La fedeltà deve liberarsi
dall'imitazione per liberare
la propria forma più autentica
Rinnovare questo nostro giornalino con una veste grafica che lo lega al passato (1976...) e insieme lo apre fiduciosamente al futuro, non è solo un'operazione di immagine.
E', prima di tutto, il risultato di un movimento interiore che si espande assumendo nuove forme e ridisegnando il nostro vivere quotidiano ed insieme gli impegni di presenza e di confronto. Sembra giunto il momento di andare oltre un impegno di fedeltà. O forse, la fedeltà sta uscendo dal necessario tempo di incubazione, in cui è soprattutto imitazione, per fiorire e tessere nuovi intrecci e liberare la propria forma più autentica. Anche il giornalino entra in questa corrente che non rinnega la sorgente, ma, al contrario, ne libera le energie. Affrontiamo un corso nuovo nell'identica e immutata spinta verso il mare vasto dell'umanità, della sua storia e della delicata trama del rapporto con Dio.
Non ci sono programmi editoriali e neppure l'intenzione di cambiare un rapporto con gli amici/lettori da sempre improntato all'offerta pura e semplice delle nostre riflessioni, delle nostre letture, delle nostre vicende. In una comunicazione tutta amichevole che della gratuità fa il suo segno distintivo ed accetta di iniziare e di scomparire senza che venga meno la fiducia, l'incoraggiamento per tutti coloro con i quali compiamo un tratto più o meno prolungato del cammino della vita.
Come una mano alzata a salutare e richiamarsi a Dio.
Ci è stato chiesto perché non cambiamo anche il titolo. Nato nel contesto dei ribollimenti immediatamente a ridosso del '68 questo titolo rischia adesso di essere letto in un senso tutto intimista e spiritualistico.
In parte perché si è perso il senso di una lotta (contro chi e per che cosa lottare?), ma anche, e forse più, perché siamo in grossa difficoltà nell'amare e cioè nell' essere coinvolti fin nel profondo di noi stessi da qualcuno altro da noi che sposta il centro del nostro interesse al di fuori di noi stessi. La complessità del nostro vivere, invece di stimolarci a nuove e dilatate polifonie, ci ha frenati e paralizzati. Nell'impossibilità di ascoltare perfino l'eco delle nostre ricerche, dei nostri valori, della nostra dedizione nell'ampio teatro della storia. Ridotti a canticchiare all'orecchio ciò che andrebbe urlato dai tetti, alla ricerca ossessiva di quel "la" che una volta ci ha fatto sognare e che ora suggerisce solo timidamente un ricordo.
Vorremmo che questo giornalino, conservando la sua vecchia testata, esprimesse un autentico crocevia: incontro di persone e punto concreto di resistenza.
Lotta e Amore li ritroviamo uniti alla radice della nostra vita, in un articolo di Sirio che dette origine al nuovo titolo dopo la stagione vivacissima de "La Voce dei Poveri" .
E così sono presenti nella lettera di Arturo e nelle riflessioni di Beppe.
Tratteggiano i testi di questo numero, i documenti e le poesie.
Acquistano - sempre la lotta e l'Amore - una prospettiva nel futuro, attingendo alle lotte del passato e all'Amore che le ha sempre alimentate. Non potremo quindi passare sotto silenzio il fatto che il 1994 segnerà quarant'anni da quando il Vaticano decise la sospensione dell'esperienza dei pretioperai francesi. Decisione che determinò quattro anni dopo la fine di una esperienza ricomparsa solo tra le maglie allargate del Concilio.
E dovremo ricordare ogni giorno che il 1995 segnerà - evento terribile, universale - il 50° anniversario del lancio della prima bomba atomica sul Giappone. E soprattutto che in quell'anno scadrà il Trattato di Non Proliferazione delle Armi Atomiche. Sappiamo che i firmatari non rinnoveranno il loro impegno a non diventare potenze nucleari se le potenze attuali non firmeranno, a loro volta, il totale bando dei test atomici, riducendo in modo significativo il loro arsenale.
