LOTTA COME AMORE: LcA dicembre 2009

Il confronto è spento nella Chiesa?

Anche questo secondo numero di Lotta come Amore del 2009 l'ho voluto dedicare al tema del fine vita e del testamento biologico. Vorrei che leggeste e rileggeste quello che ha scritto don Angelo Casati, prete della diocesi di Milano, uomo profondo e sereno, riguardo alla vicenda di Eluana proprio nelle ore cruciali dell'epilogo della sua vita. Vorrei che misuraste quello che vi portate nel cuore con i sentimenti espressi da don Angelo: "Bisogno incontenibile di silenzio e paradossalmente bisogno di parole che abbiano il sapore buono del pane, da spartire con gli amici".
Parole che possano essere condivise, scambiate, confrontate... chiavi per aprire porte e finestre e sentirci meno soli. Mi pare che anche l'articolato contributo di "Noi siamo Chiesa" vada in questa direzione e per questo l'ho inserito (accorciandone solo le note per esigenza di spazio).
E certamente il Convegno della Cittadella ad Assisi, è "luogo" di riflessione e di incontro.
E' dimensione - quella del confronto, della riflessione, della ricerca - che sembra sempre più indebolirsi (se non spegnersi... ) nella vita della Chiesa oggi. Dai grandi temi che interessano la vita di tanta gente, alle relazioni "interne" nella Chiesa.
La rimozione di don Alessandro Santoro, parroco fiorentino delle Piagge, rottamatore prima di persone ma anche di metalli perché nulla vada perduto, è stato avvenimento dolorosissimo.
Arrivato nel quartiere popolare della periferia di Firenze, don Alessandro con alcuni abitanti, aveva dato vita ad una vivacissima realtà ecclesiale di base che a poco a poco, grazie all'aiuto di tanti, ha contribuito ad animare un quartiere spesso caratterizzato da situazioni di degrado e marginalità.
"E' stato rimosso dal suo incarico di parroco dal vescovo di Firenze, mons. Giuseppe Betori (in diocesi da circa un anno) per aver sposato in chiesa, il 25 ottobre scorso Sandra Alvino e Fortunato Talotta.
Un matrimonio "fuori dai canoni" ecclesiastici, a giudizio della Curia di Firenze. Sandra, 64 anni, è infatti nata uomo, anche se già dal 1974, dopo un'operazione per cambiare sesso realizzata a Londra, era diventata a tutti gli effetti una donna; tanto che lo Stato italiano le aveva permesso, nel 1982, di sposare con rito civile l'uomo che amava già da diversi anni. Sandra, cattolica praticante, aveva però sempre desiderato coronare la sua storia d'amore ormai trentennale davanti all'altare, con il rito religioso. Così, dopo un cammino all'interno della comunità delle Piagge, già lo scorso anno don Santoro si era detto disposto a sposare in chiesa lei e Fortunato. Poi però, il 15 gennaio 2008, poco prima che le nozze fossero celebrate, arrivò il diktat del card. Antonelli (allora vescovo di Firenze), che obbligò don Alessandro a fare, seppure a malincuore, un passo indietro (v. Adista 11/08).
Ma alla fine l'obbedienza alla gerarchia nulla ha potuto di fronte alla necessità di obbedire al precetto di amore del Vangelo. Da questa obbedienza don Santoro, come egli stesso ha spiegato durante l'omelia pronunciata il 25 ottobre di fronte agli sposi e a tutta la comunità, non ha potuto esimersi. Così, puntuale, la sera stessa del 25, è arrivato il comunicato della Curia di Firenze nella quale la celebrazione avvenuta alle Piagge viene bollata come <la simulazione di un sacramento>, <un atto privo di ogni valore ed efficacia, in quanto mancante degli elementi costitutivi del matrimonio religioso che si voleva celebrare>. Una scelta, quella di don Santoro che, secondo la Curia, <assume particolare gravità in quanto genera inganno nei riguardi delle due persone coinvolte, che hanno potuto ritenere di aver celebrato un sacramento laddove ciò era impossibile, nonché sconcerto e confusione nella comunità cristiana e nell'opinione pubblica, indotta a pensare che per la Chiesa siano mutate le condizioni essenziali per contrarre matrimonio canonico>. Per questo, conclude seccamente il comunicato, all'arcivescovo non resta < che riconoscere con dolore e preoccupazione questo dato di fatto>, sollevando don Alessandro Santoro <dalla cura pastorale della comunità delle Piagge> e chiedendogli <di vivere un periodo di riflessione e di preghiera>.
(Valerio Gigante in Adista 111/09).
Che dire?
Leggo e faccio mie le parole seguenti:
"La fede cristiana non si intende più da sé. E' come se dovessimo riscoprire e esplorare i paesaggi remoti di una fede ormai obsoleta, estranea alla mentalità vigente. Forse è giunta l'ora nella quale il cristianesimo, non lasciandosi più imporre come comandamento morale o dogma, potrebbe essere proposto come motivo, come invito, come possibilità e configurazione di stile.
In fondo, la realtà della fede non si è mai limitata a codificare l'ortodossia e il comportamento morale, ma ha sempre fatto leva sulla fantasia intima e artistica dell'uomo, ha inciso sulla sua esistenza, ha arricchito il patrimonio delle sue immagini e del suo pensiero e si è tramandata per via di gesti, forme di vita, modi di pregare, celebrare, pensare, sentire, parlare, valutare, guardare, cioè di dare una incastonatura alla fluidità della vita" (padre Elmar Salmann osb).

