma ragazze della periferia milanese chiuse nelle "catene" del lavoro a cottimo, quello di tipo "cinese" tanto per capirci; lavori industriai studiati a tavolino da progettisti preoccupati di tutto fuorché di evitare di creare vere e proprie macchine di tortura per operai costretti a lavorare all'inferno di temperature impossibili, di cunicoli da topi, di gas che all'aria aperta immobilizzano i traffico di intere città.
Carrara, il bianco marmo delle Apuane, Michelangelo e le grandi cattedrali di tutti i tempi: cinque (5) morti sul lavoro solo in uno scampolo di anno. Schiacciati dal bianco che più bianco non si può. Non si può...!
Violenza strutturale del potere del denaro che non è più simbolo di ricchezze prodotte o della gestione di proprietà, ma ha ormai valore in sé e - come un idolo mostruoso - genera se stesso imponendosi all'adorazione del mondo come indiscutibile assoluto.
Violenza strutturale che suscita violenza e disperazione negli esclusi, nei vinti, nei grandi numeri di quegli oltre quattro miliardi di uomini e donne che fanno da piedistallo al "monumento" di quegli ottocento milioni che vivono nello sviluppo.
E che sviluppo! A sua volta connotato da condizioni di disparità abissale e di incontrollabile violenza al suo interno.
Maryjane, infermiera in una agenzia di assistenza domiciliare nella "grande" Pittsburgh (USA), racconta che in alcune aree metropolitane non può andare senza la scorta comandata di un poliziotto che ha spesso, lui per primo, una gran paura. Sarajevo, l'Albania, sono periferie scomode da cui tutelarsi con invii di aiuti protetti dai blindati. Dal Perù, come dalla regione centro africana dei grandi laghi, basta - per difendere la tranquillità di casa - il silenzio degli organi di informazione che liquidano imprigionamenti e massacri con "due righe" subito sopraffatte da altre notizie.
Cosa fare?
L'interrogativo può apparire il risultato di uno sconforto, di una disperazione assoluta.
I meccanismi che determinano lo squilibrio e l'ingiustizia abissale di cui soffre gran parte dell'umanità, sembrano avere la forza della natura, la inderogabilità dei fenomeni naturali e soprattutto quella "sacralità" che ciò che è naturale ancora richiama nella nostra cultura. Occorre - prima di tutto - mettere in atto una forte resistenza interiore ai messaggi che invadono ogni angolo della nostra esistenza per convincerci che non c'è niente da fare.
Uscire quindi dall'isolamento e dal senso di impotenza che i messaggi massificanti provocano in noi. Cercare contatti concreti con chi porta avanti testimonianze critiche; non rifiutarsi ai "piccoli" gesti che aiutano a sentirsi vivi e - soprattutto - prendere sul serio la ribellione, ogni ribellione. Segno di tempi che maturano eventi nuovi ogni volta che, dalle viscere tormentate di questa umanità e di questa storia, sale la voce della coscienza e grida "basta"!


Luigi

La posta di fratel Arturo

Cari amici,
Davvero é Pasqua? Nella sindrome della vecchiaia (o anzianità secondo gli eufemismi in uso) sta la scomparsa del tempo che accosta la pasqua al natale. Ripenso agli anni lontani in cui questo spazio mi pareva lunghissimo. L'impressione é accresciuta qui dove lo spazio è riempito dai mesi caldi e molto caldi. Anche se le giornate, quando si vivono, si fanno molto pesanti, lo splendore della luce annulla la lunga monotonia del tempo. Voi state accogliendo la primavera, e noi stiamo congedando l'estate che qui si allontana con i colori e i suoni vivaci della samba, e non indulge alla malinconia dei nostri autunni, che tanto dolci mi appaiono nella lontananza. Questo scorcio del '97 é stato per me un tempo di grazia, anche per le visite di amici e soprattutto per il ritmo di silenzio e di riflessione che ho potuto mantenere. Sono stimolato a cercare questo tipo di silenzio dallo stress che si vive alla periferia della società neo liberale, il cui ritmo di crescita é misurato dal progresso della morte; secondo me, non esiste altro rimedio allo stress. Quello escogitato dai grandi hotels statunitensi é solo relax che non chiude le porte alla responsabilità di seminare morte, mediante gli stessi programmi che aprono nuovi orizzonti alla tecnica. Questo silenzio non é rifiuto della responsabilità, ma é rifornimento di speranza. Il mio romitaggio sul fiume é scomparso per parecchie settimane sotto le acque dell'Iguaçu cresciute oltre trenta metri. È riapparso rivestito di limo, e mani amiche lo hanno liberato; presto mi accoglierà. Intanto ho trovato un rifugio nella stessa chacara Aliança; ed é di li che vi mando queste mie righe.
Non m'interesso molto alle cronache d'Italia e del mondo, e questa distanza mi permette di seguire il cammino del regno che è l'eterno, il permanente nel tumultuoso succedersi degli avvenimenti in superficie. Forse i laici potrebbero trovarsi d'accordo con me cambiando il nome alla mia ricerca con quello hegeliano di storia della libertà. Di fatto il vangelo é essenzialmente un messaggio di liberazione. Le lettere di Paolo hanno accolto questo messaggio dandogli uno sviluppo considerevole, ma non si può dire altrettanto del cristianesimo successivo. Le apparizioni storiche della libertà come quella emersa nella rivoluzione francese e nelle rivoluzioni liberali, sono state spesso combattute dalla chiesa che si é sempre rifiutata di scoprirvi dentro quella libertà "in cui Cristo ci ha liberato". L'aspetto più grave e più preoccupante della crisi che ci coinvolge, é quello di aver perduto il senso della storia, come divenire di "qualcosa" e come speranza di raggiungerla. Questo qualcosa che diviene nel tempo, pareva unicamente affidato ai partiti politici, tanto che, scaduti i partiti, questo qualcosa sembra inabissato con loro. Se tutto non fosse molto serio, si potrebbe cedere alla tentazione di fare dell'umorismo nell'osservare persone che guardano fissamente alla loro sinistra abituati a vedervi qualcosa, sorpresi di trovarci il nulla.
Pare che non esista storia: solo il tempo diviene. Eppure la storia è solo storia dell'economia, o propriamente storia monetaria più che economica, perché la moneta ha cessato di essere simbolo dell'economia cioè di beni da distribuire, ed è simbolo di se stessa e, quindi, feticcio. L'attributo che ha dato alla moneta Carlo Marx oggi diviene trasparente. Economia globale é nella realtà chiesa idolatrica globale di cui tutti noi siamo i seguaci più o meno docili e coscienti. Per cui storia é cronaca della corruzione o decomposizione sociale. Appare sempre più difficile identificare i corrotti; in una religione chi può dire chi é più e chi è meno religioso? Nella società monetaria tutti siamo coinvolti nella stessa idolatria. Cade opportuna l'osservazione di Paolo che partecipa ad una società con caratteristiche simili alla nostra: "Vi ho già scritto di non aver nulla a che fare con chi vive nell'immoralità. Ma non pensavo certo a tutti quelli che, in questo mondo sono immorali, invidiosi, ladri, adoratori di idoli. Altrimenti dovreste vivere lontano da ogni terra abitata"(I Cor.5,9). I "pentiti" che godono le più alte pensioni o gratificazioni dello stato, sono il simbolo del cadavere insepolto della mafia, che collabora direttamente alla decomposizione sociale.
La società ecclesiale non pare rappresentare un'alternativa a questo divenire della corruzione, perché ha affidato a un partito piuttosto la conservazione di se stessa, che la storia del regno. I grandi principi e le denunzie roventi fluttuano nell'aria come palloncini iridescenti che spariscono nel nulla perché staccati dalla realtà, dalla storia reale del regno. La speranza di una società rinata punta eccessivamente sulla apparizione del nuovo secolo, ed é addossata ad un programma di celebrazioni dell'evento di duemila anni fa, piuttosto che investita nella storia reale del regno. La chiesa accetta passivamente la convivenza con la società monetaria, forse non convinta che contenga in sé intrinsecamente la negazione del Dio della Bibbia. Pare che i responsabili siano stati abbagliati dalla chiarità improvvisa di un risveglio religioso di quella parte della società tradizionalmente estranea alle forme di religiosità che parevano esclusive del popolo o popolino. Solo nel documento di Medellin, a mio avviso, appare la critica di quella religiosità, il dubbio che si ispiri a una certa convenienza politica. Questa improvvisa conversione che coinvolge in una pietà acritica, i dirigenti della società monetaria, ha distratto la chiesa dalla fedeltà alla storia del regno.
I programmi religiosi, le adunate di massa dei giovani e dei non più giovani non rappresentano una alternativa alla società monetaria, alla storia della corruzione; piuttosto ne rappresentano una implicita giustificazione. Le grandiose adunate fasciste che accendevano l'entusiasmo annunziando l'avvento di una società nuova, preparavano una guerra i cui fuochi non sono ancora spenti. Non penso in assoluto di istituire un confronto fra le convocazioni fasciste, attraversate da fremiti di odio, e le convocazioni cattoliche, le attuali e quelle programmate per l'anno giubilare, dove si parla solo di amore e si vivono momenti di autentica amicizia.
Il confronto che viene spontaneo a chi partecipò a queste adunate, attese i tempi nuovi promessi, e si sentì trascinato nel gorgo di una guerra che non si cancellerà mai dalla nostra memoria, vuole solo alludere alla promessa del futuro. Sono convinto dall'esperienza che una speranza non incarnata nella realtà storica, é sempre fallace, anche se punta ad una eternità promessa. Il vangelo ci parla di un vecchio che non voleva morire, prima di aver avuto la garanzia dell'avveramento della liberazione qui e ora. Gli entusiasmi che vengono dal di fuori e dall'alto non hanno mai impedito alla vita umana di appassire nella tristezza e nella delusione.
La storia del regno tuttavia continua: per l'assistenza dello Spirito, è possibile riconoscerla e seguirla dentro la permanente sconfitta dei poveri. Non é facile accettare che siano i poveri a fare la storia, anche se la scelta di Gesù dovrebbe convincere il discepolo. Anche se Hegel, il più rigoroso dei filosofi, elevando a categoria filosofica l'affermazione che ai poveri è affidato l'eterno rinnovarsi della storia, dovrebbe convincere i laici. Forse se lo capissero i poteri costituiti cesserebbe la dialettica storica, e la storia stessa si congelerebbe. Non era possibile pensare che la storia dell'alleanza cominciata con Abramo continuasse e si aprisse ad un'epoca nuova per lo sconfitto, giustiziato fuori della porta sulla croce. E che la "giustizia stesse dalla sua parte" come egli stesso aveva dichiarato e non dalla parte del sinedrio. Era difficile credere che la storia fosse affidata al crocifisso piuttosto che all'impero romano avviato al suo tramonto. I due vecchi che consumano gli occhi e il cuore, guardando al di la della porta del tempio, sono il simbolo di quelli che attendono qualcosa, quelli che credono nella storia e che collaborano al suo divenire. L'attesa programmata non è più attesa. Colgo la testimonianza di un laico: "Essere inattuali rispetto al pensiero unico, alla logica dell'economia generalizzata (o globale) che afferma il capitalismo come natura, vuol dire affermare la differenza rispetto a questo contesto... Solo cosi si potrà essere in attesa di una società che viene" (A. Bonomi, Il trionfo della moltitudine, ed. Boringhieri, pag. 129). Un credente non ha di che riempire questa attesa di sicurezze messianiche, ma ha di che riempirla di speranza. Sa come incoraggiare l'attesa misurandola su quella secolare di Simeone e Anna. Il credente sa che la pazienza dell'attesa si attinge nella preghiera e nell'amore solidale con le vittime della crudeltà sociale. Sa che l'attesa diventa gioiosa, quando nel tempo appaiono squarci di fraternità e di pace.
Vi saluto con molto affetto nella nostra intramontabile amicizia.

