LOTTA COME AMORE: LcA agosto 1994

(frontespizio)

Non chiedere la strada
a chi la conosce
ma a chi, come te, la cerca

Verso un'etica del confronto

Siamo arrivati all'estate, eppure non sembra questo il tempo per andare in vacanza. Un periodo di riposo è certamente un giusto desiderio e speriamo che i più lo possano realizzare. Ma la vacanza, - intesa come una parentesi entro cui racchiudere sogni ed attese di un tempo diverso, per ritornare puntualmente a rivestire i soliti panni al ritorno non sembra a portata di mano. O meglio, non sembra a portata di mano quel ritorno nei soliti panni che ha rappresentato per anni la tappa obbligata di una affermata tradizione consumistica celebrata su strade e autostrade: il cosiddetto rientro. Perché nessuno più si illude di ritrovare le cose come prima, di ormeggiare la propria barchetta allo stesso approdo. Il "nuovo" che avanza ha contorni tutt' altro che rassicuranti: la consapevolezza di aver tanto sprecato ed assai poco realmente goduto, la nausea conseguente la lunga sbornia della felicità ad ogni costo, ci consegnano ad un senso di colpa variamente verniciato di nuove furberie e vecchie rassegnazioni. E il senso di colpa è quasi sempre sabbia mobile sulla quale niente si costruisce e dalla quale ora speriamo di uscire aggrappati alla coda del destriero del Cavaliere.
La posizione scomoda, l'umiliazione di trovarci così vicini al sottocoda, l'irritante constatazione di uno scenario destinato con ogni probabilità a durare, sono fastidi che neppure i primi freddi dell'autunno sembrano poter scacciare come le zanzare. E sono preoccupazioni capaci di succhiarci ben più di una goccia di sangue e cioè la speranza e la vitalità che alimentano ogni umana relazione.
E' sempre più necessario scrollarsi di dosso ogni atteggiamento vittimista, ogni schema semplicistico che riduce la complessità del reale all'eterno scontro tra il Bene e il Male, e rimboccarsi le maniche. Lo dicevamo già nell'articolo di apertura del numero scorso intitolato proprio "Il coraggio di operare". Ma ora ci chiediamo (ed è una domanda ricorrente su queste pagine, e non solo... ): che cosa fare?
Innanzitutto, riprendendo l'articolo appena citato, dobbiamo cercare di tenere tutti e due i piedi bene per terra.
E' quindi decisiva una presa d'atto della realtà, mettendo un freno - come dice Simone Weil- all'immaginazione capace di sostituire la realtà stessa con schemi che anestetizzano la sofferenza personale incanalata nei grandi destini della "causa" e ci impediscono di agire.
Questo lo si può fare se guardiamo la realtà non "da lontano" (ci immaginiamo le stelle tutte uguali, lassù nel cielo; forse solo un po' più piccole o un po' più grandi... ), ma "da vicino", come Maria Cavalleri "compañera" di un altro popolo (vedi pag.l0) o come fratel Arturo (vedi pag.3). Lo sguardo "ravvicinato" esplicitato da Alessandra Bocchetti in una recente conferenza a Viareggio per il Centro Lilith, non fa ordine, non produce verità incontrovertibili. Anzi, spesso chi ne fa esperienza, può rimanere intrappolato dalle contraddizioni delle diversità riscontrate fino a reagire impietosamente al male con il male (non si aiuta forse più volentieri chi ha fame e sta lontano e ce lo immaginiamo come vogliamo, piuttosto di chi ci sta vicino e di cui soffriamo l'arroganza o la disperazione?). Come è possibile quindi sostenere lo sguardo "da vicino"? Accettando di non immaginare di essere buoni perché indifferenti (cioè incapaci di fare differenza e quindi giusti perché trattiamo gli altri tutti allo stesso modo... ) ma lasciandoci coinvolgere e preparare alla pietà.
"Nei rapporti con gli altri - scrive Roberto Berton nell'articolo citato a pag.l0 - si è nella ricerca di sé, si confessa la propria fame e la si lascia allo scontro con la fame degli altri e al confronto". Quando il rarefarsi delle relazioni significative ci consegna alla necessità di tenere sempre alta la guardia, diffidando di tutto e di tutti, allora misuriamo con mano come siamo lontani dalla consapevolezza delle urgenze che la realtà presente ci propone. Occorre scuotersi da simili ipnotismi, prima di verificare quanto sia spaventosamente breve il passo tra l'indifferenza e l'odio. Prendere il proprio sacco sulle spalle e addentrarsi, convivendo con mille paure, nei vasti territori del confronto, è avventura semplicemente doverosa per rimanere vivi e ritrovare le ragioni delle essenzialità (vedi la riproposizione di uno scritto di Sirio a pag.8).
E dal deserto severo e scarno delle nostre individualità spogliate dalle tentazioni di assoluto, occorre riprendere a progettare e costruire ponti con la realtà di questo mondo e con l'altrui diversità.
Scrive ancora Berton nell'articolo per Maria Cavalleri: "Non una politica di potenza o di tolleranza che ritiene in fondo sciocche le verità degli altri, ma di confronto. Così l'andare, il restare, il ritornare, il ripartire di Maria e di tante altre sue sorelle e fratelli non è inquietudine, ma sta dentro al pellegrinaggio in cui tutti siamo costretti. Anche la democrazia si fonda su questo".
E, su questo accenno alla democrazia lui stesso cita Cacciari (Geofilosofia dell'Europa, ed. Adelphi): "La democrazia è un sistema di 'sradicamento'. Tutti i suoi comportamenti presuppongono un' assenza di sede, di dimora. In questo senso siamo ormai tutti quanti degli extracomunitari. E per questo è necessario inventare un paradossale ethos di pellegrinaggio. Ma attenzione. Non nel senso bolso oggi in circolazione come ricerca di un punto intermedio. Come sistematica sospensione dei valori in gioco. O come assoluto relativismo, che è poi il massimo dell' intolleranza...
No, la democrazia è il confronto tra posizioni animate da una fortissima etica della convinzione, per dirla con Weber. lo tengo ferma la mia posizione. Parlo con te quando sono convinto, persuaso. E per questo riconosco la necessità della tua persuasione. Così come sono pronto a subire un contraccolpo da questo confronto".
Acquista qui una luce particolare la riproposizione che Beppe fa (vedi pag.4) del secondo Libro della Pace di B.Benson. Uno che tiene ferma la sua posizione e cerca di agire e non nasconde la propria immobilità dietro la pazzia altrui. "Ma sono pazzi!" - esclama il figlio dopo aver ascoltato le ragioni dei Paesi Civili che continuano a fabbricare armi per il mercato e per l'occupazione. "La pazzia - risponde Benson -, è semplicemente una questione di come si vedono le cose, figliolo. Per chi ama rannicchiarsi su un divano e guardare la TV, scalare il Monte Everest è semplicemente una pazzia, dipende dal punto di vista". Scopriamo quindi che ci sono persone - e possono essere tantissime - che vedono le cose diversamente da noi. Che cosa fare, allora? Se siamo "tutti extracomunitari", come dice Cacciari e nota Berton, abbiamo tutti lo stesso compito: vivere da uomini e da donne con altri uomini e donne. Per questo è necessario alleggerire le nostre grandi verità che a noi sembrano assolute e rendere più forte l'etica del confronto.