La Redazione
La quaresima brasiliana si apre ogni anno con la proposta di un tema che la C.N.B.B. (conferenza dei vescovi del Brasile) presenta come "campagna". La proposta vuole unire le due linee che danno senso alla quaresima. La penitenza e la carità, secondo il suggerimento biblico: "Il digiuno che preferisco e... : rimandare liberi gli oppressi e rompere ogni giogo... spezzare il pane all'affamato, introdurre in casa i poveri senza tetto" (Isaia 58,7). Quest'anno il tema è espresso nella domanda che i discepoli rivolgono a Gesù nel primo incontro: "(Maestro) dove stai?". La chiesa brasiliana invita i credenti ad ascoltare la risposta che danno i poveri come risposta che dà oggi l'interpellato Gesù. Il primo giorno la chiesa locale di Foz do Iguaçu ci ha convocato ad assistere a una videoregistrazione in otto parti; dalla ricerca di dimora del primo uomo che muove i suoi passi sulla terra fino alla dolorosa ricerca di domicilio della famiglia brasiliana oggi. Si voleva fondare il diritto alla casa e alla terra su cui erigere la casa, come un diritto "naturale" dell'uomo e soprattutto della famiglia. Impossibile pensare la famiglia senza casa.
Come strumenti per presentare la campagna e coscientizzare il mondo cattolico, erano stati disposti simmetricamente una lavagna e un televisore; e della loro presenza simultanea voglio parlarvi. La lavagna presentava il problema casa in cifre: quanti senza tetto in ogni stato, quanti 'favelati' (baraccati), quante nuove abitazioni popolari costruite per anno, ecc. Il videoschermo presentava volti scavati, piedi scalzi o appena calzati di una suola, che avevano percorso centinaia di chilometri in cerca di un tetto e pochi metri quadri di terra nel paese di quasi otto milioni di chilometri quadrati di superficie, di bambini ammassati sotto i ponti metropolitani di Sao Paulo, di vecchie sedute davanti a una porta avvolte nel fumo delle braci sparse sul suolo. Pensavo che il tema svolto in immagini si avvicinava al metodo di Gesù quando cerca di smontare il cervello del dottore della legge abituato a includere il tema del prossimo nelle sue categorie legalistiche dissolvendolo in distinzioni sottilissime per sfuggire alla sua responsabilità. Il Vangelo ci dà due tocchi che dimostrano la reazione dell'uomo di tutti i tempi. Il dottore va da Gesù "per metterlo alla prova" in atteggiamento di difesa e rivolge una domanda "volendo giustificarsi": vuole sbrigarsela senza pagare un prezzo troppo alto. Gesù gli risponde in immagine: dalla lavagna allo schermo. Un uomo moribondo sulla nazionale Gerusalemme-Gerico; non ha carta di identità; potrebbe essere uno dei "tuoi" come un estraneo, uno straniero. Tu puoi farlo "prossimo" o condannarlo a morte come uno con cui non hai nulla a che fare. parrebbe logica la conclusione: il metodo visivo è molto più evangelico di una predica. Ma è noto che milioni di spettatori vedono morire, boccheggiando per fame, gli scheletri ieri del Biafra ed oggi della Somalia, reagendo con 1'indifferenza, ripulendosi gli occhi con lo spettacolo successivo di corpi bellissimi e di ambienti senza problemi. O cercando di scaricare il morso sempre meno irritante della vespa-colpa sul governo che "deve intervenire urgentemente", o sull'ONU che "non si sa bene che ci stia a fare" o sul "superfluo" preparato per i centri di soccorso. Gli elementi laici e quelli cristiani che compongono la nostra cultura si accordano nell'insegnarci il metodo di sfuggire alla nostra responsabilità: trascrivere sulla lavagna come notizia, o, come tema per un programma di assistenza, l'immagine.