fratel Arturo

Il castagno di Camaldoli

Ho avuto la fortuna di poter trascorrere due giorni nel monastero di Camaldoli, per partecipare ad un "seminario" (parola che evoca possibilità di raccogliere "semi" buoni per la vita) organizzato dal piccolo gruppo dei preti-operai italiani.
Il tema di riflessione era davvero ampio e aperto sui problemi dell' attualità economica, finanziaria, sociale, religiosa: una specie di sguardo sul mondo per tentare di cogliere i segni dei tempi, partendo da quei fenomeni che ormai sono giudicati irreversibili e che incidono in maniera determinante sulla situazione di milioni di persone. Abbiamo cercato di scrutare la condizione globale del mondo stando chiusi dentro un'ampia sala, quasi affondati in grandi seggioloni, tutti presi dai relatori che abilmente ci hanno guidati con riflessioni molto stimolanti. Abbiamo tentato di comprendere qualcosa di un alfabeto economico diffuso dai mezzi di comunicazione di massa (quelli, appunto, dell'era dominata dal "silicio"): e questo non tanto per una curiosità tecnica o scientifica, ma per vedere un po' più a fondo cosa significano, oggi, parole "storiche" come capitale, profitto, finanza, economia, lavoro, occupazione, ricchezza... Abbiamo puntato il cannocchiale sul drammatico problema dell'esclusione di miliardi di uomini e donne dal "processo produttivo", in forza di un principio che sembra fondare in modo indiscutibile il movimento economico dei paesi ricchi: il profitto deve essere spinto al massimo, la ricchezza deve produrre sempre più ricchezza, a qualunque costo. Fosse anche la fame e l'impoverimento di milioni di esseri umani. Oggi, si è detto (e i dati lo confermano) è possibile "in tempo reale" spostare, per la prima volta, interi capitali da un posto all'altro sulla terra, incidendo in modo diretto sulla condizione materiale della gente e sulla stessa "condizione di vita" della terra (l'ecosistema è stato attaccato con una violenza mai vista prima). La "cultura del successo" come segno di intelligenza, coraggio, capacità imprenditoriale (e di "benedizione celeste"!) sostiene da alcuni decenni tutto questo movimento economico che determina situazioni mai immaginate. Cosa fare per resistere a tutto questo? Come reggere alla forza di una "cascata" di tale potenza, dove l'acqua del fiume precipita a valle con una forza d'urto inarrestabile? Che senso nuovo ed autentico possiamo dare a parole antiche (alcuni dicono "vecchie") come Giustizia, Amore, Fratellanza, Etica, Povertà, Mistica?
* * *
Con tutti questi pensieri (e molti altri) nell'anima mi sono addentrato, la mattina dell'ultimo giorno, nello splendido bosco che sovrasta il monastero. Il bosco ha sempre rappresentato una forte attrazione per me; il bosco di Camaldoli è davvero stupendo, una vera e propria foresta secolare. Mi piacerebbe potervi camminare per qualche giorno, senza mai uscirne: gli alberi di tante varietà e di età diversa hanno un fascino tutto speciale. Essi sanno raccontare tante cose per chi sa ascoltare la loro voce, specialmente quando il vento passa tra i loro rami e li rende più ciarlieri. E poi ci sono i fiori, come in quella stupenda mattina di maggio e l'acqua dei ruscelli davvero "sorella umile e casta" ... E poi ad una curva del sentiero, possono apparire famiglie di daini al pascolo, dai grandi occhi dolci e col naso sempre all' insù a fiutare l'aria senza sosta: il nemico può essere sempre in agguato, si sa. Camminando per il piccolo sentiero, con passo calmo e sereno, mi sono trovato ai piedi di una pianta di castagno davvero speciale. E' un castagno "famoso": mi sono ricordato, in quel mattino di luce, di aver visto una cartolina che lo riproduce con un monaco che legge (o prega) stando seduto dentro al suo tronco completamente vuoto. La gloriosa pianta ha vicino una scritta che la forestale vi ha messo per onorarne la veneranda età: si pensa che abbia da 300 a 500 anni! Molto simpatica ed indicativa mi è apparsa la finale della scritta: "Tutta la parte interna del tronco (completamente vuoto!) ha solo funzione meccanica e di sostegno. La parte viva e vitale della pianta che permette la circolazione della linfa è solo quella circolare, periferica del fusto. Per questo la pianta può continuare a vivere".
Ho guardato con particolare amore il vecchio castagno, sulla cui corteccia esterna dei timidi rami osavano mettere in bella mostra tenere foglie accarezzate dal sole del primo mattino: la sua "periferia" era davvero viva e vitale! Mi è sembrato di buon augurio questo incontro non programmato: il mio "ultimo relatore", esemplare straordinario di una foresta antica e bellissima, mi ha voluto dare (almeno così mi è parso) una magnifica lezione di speranza. Può darsi che volesse aiutarmi a volgere con più attenzione lo sguardo alla "periferia del mondo", ad indagare più attentamente i segni che salgono da tutti i "sud" che i molti "nord" tentano in ogni modo di asservire alle proprie logiche di sfruttamento e profitto. Forse il suo era un invito a non temere lo "svuotamento" da tutto ciò che è superfluo, che non conta, che si può anche perdere, anzi, che è meglio perdere... Chissà! Stando all'interno del suo tronco, interamente avvolto dalla straordinaria capacità di accoglienza del suo "vuoto", mi è sembrato di capire che la sua muta, ma eloquente lezione era un grande inno alla vita.