La Redazione

La posta di fratel Arturo

Cari amici italiani, i mesi scivolano rapidi, e mi pare d'essermi addormentato a Natale e di essermi svegliato nella settimana santa. Mi verrebbe da pensare che ormai è inutile scrivere, ché questa lettera vi arriverà dopo pasqua. Ma ho sentito che disobbedirei alla voce interiore cui cerco di essere fedele. Devo confessare che il mio lungo silenzio si deve non solo alla strettezza di tempo ma anche e soprattutto a una certa tristezza che sovente mi minaccia. Spesso mi vengono in mente le parole del cardinal Newman: "Prima io appartenevo a una religione triste ma ero lieto, ora appartengo a una religione lieta, ma sono triste". Potrei farne argomento di certi tratti autobiografici, affermando che fino a una certa tappa della mia vita, provavo l'entusiasmo di essere cattolico, ma forse ero meno abbandonato allo Spirito, ora che sono vecchio e che mi è data quella gioia spirituale che il Cristo promette prima di lasciare i discepoli, vivo la tristezza della chiesa. Giovanni il discepolo amato all'epilogo della sua vita, non riesce a trovare altro argomento se non - figlioli miei amatevi. Io mi sento come legato a un argomento che non è così squillante e pasquale come quello del discepolo amico, ma è piuttosto dolorosamente critico. Quando cerco di distrarmi e di dimenticarlo, mi viene, così quasi per caso sotto gli occhi, che devo necessariamente pensare alla complicità dell'Amico. Si tratta della "schizofrenia cattolica", una malattia spirituale di cui sono affetti moltissimi cattolici almeno i latinoamericani. Ogni domenica vedo davanti a me la cattedrale rigurgitante di devoti, e ora so che sono gli avvocati, chi i medici, chi i professori e avanti. Qualche volta entra un mendico stracciato che va verso l'altare maggiore e tenta qualche "segno" extraliturgico, e poi se ne va o viene allontanato sotto gli occhi indifferenti degli oranti; ma, a parte queste strane apparizioni, nessun povero, nessun vicino della favela oserebbe entrare nella cattedrale durante una liturgia. Arrivato a casa trovo sul tavolo abbandonato non so da chi, un foglio con dati della FAO. Questi dati precisano che 85 milioni di brasiliani sono subalimentati, ricevendo meno del minimo vitale calcolato in 240 calo rie. Si conclude - responsabilità della FAO - che i cinesi non umanizzati, non dignificati, non divinizzati dai missionari cristiani, con la metà del terreno agricolo del Brasile alimentano un miliardo e duecento milioni di bocche. Capite che quando vedo gruppi numerosi di preti di religiosi di suore affannarsi a costruire case di ritiro, a organizzare incontri di spiritualità a formare e riciclare questi responsabili della fame dei fratelli, mi invade una tristezza senza consolazione. Quando davanti a me col rosario in mano e con un foglio sui miracoli di Medjugorj vedo inginocchiato un proprietario di quasi quattromila capi di bestiame e migliaia di ettari di terra, e poi trovo davanti alla mia porta i volti pallidi di quelli che appartengono agli 85 milioni, non posso provare la gioia di appartenere alla religione del Risuscitato... Quando so - e non è un segreto - che i vescovi solidali con il popolo, preoccupati di quei scandalosi dislivelli, vengono a poco a poco implacabilmente, con una tecnica computerizzata, sostituiti da "vescovi religiosi" e che il lamento la protesta del popolo orfano, vale meno del raglio di un asino. Quando vedo sacerdoti che credono che l'evangelizzazione sia principalmente diretta ai poveri, vengono trasferiti usando lo stesso metodo satireggiato nel 1600, vedo il volto di Cristo coperto di un velo nero che lo sottrae alla vista, da rendere difficile e quasi impossibile la nostra speranza. Trovo conforto nelle parole di Gesù: "sarà tolto a voi il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare" (Mt.2l,43). E non è un'utopia lontana. Questo cristianesimo ufficiale ortodosso così disumano e irresponsabile, cede a poco a poco il luogo a un cristianesimo che viene dal basso... Nel 1933 il movimento interreligioso del Brasile s'impegnò nella lotta contro la fame e fu firmato un documento da 24 leaders religiosi. Si sta formando l'ecumenismo dell'avvenimento. mondo. Questo ecumenismo, incontro pacifico, fraterno di persone e gruppi che praticano differenti religioni o culti, non nasce da una discussione teologica, né da sommi principi, ma dalla logica degli eventi, la fame, la violenza, la salvezza del mondo. Nessun teologo della terra potrà riportare la prova della verità cattolica alla sua purezza, alla sua sublimità a quel che di puro di nobile di superiore che le è immanente, ma alla capacità di creare pace, concordia e giustizia per tutti. lo vorrei gridare fino alla morte che questa trasformazione è irreversibile. Il programma comune in questo incontro non è costituito da una volontà superiore, ma da azioni non coordinate, unite dalla comune aspirazione di volere trovarci fratelli. Nasce senza autou l'etica della pace della giustizia della solidarietà.
Ho cercato di far capire questo a un sacerdote pieno di zelo missionario che si propone di "cattolicizzare" gli indios guarinies. Gli errori commessi in cinquecento anni non gli dicono nulla. Il risultato facilmente prevedibile è quello della discordia fra gente che convive pacificamente e l'avvilimento la spersonalizzazione di coloro, dei pochi, costretti a baciare la mano di quelli che li hanno spogliati delle loro terre, e condannati a un lento e implacabile genocidio. Come vedete esiste fra noi una pastorale cosciente, intelligente, illuminata che acuisce le divisioni le disuguaglianze, la discordia, e consacra l'ingiustizia. Esiste la pastorale incosciente quella che è diretta dallo Spirito Santo che guida verso 'unione la concordia la responsabilità comune verso l'umanità, la giustizia e la pace del Regno. Vi scrivo il mercoledì santo e alzo i miei occhi verso la gioia pasquale. Anche in mezzo alla tristezza può introdursi la gioia perché, scrive un amico poeta che "La differenza fra il piacere e la gioia sta nel fatto che il piacere per esistere ha bisogno che la cosa esista. Ha bisogno dei maccheroni, della bistecca, della bocca che ti baci. Mentre la gioia non ha bisogno che la cosa esista. Questo mi fa pensare che la gioia deve essere più divina del piacere perché se diamo retta a Riobaldo, Dio è quello che è anche quando non esiste" (Ruben Alves). Non mettetevi a arzigogolare sulla finale, contentatevi di sapere e di sperimentare che la gioia esiste negli avvenimenti che ci immergerebbero in una profonda disperata tristezza. Così vorrei trasmettervi la mia immagine interiore in questa Pasqua 1994.
Vi abbraccio.