Luigi

Bisogno di parole dal sapore buono del pane

Vorrei continuare la riflessione iniziata nel primo numero 2009 di Lotta come Amore: "Vivere e morire nell'amore e nella libertà". Nel frattempo si è svolto, dal 21 al 25 agosto, alla Pro Civitate Christiana di Assisi il 6r Corso internazionale di studi cristiani dal titolo "Se alzi la lanterna sul mistero della fine... le nuove frontiere della vita e della morte", organizzato in collaborazione con la comunità ecumenica di Bose e l'editrice Queriniana.
La ricchezza dei temi trattati ne fa un "luogo" davvero importante per chi desidera approfondire la riflessione sul mistero del confine ultimo della fine. A partire dalla relazione finale di Enzo Bianchi, priore di di Bose, dal titolo "Può la morte tradire la vita? La svolta di Gesù di Nazareth". Di fronte all' enigma assoluto e insanabile della fine della vita, Enzo Bianchi ha proposto l'esempio di Gesù: "Nell'ottica cristiana la vera opposizione non sta tra la vita e la morte, ma tra l'amore e la morte. La realtà dell'amore, vissuto da Gesù fino alla fine, ci fa cogliere la vita, la morte e la risurrezione di Gesù. La Croce va letta a partire dalla vita di Gesù. Non è la Croce a spiegare Gesù, ma è Gesù che spiega la Croce. Gesù è andato verso la morte liberamente e per amore. Il vero duello non è tra vita e morte, ma tra amore e morte" (Ingrid Colanicchia in Adista 12 settembre 2009).
E' questo un orizzonte condivisibile? Certamente sposta la questione del fine-vita dal "duello" tra principi all'invito a considerare la reale condizione dei viventi nelle storie e nelle relazioni intessute nel quotidiano. Con queste parole si è espresso il filosofo Roberto Mancini nella relazione di apertura: "Credo che chi, avendo un legame profondo e una storia comune, sta vicino al morente, potrà e dovrà valutare quando, nel quadro di condizioni stabilite dalla legge, sarà il caso di desistere dal prolungato ricorso alle macchine per tenere formalmente in vita un proprio caro. Quando invece non esiste nessuna figura familiare accanto al morente, questa valutazione spetterà alla responsabilità dei medici. In ogni caso, il principio del rispetto della vita deve tradursi nel rispetto per ciascuno, per ogni storia, per ogni volto".
E, di conseguenza, "La legge non può calpestare questa delicatezza in nome del principio della sacralità della vita affermato senza considerare la reale condizione dei viventi, come non può farlo neanche in nome di un'autodeterminazione assoluta dell'individuo, senza criteri e senza responsabilità" (I. Colanicchia, ibid.).
"Certamente - nota Angelo Bertani sulla copertina di Adista n. 54/2009 -la vita umana va tutelata sempre, valorizzata, accudita. E tuttavia che senso ha dire che essa è sempre, assolutamente indisponibile? Non abbiamo visto né udito una così radicale condanna della guerra, della pena di morte, della "legittima difesa", persino della retorica "chi per la patria muor... ". Sappiamo viceversa che "non c'è amore più grande di chi dà la vita per un amico (se non, forse, l'amore di colui che dà la vita per un nemico o un uomo vile).
Certo, siamo in una grande emergenza educativa perché educatori laici e credenti troppo spesso si limitano a dire "si fa così" , "così è bene e così è male". Capisco che lo possano pensare i figli del positivismo giuridico (ed etico...). Ma certo non i cristiani. Loro sanno che tutto è relativo: soltanto Dio è assoluto (sebbene anche Lui abbia messo a rischio la sua assolutezza a causa del suo amore per gli uomini). Considerare "assolute" altre cose, idee, persone è follia e idolatria: "Felice chi non aderisce per nulla alla terra e cammina in eterno fervore attraverso l'eterna mobilità" (Gide).
Ma i cristiani sanno che l'unico punto fermo è l'amore nelle sue molte, indefinibili rifrazioni. Lo stesso gesto ha un valore oppure un senso diverso a seconda del contesto, del soggetto che lo pone, talora persino della cultura, certo dell'intenzione... Ciò non significa rinunciare ad offrire criteri, esempi, valutazioni. Ma senza mai sostituirsi alla coscienza, senza mai mettere un relativo al posto dell'assoluto. I credenti sanno e vivono che tutto è relativo: relativo agli altri, alla storia, alla cultura, alla coscienza. Che sia relativo non significa che sia indifferente, che una scelta valga l'altra; il valore di una scelta è relativo al contesto e alle concause e soprattutto all'intenzione, alla scelta fondamentale. Ha ragione Agostino: se si sceglie per amore, qualunque scelta è giusta. E ciò accade più frequentemente di quel che si crede, nella Chiesa e nel mondo. Dovremmo essere ammirati per la bontà, la generosità, l'eroismo che vengono esercitati in forme e momenti diversi. Ecco perché è molto brutto vedere i cattolici (e anche la gerarchia) comportarsi come i farisei e i dottori della legge; e giudicare in modo severo e sprezzante le scelte di altri uomini e donne, magari "lontani" dalla fede. Meglio sarebbe annunciare, con misericordia e cordialità, che "l'uomo non è mai solo" perché ha sempre dei fratelli e un padre; e che l'unica cosa importante è che i nostri gesti quotidiani e quelli supremi non siano guidati dall'egoismo, ma siano illuminati dall'amore per gli altri".
Possiamo allora tornare con la memoria ai giorni in cui la vicenda di Eluana teneva banco sui giornali e nei dibattiti radiofonici e televisivi. E cercare di rientrare in contatto con quella difficoltà a schierarsi che molti tra i lettori, credo, hanno provato. L'abbiamo sperimentata come debolezza, fragilità, forse come confusione, inadeguatezza. Da una parte, forse, con un oscuro senso di colpa per questo. Dall'altra, con un inizio di collera sorda e trattenuta dentro per tutto un mondo intorno di persone "sicure" che proclamavano con toni spesso spregiativi nei confronti degli avversari, le loro opposte convinzioni. Le parole scritte da don Angelo Casati, in quei giorni, possono, almeno in parte, riflettere quei nostri sentimenti?
Don Angelo scrive, in quel recente e insieme ormai lontano febbraio di quest'anno, agli amici, per un bisogno di confidarsi i pensieri - addirittura - in ore diverse di uno stesso giorno:
Parole impastate di silenzio
"9 febbraio ore 18: Che cos'è questa apparente contraddizione che mi segna dolorosamente da giorni? Da un lato una repulsione, un disgusto per le parole che senza il minimo pudore, spudo-rate, stanno violando il mistero che avvolge la vita di Eluana. Repulsione, disgusto per le parole e bisogno incontenibile di silenzio.
Ho letto nella Bibbia ciò che è bene. Ho letto: "E' bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore". Poi ho visto credenti non aspettare in silenzio. Loro non aspettano. Loro non hanno niente da aspettare. Loro sanno.
Bisogno incontenibile di silenzio e paradossalmente bisogno di parole che abbiano il sapore buono del pane, da spartire con gli amici. Con gli amici e con la cerchia sconfinata di coloro che ancora aspettano la salvezza: non l'hanno imprigionata nei loro fantasmi, dando ad essi il nome di verità. Piccola sorella verità, piccola mia sorella, dissacrata come Eluana".
Non abbiamo forse anche noi bisogno di queste parole "dal sapore buono come il pane"? Di parole "da spartire con gli amici". Tanto, tanto più lancinante e insieme segreto, questo bisogno di quello di verità splendide da "impartire" agli altri...". Bisogno dunque di altre parole - continua a scrivere don Angelo -, di parole impastate paradossalmente di silenzio, il silenzio del confidarsi. Il bisogno di sentire una voce, prima ancora e più ancora che sentire parole. Quasi per un bisogno di sentire di esistere, dentro il vuoto. Un bisogno di sostenersi gli uni gli altri, dentro la depravazione. Mi colpì in questi giorni un amico. Squilla il telefono, mi dice: "Sentivo il bisogno della tua voce". Sono, questi, giorni in cui sentiamo il bisogno di voci, il timbro della voce".
Una voce? Qualsiasi voce? Non è forse questo il tempo in cui ogni voce sembra levarsi solo per sovrastare le altre? Come fare perché non si debba sentirsi costretti a chiudere porte e finestre per evitare il frastuono di voci inconsistenti? A quale voce schiudere la porta del cuore e provare ad ascoltare vincendo il dolore di antiche e recenti ferite? Anche quelle provocate da una religione che credevamo amica?
