Questo primo numero del 1997 vi arriverà sicuramente ben dopo il Carnevale. Vi meraviglia? Che volete, siamo a Viareggio! E la tipografia è letteralmente invasa da manifesti, locandine, biglietti, foglietti ecc. ecc. Niente da fare: Lotta come Amore deve segnare il passo e rassegnarsi a sperare nella quaresima. Tempo più favorevole alle piccole buone azioni riparatrici... Anche le macchine da stampa hanno un' anima!
Scherzi a parte, avevamo deciso di iniziare presto quest' anno per riuscire di nuovo a raggiungere i quattro numeri, ma siamo già in affanno. Anche lo scorso anno ci siamo arenati a tre. La storia è semplice: un mese per preparare un numero e un mese per riuscire a spedirlo. Un mese poi di intervallo e..., basta un attimo di distrazione per ritrovarci alle porte con il natale, fine anno e quindi con tempi duri per ogni attività. E poi la pigrizia dove la mettete? Occorre tenerla cara, specie quella paci osa che ci appartiene e che si giustifica con il fatto che diluisce il tempo in eternità...
Ci dispiace comunque essere così avari delle nostre energie nei confronti di tanti amici sparsi qua e là, con i quali abbiamo questo filo sottile di comunicazione. Speriamo di essere più seri. Potete ancora crederci?
In questo numero vi proponiamo la presentazione che Maria Grazia Galimberti ha fatto del libro di Arturo Paoli, "Il sacerdote e la donna", in occasione della premiazione del 2° Premio Letterario intitolato a don Sirio. La tematica del Premio, edizione 1966, era legata al "Significato e valore delle differenze, sia nelle relazioni interpersonali, che nei rapporti tra i popoli". Sulle risultanze del Premio torneremo nei prossimi numeri, sperando anche di presentare la terza edizione. Come tutte le cose umane, anche questo Premio percorre le strade non sempre agevoli di una collaborazione a più mani (e soprattutto a più... teste!) e necessita per prendere il largo di venti favorevoli e rematori concordi...
Un premio speciale, dal valore simbolico, doveva essere attribuito ad un'opera edita o ad una personalità che avessero dato un contributo particolarmente significativo in ordine alle finalità del premio. La giuria ha assegnato il premio all'ultimo libro di Arturo Paoli proprio perché centrato sulla differenza primaria uomo-donna. Onestamente non sembra che ci sia stata una particolare consapevolezza nell' assegnare il premio a un libro così centrato sulla differenza sessuale. Forse la personalità dell'autore, la sua posizione lucidamente critica nella chiesa e il suo coinvolgimento con le lotte di liberazione dei popoli poveri, ha avuto un effetto di forte trascinamento. La presentazione che ne ha fatto Maria Grazia ripropone la centralità del confronto sessuale rispetto a interpretazioni dell'opera più sul versante teologico, ecclesiale o spirituale.
E quindi la particolare ricchezza di questo libro di Arturo.
Oltre ai pezzi "fatti in casa", una lettera di Giovanni Gnaldi dal Perù continua una comunicazione ricca di spunti e di vita.
E, infine, dedichiamo un ampio spazio alle Campagne nei confronti della Nestlé, per un verso, e della Nike e Reebok per un altro. Vogliamo soffermarci su questo aspetto di lotta per allargare - nei limiti evidenti della nostra pubblicazione! - l'informazione, ma anche per sottolineare che queste Campagne non sono inutili. Hanno dei risultati, sia pure parziali e sempre ribaltabili da chi ha così grande potere economico in mano. Ma lottare non vuole dire inevitabilmente "vincere", come non vuol dire inevitabilmente "perdere". Una resistenza attiva, che passa attraverso un consumo critico, ha dei risultati concreti come dimostra l'azione di Paolo Macina e della sua famiglia nei confronti della Nestlé. E l'azione del Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Vecchiano (Pi) cerca di offrire elementi per dare voce ad iniziative attraverso le quali sia possibile toccare con mano il fatto che "si può" infrangere la sacralità con la quale ci viene imposta la inevitabilità sovrana delle "leggi" di mercato.
Una ricerca che, in modo più frammentato e meno organico compiono anche i preti operai attraverso il seminario dal titolo "Economia globale e giustizia sulla terra : sfida del terzo millennio" che si terrà a Camaldoli di Arezzo dal 1 al 3 di maggio e di cui presentiamo il programma.
Semi di resistenza che attendono buona terra per produrre frutto!
Luigi
Questa volta, invece della consueta lettera di Arturo Paoli - "La posta di fratel Arturo" -, pubblichiamo la presentazione dell'ultimo libro Arturo, "Il sacerdote e la donna ", da parte di Maria Grazia Galimberti.
L'intervento è avvenuto nel contesto della proclamazione dei vincitori che ha concluso, nel novembre scorso, la seconda edizione del Premi, Letterario intitolato a don Sirio, promosso dal Circolo Ricreativo Operaio della Darsena e riservato, nel 1966, ad opere inedite sul tema "Significato e valore delle differenze ". Il libro di Arturo è stato riconosciuto come l'opera edita d contributo particolarmente significativo in ordine alla tematica affrontata. E Arturo è invitato nel suo ormai consueto viaggio in Italia, alla fine della prossima primavera, a venire a Viareggio per un incontro atteso nel quale, oltre che ricevere un riconoscimento simbolico, rinnovare l'emozione di un incontro sempre ricco e nuovo prospettive e visioni.
Sono molto contenta di potere parlare di questo libro di Arturo Paoli, breve, dirompente e coraggioso, che mi ha regalato alcune fra le più belle pagine che ho letto, sul tema dell'alterità e sul valore delle differenze: l'uomo, la donna e la possibilità che abbiamo di cambiare attraverso il riconoscimento reciproco.
E sono contenta di presentarlo a due voci, quella di Monsignor Bettazzi e la mia, uno sguardo al maschile ed uno al femminile che spero rendano al meglio la vitalità del testo: la storia dell'incontro fra un uomo e una donna, un incontro avvenuto veramente, non so bene se trenta o trentacinque anni fa, quando Don Paoli lasciò l'Italia, (in pratica esiliato dalla Chiesa) per approdare in America Latina. Lì incontrò una giovane donna che si interessava con passione di un'organizzazione per la pace e di tematiche al femminile.
Il loro è stato un incontro speciale, di quelli che riescono ad aprirsi al dialogo: i due protagonisti accettano di lasciare alle loro spalle la sicurezza di un'identità acquisita per incamminarsi in un viaggio che sarà fecondo nella misura in cui si avvia verso l'ignoto.
Abbiamo tutti sperimentato che non sappiamo più chi siamo, in chi ci trasformeremo quando una relazione importante ha inizio: un dialogo come il loro, poi, ricco di tanta passionalità e conflittualità, porterà Arturo - noi sappiamo di lui, non di lei - ad abbandonare le sue difese, a lasciare la sua terra per rinascere per la seconda volta da donna.