La grande rivoluzione cristiana non è ancora entrata nella storia. Si tratta di una inversione di marcia: non è chi sta bene che va incontro al povero; è il povero che va all'incontro o allo scontro con l'altro. A quelli che si stanno palleggiando da anni la scelta dei poveri cadendo nel ridicolo, basterebbe dire - perché passassero dall'allenamento al gioco vero, - che "non siete voi che dovete scegliere i poveri; sono i poveri che devono scegliere voi. E il fatto che voi rimandiate la scelta di anno in anno non sarebbe il segno che non siete stati scelti? E non sospettate di essere vittima di quell'umorismo di Dio che fa trovare a mani vuote quelli che erano al sicuro di essere gli eredi legittimi?". Ai bisogni messi in cifre sulla lavagna, può provvedere 1'uomo con le proprie risorse: non c'è assolutamente bisogno di fede, di religione, di Dio. Inquadrare la scelta dei poveri in un programma religioso è quasi offensivo per i laici. Le stesse reazioni che si hanno in Italia le ho colte anche qui: "bisogna interessare il governo, bisogna che i politici conoscano il problema" . Quello che può rendere significativo il cristianesimo oggi non è assolutamente la scelta dei poveri, ma è questa capacità di fare del povero che ci viene incontro il contenuto della nostra storia di fede e della relazione con il trascendente. Tutti i biografi di Francesco d'Assisi cominciano la sua storia dall'incontro con il lebbroso che da estraneo e separato egli rende "prossimo" . L'energia che lo muove all'abbraccio è la colpevolezza di essere uno che ha fatto del lebbroso un separato, un lontano. Un filosofo ebreo ha capito perfettamente questo: non ho mai trovato prima di lui e fuori di lui un esegeta che abbia capito la rivoluzione del Cristo come lui. Non so che fortuna avrà Levinas nell'Occidente cristiano, ma io non vedo altra possibilità per il cristianesimo di essere significante - specialmente per la gioventù -, della proposta rinfrescata da Levinas di partire dal volto dell'uomo segnato dalla morte che, accusandoci, ci offre la possibilità di scoprire l'amore come unico senso della vita. Prego questo per me e per voi in questa Pasqua dolorosa e piena di speranza.
Vostro
fratello Arturo
Ogni tanto, anche se per brevi momenti, mi capita di trovarmi solo sulla spiaggia che si apre sulla distesa del mare ai limiti del piccolo fazzoletto di terra sul quale vivo la quasi totalità della mia vita quotidiana. Sono momenti molto belli nei quali mi ritengo fortunato di poter dolcemente affondare i piedi sulla sabbia fine e morbida, mentre lo sguardo spazia verso l'orizzonte totalmente aperto, senza confini né barriere. Con lo sguardo, anche il cuore e l'anima si aprono ad una misura di comunione con la vita che mi ridona il senso della leggerezza e della fiducia dentro la fatica delle vicende piccole o grandi di cui è intessuto il nostro cammino.
Sento quasi fisicamente che il mio respiro ritrova la sua ampiezza e la sua apertura e mi sembra di essere più capace di ascoltare, tra l'andare e il venire incessante delle onde, il misterioso "soffio della vita". Quasi il respiro di Dio. Tutto questo, per me, non è davvero vuoto sentimento romantico o sentimentalismo di superficie. Su questo tratto di spiaggia, pieno di mille cose portate dal mare, ricoperto soprattutto di radici, rami, spesso di interi alberi venuti qui chissà da dove, ho trovato il mio "romitorio", il mio semplice eremo nel quale mi lascio andare dolcemente, senza sforzo al ritmo interiore dei pensieri e delle riflessioni. Pensieri e riflessioni che avranno sicuramente la stessa mobile consistenza della sabbia, ma che rappresentano un modo semplice di cercare di accogliere sulla misteriosa spiaggia dell' anima questo inarrestabile fluire del mare della vita. Dall'ultimo numero del nostro giornalino sono passati diversi mesi. E' stato un periodo veramente carico di rivolgimenti, di mareggiate, di un vorticoso ribollire di vicende: mi è impossibile farne un elenco preciso, dettagliato. Ma precise e dettagliate sono le sensazioni che mi hanno attraversato l'anima, le "ondate" che sono venute ad arenarsi sulla spiaggia del cuore portando con se una grandissima varietà di materiali d'ogni genere.