fratel Arturo

La vita è sogno

Ricordo di aver letto, in gioventù, un libro molto interessante che credo sia stato scritto dallo spagnolo Calderon de la Barca dal titolo significativo e attraente: "La vita è sogno". Questo titolo è riaffiorato in modo quasi inspiegabile dai meandri della memoria mentre ero alla ricerca di dare forma ad un grumo di pensieri non molto ordinati che volevo cercare di esprimere.
Mi sembra di avvertire con grande intensità il bisogno di non abbandonare l'appassionata ricerca di quella "terra di sogno" che ciascuno avverte come reale possibilità e concreta realtà, anche se tutto all'intorno porterebbe a convincersi del contrario. Abbandonarsi al "sogno" non significa per me lasciarsi cullare dall'illusione ed inseguire fantasmi che scompaiono di fronte alla forte luce dell'evidenza di come stanno veramente le cose. Il sogno è fratello gemello dell'utopia: essi possono alimentare dentro al cuore la speranza mai del tutto sconfitta che le relazioni umane - e quindi la Vita - siano costruite non su rapporti di forza e di dominio del più forte sul più debole (in senso economico, culturale, fisico, religioso...) ma su rapporti fondati sull'amore reciproco e sul riconoscimento del grande valore della "differenza" tra tutte le creature che popolano la Terra. Per cui essere "diversi" per razza, lingua, cultura ecc. anziché costituire motivo di lotta terribile e spietata, ragione di scontro e di oppressione, dovrebbe poter significare arricchimento vicendevole, completamento reciproco, gioia di contemplare la variopinta sovrabbondanza della creazione.
Per questo ho trovato motivo di rinnovata fiducia e spinta a non abbandonare il "sogno" nascosto da tanto tempo nel profondo dell'anima, nel secondo "Libro della Pace" di un grande sognatore qual'è Bernard Benson (ediz. Gruppo Abele) dove "si racconta che il ragazzino del Libro della Pace, crescendo, ha intrapreso un nuovo compito, ancora più difficile del primo... perché egli si accinge a liberare in un sol colpo Tutto il Mondo dalle Armi, come Regalo di Compleanno per tutti i bambini del Mondo per l'anno 2000". Il sogno e l'utopia di Benson, affidati alle accorate e fragili proposte del figlio della sua mente e del suo cuore, possono essere spazzati via con un semplice sorriso di realistica valutazione delle cose. Oppure possono acquistare lo spessore di un'energia positiva dirompente come il soffio della fiamma ossidrica che con la forza tenace della sua luce concentrata riesce a perforare alti strati di dura lamiera.
Per chi ardentemente crede nella possibilità e nella necessità di liberarsi dal mostro della guerra, occorre credere all'utopia dell'impossibile che Benson affida al cuore generoso e limpido del suo protagonista per dimostrare in modo scientifico e poetico che l'impossibile può diventare possibile, perché oltretutto è necessario. Il ragazzino di Benson è nello stesso tempo immagine di ciascuno di noi e di noi tutti insieme: è importante dargli pieno credito e cercare di mettersi in cammino verso la direzione indicata. Dal mio punto di vista, il secondo Libro della Pace di Bernard Benson è come una grande parabola laica e moderna di tutto l'antico messaggio dei profeti d'Israele ("non impareranno più il mestiere della guerra") e di ciò che Gesù ha racchiuso in quelle parole senza inganni né possibili equivoci: "amate i vostri nemici". Questi antichi messaggi che provengono dal cuore stesso del mistero di Dio attraversano con la forza del "sogno" la notte della storia umana abitata dalla cruda e spietata realtà della guerra e ne propongono il coraggioso e deciso "ripudio". Anche il messaggio di coloro che quasi 50 anni fa stipularono il nostro patto costituzionale stabilisce all'articolo 11 che "l'Italia ripudia la guerra... ": parole che portano dentro il sogno e l'utopia di uomini e donne segnati a fuoco dall'esperienza di una guerra terribile e lacerante.
La via da percorrere ha certamente bisogno di questi due straordinari compagni di viaggio, sogno e utopia, che hanno la capacità di farci comprendere l'urgenza del Disarmo Totale come meta storica raggiungibile. Certamente bisogna disarmare la mente e il cuore: ma perché ciò sia visibile e credibile occorre costruire una vera "forza disarmata di pace" formata da uomini e donne che non facciano più affidamento sulla potenza distruttiva delle armi. Un "esercito di pace" pronto a calarsi dentro il dramma della fame, delle malattie, del bisogno di istruzione, di cibo, di condizioni di vita disumanizzanti. Sogno indubbiamente formidabile: "Certamente non era facile - conclude il ragazzino di Benson - le cose importanti raramente sono facili, ma era POSSIBILE".
La parabola laica del fisico e filosofo Bernard Benson, dedicatosi a seminare forti semi di pace, interpella la coscienza degli uomini e delle donne che vogliono tradurre in realtà storica il suo stimolante "progetto 2000" per calarlo dentro gli spazi della cultura, della politica, dell'economia ed anche della visione religiosa cristiana tuttora ancorata fortemente a quell'assurdo ed antievangelico connubio tra la croce e la spada che dura da circa 16 secoli. Forse è proprio il tempo di cambiare strada!

don Beppe

Sul filo dei giorni

Vorrei raccogliere qui alcuni appunti del viaggio quotidiano che ci spinge - dentro e fuori la chiesetta - ad incontrare persone, avvenimenti, situazioni, problemi... Insomma, la vita.
Luigi

Sono stato contento di aver contribuito, per la mia parte invero assai marginale, alla riuscita del convegno indetto a Salsomaggiore dal 23 al 25 aprile scorso da quattro "piccole" riviste: Esodo, Il Foglio, Il Gallo e Pretioperai sul tema: "Il paradosso cristiano al crepuscolo del XX secolo". Ciò che ho apprezzato di più è stato il clima sereno, libero e - perché no? - leggero dell'incontro. Certamente un programma fin troppo denso, ma una boccata d'ossigeno per i partecipanti consapevoli di una diversità tutta giocata sul filo del rispetto e dell' attenzione. Per l'ormai ristretto gruppo dei preti operai è stata un'occasione di confronto in cui la propria specificità non è stata la molla di angosciose analisi o di elevate arrampicature, ma, semmai, la consapevolezza di rappresentare una delle tante, diverse parabole di questo fine secolo. E così, credo, anche gli altri gruppi presenti.
Tant'è che nessuno ha preteso di forzare un clima di scambio di pensieri e riflessioni assai diverse tra loro ed una ricerca fatta soprattutto di interrogativi. A cominciare dagli interrogativi posti dal tema e così esplicitati nella introduzione di Roberto Fiorini: "Viviamo l'esperienza della fine e del paradosso. Fine della modernità, in quanto la ragione non è riuscita a realizzare la vera democrazia, l'uomo adulto e responsabile, un mondo pacificato e felice. Fine del cristianesimo, come interpretazione della storia e del mondo capace di condurli alla salvezza sotto la sua guida sicura. Fine della chiesa, che scegliendo il ruolo politico, ha rinunciato al ruolo profetico. Paradosso di una modernità che in qualche modo ha voluto essere e l'avversario e il compimento secolarizzato del cristianesimo e che col proprio fallimento ha reso problematica ogni rivincita del passato religioso, ed ha aperto un futuro davvero incognito e per l'uomo e per Dio".
In attesa degli atti che appariranno in un prossimo numero appositamente redatto di Pretioperai, una prima articolata disanima del convegno è apparsa su Il Foglio (n.5/94) a firma di Aldo Bodrato. Concludendo la sintesi con alcune delle questioni emerse nell'ultima mattinata, con gli interventi dei rappresentanti delle riviste Undicesima Ora, Il Tetto e Qol, oltre che dei convegnisti, Bodrato si domanda: "Se fare teologia, come acutamente osserva il pensiero ebraico, consiste assai più nel fare le domande giuste che nel tacitarle con affrettate risposte, davvero dovremmo pensare ad un convegno dedicato a raccogliere e discutere tutte le domande che l'essere cristiani oggi ci obbliga a porci; coscienti peraltro che non tutti i dubbi nascondono questioni reali e che forse, alla fine, l'enorme selva delle nostre difficoltà si ridurrà a pochi interrogativi, questi sì davvero essenziali e rivelatori.
A quando tale convegno?".