Siamo tutti nati da donna, mi direte, e per parlare della parte maschile, tutti gli uomini nascono da donna: ma pochi lo fanno una seconda volta, facendosi tanto cambiare dall'incontro col femminile da permettere alla pelle vecchia di scivolare giù dalle loro spalle.
Arturo e G. vivono una storia profetica: la vita di schiere di uomini e di donne che li hanno preceduti lungo i millenni sembra acquistare in loro un nuovo significato. Per raccontarcela il Paoli usa un allegoria, quella di due personaggi: Abramo, il padre del popolo ebraico che guida un pugno di uomini verso la terra promessa, lo guardo fisso nel futuro e Sara, sua moglie, che vive nel chiuso della tenda e percepisce l'accadere degli avvenimenti al di là li un velo: dal di fuori, separata, assiste alla crescita di importanza del suo uomo, ode arrivare gli Angeli, gli emissari di Dio, e il popolo recarsi sempre più frequentemente a chiedergli consiglio, a lui, il principe Abramo.
Nella sua lunga, secolare esistenza, Abramo rappresenta il maschile chiuso in se che produrrà, al suo meglio, tensione etica: lo sguardo rivolto al futuro, incapace di vedere e di vivere il presente, genererà sistemi filosofici, codici giuridici, la forma stessa dello Stato, partiti politici, religioni, ma per fare questo deve sopprimere la voce dell'alterità. Il suo sguardo non può posarsi su nessuno, nemmeno su se stesso.
Sara, è il femminile che nei secoli conosce Abramo solo nella intimità della sua tenda, lì ne ha sperimentato la nuda fragilità, ma non osa confrontarsi con lui in pubblico, non osa uscire all'aperto e guardarlo negli occhi ponendosi come altro polo del dialogo. Ha timore della sua potenza: il maschile, d'altra parte, l'ha totalmente assimilata a se perché sia forza del suo destino, negandole in tal modo l'alterità, trasformandola in un luogo dove fondare le proprie radici.
Ma questa Sara cambia le regole del gioco, sbaraglia la storia, dà senso a tutte le donne che l'hanno preceduta, esce coraggiosamente dal chiuso della tenda ed osa guardarlo negli occhi, senza abbassare lo sguardo: la verità del suo amore e della sua passione vanno dritti al cuore e fanno capire ad Arturo che sotto il suo mantello indossava, da sempre, un'armatura che lo imprigionava: è quella delle istituzioni, della Chiesa, dello Stato, del Sapere.
Arturo è attratto dal suo sguardo ed insieme ne ha paura... è pronto a difendersi, prepara nella mano il coltello dell'obbedienza con cui uccidere Isacco.
<Abramo il sacrificatore!> gli grida lei.
Sì, lui è davvero capace di uccidere Isacco che in questo caso è lei, l'altro, e anche l'Isacco figlio, la parte più intima, più viva e vibrante di se: finche capisce che se uccide il figlio e la donna che può dargli la vita, muore per sempre .
La spada cade dalla sua mano ed egli è pronto a non più difendersi.
<Mi sono fermato> dice Arturo <vedendo te ho visto me stesso>.
Per Arturo era arrivato il tempo di passare dalla situazione di conquista (a te - dice Dio - darò una terra per il tuo popolo) alla situazione di dialogo, entrare dentro la relazione, farsi cambiare dalla relazione.
Si conclude così la prima parte della loro storia, e i due sembrano pronti a incontrarsi sul terreno della fusione totale. Ma qui entra in gioco il destino individuale, con tutto il suo mistero:
Arturo sceglie l'avventura dell'amore che è mutamento, non quella dell'amore che si compie nell'unione del corpo.
Il dialogo si fa ardente nella sua conflittualità, ma continua ancora qualche anno: <Tu mi neghi le chiavi del regno> si ribella lei, quel regno che è l'unione dei corpi e di cui solo l'uomo ha la chiave. Non consumandosi nel corpo, il loro amore deve giocarsi tutto nell'interiorità, esplorando sentieri che altrimenti non sarebbero stati percorsi. Nel tempo, il gioco dell'alterità donata risveglia sempre più profondamente in loro il bisogno di Dio, l'Altro da se.
<L'Amore o è teologia o non è amore> afferma Arturo. La teologia, dunque, non più come dissertazione su Dio: ogni dialogo di amore che si compie in terra è di per se teologia, Dio è presente nella relazione a suggello e garanzia dell'alterità, forse è solo in Lui che un uomo e una donna possono stare l'uno di fronte all'altra, amandosi e cantando ciascuno il proprio canto.
Vorrei chiudere ponendo un interrogativo. Perché Arturo si è fermato sulla soglia, non ha percorso il cammino naturale della coppia, anzi, vi oppone un divieto invalicabile? <Non sarò tuo, appartengo a Dio e alla povertà del mondo> afferma, aprendo così una contraddizione che rimane fra i due come una ferita sanguinante della quale lui si assume la responsabilità, trascinando anche lei nel suo destino.
Il fermarsi sulla soglia ha due ragioni: la prima è quella nobile della scelta, la castità come povertà. Vedete, quando Arturo ha compiuto il movimento di rinascita, in un gioco degli specchi anche lei è venuta alla luce, nella donna si è risvegliato il bisogno di una tenerezza struggente che vuole essere colmata e Arturo capisce che solo offrendole il suo corpo potrà farlo. Il non farlo colpirebbe la radice del suo orgoglio maschile. Ma vuole sperimentare la forma della povertà suprema, quella dell'uomo che non può accontentare la propria donna, cosa che l'ultimo contadino della terra è in grado di fare.
La seconda ragione riposa in un limite coniugato al maschile che Arturo si riconosce e al quale dà un nome: un tabù ben più profondo della necessità di indossare l'armatura, il senso del possesso. <Tu hai maledetto le mie mani che non sapevano accarezzarti senza possederti>, in questa consapevolezza Arturo rinuncia a compiere il gesto, ha fatto tanta fatica per abbandonare Abramo, per prendere le distanze dall'uomo vecchio che combatte strenuamente nella sua lotta in difesa dei poveri, nelle istituzioni!... Lo ferma proprio il sentire nelle sue mani la tentazione del racchiudere e tenere per se, di fare dell'altra motivo ed alimento della propria forza, non un polo del dialogo.
Nella faticosa storia della relazione uomo-donna Arturo non è stato ai margini, ha giocato la sua stessa vita: ha compiuto il cammino di trasformazione necessario a rinascere una seconda volta da donna, quando più tardi si è scontrato con un altro limite e gli ha dato un nome, ma si è fermato sulla soglia. Superarla non era nel suo destino, spetterà ad altri. Oggi, nella saggezza della sua vecchiaia, ci ha voluto raccontare tutto questo, compiendo un gesto che ha radici lontane come se lui avesse posto un seme nel grembo della storia.
E io spero che questo seme germogli nel nuovo millennio che ci attende, dando alla luce un maschile nuovo che lasci scivolare con mossa leggera dalle sue spalle il mantello pesante del possesso e un femminile che specchiandosi nei suoi occhi rinasca nuovamente, con un movimento che, questa volta, li unisca entrambi.