In questo tempo mi sono sentito molto simile alla spiaggia sulla quale il mare scarica da sempre tutto ciò che riesce a portare a riva. Mi è arrivata soprattutto l'ondata di sofferenza e di angoscia indicibile delle popolazioni balcaniche, in modo particolare della Bosnia, così oppresse e schiacciate da una logica di morte che sembra emergere da chissà quali profondità di pura follia e di incredibile assurdità. Mi ha ferito in maniera drammatica la misura della crudeltà che questa guerra ha manifestato ed espresso, il grado di disumanizzazione che ha raggiunto, l'impossibilità di trovare vie di ragionevolezza e di riflessione. Il grido delle migliaia di profughi in fuga dalle loro case, dai paesi, dalle città mi ha raggiunto e penetrato l'anima. Mi sono sentito a lungo interpellato da questa terribile tragedia che prima di tutto ha fatto nascere dentro di me un senso di enorme impotenza. L'amore, la pace, la fraternità, la convivenza nella diversità, la possibilità di comunione, di amicizia... tutto è messo in questione da questo impazzimento di cui la guerra balcanica e espressione tragica e terribile. Mi sono interrogato a lungo sul mistero dell'amore di Dio, sul suo "silenzio" dentro il fluire della storia, sul significato che tutte le religioni hanno realmente nel tessuto vivo dell'esistenza concreta delle persone. L'economia, la politica, la cultura, la razza, la patria...
Quanti fili legano misteriosamente fra se il fragile tessuto dell'esistenza umana e la possono rendere una meravigliosa realtà di luce e di vita, oppure un groviglio terribile di orrore e di morte.
Nel mio eremitaggio marino, spesso battuto dalla brezza invernale, ma anche illuminato dalla luce straordinaria di certi tramonti trasparenti e dolcissimi, ha bussato molto spesso alla porta questo senso di misteriosa solitudine in cui certi avvenimenti non possono non sospingere e a volte rischiare di soffocarci. credo di aver compreso meglio, più in profondità, chi è lacerato dal dubbio sul senso della vita, sul significato della storia, sul valore di una fede che non riesce a trasformare la durezza dei nostri cuori di pietra per farne dei cuori di carne palpitante, viva, aperta all'incontro e alla comunione.
Mi è tornata molto spesso alla mente la vecchia affermazione filosofica: "l'uomo è un lupo per l'uomo"... E nello stesso tempo, in modo quasi impercettibile, sono riaffiorate dalle profondità dell'anima le stupefacenti parole di Gesù (forse fiorite anche in lui lungo le rive del mare di Galilea): "Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi... Non portate con voi né bastone né borsa né due tuniche ... ". Parole meravigliose, cariche di luce e di forza, indicazione precisa di una scelta da compiere ogni giorno, ad ogni levar del sole. Parole di lotta e di amore straordinario, di scelta di vita fraterna, di rinuncia cosciente ad ogni forma di potere opprimente e violento, di coraggiosa volontà di affrontare la vita secondo una logica di attenzione amorosa per ogni essere vivente, di dialogo, di incontro, di premurosa condivisione, di disponibilità - se necessario - al dono di se, sempre, senza eccezione alcuna. Nel mio camminare sulla sabbia ho ripensato a lungo, a cuore aperto, a tutta la storia di Gesù, alla sua vita, alle sue parole, al suo misterioso destino, raccogliendo attraverso di lui tutto questo groviglio del mistero del mondo. Soprattutto il dolore, l'odio, la malvagità, la pazzia, l'assurdo... l'incapacità terribile di "vedere" la verità delle cose, di amare senza timori, di essere semplicemente delle creature in mezzo ad altre creature, di abolire alla radice i maledetti concetti di appartenenza alla razza, alla patria, alla casta, al partito, alla religione... La visione evangelica è davvero straordinaria perché la storia di Gesù apre su orizzonti illimitati, aperti, senza misure e senza confini: proprio come questo mare il cui orizzonte mi si allarga davanti ricolmato di luce, cullato dalla musica dolcissima dell'acqua che rifluisce verso la terra portando con se i colori del cielo. Mi sale su dall'anima una voglia grandissima di essere pienamente uomo, di quella umanità sognata da Dio e realizzata in modo così unico da Gesù Cristo. Mi pare di capire come non mai prima d'ora il