"Da povero uomo come sono, da povero cristiano in avventura, dentro l'avventura della vita, mi sono dato un punto di discernimento. Discutibile fin che vuoi, ma in qualche misura, penso, efficace. Non dico "infallibile", ma "efficace". Mi sono detto: "quando parlano, osservali, capirai dalla loro voce, capirai dai loro occhi, capirai. Capirai dove vanno i pensieri che li muovono. Dal tono della loro voce, dalla piega dei loro occhi, capirai ciò che veramente sta loro a cuore" .
Ti dirò di più: anche le pagine scritte, se le ascolti svelano la voce e gli occhi. Li ho sorpresi in alcuni scritti in questi giorni. Ma se non trovi pietà, un'umana pietà, né nella voce né negli occhi, non indugiare, cerca altrove.
Mi sono guardato intorno in questi giorni e mi sono ricordato di Gesù, vangelo di Giovanni. Era il giorno in cui aveva rischiato le pietre, le aveva rischiate, dentro lo spazio sacro del tempio, le aveva rischiate dagli uomini della religione, quelli che la fede l'avviliscono al rango grigio di un prontuario di norme. "Uscì dal tempio" è scritto, quasi a dire che quando la religione subisce un tale avvilimento, devi uscire. Cercare altrove".
Uscire dagli stretti recinti della sottomissione religiosa a dei comandamenti umani, anche se espressi con sacra autorità. Ma senza l'illusione di essersi liberati solo perché si cerca di essere illuminati dalla propria coscienza e si prendono giuste distanze dall'essere gregge senza parola. Il cammino si fa difficile e faticoso, ancora di più, perché anche tra le autorità di questo mondo "i teoremi contano più del dolore":
"E il racconto, il racconto della vita, continua per le strade: "e mentre passava, vide un uomo cieco dalla nascita. E i suoi discepoli lo interrogarono dicendo: Rabbi, chi ha peccato, lui o i suoi genitori perché nascesse cieco?" (Gv 9,1-2). Il verbo "vedere" è al singolare. Giusto il singolare! Gesù lo vede. Non ditemi che i discepoli lo "videro".Quel povero cieco per loro era un caso, un caso su cui discutere. Nessuno di loro a misurare quel dolore degli occhi spenti, un dolore che aveva il tempo di una vita: dalla nascita. E lui Gesù, infastidito dalle discussioni teologiche, in cui Dio è assente, perché Dio o è il Dio della compassione o non è! Loro discutevano il caso. Lui guardava il cieco con compassione, quella che ti prende per fremito alle viscere.
Ti dirò che ho sentito in questi giorno uomini politici e uomini di chiesa parlare come quei discepoli: Eluana per loro è un caso, una bandiera senz'anima, senza più colori. Guardali, ascoltali: parlano con gli occhi asciutti. I teoremi contano più del dolore. Si permettono - e dovremmo tutti insorgere per sacra indignazione - parole oscene, dentro l'abisso del dolore. Parole che feriscono, come lama, il cuore. Parlano senza sapere, senza il vero sapere che o è sposato alla vita, quella reale o non è. O è sposato alla compassione o non è. Parlano da fuori, dai palazzi, come nei giorni di Welby, senza aver visitato, senza essersi seduti ad ascoltare. Non conoscono case, inseguono disegni, i loro, difendono se stessi con la più spudorata delle menzogne. Agitano bandiere, senza colore, perché se una donna o un uomo li defraudi della libertà di decidere, hai tolto tu loro ogni goccia di sangue, ogni colore, hai tolto loro il sangue e il colore della vita. Mi è capitato spesso di chiedermi, in giorni come questi che ci tocca di vivere, se, in assenza di certezze assolute, non dovremmo tutti batterci, come fa con spirito indomito - faccio un nome tra i tanti - un'amica, Roberta De Monticelli, perché almeno sia salva quest'ultima e prima istanza, quella della libertà, senza la quale non si è viventi, ma manichini, in mano ai poteri e ai loro disegni, fantasmi e cortigiani del nulla"
(don Angelo Casati, ibid.).
E sorge, amarissima, la constatazione della assenza di ogni autentica pietà, in questo nostro mondo, in questa nostra Chiesa. Così conclude don Angelo:
"Ho sentito parole oscene, ma ho anche visto immagini per me, dico per me, oscene. Ho negli occhi da giorni l'immagine di un'autolettiga che esce da una clinica, presa quasi d'assalto, quasi si trattasse di una preda da conquistare. Guardavo gli occhi: erano induriti dal livore, ho cercato invano segni di una umana pietà. Si mescolano rosari a urla minacciose, una pietà senza pietà e dunque spietata. Non ho visto silenzio di pianto. Ho visto difesa di bandiere. Ho sentito rabbrividendo parole infami, come quelle di chi gridava: "lasciatela a noi" quasi si parlasse di una cosa da tenere, come se Eluana non avesse né padre né madre, come se toccasse ad altri un possesso, per disconoscimento di padre e di madre. Le grida mi parvero per un attimo oscene. Dopo tanti discorsi tesi a rivalutare la famiglia, ora siamo giunti all'esproprio. E, ancora una volta, a chiedermi che cosa sia mai accaduto per renderei maledettamente senza pietà".
Sto leggendo - come stanno facendo altri, credo, perché uscito da poco - un interessante libretto di Luigi Zoja, "La morte del prossimo", edito da Einaudi. "Dopo la morte di Dio, la morte del prossimo è la scomparsa della seconda relazione fondamentale dell'uomo" - scrive Zoja - "L'uomo cade in una fondamentale solitudine. E' un orfano senza precedenti nella storia. Lo è in senso verticale - è morto il suo Genitore Celeste - ma anche in senso orizzontale: è morto chi gli stava vicino. E' orfano dovunque volti lo sguardo. Circolarmente, questa è la conseguenza ma anche la causa del rifiutare gli occhi degli altri: in ogni società, guardare i morti causa turbamento". E il tema della morte viene ripreso da Zoja che lo collega alla mancanza odierna di pietà che, secondo lui, non nasce innanzitutto per malvagità, ma per una difficoltà a comprendere che si fa indifferenza:
La morte del prossimo
"Da sempre si dice che l'uomo è uomo anche perché ha un rapporto con la morte diverso dagli altri animali. Quando muore il suo simile, l'animale si ferma accanto al corpo solo finché è caldo. L'uomo, a qualunque civiltà appartenga, compie riti e seppellisce il morto. In qualche modo, per lui, il morto continua a vivere.
Ma, a quest'antica coscienza i tempi ne stanno sovrapponendo una nuova. Eravamo diventati umani accorgendoci che anche i morti sono vivi. Diventiamo post-umani - o qualcosa che è altro dall'umano - quando cominciamo a convincerci che anche i vivi sono morti.
I vivi - la maggior parte dei vivi - sembrano avere smesso di vivere da un tempo che, quando ce ne accorgiamo, ci appare immemorabile: che non è, quindi, una conseguenza del nuovo secolo.
La maggioranza dei giovani non ha ancora cominciato a vivere. La maggior parte degli altri - non solo gli anziani, ma anche i quarantenni - pare irrigidirsi in un rigor mortis psichico, che contrasta con l'agitarsi fisico. Non si interessano agli uomini che 'hanno vicino, non per malvagità, ma perché non li capiscono. In una certa misura, questo avveniva in ogni epoca. Ma era più difficile vederlo riprodotto sui grandi pannelli della vita e restame ipnotizzati: era quindi più facile continuare ad essere società e umanità. Gli obblighi reciproci, la pietà, la compassione circolavano. Potevano continuare ad esistere e, a volte, esser creduti amore. Da quando il mondo si è fatto laico, e ogni cosa ha perso l'incanto divino ed è diventata misurabile, gli atti ripetitivi degli altri non sono più considerati rito - presenza di un contenitore universale - ma isolata nevrosi, ossessività, rigidità cadaverica. Il prossimo si è trasformato in lontano, uscendo dallo spazio.
E il vivo in morto, uscendo dal tempo.
Ma dove nasce questa sensazione? E' sensazione o proiezione? Inerte è l'osservato o chi osserva? Il mondo si rinnova a una velocità senza precedenti e non riconosce se stesso. Lo sguardo sente la distanza ma non sa se è nell' occhio o nel mondo osservato" (Zoja, ibid.)
Pensieri complessi, tutt' altro che facili da decifrare. Eppure si capisce molto bene che qualcosa è accaduto nel cuore dell'uomo di oggi. E non è cosa da poco: "il prossimo è morto, ma un certo prossimo più degli altri: quello vicino" (Zoja, ibid.). L'unica strada che abbiamo davanti è quella di cercare di recuperare il rapporto con questo vicino (il caso tipico può essere quello del migrante) per poter recuperare il rapporto con noi stessi. Ed è così che probabilmente può cessare la morte di Dio.
Il tema dei migranti ricorre qua e là frequentemente nel libro di Zoja sopra citato, e vi sono dedicati anche tre capitoletti dal titolo: "Migranti, capri espiatori, muri". Si legge con evidenza tra le righe la simpatia dell'autore per questa parte di umanità in movimento e il giudizio molto critico verso chi, ideologi o politici, intende alzare nuovi muri.