Maria Grazia Galimberti
Vorrei tentare di offrire agli amici legati al filo tenue "di queste pagine alcuni pensieri adatti, forse, ad un anno che chiamiamo "nuovo" perché prima il suo "numero" non era ancora apparso sui nostri calendari, ma che nuovo potrebbe anche essere se la novità crescesse come una buona pianta dentro il piccolo spazio di terra della nostra vita. Cercherò dunque di seguire il filo dei pensieri che si sono dipanati intorno ad un'idea che ha accompagnato il percorso dei soci dell' A.RC.A. per parecchio tempo. Si sa, l'A.RC.A. non può navigare troppo in fretta: al massimo, nei giorni di vento buono, i suoi marinai alzano la vela e allora la vecchia imbarcazione fila via liscia e spedita sulle onde. Ma, più spesso, tutto procede al ritmo dei remi e, quindi, molto lentamente...
Per gli amici del giornalino che conoscono meno le varie vicende legate alla nostra piccola storia, l'A.RC.A. è una associazione di volontariato costituita da circa 60 soci, più un gruppo di amici e simpatizzanti sparsi all' intorno, che in qualche modo e in momenti particolari si affiancano con le proprie barchette allo scafo più grande (si fa per dire !) ed insieme vengono progettate piccole iniziative nelle scuole, momenti di incontro, di confronto, di scambio, di "movimentazione delle acque" che, come si sa, tendono spesso a diventare acque stagnanti.
Così, l'A.R.C.A. ha progettato per il '97 (con scadenza al 31 maggio) una raccolta di racconti (veri o fantastici) che descrivono avvenimenti, sogni, piccole storie, utopie nascoste nei vari cassetti che ciascuno custodisce gelosamente. Di tutto il materiale prodotto, sarebbe intenzione di farne una mostra e - se sarà possibile - anche un estratto per una pubblicazione : vorremmo raccogliere tutta una serie di "parole positive", attraverso le quali poter aprire l'anima, il cuore, la mente, la fantasia, le energie più intime; verso orizzonti di speranza concreta e costruttiva. Un tentativo di comporre un piccolo mosaico di pensieri positivi, quasi a voler controbattere (ma il motivo non è solo per essere "contro") tutta una cultura della parola, dell'informazione scritta e dell'immagine fortemente basata sulla cronaca nera, sulla storia più oscura, sugli avvenimenti che grondano lacrime, sangue, distruzione, morte. Non dei racconti "rosa", consolatori, tanto per rendere meno amara la realtà che rimane quella che è nelle sue manifestazioni negative: uno sguardo, invece, attento e partecipe a quella parte della nostra vita (nostra e degli altri), vissuta realmente o fortemente desiderata e immaginata, che porta in sé la parte positiva, ricca di speranze, carica di semi preziosi che spesso finisce per non essere visibile neppure ai nostri stessi occhi. Siamo talmente immersi nell'ombra del "negativo" che non ci accorgiamo più della parte "luminosa" che si sprigiona dentro o intorno a noi.
Vorrei proporre, perciò, dalle pagine del nostro giornalino, a tutti gli amici lettori (volti noti e, per la maggior parte, volti sconosciuti, legati al filo sottile delle parole) di partecipare anche loro a questa proposta, scrivendo un breve racconto ed inviandolo all' A.R.C.A (presso l'indirizzo di Lotta come Amore e cioè) Lungo Canale Est, 37 - 55049 Viareggio. Entro il 31/5/97!
Così, attraverso le parole scritte, tenteremo di allargare il messaggio di fiducia e di luce : i racconti, che dovranno essere necessariamente brevi, avranno la possibilità di rappresentare prima di tutto per chi li scrive il momento per guardarsi dentro e recuperare quella parte positiva, simpatica, carica di speranza e di fiducia di fronte alla vita.
Fra le molte cose che mi hanno colpito nel messaggio del Vangelo, sicuramente ha avuto una grande importanza la prevalenza di una visione fortemente positiva dell'esistenza umana e del suo rapporto col mistero di Dio. La relazione fondamentale su cui Gesù insiste in continuazione è quella di un legame d'amore tra il Padre e le sue creature. Questo filo sottile, ma indistruttibile, dà un significato buono alla vita, anche se essa resta. sottomessa alla debolezza, alla contraddizione, alla sofferenza e alla morte. Ma la "buona notizia" portata da Gesù sta tutta dentro questo percorso faticoso e oscuro, e lo illumina dall' interno, aprendo i nostri occhi alla speranza di un mattino di luce. Uno dei racconti simbolici di Gesù che mi ha sempre affascinato è la parabola del grano e dell'erba cattiva (la "zizzania" di una vecchia traduzione). Essa mi ha sempre indicato un percorso improntato alla positività dell' esistenza, nell' accettazione chiara e scoperta della impossibilità di eliminare la contraddizione del negativo e quindi del "male" : ma l'occhio di Gesù guarda al "buon grano" e ci invita all'impegno per una crescita di tutti i semi ricchi di vita e di energie positive, senza lasciarsi chiudere nella cultura delle tenebre. La notte secondo il linguaggio evangelico, è lo spazio nel quale agiscono le forze oscure della violenza, della distruzione, della negazione della vita. L'invito è molto pressante, invece, ad orientare il proprio sguardo verso la luce, la luminosità che ogni essere racchiude dentro di sé come dono originale del suo Creatore. "Figli della luce" Gesù chiama coloro che cercano nel proprio cammino la volontà di Dio, uscendo così fuori dello spazio dominato dal "potere delle tenebre".
Raccogliere i segni, anche molto tenui e leggeri, di questa luminosità che la vita racchiude in sé, frammenti di una realtà positiva che ci accompagna nel percorso quotidiano, può rappresentare nel suo piccolo una forma di lotta e di resistenza per una umanità più riconciliata e più fraterna. A volte, anche un solo raggio di sole, può essere sufficiente a rendere meno gravosa una giornata gravata dalla nebbia.
don Beppe
Ecco il mio libretto, scritto perché l'11 dicembre '92, pur essendo morta con Luciano, fui costretta a rimanere in questa vita.
La prima cosa che cercai di salvare fu la fede che lui vivesse, e che io non gettassi via la mia vita, per non perderlo per sempre. "Altro non resta o la paura o la fede" aveva scritto P. Turoldo come titolo di una sua poesia. E Luciano aveva sul comodino un foglietto dove aveva copiato questi versi sempre da "Canti Ultimi" di P.Turoldo :
"Vedrai" (pag.159)
Anima mia, non pensare male di Lui, gli è impossibile fare altro.
E - vedrai! il Male non vincerà.
Dunque non dovevo "pensare male di Lui" dopo 32 settimane di condanna a morte che gli aveva inflitto, senza speranze e senza illusioni concesse ad altri condannati?
Sempre Turoldo aveva scritto (leggi pag.26-27) :
Dio per sua natura
non è la divina Indifferenza
ma fuoco incandescente
e quanto attende e brama
è solo un atto d'amore.
Questo è stato il mio cammino: perdonarlo e (non bastava) amarlo! Di qui il versetto a pag.7 .