Intanto, appena chiuso il convegno a Salsomaggiore, Beppe ed io siamo risaliti in macchina e in meno di un' ora siamo in metropolitana, a S.Donato Milanese, in mezzo ad una comitiva pacifica e serena di manifestanti. Scendiamo ad una fermata, trascinati dalla folla. E, dopo tante scale, finalmente fuori: sotto una pioggia battente, mescolati a migliaia di persone già bagnate fino al midollo. Ed è come se gli scrosci di pioggia fossero capaci di impastare un popolo, quello dei balconi e delle finestre - moltissime quelle aperte e tante addobbate in segno di accoglienza - e quello che riempie le strade. Un bagno gioioso, una doccia collettiva che ritempra e riporta nello stesso tempo alla realtà, un temporale affrontato con tanta dignità. E insieme. Al capolinea di nuovo, recuperiamo Maria Grazia e filiamo verso Viareggio. Leggeremo poi i commenti e scopriremo che non è così che si fa politica ed altre dotte lezioni da parte di chi fa della saggezza una professione. Ma non importa! Da sempre i rivoluzionari di mestiere e gli intellettuali di ruolo non accettano che il popolo abbia un'immensa voglia di festa e di un bicchiere in più che faccia sognare...
Leggiamo l'appello di Giuseppe Dossetti in difesa dei valori della Costituzione e lo rilanciamo qui in città. Vien fuori un piccolo gruppo che si ritrova alla Chiesetta. Svanisce ben presto 1'ipotesi di dar vita ad un comitato. Prende consistenza una esile pista di ricerca sul filo del valore dell'uguaglianza nella lettura dei primi fondamentali articoli del patto costituzionale. Emerge il desiderio di non avere paletti di confine e di non caricarsi di un lavoro immediatamente finalizzato a una qualche concreta ricaduta all'esterno. Ma vengono fuori anche resistenze ed incertezze a procedere senza uno scopo, un impegno ben preciso: i timori reali per un'analisi chiusa in se stessa e per una gratificazione del proprio essere "contro". Appassiona puntare l'attenzione su questa repubblica "fondata sul lavoro" . Ed è proprio il termine "lavoro" a far discutere e a misurare la distanza che ci separa dagli anni '40: una storia ed una cultura così diverse! Eppure, la parola evoca richiami alle realtà fondamentali della vita umana e alle relazioni che ne scaturiscono... I mondiali di calcio distraggono e interferiscono direttamente con i nostri incontri fissati alle 18.00 di ogni martedì (Italia - Messico, Nigeria - Italia, ... ). Ci lasciamo andare.

Il C.R.O. (Circolo Ricreativo Operaio) Darsene, che ha sede dirimpetto alla Chiesetta, ha deciso di indire un premio letterario intitolato a don Sirio. Si tratta della prima iniziativa in città a lui dedicata. Siamo stati anche noi coinvolti e, soprattutto 1'adesione di Ludovico Grassi, direttore di Testimonianze, alla richiesta di presiedere la giuria ha dato un avvio intenso e concreto nello stesso tempo ai lavori di preparazione del bando che pubblicheremo integralmente nel prossimo numero del giornalino. Anticipiamo intanto il tema del premio "riservato ad un' opera, saggistica o letteraria, che metta in luce un'esperienza, un personaggio, una comunità, una realtà associativa, un circolo, che abbiano dato un contributo significativo alla lotta come amore per la pace, i diritti umani, la c'ostruzione di forme più solidali di vita". Il termine di consegna delle opere è stato fissato per le ore 12.00 del 15 settembre 1995. Chi è interessato a partecipare e comunque ad avere informazioni su questa iniziativa, può mettersi in contatto con noi.

Luigi

Padre Umberto Vivarelli: fame e sete di Vangelo

Lo scorso 9 giugno, Beppe ed io abbiamo accompagnato, insieme a tanti amici, Padre Umberto Vivarelli nel piccolo cimitero di Fontanella a Sotto il Monte accanto a Padre David. La morte ha colto Umberto all'improvviso e noi facciamo ancora fatica a rendercene conto perché conserviamo un ricordo molto vivo dell'ultimo incontro con lui, i primi giorni dell'anno proprio a Fontanella. Aveva molto insistito Umberto che lo andassimo a trovare nella casa che divideva con il fratello a Sotto il Monte e, negli ultimi tempi, mi ero abituato ogni tanto a sentire il suo vocione al telefono che mi trasmetteva un intenso desiderio di comunicazione. E quando siamo arrivati a casa sua, abbiamo dovuto reggere un diluvio di parole e di annunci di impegni e di viaggi tipico del migliore Umberto. Lo abbiamo abbracciato per l'ultima volta alla fine di un pranzo dai suoi amici dell'Abbazia di S. Egidio, dopo che - manco a dirlo - lui ha tenuto banco seppellendoci sotto una valanga di giudizi, inviti e energici richiami agli ideali del vangelo e della nonviolenza evangelica. Povero vecchio testone bianco, gli occhi sempre lucidi di intensa passione per il messaggio ed insieme increduli di fronte alle resistenze, ai dubbi, alle complicazioni, alla altrui diversità. E questa sua vita senza una "casa" ed una identità personale che non fosse il suo canto! Così conclude P. Abramo Levi nella omelia della messa del giorno dei funerali (vedi AD/STA n.50 del 25 giugno '94): A far da colonna sonora alla vita di padre Umberto non fu il culto della regola bensì il cantico del Magnificat. La seconda parte del Magnificat (quella più tumultuosa e rivoluzionaria) rappresenta il tratto scoperto della sua vita, quello più pubblico e tumultuoso. La prima parte del Magnificat rappresenta invece il camminamento segreto della sua vita. Egli stesso ebbe coscienza di questi aspetti paralleli, tanto che ne fece una sorta di Magna Charta del cristiano: "Primo impegno: rompere frontalmente con tutti gli equivoci e gli scandali che passano sotto il nome e l'etichetta cristiana. Secondo impegno: inserire il fermento cristiano anche nella minima disponibilità spirituale e morale"
(La difficile fede cristiana, ed. CENS, p. 77).