Luigi

Riflessioni sul fine vita e sul testamento biolog.

E' ripresa in Parlamento dopo la sospensione estiva, la discussione sul testamento biologico o Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT). E' una grande questione perché tocca le cosiddette "questioni al limite" che sono state riproposte negli ultimi anni perché la scienza medica ci permette di vedere meglio "processi per cui una cosa o persona finisce e comincia qualcosa d'altro" e di poter usufruire di "strumenti capaci di spostarli, maneggiarli, utilizzarli per gli scopi che ci sono utili o necessari"1 . Il nostro paese è arrivato in ritardo a questa discussione. Essa si è poi svolta sulla base di ideologismi, di emozioni e contrapposizioni che, in gran parte, hanno anche avuto origine in altre vicende o "campagne", tutte con al centro problemi di bioetica nel loro rapporto con la legislazione. Si è così creata una contrapposizione, che sembra insanabile, tra l'etica della sacralità della vita biologica e l'etica della qualità della vita biografica. Sono questioni che invece dovrebbero essere trattate da tutti con cautela; esse sono infatti cariche di risonanze, anche di carattere simbolico, su come vorremmo orientare la nostra società e la nostra vita personale. Ciò premesso, per l'importanza che il problema ha in sé, e anche per quella che ha assunto in questi mesi nel nostro paese, cerchiamo di fare alcune riflessioni con particolare attenzione alle posizioni assunte dalla Conferenza Episcopale Italiana. E' a partire dalla nostra convinta presenza nella Chiesa che ci permettiamo di esprimere posizioni critiche sulle scelte e sulle argomentazioni che, in questi mesi e su questo problema, sono state espresse dalle gerarchie. Ci sembra che una assenza di ascolto, all'interno e all'esterno della Chiesa, e un insufficiente approfondimento dei problemi sono alla base di prese di posizioni che ci sembrano non sufficientemente meditate.

L'elaborazione precedente la "campagna" in corso
Per confutare la confusione concettuale e termino logica diffusasi in questi mesi nelle campagne mediatiche che ci sono state, ci sembra che il rifarsi al paragrafo "Eutanasia" del Catechismo della Chiesa cattolica (CCC) sia la cosa più efficace, oltre che la più "ortodossa". Il numero 2276 scrive del rispetto particolare dovuto alle persone in condizione di minorità; il numero 2277 condanna esplicitamente l'eutanasia diretta che "consiste nel mettere fine alla vita di persone handicappate, ammalate e prossime alla morte"; il terzo comma del numero 22782 dovrebbe, da sé solo, inquadrare bene il problema di cui ci stiamo occupando, offrendo orientamenti chiari. Ci pare che sia efficace la definizione che vi si dà di accanimento terapeutico: esso esiste qualora comporti "procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi". In presenza di una tale situazione si possono interrompere le cure sulla base della decisione del paziente e, qualora egli sia incapace, di coloro che ne hanno legalmente il diritto. Il gesuita Padre Mario Beltrami ha fatto una disamina rigorosa di questo numero3, sostenendo in particolare che esso trova il "suo fondamento non in motivazioni di fede religiosa, qualunque essa sia, ma in argomenti puramente razionali". Nell'esame della sproporzione tra le procedure mediche e i risultati attesi, indicata dal comma citato, il Beltrami implicitamente risolve il caso Englaro in modo opposto alla posizione della CEI. Egli scrive anche che "se si è chiamati a vivere con dignità, si deve anche poter morire con dignità" e afferma con forza a chi spetta decidere. Il numero 2278 e l'approfondita analisi che di esso fa il Beltrami ci sembra siano la base per fondare una normativa sul testamento biologico largamente condivisibile da diversi orientamenti culturali ed etici.
Nella stessa direzione vanno gli interventi del Card. Carlo Maria Martini4.
Il magistero successivo al Catechismo conferma una linea che, con scarsa avvedutezza, è stata abbandonata nelle polemiche recenti. Infatti l'autorevole Carta degli Operatori Sanitari del 1995 nei suoi paragrafi 119-1215 riprende i contenuti del Catechismo. In particolare idratazione e alimentazione, artificialmente amministrate, vengono considerate "cure" che si possono sospendere quando risultino "gravose" per l'ammalato (paragrafo 120 terzo comma). Davanti a tanta chiarezza non c'è che da meravigliarsi che nel dibattito in corso6 questi testi e questi autorevoli interventi siano pressoché ignorati. Ma soprattutto c'è da meravigliarsi per l'abbandono da parte della gerarchia italiana di una linea del magistero coerente e tracciata da tempo. Che cosa ha determinato un tale cambiamento di rotta? Perché si finge una continuità quando invece è stata introdotta una discontinuità senza offrire spiegazione alcuna? Nei confronti di queste nuove posizioni non è comunque mancata una parola chiara e forte, anche se poco conosciuta. Ricordiamo il documento dell'8 ottobre '087 che ha raccolto, soprattutto online, quasi duemila firme e quello del 23 marzo di quest'anno8 che è stato sottoscritto da 41 preti e che ha provocato la nervosa reazione della Congregazione per il Clero, che ha chiesto ai vescovi competenti di intervenire presso i firmatari per accertare la loro "ortodossìa"9.