senso profondo di questa sua frase: "L'opera di Dio è questa: conoscere te, Padre, e colui che hai inviato". Questa è la radice, il segreto, la forza, l'energia, il progetto... La ricerca cristiana mi obbliga a scrivere sempre piu a fondo, dentro la dura scorza della vita, nelle terribili contraddizioni della storia, nel mistero della malvagità e della crudeltà delle creature, senza difendermi dal male, dalla violenza, dalla pazzia che sembra dominare e determinare lo svolgersi delle vicende e il ritmo della vita. Nel profondo di questa desolata solitudine mi è di nuovo apparso il meraviglioso splendore dell'avventura di Cristo. La sua pienezza di umanità, la sua forza, la sua lotta, la sua immensa dolcezza e nello stesso tempo la sua durissima capacità di resistenza, il suo amore capace di croce... Ho sentito rifiorire dentro di me la fiducia e la speranza. Nonostante tutto, non posso maledire la vita. Voglio raccogliere tutto dentro di me, senza difendermi da niente, aperto e disponibile come questa spiaggia che sopporta i miei passi, sulla quale si sono radunati detriti di ogni genere venuti da lontano. Anche sulla spiaggia dell'anima mia ci deve essere posto per le lacrime amare degli orfani della Jugoslavia smembrata e divisa a colpi di odio e di fucile (serbi, croati, sloveni, cattolici, ortodossi, musulmani), per l'indicibile dolore delle donne violentate, per i morti di fame e di freddo, per le strade delle città e i campi sportivi trasformati in cimiteri, per i cuori degli uomini e delle donne di ogni etnia induriti dalla vendetta, per il tragico destino della città di Sarajevo che rappresenta il drammatico simbolo della resistenza e della follia prodotte dalla guerra. Certamente tutto questo è niente di fronte al terribile rumoreggiare di questo mare agitato da una tempesta carica di distruzione e di morte. E' la mia piccola lotta, il mio piccolo contributo di amore, la mia debolissima maniera di partecipazione ad una storia di lacrime e sangue che spezza l'anima. Sento pero che mi è chiesto di compiere questo gesto di profonda umanità, dentro me stesso, abbattendo ogni barriera etnica, religiosa, sociale. Sento molto intensamente che questa è una via di liberazione, una strada decisiva da percorrere con tenacia e fedeltà: superare "dentro" ogni concetto di appartenenza che soffochi e chiuda, che innalzi frontiere, steccati, divisioni, limiti, confini... Non è vuota poesia o inutile utopia né assurdo sognare e fantasticare: "Nostra patria è il mondo intero, nostra legge è la libertà" e ugualmente nostra razza l'umanità, nostra regola l'amore, la fraternità, l'amicizia, l'accoglienza delle diversità, il rifiuto di ogni logica di guerra, di sopraffazione economica, di volontà di dominio.
Sento con molta umiltà e dolcezza che tutto questo sogno è una realtà possibile e concreta e la voglio raccogliere con estrema semplicità ma anche con tutta la tenacia della mente e del cuore. La raccolgo di nuovo come una preziosa conchiglia venuta da lontano a posarsi sulla fragile sabbia della mia vita: il mistero di Gesù, di quest'uomo meraviglioso e straordinario che mi è stato dato d'incontrare sul mio cammino, mi ha riaperto sentieri e spazi di liberazione. "Figlio dell'uomo - Figlio di Dio": pienezza di vita liberata da ogni logica di morte, forza liberatrice di energie di comunione e d'incontro, radice capace di sostenere scelte di rifiuto di ogni appartenenza che produca strutture di violenza e di sopraffazione (anche se "benedette"!). Lotta per una umanità liberata a misura del progetto del suo Creatore. Amore per un'esistenza umana abitata dal sentimento dolcissimo della fratellanza universale. Terra e Cielo che si incontrano, si riconoscono e si accolgono in un unico abbraccio.
don Beppe
El solo ser mujer
es sinonimo de cambio
pues por tantos siglos
hemos sido reprimidas
que nuestro amor a la vida,
esta reventando
en defenderos y amarnos
a nosostras mismas.
Como el sòlo habiar o mirar
por propria iniciativa
son acontecimentos subersivos,
poco a poco estamos comprendiendo
que basta liberar
nuestro labios prisioneros
o nuestras miradas seca,
para ir aprendiendo
a arrojar las piedras,
acquiriendo conciencia
de que ser mujer
es en si
una bella razon
para luchar
cambiar
vivir
morir.