Il mio libretto comincia col '90. Attesa e nascita di Laura (pag.15 - 17), felice estate in montagna (pag.18), ma "vi ho visto scendere come notte il nero delle nubi rotto da folgori".
Poi la morte della mamma (pag.20) e quel richiamo:
"troppi ormai
che mi chiamate
dallo splendore delle Sue costellazioni".
E l'arrivo del '91 (pag.22) :
"l'anno che viene
con nere minacce di guerra",
ma io volevo ancora
"aver fiducia nell'onda
che sulla riva riversa
il dolce sorriso di Dio".
Poi muore Turoldo e anche per noi è suonata
"l'ora nona" (pag.26).
Ecco "nubi profonde e acque oscure (pag.28)
e la preghiera al cielo (pag.31) :
"chiedete e vi sarà dato
bussate e vi sarà aperto
perché avete un Padre celeste".
Una piccola operazione in testa e vicino all'occhio per liberarmi di due basaliomi in stato avanzato e pericoloso (da pag.35 a pag.39) e il sogno:
"Anch'io vorrei andarmene così
e fluire nell' aria
dorata dal sole".
Invece no ! (pag. 4l)
Signore, mi hai strappato lo sposo mio.
Sono stata ricevuta, distrutta da tanto disastro,
all'Eremo delle Stinche (pag. 41 - 46). Mario ha voluto, per le feste, portarmi all'Elba (pag. 47) "ero come l'albero nudo nella notte di capodanno,
ma le stelle di quella notte erano le lacrime mie
che brillavano schegge di pianto".
Tornata all'Eremo fu un vecchio ceppo (pagA8) nell' angolo del camino a indicarmi la via "il mio ceppo inaridito" doveva cadere "nel fuoco d'Amore e vivere nella Sua raggiera di luce".
Ci sono riuscita? Sì, cadendo e rialzandomi
"nuvola bianca... così vuota, così nuova" (pag.52)
"anima che geme / dissolta come ombra"
che grida "voca me cum benedictis" (pag.70).
Questo tracciato vi aiuti a leggere poesie che non sono "letteratura" ma il moto del mio sangue, la piaga del mio cuore insanabile sempre aperta e gemente, la mia angoscia e anche la mia speranza che solo se il granello muore germinerà, e il frutto sia un atto di amore.
Grazia.
Grazia Maggi "Se il granello non muore" - Libro Italiano
Editrice Letteraria Internazionale L. 10.000
(continua dal numero precedente) Quando nacque l'A.R.C.A., questa non era altro che la seconda faccia "istituzionale" del progetto che aveva nell'impresa artigiana del Centro Artigiano Viareggio il suo elemento portante. Tanto è vero che lo statuto, steso dal notaio Francesco Rizzo (che ha seguito da allora, con grande pazienza e amicizia, insieme al personale del suo studio, tutto il nostro "tormentone" di "pellegrini dell'assoluto" in cerca di uno status giuridico...!), era impostato come un vestito su misura dei tre soci del C.A.V. ai quali era riservato di diritto il Consiglio direttivo.
Questa "seconda faccia" era la volontà di realizzare un luogo di lavoro aperto, oltre che alla dimensione lavorativa, anche alla dimensione di incontro e di sostegno ad ogni ricerca di lotta e resistenza in ordine alla comune dignità umana.
Così l'atto di nascita dell' A.R.C.A. segnò la possibilità di convenzione con il Ministero della Difesa per la presenza di obiettori di coscienza, lo svolgersi (titolarità dei permessi ecc.) dell' azione teatrale "Le ombre di Hiroshima" con tutto l'impegno antinucleare, ambientalista e pacifista degli anni '80 e lo stesso giornalino "Lotta come Amore" fu posto sotto l'ala protettrice dell' A.R.C.A. quale "editore" necessario per le continue strette di vite dell'inevitabile burocratico.
Ciò non significò soltanto un "giro" di carte, di firme e di marche da bollo, ma molto di più. Infinitamente di più. Un crocevia di iniziative, di incontri, di scontri vivacissimi. E se - d'inverno - il freddo nel capannone era polare, la ricchezza umana di quei nostri primi anni di vita in via Virgilio era al calor bianco!
Vorrei fare a questo punto un passo indietro. Quando maturò l'idea del progetto di lavoro in Darsena, non eravamo solo Sirio, Rolando ed io. Eravamo in quattro. E il quarto uomo non era un prete. Era Francesco Colzi dottore commercialista in Viareggio, che avrebbe collaborato attivamente con noi, non come consulente, ma come vero e proprio membro del gruppo, interessato com'era a tutta una ripresa di iniziativa e di ricchezza di vita insiti nella cultura dell'impresa artigiana creativa e della figura del "maestro artigiano". A lui ci affidavamo non solo per l'inevitabile burocratico..., ma anche per la chiarezza di prospettive e, sostanzialmente, per una idea che avrebbe probabilmente cambiato e reso diverso tutto il cammino de "il capannone". L'idea (soprattutto Sirio era preoccupato di questo) che noi preti avremmo sì lavorato, ma non come "padroni" sia pure di noi stessi: rifluendo cioè man mano in un contesto amministrativo in cui essere in una relazione di "dipendenza" da altri in modo che fosse chiaro che la "gerarchia" nel lavoro nasceva da una chiarezza di ruoli legati al lavoro stesso e non da una sovrapposizione con inevitabili ricadute nella confusione tra "il sacro e il profano". Ci sarebbe stata una presenza che fin da subito avrebbe significato questo.
Francesco, all'inizio dell'estate del '80 fu vittima di un incidente stradale e morì a seguito delle ferite riportate. Proprio quando noi ci eravamo trasferiti in via Virgilio al capannone.
I suoi amici sono stati e sono molto attenti alle nostre cose. Francesco ci ha lasciato in loro una eredità importante sia dal punto di vista umano che professionale. Ma come non continuare a pensare che la storia - la nostra piccola storia, evidentemente! - avrebbe seguito un altro percorso?
Si entra nel cuore degli anni '80. Lo spirito è forte... , ma la carne è debole! E magari fossero sopravvenute nuove fioriture d'amore...!
La stanchezza di tanta vita comincia ad attanagliarci. Le energie si spostano a contrastare invecchiamento e malattie. Alcune di esse, come quelle di Sirio, si rivelano irriducibili.
La "forza" produttiva si affievolisce mentre il "cuore" continua a battere e a farsi carico di problemi, persone, iniziative, storie di lotta e di resistenza umana. E' in questi anni - tra 1'85 e 1'88, la morte di Sirio - che si accentua in modo decisivo, un processo, apparentemente invisibile: l'AR.C.A diventa sempre più ARCA E non è una questione di... puntini.
Quella che doveva essere una seconda faccia, riferita all'impegno "oltre" il lavoro, diventa la prima faccia, anzi la faccia con cui la nostra iniziativa viene conosciuta e riconosciuta dalla gente, dalla città. E nell'Arca, come in quella mitica di Noè, finisce per essere accolto un po' di tutto. Con grande generosità, certamente, ma anche con il pericolo di una "ammucchiata".