La continuità della liberazione

Il periodo delle ferie è particolarmente importante, assai più di quello che normalmente immaginiamo o addirittura sogniamo. Riposo, distensione, aria buona, montagna, mare, ecc.; ma le ferie sono importanti perché significano e offrono una vita diversa. Il fascino del nuovo e dell'imprevedibile.
Perché il bisogno di rompere la stretta delle abitudini, a un certo punto diventa irresistibile. La normalità è soffocazione: va forzata e vinta con un po' di eccezionalità. Anche lo stesso rischio, almeno di un margine di non programmato, acquista grosse importanze. E il rivoletto, sempre quello, del quotidiano, bisogna assolutamente che sfoci nel gran fiume, anche se è quello mare nonostante sia quello di spiagge affollatissime.
In fondo la preziosità delle ferie più che in tutto, forse è nascosta in una vera e propria liberazione. La casa è una prigione, il lavoro è un' oppressione, il quotidiano una schiavitù, le abitudini palle al piede... E forse anche sempre le solite, stessissime persone, diventano un peso, levano il fiato. Si restringono i margini della fantasia, si spengono le spinte dell'inventività, svaniscono i motivi d'interesse. E tutto s'intristisce. Il cuore si raggrinza in malinconie senza fine e la stanchezza, strana, inspiegabile e irrimediabile, affligge fin nel profondo dell' anima.
Si esce fuori dal "buco" speranzosi per le ferie e vi si rientra convinti di essere diversi, certamente rinnovati e ravvivati. Entra in gioco immediatamente, bastano pochi giorni, il problema della continuità della liberazione, la necessità di mantenersi assolutamente diversi.
E' chiaro che la realtà esterna, le condizioni di vita nelle quali ci troviamo, non possono cambiare. Difatti il ritorno dalle ferie si chiama con una brutta parola "il rientro". Il buco è lo stessissimo buco e forse ancora più fondo e chiuso, perché vivere, ad ogni giorno che passa, è più duro e pesante: la storia che viviamo non è avviata all'alleggerimento dei problemi, ma ad un appesantirsi pauroso. E lo stiamo sperimentando in questo inizio d'autunno. Basta pensare alla situazione drammatica della casa con la totale sparizione del rapporto di locazione che era l'affitto. La tragedia immediata e violenta dei licenziamenti, il dilagare della cassa integrazione, la crisi dell'industrializzazione arrivata a livelli fallimentari. Il terrorismo, i sequestri di persona, l'inflazione, l'irresponsabilità di una politica che si ostina ciecamente e assurdamente, a camminare sulle strade a senso unico del clientelismo e della burocrazia, puntando impudicamente, come sempre al privilegio. Meno male che i giornali costano 400 lire e quindi viene da comprarne di meno, perché meno le cose si sanno e meno si pensa e quindi si sta più tranquilli. Più tranquilli anche perché quello che la televisione e la radio portano nel buco, di quello che succede fuori, è poco più che qualche accenno e debitamente addomesticato a forza di pubblicità sempre più disumanizzante e di programmi fasulli. Verrebbe da pensare che la continuità della liberazione sia proporzionale alla crescita del fregarsene di tutto e di tutti. Che la tranquillità e la "pace" personale sia possibile soltanto se è fondata sulla pietra angolare dell'indifferenza. Che il qualunquismo, anche quello più pacchiano e stupido, sia la via larga sulla quale soltanto può correre indisturbata, a vetri rialzati e ben sigillati, la propria autosufficienza...
Questo convincimento che ormai non è mentalità ristretta, ma cultura generalizzata, stile normale di vita, tipo di convivenza a tutti i livelli, è l'insidia che sta avvelenando spaventosamente il nostro tempo. E' uno dei tanti inquinamenti che dilagano il corrompersi e il deteriorarsi dei valori umani, di cultura e di civiltà fino ai limiti della distruzione del vero valore di umanità.
Si tratta di un autentico impazzimento dell'idea di liberazione.
Perché è venuto il tempo e verrà sempre di più, nel quale la salvezza sarà a misura universale o sarà la perdizione. L'uno non conta più, s'impone inevitabilmente la totalità. Perfino la sopravvivenza umana non è più sicurezza di un popolo o di un continente: o è a livelli mondiali o cammina tutta sull'orlo dell'abisso della distruzione.
Tutto quello che avviene in ogni angolo della terra, è avvertimento di quello che avverrà su tutta la terra.
La fame che imperversa su un terzo dell'umanità nessuno pensa che è minaccia per l'umanità intera, perché è dimostrazione e riprova dell'incapacità umana a vincere e dominare questo flagello: quindi tutta l'umanità ne sarà vinta, o prima o poi.
E' dimostrata ormai l'impossibilità di vanificare il potenziale degli armamenti e di quelli nucleari in particolare, anzi si fa sempre più strada il convincimento - autentica, criminale pazzia - che la pace è possibile soltanto proporzionalmente all'equilibrio del terrore. Bene, questa convinzione porterà inevitabilmente alla distruzione del mondo. E chi allora potrà salvarsi?
Così ogni problema - da quello del moltiplicarsi delle dittature militari, a quello dell'industrializzazione, dello spompare le risorse naturali, dell'inquinamento galoppante, dell'assolutizzarsi ad ogni giorno che passa della ragione economica, del benessere a costo di tutto ecc. - ogni problema manifesta con estrema evidenza l'assurdità, la vera e propria pazzia, del decidere di scegliere il particolare, il personale, il privato ecc. come realtà di valori nella quale operare o anche soltanto sperare, la propria liberazione. Volere o no, la storia ha condannato il nostro tempo al collettivo, al comunitario, all'universale. La terra su cui si poggiano i piedi non sono i dieci centimetri quadrati, ma tutto l'orbe terraqueo. L'aria che si respira è quella della fascia di ossigeno che racchiude la terra, sempre più ristretta dall'eccessività di ossido di carbonio.
E' proprio vero che il famoso "buco" nel quale si ravvoltola il nostro vivere quotidiano, è una prigione soffocante. E' vero che il bisogno di una liberazione è come la volontà di strapparci il cappio dal collo.
L'importante però è non sbagliare nell'identificare la vera liberazione. Perché l'errore potrebbe essere come quello del pesce che incappato nei tramagli crede che il divincolarsi lo liberi. Oppure come per il baco da seta che pazientemente si costruisce il suo bozzolo d'oro per morirvi. Leggi di natura, d'accordo, ma per l'essere umano potrebbero essere leggi di natura, per esempio, la fraternità, la solidarietà, la libertà, la giustizia, l'uguaglianza ecc. e anche, perché no, la lotta, perché questi valori decisivi per la dignità umana, perché l'umanità non sia disumanità, siano affermati nella storia, diventino cioè "la storia". Non è possibile concludere queste "divagazioni" del dopo ferie, al rientro nel proprio buco, senza un pensiero - ma è nostalgia profonda, misteriosa che sale su dai secoli - a Gesù Cristo, che questa dignità e libertà umana ha tanto sognato. E sono duemila anni e quanto mare di lacrime e di sangue ha affogato la terra e tutto pare che sia ancora e forse nemmeno, all'inizio. Perché?