Erede del Tribunale Russe1 sul Vietnam (1968) e sull' America Latina (1973-74), dal 1979 in poi, il Tribunale permanente dei Popoli (Fondazione Lelio Basso) ha tenuto varie sessioni in cui ha chiamato in causa come imputati i governi dei singoli paesi (Guatemala, Salvador, Afghanistan, Timor, Etiopia, Puerto Rico, Amazonia Brasiliana) accusati di genocidio, di massacri e varie forme di oppressione a danno della sopravvivenza di un popolo o di un'etnia.
Alla fine, esaminati i capi di accusa sulla base di prove, testimonianze, documentazioni ed ascoltati i rappresentanti dei governi imputati con diritto di difesa, il Tribunale ha emesso verdetti morali sui crimini e le violazioni gravi di diritti umani riconosciuti ai governi imputati e ai loro complici. Fra le ultime sentenze: quelle sul FMI (Fondo Monetario Internazionale), sull'impunità per i crimini di lesa umanità in America Latina, su la Conquista dell' America e il Diritto Internazionale. Tali sentenze non sono altro che la lettura formale e articolata dei metodi di liberazione sperimentati, al di fuori o contro la storia ufficiale, da quel "campione" di popoli che hanno assunto come proprio mestiere (con tempi più o nemmeno lunghi, con successo o meno) quello di creare nella storia spazi e modi di vita non predeterminati dal potere costituito.
dall'introduzione di Gianni Tognoni al libro TRIBUNALE PERMANENTE DEI POPOLI LE SENTENZE 1979-1991 - Nuova Cultura Editrice/Bertani editore Verona ottobre 1992
Nell'ultimo numero dello scorso anno, abbiamo chiesto ai nostri lettori di restituirci una cartolina stampata nell'ultima pagina di Lotta come Amore.
La nostra intenzione non è stata quella di fare un sondaggio di opinione, tanto di moda ai nostri giorni, quanto principalmente quella di aggiornare un indirizzario che ci portiamo dietro da oltre trent'anni. Rinnovato certo attraverso rinunzie e nuove adesioni, ma non a sufficienza di fronte a due ordini di considerazioni. Il primo, tutto economico per l'aumento generalizzato e sostanziale dei costi di spedizione, è quello di disperdere carta il meno possibile. Il secondo, molto più importante e decisivo, riguarda il modo stesso con cui Sirio ha raccolto questo indirizzario, prima per La Voce dei Poveri, poi per Popolo di Dio e infine per Lotta come Amore. Un indirizzario raccolto attraverso una lunga e progressiva presenza, attraverso incontri, rapporti di amicizia, lotte e dibattiti, conferenze e teatri popolari...
Beppe ed io questo indirizzario l'abbiamo in gran parte ereditato. Credo sia giusto che anche noi - se vogliamo continuare a pubblicare il giornalino - dobbiamo fare la nostra parte continuando a tessere rapporti improntati ad una amicizia fattiva e sincera e a cercare di significare - per gli amici che ricevono il giornalino - un motivo di fiducia e di serenità; da veri compagni di strada.
Speriamo che le nostre personali energie ci permettano una fioritura umile e semplice di gesti e segnali di incoraggiamento per la vita quotidiana di tanti di voi e che la Chiesetta nascosta nell'angolo d'ombra del porto di Viareggio riscopra la gioia di lasciar gonfiare le vele al vento.
Per quanto riguarda la raccolta concreta delle cartoline, questi sono i "risultati" al 28/02/93:
- cartoline ricevute: 250 (12%)
Alcuni amici ci hanno confermato a voce l'intenzione di continuare a ricevere Lotta come Amore. Data la nostra proverbiale 'distrazione' preghiamo tutti di inviarci almeno un appuntino scritto.
Ringraziamo tutti coloro che l'hanno fatto con un vaglia o accludendo moneta per un sostegno economico.
Ringraziamo anche coloro (circa una ventina) che hanno scritto dicendo di non voler piti ricevere il giornaletto.
Continueremo ad inserire la cartolina per tutto questo 1993 in modo da 'aiutare' anche quelli più in difficoltà con la disponibilità di tempo a venirci incontro in questa revisione dell' indirizzario.