In confronto con l'arca di Noè descritta nel racconto biblico con pedante esattezza fin nelle misure dei particolari, la nostra Arca è l'immagine stessa della "deregulation"!
Se il paragone finisse qui, ci potremmo anche pavoneggiare con l'immagine decisamente "casual" che ci deriva dall'autentico trasando in cui siamo abituati a vivere.
Ma, nell'arca di Noè si entra a due per volta perché l'arca è orientata alla vita. Alla sopravvivenza, è vero. Con la fiducia però di poter di nuovo toccare terra e uscire dall'arca. Non è davvero che a noi sia mancata la fiducia, la speranza, l'utopia di un sogno. Ma la gestione di una situazione in cui tanti, troppi problemi sono racchiusi nei cassetti dei sogni rischia di fatto di perdere contatto con la realtà permettendo al sogno di volare sempre più in alto in un avvitamento narcisistico fine a se stesso. Là dove ogni azione di rinnovamento umano rischia di finire: nella cornice dorata della "opera buona" che nessuno contesta e tutti ammirano perché sostanzialmente lascia le cose come stanno e "lava" la cattiva coscienza di chi non muove un dito verso una giustizia più vera.
E' in questa dinamica che abbiamo rischiato di essere coinvolti. E se la porta della nostra Arca si allargava sempre di più, i timidi tentativi di scoprire l'emergere di nuove terre per sbarcare alla vita di tutti coloro che vi si erano rifugiati, venivano generalmente frustrati.
Cresceva così, a poco a poco, - almeno in me - un senso di disagio e di oppressione: il "vecchio" non esisteva più e il "nuovo" ancora non si scorgeva. Si aggrovigliava la gestione interna con carichi di responsabilità pesantemente squilibrati e zone d'ombra di non attenzione alle problematiche quotidiane.
Trovai personalmente una "via di fuga" nel 1986 ad Assella, nel sud dell'Etiopia. Trapiantai letteralmente il mio lavoro di fabbro in una specie di "Città dei ragazzi" che raccoglieva oltre 150 giovani orfani, disadattati, handicappati. Passai di colpo dal "laghetto" di via Virgilio all'oceano dell'emarginazione.
In acque dove Narciso può abbandonarsi al suo sogno e alla contemplazione di sé senza rischiare di essere mai più distratto dai contorni di una qualsiasi terra che rifletta contorni diversi dalla sua insaziabile voglia di sé. Là, quell' anno come nei seguenti, fino al '91, entrò in me una qual sorte di disperazione. Che fosse possibile incidere o anche solo graffiare il corso della storia umana così da mutarne la direzione in modo stabile e duraturo. Ad ogni livello: nell'oceano come nel laghetto.
E mentre si compiva l'abbattimento del muro di Berlino, ero lontano mille miglia nella più completa ignoranza di essere sfiorato da un avvenimento epocale. Non potei quindi gioire delle macerie di un simbolo di violenza iniqua e intollerabile, ma quello era un tempo in cui mi aggiravo tra le macerie di un mondo che stava in piedi solo nella sua lussuosa facciata. E nel laghetto come nell'oceano stavo maturando la convinzione che ciò che può alimentare una speranza non è il sogno di un rinnovato incontro con la terra e la vita mentre si proclama di voler prosciugare le acque con un bicchierino. E' piuttosto tutta l'attenzione magari di una vita posta nel far sì che il bicchierino tolga veramente l'acqua. E non sia irrimediabilmente bucato. Nel laghetto come nell'oceano, la sproporzione dell'obiettivo con i mezzi che uno può mettere in campo è sempre abissale. Ma questo non esime mai dalla necessità di una coerenza e di un confronto con la realtà che non può mai essere accomodata come noi la desideriamo o la sogniamo. Può essere che l'unica cosa che si può fare è inchiodare due tavole a mo' di croce, ma bisogna stare attenti a non mettere mai la croce tra l'abissale sproporzione tra il sogno e la realtà a cercare di tappare lo "strappo". La croce ha la sua giustificazione quando viene posta a suggello della propria vita, quale risorsa "ultima" perché oltre il diluvio risuoni il grido di dolore di una speranza che non vuole morire.
Così rientrai nel "laghetto". Consapevole che l'oceano della miseria non è altro che il risultato di un travaso compiuto dal nostro mondo egemone.
Preso come da sacro furore, cominciai a... rimettere i puntini al loro posto: l'Arca ritornò ad essere l'AR.C.A, anche se Beppe si atteggia sempre più al ruolo di barbuto Noè, e la C.RE.A. cooperativa sociale prese possesso del capannone e iniziò un percorso che l'ha portata ad essere una piccola, ma reale impresa sociale. Un lavoro vero per tante persone.
L'Arca, il Capannone, il "4 ottobre"... non sono più gli stessi anche solo di dieci anni fa. Altre spinte, altre necessità, altri bisogni, altri progetti... Altri nomi, altre persone.
Altri sogni? Certo. Vecchi e nuovi insieme.
Ma - senza alcun dubbio - quella presente è veramente un'altra storia.
Luigi
"Cholo soy y no me compadescas,
q' esas son monedas que no valen nada
y que dan los blancos como qulen da plata.
Nosotros los cholos no pedimos nada,
pues faltando todo, todo nos alcanza:
Déjame en la puna vìvìr,
trepar por los cerros detràs de mis cabras,
arando la tierra, tejiendo unos ponchos, pastando mis llamas
y echar a los vientos la voz de mi quena.
Dices que soy triste: qué quieres que haga ?
No dicen Usledes q'el cholo es sin alma
y que es como piedra, sin voz, sin palabras
y llora por dentro, sin monstrar las làgrimas..."
(canciòn criella peruana)
Lampa (Perù), Agosto 1996
Amici carissimi,
Familiari sempre cari, dalle immense distese della "puna" gialla, sotto il cielo azzurro della incipiente primavera, sotto le prime piogge che feconderanno la terra dell'altipiano sur-andino del Perù Vi giunge con affetto il mio saluto. Il saluto dai 4000 metri!
Il tempo ci sta allenando alla distanza, alla separazione, al silenzio, ma gli stessi vincoli dell'incontro si rinsaldano: sentimenti, affetti, ideali, fede, obbiettivi di vita, scelte, valori... Il cammino della vita conduce in avanti, nel tentativo di imparare la grande lezione: imparare ad amare!
Continua il cammino in omnibus, a piedi, a cavallo anche verso il più sperduto casolare. Continuiamo a sorridere e ad accarezzare i bambini. Continuiamo a pregare insieme alla gente, anche sulla tomba più anonima e dimenticata. Continuiamo a contemplare culture dalle radici profonde e diverse. Continuiamo a ballare huaynos, a bere allo stesso bicchiere, a mangiare con il piatto alla bocca. Continuiamo a ricercare nuove vie di solidarietà che sfocino nella giustizia, nella speranza, nella vita. Continuiamo a celebrare battesimi, matrimoni e ad amare la vita!