don Beppe

Gesù Cristo: quale centralità?

Si è parlato assai, nella fase preparatoria del Sinodo della Chiesa di Lucca, della necessità di riportare Cristo al centro della vita dei credenti e delle comunità.
A questo proposito vorrei porre un interrogativo: ci siamo chiesti se questo essere al centro sta bene comunque e dovunque a Gesù Cristo? L'iconografia ci consegna due immagini dell'essere al centro di Gesù: crocifisso in mezzo a due ladroni e mentre spezza il pane al centro di un gruppo di amici che, poco dopo, l'abbandoneranno e lo tradiranno.
E' vero che l'iconografia degli absidi delle grandi cattedrali ci mostra il trionfo di una centralità che assume l'universo e supera l'orizzonte del tempo, ma quanta e quale proiezione della centralità umana del potere emerge da queste opere imponenti che appartengono alla cultura dell'occidente! Una cultura che sempre più si manifesta come una cultura vincente piuttosto che una cultura rivelante.
Il nostro cristianesimo che di essa è rivestito e impastato, porta vistosamente i segni di questa contraddizione.
Non solo è nostro compito guardare avanti - verso l'inizio del 3° millennio incombente -, ma vivere il tempo presente, il crepuscolo di questo 2° millennio che si sta consumando.
Non dobbiamo forse prima cercare di congedarci da un cristianesimo nostalgico di una cristianità perduta o che comunque continua a proporsi come parola risolutiva per dare all'umanità un assetto stabile e pacifico?
L'ossessione per l'identità cristiana ha portato nei secoli a negare l'altro, ad aggredirlo, a sottrargli qualunque particella di verità e di valore (l'altro pagano, giudeo, indio, donna...).
E' vero, la modernità ha portato alla tolleranza religiosa. Ma come non sentire tutto il limite e l'insufficienza di una tale posizione?
Che significa in concreto il pieno riconoscimento della verità presente nell'altro?
Che vuol dire per il cristianesimo riconoscere la presenza di verità fuori dal cristianesimo?
Il soggetto delle Beatitudini non è il cristiano in quanto tale, ma l'uomo/donna che soffre e che spera.
Credo che anche solo il sospetto che l'Evento può accadere ovunque e in ciascuno, può consentire la percezione di una Parola libera di avvenire in ogni piccola e frammentaria parola umana. E può rendere appieno il compito di ognuno di narrare nelle proprie parole la Parola incontrata.
"Un giorno una donna stava ascoltando un prete che spiegava il cristianesimo agli abitanti di un villaggio.
Dopo un'ora la donna prese la parola: - Tu parli come i fari della tua macchina -. Il prete non capisce.
E lei, ancora: - Tu parli come i fari della tua macchina -.
Stupito, il prete chiede spiegazione. E la donna:
- Le tue parole abbagliano e spengono le nostre povere lampade a petrolio -".
Care amiche e cari amici sinodali, cosa vogliamo fare? Accendere fari potenti capaci di illuminare a giorno la verità del nostro cammino oppure abbassare le luci sopra di noi per lasciare che emergano le mille piccole tremanti fiammelle alimentate dall'olio della vita di uomini e donne. Queste fiammelle sono la strada.

Luigi

Mi chiamo Laura

così mi hanno chiamato i miei genitori.
Sono nata il 23/12/73:
così c'è scritto sulla mia carta d'identità.
Queste sono le mie certezze.
Oh ... ce ne sarebbe un'altra ...
So che voglio fare ciò che mi piace!
Come capisco questo? Ascoltando me stessa,
ciò che provo.
Così, se mi sto facendo del male - e questo
davvero non mi piace - me ne rendo conto.
Io credo che, partendo da qui,
tutte le altre certezze
verranno di conseguenza.
Voi siete d'accordo con me?

Preghiera per uno che si è perso...

PREGHIERA
PER UNO CHE SI E' PERSO,
E DUNQUE,
A DIRLA TUTTA,
PREGHIERA PER ME.
Signore, Buon Dio
abbiate pazienza
sono di nuovo io.
Dnque, qui le cose
vanno bene,
chi più chi meno,
ci si arrangia,
in pratica,
si trova sempre il modo
il modo di cavarsela,
voi mi capite,
insomma, il problema non è questo,
il problema sarebbe un altro,
se avete la pazienza di ascoltare
di ascoltarmi
di..
Il problema è questa strada
bella strada
questa strada che corre
e
scorre
e soccorre
ma non corre dritta
come potrebbe
e nemmeno storta
come saprebbe
no.
Curiosamente,
si disfa.
Credetemi
(per una volta credete voi a me)
si disfa.
Dovendo riassumere dovendo,
se ne va
un po' di qua
e un po' di là
presa
da improvvisa libertà.
Chissà.