E' problema cristiano fondamentale da secoli, ma specialmente del nostro tempo, scoprire e chiarire come sia possibile, e anzi quanto sia giusto, che lotta e Amore non si escludano in maniera irriducibile, quasi come realtà contraddittorie, ma possano invece - in una visione cristiana seriamente approfondita e vissuta - integrarsi fino alla verità e alle misure estreme di Regno di Dio, fino alla possibilità cioè che lotta possa essere autentica realtà di Amore. (Scriviamo sempre Amore con lettera maiuscola perché ~ sinonimo di Dio, espressione unica e perfetta del suo essere e della sua volontà, mistero di Cristo nella sua essenzialità, unica realtà di unità e comunione tra gli uomini...).
Perché lotta e Amore possano risultare valori addirittura complementari quasi fino al punto che dove non è lotta non può esservi Amore e conseguentemente dove è Amore vi dev'essere lotta, bisognerebbe chiarire il concetto esatto di lotta, la sua positività, il suo valore attivo, costruente, liberandolo da tutto quell' asservimento egoistico che ha inquinato il significato vero, puro, di lotta, riducendolo ad un fatto, ad un mezzo di conquista a tutti i costi, ma specialmente a prezzo pagato dagli altri, dai valori, dalla libertà, dal rispetto, dalla vita stessa degli altri, per affermazione di se, dei propri egoismi, dei propri trionfi, dei propri interessi.
Fino al punto di pervertimento è arrivata la idea di lotta, che lottare significa odiare, la lotta è per vincere, per sopraffare e passa unicamente attraverso la via obbligata della violenza. E violenza fino alle misure del sangue.
Del resto lo stesso pervertimento, anche se a percorso diverso, è toccato alla parola Amore. E così gravemente, che nella ricerca di un linguaggio spiritualistico, predicatorio, pietistico, Amore è sostituito da Carità, tanto la parola e di uso profano. E sta ritornando nel parlare spirituale, evangelico e teologico perche ormai carità vuol dire elemosina, lo spicciolo dato al povero all'angolo della strada, il vestito dimesso regalato alla S. Vincenzo parrocchiale.
E' la storia di valori meravigliosi, fondamentali, nati e sgorgati dal Mistero di Dio e significanti la sua natura divina ed espressi dal suo donarsi adorabile, dal suo comunicarsi infinito, a poco a poco disorientati, smarriti, deformati, immiseriti fino a chiudersi in significati che appena appena un cuore limpido e un' anima adorante riescono a sentirvi adombrato - come una nostalgia a richiami lontanissimi - il mistero iniziale. Quello di Dio.
Non è più possibile - ma da quando? - se non nella beatitudine dei puri di cuore vedere Dio e trovarlo e viverlo nell' Amore.
Pare strano eppure è così: la verità che dovrebbe essere la più semplice ad accogliersi e a viversi con la felicità più profonda: "Dio è Amore" diventa quasi inavvertibile, inafferrabile, quasi incredibile, perché non sappiamo cosa vuol dire Amore, non riusciamo a coglierne la realtà, la concretezza, sfumandosi ed evanescendo in un sentimento, in una sensibilità fisica, in un qualcosa di bambinesco, di femminile, di erotismo insomma, purificato ed affinato quanto si vuole, ma non in modo tale che possa uscire finalmente dai conventi, dai libri di pietà spiritualistica, da misticismi sospirosi e affacciarsi sulle piazze, a mescolarsi fra le folle, camminare a fronte alta per le strade a segnare un orientamento, entrare nelle fabbriche a lievitare una liberazione, decidere nei rapporti umani e diventare forza di costruzione sociale, determinazione del corso della storia.
Perché tutto questo avvenga, c'é semplicemente una cosa da fare.
Ridare all'Amore il suo vero ed essenziale significato, facendone una realtà di lotta.
Riprendere a lottare realizzando una lotta forte unicamente della violenza dell' Amore e motivata soltanto dalla necessità irresistibile dell'Amore.
Tutta la storia della rivelazione, dalla prima pagina del Genesi, all'ultima dell'Apocalisse, è storia della lotta d'Amore e per Amore, lottata appassionatamente da Dio.
Perché la creazione è lotta vittoriosa contro il vuoto del nulla. E la realtà di continuità di questa lotta è nell'aurora di ogni giorno.
E l'inizio di altra lotta è l'apparire, quasi nato da una inimmaginabile lotta di tutto l'universo, dell'uomo. Quasi ad essere "l'altro" col quale Dio' è a lottare perché il suo Amore possa misurarsi nelle sue misure più infinite.