E' necessaria una riflessione serena sul fine vita
Quanto risulta poco comprensibile nella linea che sta prevalendo nella maggioranza parlamentare e negli interventi di parte ecclesiastica è l'accanita volontà di intervenire sul fine vita, da una parte con tecnologie sempre più sofisticate e invasive, dall'altra con interventi autoritativi di tipo legislativo. Questi interventi puntano a impedire, in casi estremi, la dignità del morire e soprattutto una vera libertà dell'ammalato nel poter veramente disporre di sé stesso in particolare in caso di perdita della conoscenza, attribuendo al personale medico un potere di decisione eccessivo (e non gradito). Ciò ci sembra tanto più inaccettabile quando questa difesa della sopravvivenza ad ogni costo e con ogni mezzo, e lo scarso rispetto di chi vi è coinvolto, viene da quanti dovrebbero avere sulla fine della vita la convinzione che si tratta di un passaggio a una condizione migliore, come conseguenza di un disegno provvidenziale. A questo proposito sono esplicite le parole di Paolo VI indirizzate nel 1970 ai medici cattolicil0. A volte sembra quasi di trovarsi di fronte a ragionamenti che riflettono una cultura materialista, quasi ostile al compimento del cammino storico della creatura umana, attaccati alla prosecuzione a tutti i costi della vita terrena come se, oltre, non ci fosse nulla. Ancora Padre Beltrami sostiene che "il problema di fondo sta, in definitiva, nell'educazione sia della classe sanitaria sia dei singoli individui ad accogliere la morte come parte integrante della vita"11. Le autorità ecclesiastiche, in Italia oggi, sembrano invece lontane da una riflessione più generale, anche religiosamente ispirata, e sembrano invece ossessionate dalle cosiddette "derive di tipo eutanasico"; esse sarebbero la conseguenza dell' orientamento ormai prevalente nelle sentenze della magistratura e dell' eventuale approvazione di una legge tipo quella proposta dal seno Ignazio Marino (che noi troviamo invece equilibrata e completa). E' la paura di una società europea secolarizzata che si estenderebbe al nostro paese e a cui bisognerebbe fare argine. Questa paura irrazionale cresce - noi riteniamo - a prescindere dal merito dei problemi concreti, sulla base di una preconvinzione che ci sia un progetto della cultura "laicista" e radicale per isolare il mondo cattolico, rifiutando il suo messaggio di tipo "antropologico" che si sostiene avrebbe validità generale, a prescindere da fedi o valori religiosi. E' questa la sensibilità del "partito" che è orientato in particolare dal Card. Ruini e, almeno fino a oggi, da Avvenire e che ispira a tutt'oggi la linea della CEI, ovviamente all'ombra della Segreteria di Stato. Le "derive" sono soprattutto il frutto di queste paure. A noi sembra giusto non perdere il senso vero di ciò di cui si sta discutendo e siamo d'accordo con Pierluigi Battista12 secondo cui sarebbe del tutto fuori luogo "l'allarme globale e incontrollabile" che si vorrebbe trarre da disposizioni ben definite riguardanti una fattispecie ben individuata "quella della formulazione anticipata della propria volontà con procedure certe e sicure".

Per un diverso rapporto con la cultura laica
I nostri dubbi su questa posizione rigida diventano una reale preoccupazione se estendiamo la riflessione al più generale ruolo evangelizzatrice della Chiesa e al suo rapporto/dialogo col "mondo". E' proprio vero che, con le culture diverse dalle nostre (o ideologie, se così le si vuole chiamare) non si possa stabilire un percorso di ricerca comune sui nuovi problemi etici e legislativi, anche complessi, che sono imposti dal progresso tecnicoscientifico? Troviamo solo nemici della vita oppure soggetti - anche se, forse, non tutti - disposti ad ascoltare, qualora non vedano la Chiesa cattolica come unica e pretenziosa maestra di antropologia, invece che annunciatrice e serva della Parola che manifesta la rivelazione di Dio destinata a tutti i popoli? Se si vogliono utilizzare argomenti razionali ci si pone su un piano diverso da quello connesso con l'annuncio di Cristo risorto, che rappresenta il proprium della sua missione e si entra in campi dove è inevitabile incrociare le competenze di altri, che pure ricorrono legittimamente ad argomenti fondati sulla ragione. Se poi si pretende di avere il monopolio nel dire a tutti cosa si debba intendere per "natura" (avente in sé valore ontologico), si può legittimamente obiettare che l'idea, che di essa si è proposta, è cambiata molto nel tempo e nello spazio, anche nell'insegnamento della Chiesa.
Un'altra questione di lunga data che poniamo alla nostra Chiesa e che ha riflessi importanti nel rapporto con la società "laica", è quella del rapporto tra norma etica e legge. Essa si ripropone continuamente per l'incapacità di ascoltare veramente le riflessioni che in merito hanno percorso tutta la storia dei cattolici democratici. La differenza tra peccato e reato, la legge come strumento per affrontare situazioni e conflitti e non per vincere battaglie ideologiche, la necessità della mediazione, una volta definito il quadro generale dei principi e dei valori (Costituzione) ecc... sono le costanti consolidate di una posizione culturale e ideale che meriterebbe finalmente di essere fatta propria da tutto il cattolicesimo italiano. Non è così. Neppure considerazioni di tipo prettamente pastorale hanno impedito vere e proprie invasioni di campol3 e un intreccio tra etica religiosa e legge che, in troppe occasioni (legge sullo scioglimento del matrimonio, legge n. 194, legge n. 40, progetti di legge sulle unioni di fatto ecc...) le nostre gerarchie hanno ricercato e che i cattolici di ispirazione conciliare hanno sempre contrastato, ottenendo quasi sempre molti consensi di base. Ci piace ricordare che Aldo Moro nel 1974, dopo il referendum sul divorzio, al Consiglio nazionale della DC metteva in guardia contro le forzature mediante "lo strumento della legge, con l'autorità del potere, al modo comune di intendere e di disciplinare, in alcuni punti sensibili, i rapporti umani" e consigliava di "realizzare la difesa di principi e di valori cristiani al di fuori delle istituzioni e delle leggi"14.
In conclusione, siamo convinti che la "campagna" avviata sul caso Englaro e ora in corso sulla legge in discussione alla Camera, e le demonizzazioni conseguenti (tutto è bianco/bianco oppure nero/nero) non servano alla società italiana e alla vera missione della nostra Chiesa.