Adesso, non per sminuire, ma dovrei spiegarvi questa cosa, che è cosa da uomini, e non è cosa da Dio, di quando la strada che si ha davanti si disfa, si perde, si sgrana, si eclissa, non so se avete presente, ma è facile che non abbiate presente, è una cosa da uomini, in generale, perdersi.
(Baricco A., Oceano mare, Rizzoli 1994)


Pace e ipocrisia

Ormai parlare di pace, proporre la pace, discutere e pregare per la pace, è impegno che si è andato allargando nella coscienza individuale e collettiva. E chi è che non si dichiara per la pace? E di pace si riempie la bocca e di pace tratta con carta e penna?
Ugualmente capita per la nonviolenza. La non violenza sta diventando la cultura di questi ultimi decenni del secolo. Anche, se a dire il vero, questi ultimi decenni concretamente sono tempi di inaudita violenza. Milioni di morti nelle "guerrette" qua e là per il mondo. Killeraggio disinvolto, normalizzato, negli scontri di potere mafioso. Commercializzazione ad alti livelli della morte con la produzione e collocazione di armamenti e di droga. Milioni di morti di fame ogni anno. Sfruttamento incontrollabile delle risorse naturali e nel frattempo riversamento incontenibile di rifiuti inquinanti ad assassinare la terra da coltivare, l'acqua da bere, l'aria da respirare. Più i due blocchi est-ovest che si ostinano per amore di pace a tenere col fiato sospeso l'umanità sull' orlo dell' abisso nucleare, aumentando sempre più quei quindici miliardi di tonnellate di tritolo, l'equivalente del potenziale nucleare. E ora, come se non bastasse, cercano di coinvolgere anche le stelle progettando le cosiddette guerre stellari.
Pace e nonviolenza stanno diventando paurosi equivoci.
Non soltanto perché c'è il rischio, estremamente pericoloso, di convincersi a stare tranquilli, a fidarsi ad occhi chiusi di chi gestisce il potere, impegnando questa passività nella ricerca di fare i propri interessi e provvedere saggiamente e più abbondantemente che sia possibile, alla migliore sistemazione economica politica della propria carriera. L'equivoco micidiale è quello culturale. Tutti ne sono consapevoli, tutti, dall'uomo della strada all'uomo di cultura, dal dirigente sindacale, all'imprenditore industriale, dal politico all'ecclesiastico... che il mondo nel quale stiamo vivendo è spaventosamente nell'ipocrisia, nel fariseismo più sfrontato.
E, secondo il giudizio del Vangelo e la spada a due tagli della sua Parola, l'ipocrisia, il fariseismo, il camuffamento del male come bene e del bene finalizzato al male, merita soltanto una parola terribile: "guai", che nel linguaggio biblico suona come maledetti, segnando un'impossibilità di recupero.
Così è della pace: un bene supremo, assoluto, strumentalizzato per il potere, asservito all'interesse politico, economico, militare, religioso. Un bene essenziale, vitale per il popolo, come l'aria che si respira, che si stravolge contro il popolo.
Pace e intanto l'industria bellica è l'economia che più tira nel mondo in interessi capitalistici sconcertanti. Pace e i regimi dittatoriali militari sono i più che dominano nel mondo e tutti disinvoltamente sostenuti ad ogni livello dagli imperi che si spartiscono il mondo.
Pace e i blocchi si fronteggiano rafforzando i potenziali capaci di distruggere l'umanità
Pace e la guerra economica si scatena sempre più per il possesso di mercati e di sfruttamento, costringendo ad una sotto umanità il sud del mondo per favorire la superumanità del nord. Pace e fra i poveri si riflette la guerra delle multinazionali e sempre più il miraggio dell' arricchimento lustra la canna della pistola e il fucile delle canne mozze.
Pace, pace, ma nessuno, o quasi, crede che povertà sia decisiva per la pace. Che la semplicità sia condizione essenziale, costruttiva della non violenza. Che serenità è pace proporzionalmente ad un lasciar cadere assurde pretese. Che pace è essere felici anche delle piccole cose. E che non violenza è rifiuto d'imposizione, di forzatura culturale, sociale, politica, psicologica, morale e religiosa: nonviolenza è rapporto con ogni essere umano da pari a pari e se antecedenza e preferenza vi dev'essere è dell'altro, tanto più se l'altro è povero, indifeso, oppresso, infelice. Nonviolenza è lasciar cadere ogni e qualsiasi assolutizzazione, è rifiutare ogni occasione di essere monumento e demolire qualsiasi piedistallo per altri monumenti. Perché "pace, pace": e ancora è favorita, sollecitata, benedetta una convivenza sociale basata sulle differenze economiche, culturali, politiche, un cristianesimo individualistico, ghettizzato, intimi sta, devozionale... Pace e la pace è diventata il grande equivoco che rafforza il potere, copre di un rimboschimento spaventoso di missili di qua, di là, dovunque, questo povero mondo e giustifica le egemonie, gli imperialismi, le ideologie e gli impazzimenti più disumani. Pace è la spietata ipocrisia che la cultura imperante, quasi tutta venduta al potere, sta dilagando, perché nasconde la guerra e la violenza mimetizzando la, contrabbandandola come scienza, progresso, libertà. Fariseismo camuffato di pace è spesso una pastorale che filtra, passa e ripassa al setaccio dell'ortodossia, le bevande per scoprire il moscerino e nel frattempo disinvoltamente ingoia e impone che sia ingoiato, il cammello. Purifica e lava l'esterno del piatto e del bicchiere e intanto li riempie, e spesso traboccano, del proprio interesse, prestigio, autorità. Pace, pace... ma spesso è imbiancatura di sepolcri: all'esterno appaiono belli sì che sembrano grandi opere sociali, imprese umanitarie, congressi prestigiosi, salvezza dell'umanità... e invece dentro sono ossa di morti e marciume.
Forse è venuto il tempo in cui il capitolo 23 di Matteo è di una attualità sconvolgente, a leggerlo come criterio di giudizio della realtà storica del nostro tempo. E se questa lettura storicizzata non è consentito farla perché verrebbe stimmatizzata e repressa come Teologia della Liberazione, allora forse è più semplice e onesto togliere una volta per sempre molte pagine del Vangelo e bloccare definitivamente il Cristianesimo alla devozione.
Perché mai come oggi l'equivoco, il distorcimento, la manipolazione, il surrogato, il sofisticato, l'inquinamento, il propagandismo, la sponsorizzazione, la pubblicità, la reclamizzazione... è il pane che si mangia, il vino che si beve, la cultura che ci propinano, la politica alla quale si crede, la religione che si pratica, la pace nella quale si spera. Di verità sotto il cielo pare quasi che non esista più niente. E tanto meno di semplice, d'immediato, di onesto, di cuore aperto... Fra le tante proposte del Vangelo tutte sicuramente norma fondamentale di sincerità di vita e di onestà di rapporti ve n'è una, che nel nostro tempo, è. particolarmente inascoltata e disattesa, pur essendo la chiave di volta del Cristianesimo: la tua parola sia sì, sì, no, no, perché ogni aggiunta viene dal maligno.
Non può non porsi, a lasciarsi andare a certe riflessioni non accomodanti, per ogni coscienza onesta, il problema: se le cose stanno così - e sembrerebbe - cosa fare?
A dire il vero lascia piuttosto perplessi che in una così pesante degenerazione di valori, qual è l'equivoco, l'ipocrisia, degenerazione che investe così radicalmente il vivere umano fino a sembrare normalità di cultura, di comportamento, come dire, una moralità corrente, non si sappia in concreto cosa fare.
Questa moralizzazione dell'immoralità è il segno inequivocabile che ormai il male è cronicizzato. E inoltre è anche la riprova di un arrendersi, se non proprio di un assecondamento, da parte delle centrali che fanno cultura, che formano le coscienze e che gestiscono i grossi mezzi d'informazione, a che la fiumana straripi dove e quando vuole. Una vera e propria sconfitta, si direbbe, della Religione e della Civiltà.
Cosa fare.
Come prima fatica bisognerebbe provvedere immediatamente ad una rimozione: togliere prima di tutto la trave che è nell'occhio, cercare cioè di avere capacità visiva e di giudizio, purificata, libera È' chiaro: questa rimozione a livelli personali, collettivi: più ampliati che sia possibile. L'ipocrisia è condizione psicologica tutta particolare: è facile vederla e inorridirne intorno a noi e nel mondo, è difficilissimo riscontrarla in noi stessi e nel nostro comportamento. D'altra parte lottare contro l'ipocrisia vuol dire prima di tutto non essere ipocriti.
Poi è necessario tirarci fuori e coraggiosamente, da ogni intrigo, complicazioni, compromessi, forse occorre attenzione anche alla troppa prudenza, all'eccessiva saggezza... Nel frattempo cercare di riconsiderare e ritrovare il fascino della sincerità, della semplicità, la gioia e la dignità di essere quello che siamo, nel superamento di ogni complesso: riscoprire cioè, nello specchio della verità, la propria vera immagine e preferirla a qualsiasi altra.
Respingere ogni ipocrisia comporta logicamente non intrallazzare, non incensare, non aver paura... Non pretendere, non aspettarsi niente, fregarsene disinvoltamente dell'importante, del personaggio.
Non adattarsi a dipendenze, sudditanze, servilismi e tanto meno pretenderli e imporli. E poi aiuta molto un'inesauribile capacità di umorismo...
Accenni certo, e banalissimi se volete. E' praticamente impossibile ammaestrare sulla sincerità, la schiettezza, la verità. Anche perché dovrebbe essere cosa semplice, spontanea, come camminare, come respirare... E' certamente decisivo avvertirne l'importanza vitale, come sentire il cuore che palpita. Trattandosi poi di pace, attenzione: bisogna avere il cuore puro, limpido, liberato da qualsiasi ombra o penombra di ipocrisia, a voler vivere in pace e per parlare di pace, lottare per la pace.
Ogni e qualsiasi intenzionalismo, a livelli personali, sociali, politici, religiosi, fino alle realtà di potere mondiale, quello che decide se l'umanità deve vivere o sparire, ogni intenzionalismo, rende la pace ipocrisia, inganno, equivoco miserabile.
Perché di pace ce n'è una sola, è identica la pace per sé stessi e per ogni essere umano, oppure è ipocrisia cioè la guerra.
E' così, veramente, nel cuore di ogni uomo e nel cuore del mondo.
don Sirio
(da Lotta come Amore - ottobre 1984)