Dio e i poveri rimangono
Oggi più che mai la scelta dei poveri dovrebbe essere radicale, prioritaria e attuale. Per due motivi. I poveri sono in aumento crescente, in America Latina e in tutto il Terzo mondo (anche nel Nord del mondo!). Inoltre, perché i poveri... oggi stanno diventando sempre più poveri: ci troviamo dinanzi ad un processo di impoverimento, più che dinanzi al fenomeno della povertà.
Optare vuol dire scegliere, significa rivolgersi a, impegnarsi per, stare con. Quando si opta per i poveri si fa la scelta di lottare contro le cause che generano la povertà, contro le strutture ed i sistemi che impoveriscono i poveri e che impediscono loro di vivere con dignità la condizione umana e storica di figli e figli di Dio, di fratelli e sorelle tra di noi.
Mentre nella società la rivendicazione dell'uguaglianza è sempre più radicata nella coscienza collettiva, il capitalismo - ormai multinazionalizzato - fa della società umana semplicemente un mercato; proclama il diritto conclusivo di una minoranza insignificante, ma privilegiata e giustifica l'emarginazione della grande maggioranza, ma esclusa. La politica, l'economia, la stessa organizzazione strutturale e di potere della società sono sempre più esclusive e escludenti.
Intanto... sono molti quelli che si dicono stanchi di sentire parlare di scelta dei poveri! (... e i poveri non saranno ancora più stanchi... di essere poveri?!).
La scelta dei poveri è "la" scelta evangelica - non soltanto una priorità - da concretizzarsi dentro la storia. Continua ad essere vero che a Gesù e alla comunità dei discepoli lo Spirito li ha "unti" per annunziare la buona notizia ai poveri (cfr. Mt.4,14-l9).
Trattore o chaquitaqlla?
La chaquitaqlla è uno strumento agricolo, specie di vanga, usata dal campesino nella nostra zona andina. E' composta di due parti: la parte superiore, in legno robusto, su cui il campesino fa forza perché la parte inferiore, in ferro levigato, possa affondare nel terreno.
Il trattore... tutti lo conosciamo! E' segno di progresso. Dovunque, anche quassù ! Molte volte ci si chiede - a livello sociale, economico, pastorale, pedagogico - se è bene andare avanti con la chaquitaqlla o usare il trattore!...
Indubbiamente è da favorire tutto ciò che stimola il progresso, il cambio economico, la tecnologia, ma anche il rispetto culturale, la identità stessa della gente - come il campesino andino - che ha una concezione diversa del lavoro, della relazione con la terra, degli stessi rapporti di produzione.
L'obiettivo comune a cui tendere è la vita degna e giusta per ogni essere umano, sia esso indio, campesino, di altra razza e cultura!
Nei paesi poveri o emarginati, tra i quali è incluso il Perù, si assiste, tuttavia, alle più svariate forme di intervento sociale e di sviluppo. Interventi governativi, di beneficenza, opere assistenziali, organismi filantropici, proliferazione di ONG, azione delle diverse chiese, interventi di sette religiose...
Ognuno interviene e agisce con criteri propri !
Perché, nonostante tutti gli interventi, è in aumento la povertà nel Sud del mondo e anche in Perù?
Perché nel tempo incaico, nonostante il lavoro con la chaquitaqlla, non esisteva la fame e non si conoscevano certe malattie ora endemiche?
Perché le chiese, pur operando nell'emergenza con solidarietà, non esercitano anche un'azione profetica in favore della giustizia e una azione destabilizzatrice contro il nuovo ordine economico mondiale?
Non saremo chiamati ad agire perché il povero sia soggetto della storia e non oggetto di compassione, di dipendenza, di pietismo, di elemosina, di perpetuazione dello "status quo"?
Sfida ardua, lunga, interrogante e piena di speranza!
Pastore e profeta
Una data da tenere presente nella memoria storica e di fede del popolo, soprattutto latinoamericano, è quella del 4 agosto 1976. Venti anni fa, avvenne il martirio di Enrique Angelelli, vescovo di La Rioja (Argentina), assassinato dall'esercito della dittatura militare di Videla.
Uomo di "terra dentro", ci lascia tre consigli evangelici che dovrebbero far parte del nostro progetto di vita:
"Hay que seguir andando no màs"
"No hay que tener miedo de meterse en el barro"
"Con un oìdo al Evangelio y otro al Pueblo".
Il mese di Agosto
Le persone amiche che sono venute e vengono a visitarci a Lampa, in questo periodo si trovano a contatto con una molteplicità di espressioni rituali, culturali e religiose tipiche del mondo andino.
E' il mese del "pago" alla Santa Terra! E' il mese del cambio di stagione! E' il mese in cui si pronostica il tempo per tutto l'anno! E' l'inizio dell'anno andino!
Agosto è il mese dei matrimoni, soprattutto! Agosto, per il cambio dalla stagione fredda, lo si considera come il mese fertile, fecondo e portatore di felicità. La coppia, dopo il periodo vissuto in "servinakuy" (convivenza decisa tra la coppia e le rispettive famiglie), passa al matrimonio civile e religioso in cui, dice la gente, si ratifica e si formalizza il matrimonio chiedendo la benedizione di Dio.
Tutti, carissimi, uniamoci - per la fede popolare - nella preghiera agli "Apus" (divinità tutelari dei monti più alti della cordigliera) perché ci liberino dalle disgrazie, come fulmini, grandine, gelate, siccità...
Sentiamoci uniti anche nel Dio dei nostri padri che è il Dio della vita: anche quando potessimo avere tutto, non dimentichiamoci mai di LUI! (Deut. 8).
Che possiamo essere sempre una benedizione, gli uni per gli altri!
Un forte abbraccio, con il mio saluto di lontano.
Giovanni Gnaldi
In questo numero la consueta rubrichetta intitolata "Semi di resistenza" esce dalle dimensioni di una paginetta per allargarsi nel giornale.
L'occasione è data da uno spunto di Enrico Peyretti che, in una breve lettera, amichevole e incoraggiante, ci invitava a prendere in considerazione l'azione di Paolo Macina nei confronti della Nestlé. Questo perché ci fosse informazione intorno alla possibilità che piccoli gesti possono avere nei confronti delle multinazionali.
Il "consumo critico" non è gesto relegabile nell'ambito di una testimonianza personale che nulla toglie o aggiunge alla realtà consolidata se non la manifestazione di un voler andare "contro" alla generale abdicazione nei confronti di uno spirito critico autentico che scivola nel mugugno fine a se stesso o, più spesso, nel silenzio più piatto.
Esso può divenire - se compiuto con intelligente e concreta convinzione - un fronte di resistenza a vere e proprie "ingiustizie di sistema ".
Una modalità - inoltre - per ritrovare un legame di solidarietà possibile e praticabile con quanti, nei paesi poveri, sono sfruttati da condizioni di lavoro ignobili per fornire linee alimentari al nostro mondo supernutrito.
Vi segnaliamo, in quest'ordine di idee, l'appello all' adesione alla Campagna di pressione popolare "le scarpe giuste" nei confronti dei colossi produttori Nike e Reebok, in solidarietà con i lavoratori asiatici - spesso bambini - costretti a ritmi e condizioni di lavoro inumani.