don Sirio
(da Lotta come Amore, n.3/1980)

Maria, unas donna "companera"

Maria CavalIeri era nata a Boltiere (BG). Ostetrica, è stata in vari paesi come volontaria (Libano, Palestina, Mozambico... ); gli ultimi 7 anni in Nicaragua come cooperante del MLAL, con incontri con gruppi di donne in altri paesi del Centro America, specialmente del Salvador. Colpita da una forma grave di linfoma, è morta nell'Ospedale Maggiore di Bergamo il 5 febbraio '94.
Di famiglia povera, come migliaia e migliaia delle famiglie delle provincie di Bergamo e Brescia 30-40 anni fa: operaio il papà, operaia la mamma perché senza papà a nove anni. Scuole popolari fino alla maturità professionale lavorando fino al primo lavoro nell'inaugurando reparto ematologia, dove morirà. Piuttosto inquieta, "si prende le sue libertà" e gira il mondo, ma pare che per ferie-turismo sia andata solo in Thailandia. Poi in Libano al tempo dei bombardamenti di Sabra e Shatila; nei cruciali Mozambico e Zimbabwe; in Irpinia per il terremoto; e finalmente in Messico e nel Nicaragua libero, ma aggredito. Come portata dal suo magnete gravitazionale a essere presente sempre nei punti geopoliticamente caldi.
Riuscì a comunicarci questo spirito attraverso uno dei suoi documenti epistolari più alti, noto come "il parto di Estela": lunga attesa in famiglia (ostetrica Maria, attiva con le ostetriche popolari per un nascere dolce, un partorire in casa secondo l'antica sapienza indigena) per la nascita di una bimba, proprio nel giorno in cui il popolo nicaraguense era costretto a votare in tempo di fame per la lunga guerra di aggressione ìmpari e impunita, in nome di convenzioni internazionali solo formalmente democratiche; lunga attesa mentre continuavano ad arrivare via radio inesorabili i dati della "sconfitta"; il segno della volontà di vivere e di rifare la storia, colto nella bimba finalmente nata.
Il traumatico precoce rientro definitivo in famiglia Cavalleri-Pilenga, per la quinta volta in questi anni così duramente messa alla prova per tumore.
La sua lotta-resistenza-voglia di vivere anche col "drago dentro"...

INTERROGATIVI SUL SIGNIFICATO DELLA SUA VITA
1 ° - Cosa può essere una vita, la sua, la nostra, se non protesa in una profonda ricerca di libertà interiore? Maria "andava" per imparare a concentrarsi. "Camminava sempre", ma puntando all'essenziale. E "arrivava" ad essere profondamente presente a sé e alle altre e agli altri. Con i pregi e le difficoltà del suo essere quel tipo di donna...
Quindi tutta-una-troppo-breve-vita come una strada, un per-corso di ricerca di sé?!
2° - Ma tenacemente fedele alle cose serie, come ognuno di noi tenta di fare. Fedele alle sue origini povere e "popolari". Partì da questo popolo e approdò ad un altro popolo.
Si vuol far credere che siamo in tempi di ipermutazioni. Ma di fatto non è cambiato nulla, anzi: qui come là, allora come adesso, fatte le debite proporzioni, i povericristi e le poverecriste che lottano per un pezzo di terra o per un posto di lavoro di cui viveresopravvivere, esuberi erano ed esuberi sono per i pochissimi padroni della terra e del "vapore" ora elettronico, perciò a base occupazionale della piramide sociale sempre più ristretta...
3° - Approdò ad un altro popolo, e nel popolo approdò alle donne e con loro da infermiera a ostetrica; dalla salute alla fonte della vita.
Ma dentro la loro reciproca storia, fatta anche di teatro e poesia; alfabetizzazione con memoria e utopia diventate anche strumenti di socializzazione: un programma radiofonico femminista "finalmente posso prendere la parola"; ricerche epidemiologiche per i collettivi interni e latinoamericani; la pubblicazione di una "Cartilla" (sillabario) da autodidatta ma avvalendosi della collaborazione di una antropologa indigena e dell'Istituto Negri di Milano e del confronto con collettivi di ostetriche di qui e dentro il MLAL (Movimento laici America latina).
Al riguardo le testimonianze sono unanimi: delle volontarie internazionali era una delle più inserite. "Cooperante" per passaporto, ma di fatto semplicemente la Maria del Collettivo delle donne del popolo, come la donna della nuova alleanza di Geremia 31 ,22b. 4° - Grazie a questo sapiente e sano rapportarsi, riusci ad appartenersi e a realizzarsi in ulteriori saggi progetti...
5° - Ma questa saggezza bergamasca, temprata alla scuola dei poveri in giro per il mondo, e con la quale affrontò e accettò l'imprevisto traumatico della prova del cancro a 37 anni, è forse diversa da quella su cui dobbiamo far leva e solidarietà nelle nostre più" normali" famiglie, quando anche noi veniamo ripetutamente messi alle varie prove che sono senza esauriente risposta?

PROSPETTIVE CHE LA SUA VITA RILANCIA APERTE PER NOI
Maria, come figlia di questa Comunità di Boltiere, con la sua storia che potrebbe essere la nostra storia, si è presa a cuore un'altra comunità, un altro popolo del Centro America (Guatemala - El Salvador - Honduras - Nicaragua - Panama) che solo negli ultimi 15 anni ha subìto centinaia di migliaia di morti ammazzati e desaparecidos e milioni di desplazados, nonostante Esquipulas-Contadora-Ocse-Onu...
Quindi la nostra etnia di qui esprime persone che migrano-vanno-diventano sorelle di un'altra etnia, india, dell'antica civiltà Maya...
E senza tradire noi stessi possiamo fraternizzare, arricchendosi reciprocamente come persone e come popoli..
Non è forse una possibile attualizzazione di Cantico dei Cantici 8,7: "Chi darà tutta la sua vita per Amore la salverà e non la perderà, perché Amore è più forte di Morte" e può essere riconosciuto da donne come "Mariam" di Giovanni 20,1l-18?
Tutta la vita di Maria, così atipica ma anche così "nostra", esprime e rilancia un futuro possibile. Anzi necessario.