"Temo uno sbocco militare"

Il parlamentare dell'opposizione Javier Diez Canseco, 48 anni, è stato uno dei primi ostaggi a essere liberato dai membri del Movimento Rivoluzionario Tupac Amaru (MRTA) che hanno occupato la residenza dell'ambasciatore del Giappone a Lima in cui trattengono 72 ostaggi. Da quando è stato liberato, Diez Canseco dedica tutto il proprio tempo a cercare una soluzione pacifica della crisi.

Come valuta i fatti?
E' chiaro che Fujimori ha subìto un colpo molto duro. Egli fondava la sua popolarità su due cose: il controllo dell'iperinflazione e, dall'altra parte, i duri colpi inferti ai movimenti sovversivi, in particolare al terrorismo senderista e alla stessa dirigenza del MRTA.
I peruviani hanno scoperto che una soluzione militare al problema della violenza ha solo compresso i problemi, senza risolverli, e che non c 'é stata una soluzione politica. Pertanto, hanno scoperto la fragilità di questo processo di pacificazione.
Anche la Chiesa ha avuto la chiarezza di cominciare a parlare di pace e giustizia, legando il problema della pace ai gravi problemi sociali, ma anche di solidarietà e di giustizia per cercare di affrontare in un modo più duraturo tutto questo fenomeno.

Chi gestisce la crisi dell'ambasciata?
Non ho dubbi che siano lo stesso Fujimori e il suo entourage militari sta. È Fujimori, insieme al suo consigliere Vladimiro Montesinos, il "Rasputin" del regime, il vero dirigente dei Servizi Segreti Nazionali. L' MRTA aveva lasciato intravedere che stava preparando un'azione di grande portata. Sono certo che l'irresponsabilità dei servizi segreti e della polizia sia stata maggiore di quanto appaia in questo momento, e il prezzo politico che il governo dovrà pagare è indubbiamente uno dei suoi problemi più seri.
Questa è una delle principali ragioni per cui temo una soluzione militare, perché, se ci sono morti, i militaristi di sempre diranno che non c'è altra soluzione che quella militare e che pertanto la militarizzazione del paese non solo deve continuare, ma deve rafforzarsi. Cioè, vogliono coprire col sangue la loro stessa irresponsabilità, la loro inattività.

Chi altri si oppone a una soluzione pacifica negoziata?
Non solo i settori militaristi nel governo vogliono minare l'accordo. Anche il settore più sanguinario di Sendero Luminoso (SL), quello diretto da "Feliciano", che assassina i civili sgozzandoli brutalmente, come è avvenuto nella Sierra Nord, o sfondandogli il cranio a sassate, e non lo fa per un obiettivo militare, ma politico: dimostrare che i genocidi continueranno come sempre, e che non c'è possibilità di dialogo con loro.

Che cosa risponde ai settori al governo che non credono possibile una soluzione negoziata?
È ridicolo dire che non c'è spazio per una soluzione politica negoziata per il fatto che 1'MRTA è un gruppo molto piccolo. Primo, è assurdo pensare che l'MRTA sia tutto dentro la residenza dell' ambasciatore, perché l'infrastruttura necessaria per realizzare un' operazione di questa portata, moltiplica per cinque il loro numero. Secondo, la freddezza e la preparazione che rivelano non è frutto di un laboratorio, ma dell'addestramento in un fronte armato nella selva centrale. Terzo, perché se qualcuno è in grado di generare una situazione di destabilizzazione come questa, vale la pena di cercare di cambiare il linguaggio dei fucili con quello della politica. Quarto, al di là del fatto che l'MRTA sopravviva o meno, le condizioni della violenza in Perù, a causa della povertà, della delusione, della frustrazione, sono sempre presenti. E se non disattiviamo i promotori di questa violenza e se non troviamo un meccanismo di concessioni reciproche in un paese in cui la distanza fra ricchi e poveri è sempre più grande, e nel quale non c'è l'abitudine di consultare, di unire, ma uno stile politico autoritario, del tipo "io sono il padrone della verità e so tutto", non andremo da nessuna parte. Per ora sento che stiamo in un regime "autistico", rinchiuso in se stesso e senza capacità di dialogo, di negoziato.

Che prospettive vede per questa situazione?
Nonostante il fenomeno sia complicato, e nonostante occorra valutare con ponderazione, credo che si possa aprire in Perù un quadro nuovo, diverso, in cui imprenditori, intellettuali e politici si pongano il problema della pace come un problema politico, la riconciliazione nazionale come parte di un progetto nazionale integrale. Per la via del dialogo il Perù può trovare un processo più positivo per tutti. Si deve comprendere che la gente non può vivere aspettando le briciole che cadono dal piatto dei ricchi per trovare una speranza di futuro, ma deve avere un progetto di paese, che dia futuro e garantisca una prospettiva di pace.