Egr. sig. Resp. Delle Pubbliche Relazioni dott. Saverio Ripa di Meana
Nestlé Italia S.p.a.
Via Richard, 5
20100 Milano
Segreteria italiana Baby Milk Action Via Macchi, 12
21100 Varese
Con la presente desidero informarVi che, aderendo lo scorso ottobre 1995 alla Campagna di boicottaggio internazionale "Baby Milk Action" promossa da diverse organizzazioni non governative per protestare contro il comportamento adottato da Nestlé nel Terzo Mondo ed in particolare per quanto riguarda la diffusione del latte in polvere:
A) Ho raggiunto, assieme alla mia famiglia (composta da quattro persone e un cane), il traguardo del primo milione di lire dirottato dall'acquisto di prodotti del gruppo Nest1é a prodotti analoghi di gruppi concorrenti, come dimostra la tabella che elenca i prodotti boicottati, il loro prezzo medio nei sei mesi di osservazione e la marca di prodotti acquistati in alternativa.
B) Il boicottaggio dei Vostri prodotti deriva esclusivamente dalla adesione alla Campagna per contrastare il commercio del latte in polvere nei Paesi in via di sviluppo in sfavore dell'allattamento al seno, comportamento che l'UNICEF e l'Organizzazione Mondiale della Sanità hanno stimato essere responsabile della morte di un milione e mezzo di bambini all'anno.
Il boicottaggio non è quindi una critica alla qualità dei Vostri prodotti, ma alla qualità della Vostra etica.
C) La mia famiglia ed io siamo disposti a ritornare all'acquisto dei Vostri prodotti a partire dal giorno in cui la Nestlé tramite comunicato stampa, proclamerà ufficialmente l'abbandono della politica finora seguita al riguardo.
Distinti saluti.
Paolo Macina (Torino)
luglio '96
Caro Obiettivo Ambiente/Azione Nonviolenta,
a distanza di solo un mese ti scrivo nuovamente per segnalare che la Nestlé Italiana, nella persona del Direttore delle Relazioni Esterne Saverio Ripa di Meana (il fratello del più noto Vittorio), ha risposto alla mia lettera nella quale li informavo di aver già dirottato la spesa alimentare della mia famiglia, nel corso di sei mesi, per oltre un milione di lire in favore di analoghi prodotti della concorrenza.
La lettera, personale e non circolare, è corredata di una agile pubblicazione (rigorosamente in carta ricic1ata 100%), contenente diverse notizie interessanti che cercherò di riassumerti qui brevemente. Innanzitutto la pubblicazione è stata stampata nel novembre del 1995, il che testimonia la freschezza delle notizie che riporta, "... nella convinzione che il dialogo costruttivo sia sempre la soluzione da preferire alla contrapposizione distruttiva" (pag. l) ed allo scopo di ribattere puntualmente ad ogni critica che la campagna di boicottaggio solleva sul comportamento di Nestlé nei Paesi in via di sviluppo. In essa sono presenti alcune ingenuità che la dicono lunga su come il management voglia farsi bello a tutti i costi, come per esempio quando si afferma che "in molti paesi come Cina e India, Nestlé pratica una politica di prezzi premiante per i produttori, pagando importi superiori fino al 5-6% rispetto a quelli di mercato" (pag.4) ; cioè a dire che un contadino di New Delhi o un allevatore di Canton alla fine del mese possono beneficiare, anziché di un misero stipendio di 100.000 lire, di un ben lauto compenso di 105.000 lire.
Nonostante ci, esistono i presupposti per prendere sul serio le dichiarazioni in essa contenute. A pag.9 per esempio, si ammette chiaramente che, a fronte delle 455 violazioni denunciate dall'International Baby Food Action Network (IBFAN), tre richiedevano un'azione correttiva (che è avvenuta), mentre 133 risultavano troppo generiche per essere da loro individuate o troppo vecchie e quindi incontrollabili (mancanza loro, quindi).
E' comunque un riconoscimento della necessità di un intervento, che viene criticato soprattutto nei metodi scelti per attuarlo : "Se c'erano comportamenti scorretti, perché non denunciarli subito con precisione alle autorità locali e alla Nestlé stessa ?", si chiede lagnosamente alla fine del capitolo, come se un ornino di cioccolato fosse sempre disponibile ad ascoltare le nostre lamentele.
Ma le sorprese non finiscono qui. "Della superiorità dell'allattamento al seno Nestlé è convinta sostenitrice", si enuncia a pag.9, tanto da essere protagonista della stesura, nel luglio 1995 (notare la data, di un anno successiva all'inizio della campagna di boicottaggio) di un documento sulle politiche guida dell'ISDI (ONG riconosciuta da OMS e FAO, che raggruppa tutte le associazioni locali di produttori di alimenti speciali per la prima infanzia). In sostanza, Nestlé si è impegnata a sostenere attivamente l'educazione sui benefici dell'allattamento al seno ; non fare pubblicità ai propri prodotti negli ospedali ; non avere contatti con le madri ; non distribuire campioni gratuiti e materiale promozionale negli ospedali e nelle cliniche, se non controllate strettamente dal personale sanitario.
Viene inoltre riportata l'immagine della scatola di un prodotto sostitutivo del latte materno commercializzato da Nestlé nei Paesi in via di sviluppo (il Nestogen 1), che contiene tutte le specifiche richieste per una corretta commercializzazione: indicazione della superiorità dell' allattamento al seno ; istruzioni per una corretta preparazione ed avvertenza dei pericoli connessi ad una preparazione non corretta; utilizzo della lingua del paese in cui viene venduto ; nessuna immagine di bambini sulla confezione ; composizione degli ingredienti. Abbiamo quindi trasformato la più grande azienda alimentare del mondo in una congrega di filantropi, e scusate se è poco. Scherzi a parte, sembra proprio che le critiche abbiano colpito giusto. Ora, per far sì che la campagna risulti efficace e credibile, occorrerà immediatamente verificare l'attendibilità di queste informazioni (viene anche riportato l'indirizzo del garante e arbitro del trattato: prof. Frank Falkner, Intemational Child Healt, Università della California, consulente dell'OMS e pediatra), e qualora risultassero vere, sospendere la campagna dandone ampia comunicazione. Altrimenti, tutte queste affermazioni dovranno essere usate contro la Nestlé stessa tramite denuncia all'autorità giudiziaria italiana per pubblicazione di notizie false, esagerate e tendenziose (art. 656 del codice penale) e pubblicità ingannevole. I primi passi fondamentali di una campagna, quello del riconoscimento e quello successivo del dialogo, sono stati compiuti. Decisivi, per ottenere un risultato che forse non tutti si aspettavano così a breve termine, saranno i successivi.