I medici e il buon senso sono contro il disegno di legge Calabrò
Entrando in modo più specifico nella questione più controversa del ddl Calabrò, ci sembra che "contra factum non valet argumentum". Ci meraviglia come si possa sostenere che l'idratazione e l'alimentazione di pazienti in stato vegetativo permanente non debba essere considerato un trattamento sanitario e quindi debba sfuggire alle indicazioni contenute nelle DAT. La descrizione fatta da un clinico tra i tanti15 non dovrebbe lasciare dubbi, così come le posizioni ufficiali delle società scientifichel6 e il documento della FNOMeO (Federazione Nazionale dell'Ordine dei Medici e Odontoiatri)l7.
Ci chiediamo perché mai debba essere necessario continuamente ricorrere a queste autorità per spiegare e convincere su questo punto come se non fosse sufficiente il semplice buonsenso dell'uomo della strada, debitamente informato, per capire che ci si trova di fronte a trattamenti solo sanitari e quindi alla fattispecie ipotizzata dal comma 2278 terzo punto del CCC in materia di procedure mediche straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi. Non a caso i sondaggi d'opinione sul testamento biologico e sul caso Englaro indicano che l'opinione pubblica ha una posizione del tutto diversa da quella che è prevalsa nella discussione al Senato in marzol8. In particolare ci chiediamo il perché di questa ossessionante insistenza dei vescovi e delle associazioni da essi promosse (tipo "Scienza e Vita") sul fatto che idratazione e alimentazione di persona in stato vegetativo permanente e definitivo sarebbero "sostegno vitale" e quindi che non si devono sospendere e tali quindi da non ricadere nella chiara nozione di accanimento terapeutico.
Una terminologia che solitamente viene utilizzata nei documenti del magistero è quella di "morte naturale": si dice sempre che la vita umana deve essere tutelata "dal concepimento alla morte naturale". Ora negli ultimi decenni i progressi nel campo della medicina e della farmacologia hanno consentito di interferire pesantemente proprio nel processo della "morte naturale". L'exitus che fino a poco tempo fa avveniva in termini temporali relativamente brevi, oggi può essere allontanato in maniera indefinita, pur senza alcun miglioramento sostanziale della vita e della sua qualità per il paziente. Ora è possibile ancora utilizzare il termine "morte naturale" a fronte di sistematici e diuturni interventi artificiali, non solo attraverso l'idratazione ed alimentazione forzate (entrale o parenterale), ma attraverso consistenti dosaggi di farmaci, altrettanto necessari, che vengono somministrati per le medesime vie? Insomma vi è un limite o no? Nei salmi si dice "fino a quando Signore?". In termini cristiani è pensabile che sia volontà del Signore, padrone della vita come si dice, sostenere in maniera indefinita artificialmente una vita che rimane, senza alternative, inchiodata alla prossimità dell'exitus?

Una legge sul fine vita è necessaria
Per anni la linea dei vescovi è stata quella di ritenere inutile una legge sul fine vita, preferendo una situazione indeterminata in cui non ci fossero diritti e doveri ben definiti e senza procedure certe a cui fossero tenuti i soggetti coinvolti (personale sanitario e pazienti). La svolta si è avuta nel luglio del 2008 in conseguenza della sentenza della Cassazione, dopo un interminabile iter giudiziario, sul caso Englaro. Essa è stata decisa nel Consiglio Episcopale Permanente della CEI nel successivo settembre19. Da allora questa posizione è diventata la linea della maggioranza di governo ed è stata conosciuta, da una larga parte dell'opinione pubblica, in relazione al caso Englaro. I contenuti del ddl. Calabrò infatti sono del tutto omogenei alle sollecitazioni della CEI. Che una legge fosse necessaria da troppo tempo lo si diceva20.
Al di fuori delle ideologie, con le nuove possibilità terapeutiche in materia di respirazione, idratazione e alimentazione artificiali si è enormemente estesa l'area di discrezionalità (e di responsabilità non gradita), attribuita nei fatti, soprattutto nei reparti di rianimazione, al personale sanitario, spesso in condizione di solitudine21. Si è così creata "una zona grigia" nel fine vita in cui decisioni fondamentali di vita e di morte non si capisce perché debbano essere affidate, soprattutto in caso di incidenti, a medici e/o a famigliari in modo spesso casuale e con prassi del tutto diverse da presidio a presidio sanitario. E' necessario quindi che ognuno possa dare indicazioni preventive nel caso che venga a trovarsi in condizioni di incoscienza e che la sua volontà venga fatta rispettare mediante l'autorità di una disposizione normativa cogente22.

La volontà del paziente
Oltre a quella di ritenere "sostegno vitale" l'idratazione e l'alimentazione di paziente in coma vegetativo permanente, l'altra condizione sine qua non per accettare una legge sul fine vita posta dal Consiglio Episcopale della CEI riguarda la volontà del paziente. Essa dovrebbe essere in qualche modo "controllata" o "condizionata" per il timore che si possa andare nella direzione della cd "deriva eutanasica" (si veda l'art. 8 del ddl Calabrò che consente al medico di disattendere le indicazioni contenute nelle DAT). Ci sembra invece che bisognerebbe affrontare il problema in modo rovesciato e riflettere qui, come in altre situazioni eticamente rilevanti, a partire dal ruolo della coscienza del soggetto interessato che fonda il suo diritto all'autodeterminazione. E' necessario ricordare quanto il primato della coscienza sia valore cristiano (Gaudium et Spes, numero 16 e Dignitatis Humanae, numero 3)? Esso deve essere uno dei pilastri del nuovo modo di vivere il Vangelo dopo la riforma conciliare e non può essere contraddetto nei fatti. Ci sono tante riflessioni preziose che lo hanno chiarito ed approfondito e proprio in occasione del dibattito in corso23.
Sulla autodeterminazione del paziente e sull'obbligo di rispetto della sua volontà si fonda la posizione che si è affermata nella gran parte dei paesi europei negli ultimi dieci anni (in Spagna nel 2003 e in Francia nel 2005) e negli USA, che hanno leggi in merito ed una ben definita giurisprudenza (USA e Regno Unito )24.
In contraddizione con la linea dei vescovi è anche il Codice di deontologia medica della FNOMeO (del 16 dicembre 2006) che, all'art. 35 ultimo comma, dice: "Il medico deve intervenire, in scienza e coscienza, nei confronti del paziente incapace, nel rispetto della dignità della persona e della qualità della vita, evitando ogni accanimento terapeutico, tenendo conto delle precedenti volontà del paziente".
Interessante è la situazione nella Repubblica Federale Tedesca, paese dove, per anni, il problema è stato ampiamente dibattuto in organizzazioni di base, dal personale sanitario, in sentenze, nelle Chiese e, infine, nel Parlamento. Pare che siano circa nove milioni le Dichiarazioni di fine vita (Patientenverfugung) già formalizzate. Alla fine il Bundestag ha approvato il 18 giugno scorso modifiche al codice civile tedesco che sono entrate in vigore il primo settembre. Esse sono il frutto di un'opinione pubblica molto informata che, per il 73% secondo i sondaggi, si è convinta che la decisione del paziente deve avere valore vincolante e che idratazione e alimentazione per pazienti in stato vegetativo permanente sono da considerarsi trattamenti sanitari. La Chiesa cattolica e la Federazione delle Chiese evangeliche sono state protagoniste di questo percorso. Nel 1999 (con alcune correzioni nel 2003) esse proposero congiuntamente a tutti i loro fedeli il Christliche Patientenverfugung25. Questo testo, tradotto e diffuso nel nostro paese nei giorni del caso Englaro, è stato fondamentale per prendere coscienza che le due condizioni della CEI per una legge sul fine vita non potevano essere considerate qualcosa di simile a una verità di fede o di inerente alla "natura stessa dell'uomo" o alle supreme questioni della vita e della morte e quindi "materia non negoziabile". Questo testamento biologico "cristiano" è già stato sottoscritto, a quanto si sa, da quasi tre milioni di cittadini tedeschi e le principali disposizioni che contiene sono molto diverse, quasi opposte, a quelle sostenute dai nostri vescovi (e dal ddl Calabrò)26. In molti si sono chiesti come sia possibile, in una Chiesa che si pretende monolitica in materia dottrinale e morale, un tale consenso corale a queste posizioni della Chiesa tedesca su linee del tutto diverse da quelle considerate dai nostri vescovi irrinunciabili27. Perlomeno ci dovrebbe essere più cautela e una posizione più riflessiva.
Un antico adagio, venuto alla luce nell'ambito della Chiesa e forse utilizzato anche al di fuori di essa, così recita: "in necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas". Occorre: "nelle cose necessarie l'unità, nelle cose dubbie la libertà, in ogni cosa la carità". Nella materia che stiamo trattando quante sono le domande senza risposta che onestamente dobbiamo ammettere? E come è possibile per una Chiesa "appellarsi a Cesare" perché con la sua legge produca questa operazione: far diventare necessario "erga omnes'' ciò che è ancora avvolto nel dubbio, anche al proprio interno? Come è possibile chiedere che venga dichiarato non vincolante "il consenso informato", quello che è ormai diventato da molto tempo, anche per il magistero della Chiesa, oltre che nella deontologia medica, un assunto indiscutibile? E come è possibile attribuire allo stato un tale potere di interferenza nella vita, nella sofferenza e nel processo del morire di tutti i cittadini, prescindendo dal loro consenso?