Andrea Marini, prete
operaio 8 febbraio '94
su MISSIONE OGGI n.6/94


Come sono fragili le esperienze come quelle di Maria. Partire, vivere nel Nicaragua con i gruppi di donne, sperimentare con loro nuovi modi di vivere dove il sopravvivere è già miracoloso, tornare, ripartire, tornare e poi basta.
Rispetto alla grande nave della Missione o dei Progetti, questa vita è una barchetta di carta; rispetto ai potenti aerei di chi porta il messaggio, è un aquilone fragile.
Fragile e "confusa". Nella sua vita, la ricerca di sé e lo stare con gli altri, sono profondamente tessuti insieme, inestricabili. Vivere con le donne di quel paese, nella ricerca di essere madri, di trovare nuovi modi di essere nel femminile e, insieme, ascoltare Mozart, leggere Eckhart. Essere una semplice ragazza bergamasca e insieme a suo agio nel mondo vertiginoso dei Taraumara.
Né suora né semplice tecnica... Alla brutale domanda: "Maria che cosa portavi in Nicaragua?" non avrebbe saputo rispondere mentre tutti sanno rispondere: il tecnico, il Papa, il Nunzio, l'industriale, il finanziere, il missionario... Testimonianza di che cosa, di quale idea, di quale progetto?
Allora la sua è una esistenza "perduta" come si perde poca acqua tra la sabbia?...

Roberto Berton,
Aerei potenti, fragili aquiloni,
su Servitium n.93/maggio-giugno '94



Una voce del deserto

(continua dal numero precedente)
L'eredità della divisione lasciatela,
fratelli della Santa Chiesa di Dio,
a chi ha scelto di farsi testimone
dell'''uomo vecchio"
che tiene in pugno la realtà del passato;
a chi considera perenne,
un inciso storico;
a chi considera meta da tenere salda
una semplice tappa.

La Dinamica del Risorto
sollecita oggi la donna
ad assumere quella posizione sociale
di madre dei viventi
che le viene per natura dalla creazione.
La stimola a maturarsi
per quel ruolo ecclesiale
di madre dei redenti
che le è stato consegnato sotto la croce.

E poiché la forza divina
non opera in vista del sesso,
le elargisce uno "spirito di sicurezza"
che la edifica
come colonna del Tempio
dove assumerà il ruolo sacramentale
della femminilità di Cristo.

Ed è con spirito di ferma fiducia
che si presenta come sorella tra i fratelli
affinché rivedano certe posizioni
conquistate sulla proprietà di Dio.
E con il suo titolo di sorella
li ammonisce a non usurpare gli appellativi
che a Dio solo convengono.
E li richiama alla parola del Vangelo
che dice:
"Nessuno tra di voi si chiami padre
poiché uno solo è il Padre vostro
che è nei cieli.
Nessuno tra voi si chiami maestro
uno solo è il vostro Maestro,
Gesù Cristo Signore.
Nessuno si faccia chiamare guida
una sola è la vostra Guida"
lo spirito del Risorto.
E' parola sacra che le sorelle richiamano
in quanto essa è un principio di reciprocità
fondato da Dio
e riaffermato da Cristo.
E' parola che Cristo consegna alle donne
per abbattere l'idolo umano.

Anche con i piedi delle tenebre
cammina il profetismo femminile
per rompere il cerchio del
"tu per me" dell'uomo
che saccheggiando il cielo,
finalizza a sé
la storia della donna;
del "tu per me" della donna
che con inversione di fine,
fa suo termine l'uomo
e, per inerzia,
prende la carne a sua difesa.
"Maledetto l'uomo che confida nell'uomo"
ripete nella storia dei suoi interventi
il Signore.
Ma la condizione di peccato
resiste al richiamo.

Uomini di Galilea,
aprite la strada alla totalità di Cristo.
Appianate i colli dell'egemonia maschile,
della sopraffazione del mentale.
Colmate le valli della dipendenza femminile,
della subordinazione del cuore.
Umiliate il capo davanti a Dio
e la ragione si incontrerà
con il cuore.
Con la promozione della donna,
cammina la promozione del cuore,
si risveglia la coscienza
della sposa personale

da consegnare a Cristo.

L'immagine di Dio, Conoscenza-Amore,
incarnata nell'essere umano,
si farà visibile in ogni persona
nella pari dignità
della ragione e del cuore;
si manifesterà in seno all'umanità
nella pari responsabilità
dell'uomo e della donna.

Con i tempi nuovi,
si aprono orizzonti nuovi.
Lo Spirito stimola la donna
ad aprire la via al cuore dell'umanità.
Spinge l'attività dell'amore
a farsi accogliere dall'attività
della conoscenza.
Date spazio alla donna,
alla femminilità salvifica
che vive nel cuore di ogni persona,
che giace nel cuore dell'umanità;
accogliete la femminilità di Cristo.

Accogliete la "donna"
e preparate la "sposa"
la "gemella" del verbo
da presentare al Padre
come gloria di Cristo.

L'umanità unificata di mente e di cuore
è la gloria di Cristo.
Nell'unità della duplice potenzialità personale
di mente e di cuore
si trasfigura l'immagine divina
sfigurata dal peccato.

Nella saldatura dell'unità
tra la maschilinità e la femminilità
ecclesiale di Cristo
camminano i tempi messianici.
Come avanza l'unificazione
si specifica la restaurazione dell'immagine
divina,
avanza il Regno di Cristo
e della Sposa.

Il Signore Gesù che cammina con i suoi
a incarnare il sacramento ecclesiale
della Sposa,
chiama la Chiesa ad assumere
la pienezza del sacramento di Cristo
e ad inoltrarsi con la mediazione
della "donna"
nella conoscenza e nell'annuncio
del Mistero
tutto presente nella persona del Verbo
già articolato nelle parole della Scrittura.
Mistero che,
rivelatosi nell'unità della Parola,
è chiuso tuttavia con sette sigilli.
Ma il Cristo è risorto
ed ha mantenuto la sua promessa:
lo Spirito di verità è stato inviato
e oggi anima la Chiesa
a sbloccarsi dallo scientismo razionale e periferico
della conoscenza biblica
e a muoversi nel mistero delle Scritture
con l'ausilio della mente
sapienziale ed eterna del cuore.
Opera a cui contribuirà la donna
nella sua qualità di segno
e di richiamo,
con la sua sollecitazione
e con il suo personale carisma.

Come nella creazione
la donna introdusse l'umanità
all'attitudine religiosa,
e con la sua presenza aprì il cuore dell'Uomo
al dialogo con il Padre;
come nella redenzione
la "Donna" aprì l'umanità

alla salvezza portata da Cristo;
così nella santificazione,
nel tempo dell'azione dello Spirito,
risveglierà l'umanità alla coscienza
della dimensione eterna
del cuore.
dove è radicata la somiglianza,
il germe della "figlia"
da formare "sposa".

Diletti Fratelli dell'amata Chiesa di Cristo,
che esitate perché temete di tradire
l'eredità di Cristo,
così dice il Signore:
"La mia eredità ha uno sviluppo eterno
e voi vedrete l'eredità,
ma non misurerete il suo
perpetuo manifestarsi.
Avrete in possesso Dio stesso
e il suo eterno manifestarvi
la sua Novità
che procede con la vostra crescita.
Dalla vostra capacità recettiva
dipende la misura del dono di Dio,
la conoscenza del mistero di Cristo,
la partecipazione crescente
alla somiglianza con la Trinità.