Paolo Macina
Consumare e fare la spesa ci sembrano fatti bai che riguardano solo noi, i nostri gusti, le nostre voglie, il nostro portafoglio, il nostro diritto a r essere imbrogliati. Eppure il consumo è tutt' alt che un fatto privato perché dietro a questo nost gesto quotidiano si nascondono problemi di portata planetaria di natura sociale, politica e ambientale. In altre parole attraverso il consumo rischiamo di renderci complici dei peggiori misfatti come lo sfruttamento del lavoro minori la violazione delle libertà sindacali, l'impoverimento del Sud del mondo, la morte ( pianeta e altri abusi commessi dalle imprese. M è altrettanto chiaro che il consumo è un mezzo molto efficace per indurre le imprese a comportamenti diversi perché il consumo ha potere di vita o di morte su di loro.
Il primo strumento che viene in mente per condizionare le imprese è il boicottaggio, ma h. limite di intervenire quando il danno è fatto. Per questo assume grande importanza il consumo critico come strumento di prevenzione.
Il consumo critico consiste nel fare la spesa scegliendo i prodotti non solo in base alla quali! e al prezzo ma anche in base alla storia dei prodotti e al comportamento delle imprese. In questo modo, oltre a segnalare i comportamenti che approviamo e quelli che condanniamo, sosteniamo le forme produttive corrette mentre ostacoliamo le altre. In definitiva è come se andassimo a votare ogni volta che facciamo la spesa.
Tuttavia per poter scegliere è necessario sapere proprio per questo il Centro Nuovo Modello di Sviluppo un paio di anni fa ha iniziato una ricerca sui comportamenti delle principali imprese che incontriamo quotidianamente quando andiamo" fare la spesa. I risultati della ricerca sono stati raccolti sotto forma di guida che è stata pubblici nel febbraio 1996 da parte della EMI. Il libro eh si intitola "Guida al consumo critico" è composto da 288 pagine, costa 25.000 lire e può essere acquistato presso le librerie cattoliche o presso Feltrinelli. In alternativa può essere ordinato all'editore (EMI, Via di Corticella 181 40128 Bologna) o al Centro Nuovo Modello di Sviluppo (indirizzo nelle pagine di questo giornale).
In collaborazione con numerosi gruppi italiani che si battono per un'economia solidale, il Centro Nuovo Modello di Sviluppo ha lanciato una campagna di pressione su Nike e Reebok per ottenere un maggiore impegno contro il lavoro minorile e la violazione dei diritti dei lavoratori asiatici che producono scarpe sportive.
La decisione di lanciare la campagna è stata accelerata dalle recenti denunce provenienti dagli Stati Uniti, secondo le quali i palloni a marchio Nike sono fabbricati in Pakistan da bambini di 10-12 anni, mentre le scarpe vendute sia da Reebok che da Nike sono prodotte in Asia da operai che non possono godere dei più elementari diritti sindacali e che ricevono salari al di sotto della linea della povertà.
Un accordo concluso recentemente fra alcuni gruppi degli Stati Uniti e la multinazionale GAP, attiva nel settore dell'abbigliamento, ha dimostrato che i diritti umani e sindacali dei lavoratori del Sud del mondo possono essere difesi efficacemente solo se le multinazionali adottano codici di comportamento concordati con le parti sociali.
Per questo la campagna si pone due obiettivi concreti:
1) indurre Nike e Reebok a dotarsi di un codice di comportamento concordato con il sindacato internazionale e con le Organizzazioni Nongovernative che si occupano di diritti umani;
2) indurre Nike e Reebok ad accettare procedure di verifica da parte di commissioni indipendenti concordate con le organizzazioni sindacali e con le Organizzazioni Nongovernative.
La campagna italiana fa parte di una iniziativa internazionale condotta congiuntamente in Francia, in Inghilterra, in Olanda, in Australia e in America.
Negli Stati Uniti è da registrare che il fondo etico Interfaith Committee for Corporate Responsability ha posto all'ordine del giorno della assemblea degli azionisti della Nike una mozione per discutere le iniziative da assumere in difesa dei principali diritti dei lavoratori.
Per questo sono più che mai importanti le iniziative assunte in questo periodo.
La strategia prescelta per esercitare pressione sulle due multinazionali è l'invio di migliaia di cartoline, ma non sono da escludersi azioni più incisive qualora questa forma di protesta non dovesse dare i risultati sperati.
COME ADERIRE ALLA CAMPAGNA
( Inviare e fare inviare alla direzione della Nike e della Reebok cartoline con il testo seguente:
Come consumatore responsabile che vuoi comprare solo prodotti ottenuti nel rispetto dei lavoratori e dell'ambiente dichiaro :
l. Che disapprovo le condizioni in cui si producono le scarpe che recano il marchio
Reebok (o Nike) ;
2. Che considero insufficiente il codice di condotta adottato dalla Reebok (o Nike);
3. Che ritengo inadeguato affidare i controlli sul comportamento delle imprese appaltate a società private come Ernst & Young. Pertanto desidero sapere se Reebok (o Nike) è disposta ad adottare un codice di comportamento concordato con le Organizzazioni sindacali internazionali e con le Organizzazioni non governative che si occupano dei diritti umani e dei lavoratori a livello internazionale. Inoltre desidero sapere se Reebok (o Nike) è disposta ad accettare procedure di verifica da parte di Commissioni indipendenti concordate con le Organizzazioni sindacali e con le Organizzazioni non governative.
Indirizzare a :
Reebok Italia SpA - Centro Colleoni Palazzo Taurus - 20041 Agrate Brianza (MI)
Nike Italia Srl- Via dell'aeronautica 22 - 42100 Reggio Emilia
(Appoggiare finanziariamente la campagna versando un contributo sul ccp 14082564 intestato al Centro Nuovo Modello di Sviluppo.
(Ordinare al Centro e diffondere pieghevoli appositamente stampati per far conoscere la campagna agli amici o ad altri gruppi interessati.
Per conoscere meglio le condizioni dei lavoratori asiatici, ciò che contestiamo alle imprese e cosa vogliamo, richiedi il dossier informativo al Centro Nuovo Modello di Sviluppo, Via della Barra, 32 - 56019 Vecchiano (PI). Tel. 050/826354 - Fax 050/827165. Allegare Lit. 5.000 per le spese.
CAMALDOLI (AR) 1-3 maggio 1997
Seminario promosso dai Preti operai italiani
Economia globale
e
giustizia sulla terra:
sfida del 3° millennio
partecipano :
Enrico Chiavacci - teologo moralista
Marco Cantarelli - direttore della rivista Envìo
Filippo Gentiloni - giornalista e saggista
Marco Revelli - giornalista e saggista
Per informazioni e iscrizioni: Luigi Forigo - tel. 045/9250750 (ore serali) ; Mario Signorelli tel. 06/66180010 ; Gianni Alessandria - fax 0372/840132.
Quota di partecipazione al seminario da versare all'arrivo dei partecipanti: L. 50.000 . L'ospitalità è nelle strutture del Monastero. La retta quotidiana è di L. 75.000 per camere singole (in numero limitato) e a più letti con servizi.
Per camere doppie senza servizi, la retta è invece di L. 65.000 al giorno. Per ragioni logistiche si prega di iscriversi entro il mese di marzo.
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455