(Fonte : Noticias Aliadas, Perù 30/01/97 - Trad. SIAL Servizio Informazioni America Latina, marzo 1997- via Bacilieri 1/A - 37139 Verona - tel, 045/8900329 - fax 045/8903199)

IL COMPAGNO EVARISTO E GLI ALTRI
Nessuna Corte internazionale di giustizia condannerà Fujimori per i reati di strage: quello consumato nell' ambasciata giapponese e quello che il presidente peruviano quotidianamente compie all'interno delle "sue" carceri. Ma la condanna verrà dalla storia che farà tesoro dell' indignazione, della rabbia e del dolore che oggi sgorgano dal cuore di tanti esseri umani. E' per "far tesoro" che pubblichiamo qui di seguito (parte del)l'articolo dello scrittore Luis Sepulveda apparso su "il manifesto" il 24 aprile scorso. (da Adista - 3 maggio 1997)

...il telefono ha suonato e la voce agitata di Cerpa, Evaristo, diceva: "Mezz'ora fa si è ritirato l'ambasciatore del Canada, l'attacco contro l'ambasciata è cominciato. Moriremo tutti, fratello, e cadiamo per il Perù e l'America Latina".
Sono le due del mattino quando scrivo queste righe e sono preda di una tremenda rabbia perché tutti gli sforzi andavano in direzione di un negoziato. Un mese fa ne parlai con l'ambasciatore dell'Uruguay in Perù, che era uno degli ostaggi liberati dal Mrta, e lui mi assicurò che gli occupanti della residenza giapponese erano tutti molto giovani e molto colti, e che nessuno degli ostaggi aveva paura di loro. Adesso le agenzie parlano della morte di tutti quei compagni, che sbagliassero o no compagni, perché è bene che si sappia una maledetta volta per tutte che tutti quelli che si ribellano in America Latina, dai ragazzi combattenti del Chiapas fino ai detenuti politici del Frente Manuel Rodrigues in Cile, sono una sola grande famiglia che con orgoglio assoluto va avanti nella traccia lasciata dal Che, perché non ci è stato lasciato altro cammino, perché la pace non convive con lo sfruttamento, perché la dignità non la decide il Fondo Monetario Internazionale, perché le speranze del continente non le amministra la Banca Mondiale, perché la sete di giustizia sociale non si è saziata con la caduta del falso mondo socialista né con l'avvento del nuovo ordine internazionale.
Non so ancora quanti guerriglieri del Mrta siano morti, neanche conosco quanti ostaggi siano caduti e neanche a quanto ammontino le perdite dell'esercito peruviano. Tutto importa, perché si è scritta una nuova pagina della storia nera dello sfruttamento e della repressione della storia dell'America Latina.
Oggi i governanti del mondo si affretteranno a salutare l'energia e la decisione di Fujimori, ma i detenuti politici continueranno a morire secondo dopo secondo nelle galere peruviane. Appena un mese fa Fidel Castro aveva offerto asilo ai guerriglieri del Mrta ma loro risposero che non avevano preso d'assalto l'ambasciata per guadagnarsi una vacanza a Cuba, bensì per strappare alla morte 400 compagni. Questo si chiama dignità, valore, avere le palle in politica.
Per quanto non serva più a nulla, saluto quei compagni caduti, i miei compagni, che forse sbagliavano o forse no, ma che hanno dimostrato che il capitalismo non ha la minima chance di dormire sonni tranquilli.
Con ogni donna o uomo che muore per la giustizia sociale muore anche qualcosa della decenza umana. Però qualcosa resta, ed è proprio quel qualcosa che ci fa inghiottire la rabbia e ripetere a denti stretti: Vinceremo!
Luis Sepulveda, scrittore cileno



Economia globale e giustizia

1- Questo seminario è nato dal convegno nazionale che i P.O. italiani hanno tenuto lo scorso anno a Salsomaggiore. In quel contesto il discorso era stato posto con chiarezza utilizzando sette parole, "quale tentativo di vocabolario per dire ciò che sta succedendo nel mondo: Globalizzazione - Oligopolizzazione - Sfruttamento - Economia come sottosistema - Declino della forza lavoro globale - Terza rivoluzione industriale - Terzo settore-postmercato-economia sociale" (Pretioperai, 35-36 pp. 33-40).
Da molti dei partecipanti veniva percepita l'urgenza di affrontare in maniera più articolata una tale tematica, urgenza motivata dalla fase storica che tutti stiamo concretamente vivendo, ed anche la necessità di farlo, perché si avverte il bisogno di mettere a punto strumenti culturali più adeguati per rendere possibile pensieri ed azioni davvero responsabili, sfuggendo al rischio, tutt' altro che immaginario, di lasciarsi sommergere dalla confusione mentale e dalla passività.
Va da sé che questo seminario non rappresenta una riflessione "interna" ai preti operai, perché la posta in gioco riguarda davvero tutti; e tuttavia non è neppure una iniziativa pleonastica rispetto ad altre analoghe che sono diffuse nel nostro paese. Per molti di noi si tratta di continuare a tener viva, come tra compagni di viaggio, una riflessione comune, che dura da molti anni, e che trova da un lato il suo punto di riferimento nell'ingresso, nella permanenza e nella condivisione della materialità del lavoro, cioè quel luogo nel quale è acuto e "fisico" lo scontro tra "le ragioni economiche" e il bisogno di giustizia, di dignità, e dall'altro nella dimensione teologale della fede quale fonte ed ispirazione per la vita di cristiani impegnati come ministri ordinati. Anche per quanti tra noi hanno lasciato l'attività produttiva permane il compito di conservare, anzi affinare, "lo sguardo dal basso, cioè quell'esperienza di eccezionale valore" imparata nei lunghi anni trascorsi nel lavoro. Abbiamo esteso l'invito a questo appuntamento alle persone che ci conoscono e ci sono amiche, a quelle che ci seguono sulla rivista e a tutti quelli che, avendo avuto notizia di questa iniziativa, l'hanno trovata interessante per le tematiche in programma e per i relatori che sono presenti tra noi. In questi tre giorni lavoreremo assieme qui sulla montagna, nel monastero di Camaldoli. Anche la scelta del posto ha la sua importanza. Con i pochi mezzi a disposizione abbiamo fatto del nostro meglio perché le cose fossero organizzate per bene. Il desiderio più grande è che ciascuno di noi, dopo l'esperienza di questi giorni, possa tornare a casa arricchito da incontri umani significativi, da parole ascoltate e scambiate, capaci di provocare riflessione e chiarezza di pensiero.
E ora una breve introduzione al tema del seminario.