Fine vita e Costituzione
Infine nel dibattito di questi mesi, con approfondimenti difficilmente contestabili, è stato molte volte detto che la normativa ora in discussione contraddice articoli ben definiti della nostra Costituzione, tanto da fare ritenere probabile una futura censura da parte della Corte Costituzionale nei confronti del testo in discussione, se non verrà modificato dalla Camera. Sono gli stessi articoli (2, 13 e 22) ai quali si è appellata la citata sentenza della Cassazione sul caso Englaro. Sulla base di questi articoli, progressivamente negli anni "si è attribuito un valore prioritario al consenso informato della persona, si è operata una redistribuzione di poteri, si è individuata un'area intangibile dall'esterno, si è sottratta la vita alla prepotenza del potere politico e alla dipendenza dal potere medico... Ora invece stiamo assistendo alla restaurazione del potere medico nelle forme di una asimmetrica "alleanza terapeutica" dove il morente e i suoi famigliari non sono lasciati soli nel fiducioso dialogo col medico ma consegnati all'esecutore di una impietosa volontà legislativa che cancella la rilevanza della volontà degli interessati"28.
Oltre all'art. 2 sui diritti inviolabili dell'uomo e all'art. 13 sulla proibizione di ogni violenza su persone sottoposte a restrizione di libertà (come quelle in condizione di stato vegetativo permanente) il testo più esplicito è quello dell'art. 32 che vieta ogni trattamento sanitario obbligatorio "se non per disposizione di legge". L'ipotesi di questo possibile intervento legislativo di deroga fu previsto all'Assemblea Costituente, per interpretazione unanime, per i casi posti da problemi di sanità pubblica (epidemie) o dalla necessità di prevedere vaccinazioni generalizzate dei bambini, rispetto alle quali ci si trovava, a suo tempo, di fronte a resistenze psicologiche fondate sull'ignoranza. E comunque (secondo comma) qualsiasi trattamento "non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana". Questo rispetto esige che una persona in coma irreversibile, priva di qualsiasi coscienza e sensibilità, non debba essere trattata come una cosa29. Anche le convenzioni internazionali sono esplicite in materia. Oltre alla Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea (art.3), in particolare la Convenzione sui diritti umani e la biomedicina, promossa dal Consiglio d'Europa e firmata ad Oviedo nel 1997 (ratificata nel 2001 dal nostro paese e quindi avente validità di legge) afferma esplicitamente all'art. 9: "I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell'intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà, saranno tenuti in considerazione". Altri documenti internazionali vanno nella stessa direzione. La "Dichiarazione universale sulla bioetica e i diritti umani" del 2005 promossa dall'Unesco conferma il diritto all'autodeterminazione del malato e la protezione di quello incapace (artt. 5,6,7). In definitiva ci chiediamo perché i vescovi non sappiano accettare, con serenità, valutandone i contenuti "umanistici" (e quindi anche cristiani) questi articoli della nostra Costituzione distorcendone il significato, avendo paura - si direbbe- della libertà e della dignità che essi attribuiscono alla persona, ipotizzando, nel caso venga approvata una legge diversa da quella da essi auspicata, scenari di decadimento del senso della vita e della morte nella nostra società. Ma questi fantasmi percorrono davvero il mondo cattolico italiano? O sono soprattutto la conseguenza di una fede cristiana, soprattutto dei vertici ecclesiastici, che è debole nella speranza e nella visione generale del percorso dell'uomo dalla vita verso la morte?

Conclusioni
Molte altre sono le questioni che riguardano il testamento biologico (o DAT); per esempio quelle relative alle modalità della manifestazione della volontà, al ruolo del fiduciario fino a quelle del ruolo del medico o dei medici coinvolti30, dei famigliari, dei Comitati etici previsti presso le strutture sanitarie. Ci siamo concentrati sui due punti sui quali lo scontro si è sviluppato fino ad ora in Parlamento e sui quali è stato ed è pesante l'intervento dei vertici della CEI. (la natura dell'alimentazione e della idratazione forzata in caso di stato vegetativo permanente e l'efficacia delle DAT). Su entrambe le questioni abbiamo cercato di motivare perché una riflessione, all'interno della nostra Chiesa e da cristiani "adulti", giunga a conclusioni ben diverse da quelle proposte dalle posizioni ufficiali della gerarchia.
Vogliamo chiedere ai nostri Pastori un ripensamento su tutta la questione, vorremmo che essi facessero un passo indietro e che assumessero la linea del dialogo con la cultura "laica" e della ricerca di un terreno comune di fronte all'incalzare delle questioni poste dal progresso tecnicoscientifico per arrivare infine a una legge di largo consenso. Siamo convinti che sarebbero ascoltati e che le loro preoccupazioni diventerebbero parte di un sentire comune, pur nel permanere di opinioni ancora diverse. Siamo convinti che, su una questione di così grande importanza, non ci possa essere, e neppure apparire, il sospetto che l'obiettivo di ottenere questa legge sia perseguito mediante compiacenze o silenzi nei confronti di politiche odiose sotto altri profili (legge sulla sicurezza, moralità pubblica e privata, rottura delle regole della vita democratica, bocciatura della legge contro l'omofobia ecc...). Siamo anche convinti che esista una sproporzione, facilmente percepibile in tutto il mondo cattolico, almeno in quello italiano, tra questo accanito e assorbente impegno per la difesa della vita biologica e un inferiore impegno a favore della vita dei tanti nel loro percorso quotidiano sono in condizioni di grave sofferenza fisica o morale o in situazioni sociali difficili.
Alla fine della nostra riflessione critica ci sentiamo in diritto di chiedere - e quasi di pretenderlo come atto dovuto - che nella nostra Chiesa di queste questioni si apra una discussione da subito, a tutto campo, sui media e nelle strutture di base e senza che nessuno sia etichettato a priori o come ortodosso o come dissidente. Non esiste infatti un pensiero unico. In assenza di una svolta, l'assenza di dibattito e questa linea autoritariamente decisa potranno forse, nel breve periodo, soddisfare bisogni di identità o fragili convinzioni di principio o forse ottenere risultati concreti, cioè una legge gradita. Ma, nel lungo periodo, siamo convinti si crei una situazione perdente, sia dal punto di vista dell'annuncio dell'Evangelo che dal punto di vista pastorale e che lo scisma interno, già esistente nella nostra Chiesa, possa estendersi.