Apritevi oggi alla Novità dello Spirito,
apritevi alla luce
che vi viene dal cuore
dove vive la "figlia" divina.
Io ho un progetto d'amore
per tutti i figli della terra,
ma guardo con gelosia
alla "figlia"
che ho tratto dal mio seno
per donarla al Figlio.

Rispetto l'Uomo
che ho fatto con le mie mani
affinché attraverso l'immagine
compia l'opera che accresce la somiglianza
e sviluppi la Sposa.
Il mio progetto è di amore per tutti:
mio il cielo, mia la terra,
miei gli inferi;
mio il tempo per l'attesa
della crescita della "figlia".

Questo vuol dirvi il profetismo femminile:
"Il tempo è venuto
di superare i confini delle interpretazioni
storico-salvifiche del passato.
Conoscenze autorevoli sì, ma proprio per questo
vive e aperte a ulteriori perenni sviluppi.
La Dinamica del Risorto
conduce il suo popolo a realizzare
la promessa del" cuore nuovo"
in uno "spirito nuovo"
che ci inoltrerà nella conoscenza
della verità tutta intera
e per la quale non sarà più necessario
dipendere l'una dall'altro,
la donna dall'uomo
perché tutti, dal più piccolo
al più grande conosceranno Dio.

(Continua)

Semi di resistenza

IL LIBRO DELLA PACE... IL VIAGGIO CONTINUA.
Bernard Benson 1993 Edizioni Gruppo Abele v. Giolitti 21 - 10123 Torino tel. (011)8395443/4/5
L. 26.000
La seconda parte del Libro della Pace racconta che il ragazzino del Libro della Pace, crescendo, ha intrapreso un nuovo compito, ancora più difficile del primo, in cui ben pochi avevano creduto... fino a quando non vi riuscì.
Qui vedremo come, dopo essere stato di grande aiuto nello scioglimento del Conflitto Est-Ovest, si accinse a... liberare in un sol colpo Tutto il Mondo dalle Armi, come Regalo di Compleanno per
tutti i bambini del Mondo per l'anno 2000. (prefazione)
Bernard Benson, fisico e filosofo, dopo aver contribuito in campo scientifico a grandi innovazioni tecnologiche in campo militare, ha scelto di cambiare totalmente vita per dedicarsi a un'intensa attività per la pace. Dopo aver pubblicato "Il libro della pace" e "Il cammino della felicità", che lo hanno fatto conoscere universalmente quale ambasciatore del Nuovo Mondo, torna oggi sul tema del disarmo totale, una meta su cui ha trovato il pieno e personale appoggio del Dalai Lama (dall'ultima di copertina).

ABITARE LA DISTANZA
Per un'etica del linguaggio
Pier Aldo Rovatti 1994 ed. Feltrinelli L.25.000
Abitare la distanza è una condizione, la nostra, caratterizzata dalla contraddizione e dal paradosso: siamo dentro e fuori, vicini e lontani, abbiamo bisogno di un luogo, di una casa dove "stare", ma, poi, quando cerchiamo questo luogo, scopriamo il fuori, la distanza, l'alterità.
Non possiamo restare soltanto dentro noi stessi, ma non possiamo neppure vivere soltanto nel fuori e nell'altro: così oscilliamo in una sorta di pendolo. Ma 'Abitare la distanza' non descrive solo
una condizione "impossibile": indica soprattutto un gesto, un modo, un atteggiamento, un come stare nel paradosso. Perciò si parla di un'etica. L'atteggiamento puramente conoscitivo non è sufficiente per abitare la distanza. Vengono qui raccolti molti segnali dello scenario della filosofia contemporanea; altri segnali fanno cenno nella medesima direzione: una duplicità, uno "strabismo", un modo inabituale di stare nelle cose. Il libro cerca di lavorare questi segnali come testi, pezzi di scrittura che vanno interrogati anche nei loro silenzi e nelle pieghe, con un'attenzione fino alla singola parola. L'abitare la distanza potrebbe infine essere un 'ospitare' la scrittura, caricandocene però addosso tutto il peso, la responsabilità. (copertina)

PARADOSSO sostantivo maschile. Idea contraria all'opinione comune, e, apparentemente illogica, la cui validità è invece dimostrabile. Ad esempio, il "paradosso idrostatico di Pascal", per il quale, a parità di altezza di un liquido e parità dell'area su cui esso grava, la pressione esercitata sul fondo di un recipiente è indipendente dalla forma del recipiente, cioè dalla quantità del liquido (che può essere diversa).
Comunemente significa opinione (valida o non valida che sia, sostenibile o insostenibile) espressa in una forma che la fa sembrare assurda. "Il piè veloce Achille non può raggiungere la tartaruga" (di Zenone di Elea, filosofo greco). "Se la nonna avesse le ruote sarebbe un carretto" (intercalare spicciolo). "E' proibito proibire" (dalla contestazione studentesca). Il paradosso è proprio di ogni ingegno spregiudicato, di ogni movimento rivoluzionario, di ogni nuova religione. Ma i paradossi, una volta entrati nell'uso, rischiano di trasformarsi in dogmi, cioè in verità indiscutibili. DIZIONARIO ITALIANO RAGIONATO
a cura di A.Gianni e L.Satta ed. G.D'Anna - Sintesi
via dei Della Robbia, 22
50132 Firenze



Preghiera per una nuova società

O Dio che tutto nutri, i tuoi figli implorano aiuto
Contro la violenza di questo mondo:
Dove i bambini hanno fame di pane e vengono nutriti di armi;
Hanno fame di sogni e sono riempiti di droghe;
Hanno fame d'amore e ricevono videos;
Hanno fame di pace e vengono assassinati nelle strade delle nostre città.

Iddio Creatore, eterno preservatore delle risorse,
Perdonaci per i doni che abbiamo distrutto.
Rinnova per noi ciò che sembra oltre la redenzione;
Chiama l'ordine e la bellezza ad emergere di nuovo dal caos.
Converti il nostro potere distruttore in un servizio creativo;
Aiutaci a risanare la capacità del nostro mondo di guastare ogni cosa.

Iddio liberatore, liberaci dai demoni della violenza.
Liberaci oggi dal demone nascosto della deterrenza
Che mette fucili accanto ai nostri cuscini e missili nei cieli.

Liberaci da tutti i demoni che accecano e ottundono i nostri spiriti;
Purificaci da tutte le giustificazioni della violenza e della guerra;
Apri i nostri cuori rinserrati alle sofferenze e ai poveri.
Iddio fedele, amoroso rinnovatore dello spirito umano,
Dischiudi i nostri pugni violenti in mani pacifiche:
Dilata il nostro senso di famiglia perché includa anche i nostri vicini;
Dilata il nostro senso di vicinato perché includa i nostri nemici
Finché la nostra risposta a te finalmente rispetti e abbracci
Tutta la creazione come prezioso sacramento della tua presenza.

Amen.

Pax Christi USA
348 East Tenth Street Erie, PA 16503-1110

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