2 - "Economia globale e giustizia sulla terra: sfida del terzo millennio". Crediamo che questo titolo esprima con immediatezza la correlazione e quindi la tensione dei tre elementi che lo compongono: l'economia globale quale processo materiale ed organizzativo che a partire dall'occidente realizza una "certa" unificazione del mondo, la giustizia sulla terra ovvero l'istanza etica insopprimibile e resistente che rifiuta qualsiasi forma di omologazione al ribasso perché attinge alle finalità stesse della vita umana, prendendo partito per il bene concreto dell' essere umano nella sua dimensione terrestre. Le parole di Edgar Morin: "non sappiamo ancora se la mondializzazione é l'ultima possibilità o la sventura estrema dell'umanità" rappresentano bene la situazione di sfida inevitabile nella quale l'umanità tutta è coinvolta.
Qualche tempo fa su un settimanale tedesco (Die Zeit) è stato scritto che "Essere contro la globalizzazione é ragionevole quanto protestare per il cattivo tempo". Quello che sembra qui sottinteso é che tale processo appartenga all'ordine "naturale" delle cose, a quell' ordine che sarebbe irragionevole e grottesco contrastare e che va preso così com'è. In verità anche questo processo storico appartiene al regno dell'artificio e si costruisce attraverso precise decisioni economiche e politiche, peraltro sempre più riservate ad una ristretta élite nelle cui mani si concentra un potere impressionante.
La globalizzazione, o mondializzazione dell'economia viene così definita dall'OCSE (Organizzazione per l'economia e lo sviluppo) "un processo attraverso cui mercati e produzione nei diversi paesi diventano sempre più interdipendenti a causa della dinamica di scambio di beni e servizi e attraverso i movimenti di capitali e tecnologia". In parole povere si può dire che il mondo assomiglia sempre più ad un enorme supermercato nel quale avviene la produzione, la distribuzione e il consumo, con quotidiani spostamenti di enormi volumi di capitali in perenne ricerca della massimizzazione del profitto. La cosa non è nuova, ma nuova è la dimensione del fenomeno. Tre fattori hanno congiuntamente concorso a dargli una inedita imponenza:
- lo sviluppo delle imprese transnazionali in grado di esercitare le forme più evolute e complete di oligopolio;
- il crollo dei paesi dell'Est e della loro economia pianificata;
- la riduzione dell'intervento degli stati dell'Ovest in ordine a regolamentazioni da introdurre nell'economia, tanto che è si è arrivati ad affermare che "il mercato colonizza lo Stato molto più di quanto non avvenga il suo opposto" (J.P.Wamier).
La tendenza espansiva della economia mondializzata richiede, come sua spinta immanente, "l'economicizzazione del mondo, cioè la trasformazione di tutti gli aspetti della vita in questioni economiche, se non in merci... " E pertanto "la globalizzazione designa anche questa incredibile avanzata dell'onnicommercializzazione del mondo" (S. Latouche, La perversione della mondializzazione, in Testimonianze, 372/97, pp.7l-72).
Anche il pensiero umano e l'immaginario collettivo sono sottoposti ad un processo di colonizzazione culturale, il cui assunto di fondo è dettato dall'economia: tutto può essere pagato, tutto può essere scambiato. La razionalità dominante, alla quale viene consegnata l'ultima parola è quella del calcolo e si basa sul presupposto che solo quello che è quantificabile è reale. E' la dittatura del "pensiero unico".
Può essere illuminante un brano di S. Weil scritto nel lontano 1934: "Nell'ambito economico un'impresa non è giudicata secondo l'utilità reale delle funzioni sociali che assolve, ma secondo le dimensioni che ha assunto e la rapidità con cui si sviluppa; e così per tutto. Pertanto il giudizio di valore è in questo modo affidato alle cose invece che al pensiero... ". In tal modo si verifica "il rovesciamento del rapporto tra mezzi e fini, rovesciamento che in certa misura è legge... e si estende quasi a tutto"..." (Riflessioni sulle cause della libertà e dell' oppressione sociale, Milano 1983, pp. 112.114).
Lo sganciamento del bene economico rispetto all'utilità reale per le popolazioni assume dimensioni esponenziali con l'imporsi del processo di finanziarizzazione col quale "si afferma la dominazione del capitale-denaro, finanziario, sul capitale produttivo". Il danaro si riproduce senza la necessità di passare attraverso la produzione di merci. Anzi "l'ammontare delle speculazioni finanziarie è sproporzionato rispetto alle attività produttive". Ad esempio "i movimenti finanziari rappresentavano nel 1993 circa 150.000 miliardi di dollari ovvero tra le 50 e 100 volte quelli commerciali annuali. Le economie, e specialmente quelle del terzo mondo, sono alla mercè delle fluttuazioni dei mercati finanziari stessi" (Latouche, art.cit., p.73).
Dopo il crollo del muro di Berlino si è arrivati a parlare di fine della storia per la presunta immodificabilità dell' assetto raggiunto e delle istituzioni esistenti, per la cessazione delle grandi contrapposizioni dialettiche che hanno accompagnato l'intera epoca della modernità. L'economia del profitto e le regole conseguenti a questa razionalità dominano praticamente ovunque. Ma si devono segnalare dei fattori che sono in grado di "disturbare" anche pesantemente la linearità ottimistica della mondializzazione imposta dall'occidente:
- i presupposti sui quali si fondava la prospettiva dello sviluppo illimitato sono privi di fondamento. Vi è la certezza che oltre certi limiti questo sviluppo produrrà alterazioni e degradazioni ecologiche in grado di minacciare la biosfera e l'umanità nel suo insieme;
- l'espansione dell' economia e della tecnica occidentale se da un lato "occupano" il mondo, dall'altro sono captate da civiltà non occidentali. Però all'apertura recettiva, da parte di questi paesi, della tecnologia occidentale, corrisponde spesso una loro chiusura difensiva, culturale e religiosa, contro il processo di omologazione. Pertanto se "per lungo tempo è stato possibile misurare qualunque civiltà su scala europea, oggi dobbiamo misurare l'Europa col metro della loro civiltà" (Jean Starobinskv).
La sfida che è aperta con l'avvento del terzo millennio si può. sintetizzare con le espressioni di due rappresentanti dei mondi che si confrontano "nell'emergere di un oggetto nuovo, il mondo in quanto tale" (Jacques Levy).
George Bush all'indomani del crollo dei regimi dell'est europeo ebbe a dire: "il secolo XXI sarà nordamericano". E Rigoberta Menchù,.guatemalteca portatrice di una cultura millenaria per la quale reclama il diritto all'esistenza. Annuncia: "il secolo XXI sarà indigeno".

3 -"Giustizia sulla terra" è l'altra parola di questo seminario. Una parola che praticamente non si usa più nel senso presupposto dal nostro discorso. Ora è stata confinata in espressioni del tipo "i problemi della giustizia", 'il ministero di grazia e giustizia" e simili.
Si sono invece moltiplicati i richiami - dalla chiesa al sindacato - all'altruismo alla solidarietà. "Mercato e solidarietà" è il massimo della sintesi. Ma chi non vede che mentre col primo termine si esprime qualcosa di duro, di razionale, di programmato, di indifferente a tutto meno che al profitto, col secondo, in tale compagnia, difficilmente si riesce ad esprimere più che un appello dai contorni vaghi e indefiniti?
E' don Dossetti che in Sentinella quanto resta della notte (Is. 21,11) (pp. 12-17), la commemorazione di Giuseppe Lazzati nell'anniversario della morte, accenna alla debolezza del ricorso alla mera solidarietà. E lo fa riferendosi al pensiero di matrice ebraica di Levinas dove invece si parla di obbligazione: la Thorà è data dalla luce di un viso. L'epifania dell'altro è ipso facto la mia responsabilità nei confronti dell'altro: la visione dell'altro è fin d'ora un'obbligazione nei suoi confronti ( ... ) la coscienza è l'urgenza di una destinazione che porta all'altro, non l'eterno ritorno su di sé". Dossetti sta parlando della notte della comunità. Questa notte consiste nella perdita del "Conessere ... cioè l'esserci al mondo insieme" con lo sbriciolamento "della comunità in componenti sempre più piccole ... sino alla riduzione al singolo individuo". Riportando il pensiero del prof. Miglio egli continua "è il singolo ciò su cui l'ideologo della Lega costruisce tutta la sua dottrina: i diritti sono degli individui, il diritto è solo individuale. E perciò rispetto agli altri non vi possono essere che contratti, in funzione dei rispettivi interessi e del reciproco scambio". Citandolo poi direttamente aggiunge: "noi stiamo entrando in un' età caratterizzata dal primato del contratto e dall'eclissi del patto di fedeltà". Dossetti cita poi un interrogativo di Cacciari in dialogo con Miglio: "Che cosa differenzia un tale sistema da quello che regola gli accordi fra imprese industriali e commerciali?"
La separazione dell'individuo dal gruppo e dalla comunità, la sua astrazione dalle relazioni umane che pure lo costituiscono, per farne un polo di diritti senza obbligazioni, rappresenta la perdita del senso. Invece l'accettazione della obbligazione, quella che mi vincola all'altro, per riprendere Levinas, rappresenta "la nascita del senso, l'evento fondante l'instaurarsi di una responsabilità irrecusabile: ( ... ) Ben avanti ogni sermone edificante, ogni moralismo, ogni paternalismo. C'è una relazione e una responsabilità che mi costituisce prima ancora che io possa chiedermi come devo comportarmi e cosa devo fare".
Dossetti tiene la commemorazione nel 1994, poco dopo la sconfitta elettorale democristiana, e in apertura del discorso afferma: "non (è) tanto lo sbandamento elettorale dei cattolici, ma le sue cause profonde, oltre gli scandali finanziari e oltre le collusioni tra mafia e potere politico, soprattutto (è) l'incapacità di pensare politicamente, la mancanza di grandi punti di riferimento e l'esaurimento intrinseco di tutta una cultura politica e di un'etica conseguente" (pp. 3-4).
Ho seguito il discorso di un testimone italiano appena scomparso perché la "giustizia sulla terra" concretamente si fa a partire dalla propria terra, dal proprio contesto culturale ed organizzativo. Don Sirio Politi quando era tra noi era solito dire "chi lotta e soffre su una zolla di terra, lotta e soffre su tutta la terra".
Verso la fine Dossetti mette in guardia contro "l'illusione dei rimedi facili e delle scorciatoie per uscire dalla notte". Anche se c'è da insistere nel chiedere e ripetere la domanda: "sentinella quanto resta della notte", la risposta è lasciata in una voluta ambiguità.
"La sentinella risponde: viene il mattino, poi anche la notte; se volete domandate, domandate, convertitevi, venite".
Intanto possiamo seguire la traccia indicata da questo monaco tentando di rovesciare le negatività da lui denunciate: imparare a pensare politicamente, cercare con tutto il proprio essere i grandi punti di riferimento e ricostruire una cultura politica basata su un'etica all'altezza della sfida della mondializzazione.
E' quanto in questi giorni tenteremo di fare.
Roberto Fiorini