Roma, 15 ottobre 2009
"NOI SIAMO CHIESA"

(note)
1- cfr Franca D'Agostini su "Il Manifesto" del 14.3.'09
2- Il comma recita "L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie
o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. Non si vuole così procurare
la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne
ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente
il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente".
3- Cfr P. Mario Beltrami S.J. "Il diritto di morire: un documento disatteso" in "Dolentiurn Hominum" n.68/2008, rivista del Pontificio Consiglio degli Operatori Sanitari (per la Pastorale della Salute).
4- Vedi il suo articolo "Io, Welby e la morte" su "Il Sole 240re" del 21.1.'07.
5- Questo testo del Pontificio Consiglio della pastorale per gli Operatori sanitari si legge in http://www.academiavita.org/template.jsp?s ez=DocumentiMagiste ro&pag=pontifici_con sigli/cos/cos
6- Ci riferiamo soprattutto al dibattito sul disegno di legge Calabrò approvato dal Senato in marzo ed ora in discussione alla Camera.
7 - Il testo e i firmatari sono leggibili sul sito htpp:/ /appelli .arcoiris.t v/Eluana_Englaro
8- Il testo e i firmatari sono leggibili sul sito http://www.cdbitalia.it / ATIUALITN ATI%2 Oappello.html
9- La riflessione su queste tematiche era già diventata generale nel mondo cattolico nell'autunno del 2006 a proposito del caso di Piergiorgio Welby. La sua morte e il diniego dei funerali religiosi da parte del Vicariato di Roma creò scandalo e fu però l'occasione di conoscere situazioni di sofferenza prima abbastanza nascoste e di fare riflessioni sul fine vita come non ce ne erano mai state nel recente passato di questo tipo.
10- Cfr. E. Bianchi sulla "Stampa" del 15.10.09
11- Cfr articolo citato pag.61
12- Vedi l'articolo "Il ricatto della deriva" nel "Corriere della sera" del 28-2-'09
13- Tra gli interventi più pesanti non possiamo non segnalare quello, del tutto intemperante nel linguaggio e nei contenuti, dall' Arcivescovo Mons. Giuseppe Betori nei confronti del Consiglio comunale di Firenze, il quale ha approvato il 5 ottobre una delibera che facilita a livello municipale la redazione del testamento biologico da parte dei suoi cittadini (vedi l'Avvenire del 6 ottobre).
14- Citazione contenuta nell' articolo "Giornata nera per la Repubblica" di Stefano Rodotà su "La Repubblica" del 7-2-'09
15- Vedi l'articolo "Nutrire? E' una terapia" di Claudio Zanon dell'Ospedale Molinette di Torino su "La Stampa" del 4-3-'09
16- Esse vengono ricordate da Ignazio Marino in una lettera a "Repubblica" del 7-2-'09
17 - Questo testo del 27 -3- '09 così recita "Nutrizione e idratazione artificiali, sono, come da parere quasi unanime della comunità scientifica, trattamenti assicurati da competenze mediche e sanitarie". Particolarmente astiosa è stata la polemica contro questo documento da parte di Avvenire.
18- Oltre al sondaggio dell'Eurispes del 2006 e a quello dell'ISPO dell'inizio 2009 ricordiamo quello
dell'Osservatorio Scienza e Società secondo cui il 73% degli italiani è a favore della possibilità di indicare in anticipo la propria volontà circa il proseguimento o meno delle cure qualora non si fosse più coscienti in una situazione di grave malattia e senza speranza di guarigione.
19- Il Consiglio Episcopale Permanente del 22.9.'08 auspica una legge "a fronte del rischio di pronunciamenti giurisprudenziali che aprano la strada nel nostro paese all'interruzione legalizzata della vita mediante la sospensione dell'idratazione e del nutrimento".
20- La XII Commissione del Senato il 13-7-'05 all'unanimità aveva approvato un ddl sul testamento biologico che non fu però discusso per la fine della legislatura.
21- Ignazio Marino sul "Corriere della sera" del 26.2.'09
22- Venti deputati del Popolo delle Libertà (vedi il "Foglio" del 23-9-'09) hanno proposto che questa "zona grigia" non sia regolamentata
23- Cfr R. De PonticeIIi su "La Repubblica" del 25.1.'09.
24- Negli USA va rispettato il rifiuto di qualsiasi trattamento espresso attraverso il living will (testamento biologico) nel caso di paziente incosciente; nel caso di assenza di scritti che documentino la volontà del paziente, divenuto incapace, la decisione clinica viene presa con il substituded judgement ("fiduciario") che è di solito un famigliare. Leggi analoghe sono state approvate negli ultimi dieci anni nei principali paesi europei, in Canada, in Messico e in Australia.
25- Il testo di questo documento può essere letto in http://www.ekd.de/patien tenverfuegung/cpv _l.ht ml
26- le Chiese nella RFT hanno tenuto un atteggiamento più prudente nei confronti del dettato di un testo esplicitamente teso a sostenere una completa autodeterminazione del paziente. Su questo ha probabilmente influito il pronunciamento, fortemente contestato, della Congregazione per la Dottrina della Fede che l' 1.08.07, in risposta a un quesito dei vescovi USA, in conseguenza del caso Terri Schiavo, sosteneva, senza motivare che un "paziente in stato vegetativo permanente" è una persona, con la sua dignità umana alla quale sono dovute le cure ordinarie e proporzionate che comprendono, in linea di principio, la somministrazione di acqua e cibo, anche per vie artificiali". Che questa posizione sia in contraddizione col CCC appare evidente da quanto sopra chiarito.
27-La Conferenza dei vescovi tedeschi del 17 - 3- '09 sostiene di non essere in contraddizione con quelle del Magistero universale sull'eutanasia, in riferimento ai commi 2278 e 2279 del CCC. La contraddizione esiste ma con la posizione della CEI non con quella del Catechismo!
28- vedi Stefano Rodotà in "Il bio-testamento e la politica" su "La Repubblica" del 27-2-'09
29- Cfr L. Ferraioli in "I sovrani del corpo" sul "Il Manifesto" del 26-3-'09 che fa anche l'ipotesi di chi, in condizioni estreme, mantenga, come sostengono molti difensori della vita "qualche barlume di consapevolezza e comprendesse senza possibilità di comunicare in alcun modo di essere condannato per un tempo indefinito a rimanere prigioniero delle macchine che lo nutrono, senza potersi muovere né cambiare posizione, né parlare o sentire o vedere". In questo caso massima sarebbe la violazione del rispetto della sua persona.
30- E' interessante il parere della FNOMeO nel documento già citato. Dopo avere affermato che "nutrizione e idratazione artificiali sono, come da parere pressoché unanime della comunità scientifica, trattamenti assicurati da competenze mediche e sanitarie" affrontano il ruolo del medico
nel rapporto col paziente: "L'autonomia decisionale del paziente che si esprime
nel consenso/dissenso informato, rappresenta l'elemento fondante della moderna alleanza terapeutica al pari dell' autonomia e responsabilità del medico; in questo equilibrio, alla tutela della libertà di scelta del paziente deve corrispondere la tutela della libertà del medico, in ragione di scienza
e coscienza (obiezione)".

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