Semi di Resistenza

UN NUOVO BENE IRROMPE SUI MERCATI:
LA MALATTIA
Tutti ormai sanno che là dove la sanità è stata abbandonata totalmente in mano ai privati. la spesa statale è esplosa. In Italia si spende per la sanità il 5,2 % del P.I .. L. (ricchezza prodotta). Negli Stati Uniti, dove la sanità è un sistema privatistico, si spende il 14% del P.I.L. In Gran Bretagna il doppio che in Italia. Questo perché se la sanità diventa un mercato e viene abbandonata nelle mani dei padroni di sempre, la malattia diventa per loro una delle tante fonti da cui trarre profitto. Lorsignori non hanno nessun interesse che la malattia diminuisca. La prevenzione sparisce quindi dai loro orizzonti programmatici. Anzi è loro preciso interesse che il "bene" malattia circoli a più non posso nel mercato.
La Sanità è sì da cambiare. Ma migliorando il servizio pubblico e eliminando i tickets.
La sua privatizzazione è l'ultimo tassello di una barbarie collettiva a cui ci vogliono condannare.

OSPEDALE PRIVATO: "HUMANITAS" DI ROZZANO (MI)
68 ambulatori, 16 sale operatorie, 378 posti letto: un investimento di 160 miliardi realizzato da due
società: l'Immobiliare Mirasole ( = reale Mutua Assicurazioni, società Cattolica di Assicurazioni, Unipol e Assitalia) che ha in gestione l'immobile e la Humanitas Mirasole che si occupa della gestione ed é composta per il 20% dalle stesse cinque assicurazioni e per 1'80% da azionisti privati tra i quali figurano le famiglie Rocca, Tronchetti Provera, Vender, Bracco, Moratti, Falck, Boroli, Drago" (Il Sole 24 Ore. 31.1.97). Presidente di Humanitas è Gianfelice Rocca, presidente di Techint. Il gruppo Techint, che l'anno scorso ha avuto in regalo dallo Stato la Dalmine, avrà d'ora in poi cura della nostra salute. Nelle scorse settimane 50 medici del Policlinico di Milano sono passati all'Humanitas.

IL CENTRO ONCOLOGICO DI VERONESI.
La realizzazione di questa struttura (un investimento di 110 miliardi) e stata resa possibile dai fondi raccolti da alcuni padroni. All'inaugurazione (30 maggio 1994) erano presenti tutti: da Enrico Cuccia a Gianni Agnelli (che ha letto la relazione), a Cesare Romiti, Leopoldo Pirelli, Salvatore Ligresti, Guido Rossi (ex presidente Consob, ex senatore PCI, attuale presidente Stet, uomo di Mediobanca).
Quando Veronesi era all'Istituto Tumori di Milano era sponsorizzato dalla Fiat con miliardi di fondi neri. "Ora, con il vento delle privatizzazioni che finalmente soffia se ne va in una struttura modello portandosi dietro i collaboratori più brillanti" (Il Sole 24 Ore, 14.4.94). Il Centro Oncologico è una Fondazione.. no-profit!

UN S. RAFFAELE ANCHE A ROMA:
quotato in Borsa con Mediaset. 90 mila metri quadrati, 8 piani, 500 posti letto, l0 sale operatorie, 300 medici: un investimento da 220 miliardi. E' il S. Raffaele bis, gemello romano della storica struttura ospedaliera privata di Milano. La Fondazione Tabor di don Luigi Verzè, proprietaria della struttura, sarà prossimamente quotata in borsa. "Per l'operazione è stato reclutato Ubaldo Livolsi, amministratore delegato di Medìaset". Consigliere economico è l'ex presidente Cariplo, il DC Roberto Mazzotta.

Da "Slai Cobas" - Foglio di informazione del Sindacato dei Lavoratori Autorganizzati Intercategoriale tel/fax 02.58316335

Programma estivo di Cascina G

7 - 12 Luglio Coscientizzazione e responsabilizzazione di fronte ai problemi. (sperimentiamo come ci si forma una coscienza critica rispettando i tempi e la coscienza altrui - metodo Freire)
21 - 26 Luglio Corso teorico-pratico per educatori e animatori.
4 - 9 Agosto Corso per fidanzati: orientamento, preparazione, progettazione su "I problemi di coppia".
15 - 16 - 17 Agosto Preghiera e riflessione
Passato : antropologia - incarnazione - liberazione don Beppe Giordano
Presente : la storia costruita o subita don Toni Revelli - don Luigi di Viareggio Futuro: l'Oltre - l'inedito in noi e negli altri. Rocco Francesco - Bruna Moriondo
25 - 30 Agosto Progetto culturale e fede.
Si tratta di acquisire: certezza delle nostre radici - fiducia nelle potenzialità del dialogo - capacità di dare spazio all'uomo inedito che è in noi - coscienza di ciò che si muove nella società e nella Chiesa.

NOTIZIE UTILI La cascina G non è luogo per vacanza. - ogni mattina lavoro manuale gratuito
- a turno si fa servizio in cucina
- settimane economicamente autogestite dal gruppo partecipante
- la cascina offre letto con materasso (portare sacco a pelo o lenzuola)
- età: oltre i 18 anni
E' NECESSARIO PRENOTARSI
Don Gino Piccio - Cascina G - 15038 OTTIGLIO (Al) - teI. 0142/921421 Gianni Calvi - via Guala l0 - 15033 CASALE (Al) - teI. 0142/79513

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