E poi l'Esodo di allora e di sempre del popolo eletto e di ogni uomo per l'incessante lotta di liberazione da un abbarbicarsi testardo, per una richiesta continuamente pressante di disponibilità all'Amore verso una conquista senza riposi di terra promessa dove scorra il latte e il miele della gloria di Dio e dell' Amore fra gli uomini.
Fino alla pagina che narra della lotta personale vissuta dall'Amore che si e fatto carne. Perché Gesù Cristo è unicamente e totalmente lotta. E' Dio perche è Amore che lotta. E lotta unicamente Amore, attraverso l'Amore, tutto rivolto all'Amore.
Questo adorabile amore di Cristo che è lotta allo scoperto e con violenze d'amore infinite. Perché da questo mondo l'odio fiorisca dell' Amore da renderlo ancora creazione di Dio. Perché in quest'umanità maledetta gli uomini si ritrovino fratelli. Perché una voce a corale senza fine salga fino al cielo a chiamare: Abba, Padre.
E da questa lotta d'Amore la lotta della povertà contro la ricchezza. Della verginità contro la lussuria. Del servire a Dio solo, respingendo ogni altro servilismo.
Lotta d'Amore e quindi libera, allo scoperto, senza paura. Con sicurezze assolute.
Lotta umile e semplice, senza trionfi e glorie, come una obbedienza infantile e una strategia sicura, a misure universali.
Amore che lotta e quindi lotta per la quale si muore. Ma la morte ancora come lotta. Perché possa essere una morte Amore.
E la sua Resurrezione è la lotta contro la morte. Contro la morte che imperversa nel mondo - e quanta morte oltre quella che spenge gli occhi e ferma il cuore - sta la lotta della sua Resurrezione a dare vita eterna a chi crede in Lui.
Cristiano è chi crede che l'Amore è lotta e vi gioca la sua vita.
E' tema che vorremmo tanto approfondire nonostante la nostra impreparazione, rimediabile soltanto forse da un convincimento assoluto, da una Fede chiarissima, che nella profondità dell'Essere infinito di Dio vi è come una sorgente di fuoco, di luce che si allarga sempre più a vincere le tenebre fino allo splendore di tutta la luce.
E' in questo mistero di lotta d'Amore che squassa la storia in vicende così drammatiche di disperazione e di speranza, che, sentiamo l'annuncio del Vangelo come un grido di lotta perché l'Amore trionfi.
"Sono venuto a portare il fuoco e cosa voglio se non che si accenda?"
E' alla luce e al calore di questo fuoco che brucia e vuol bruciare che intendiamo lottare per essere un po' di Amore nel mondo.
don Sirio
Cultura africana: chi sei?
Sono l'intreccio di valori e significati
espressione di immagini e simboli.
Sono la danza, ed insieme il canto e il tamburo.
Il cibo e il modo di mangiarlo
la veste e come la indosso,
l'arte multiforme.
Sono la musica,
le cerimonie, i riti.
Ti dirò che se dovessi
raccontarti tutto di me
non ti basterebbe la carta al mondo
e l'inchiostro:
Io sono la vita, vita vissuta,
e si può capir la vita solo vivendola.
Voglio dirti però
che io sono anche identità.
Un uomo, una donna
sono quello che sono perché io sono
e dò senso alla vita.
Chi non mi possiede è distrutto.
Ombra senza volto, anonima.
Pezzo di legno alla deriva
in balia delle onde
senza una meta.
Io sono unità
raccolgo gente
riscaldo l'incontro.
Dono l'appartenenza:
un motivo per vivere,
una ragione per morire.
Una visione del mondo
che si può comunicare,
un destino similare:
la vita non si può vivere in isolamento.
Non sono l'unica cultura al mondo;
ce ne sono molte altre, innumerevoli
come il bestiame degli Ila e dei Tonga.
Ho incontrato molte altre culture
e il primo incontro non è stato piacevole.
Sono stata squadrata dall'alto in basso
e quasi tutte le mie caratteristiche
sono apparse deformate:
"Se vuoi meritare il nome di cultura
così mi è stato detto -
devi rimodellarti, ridefinirt ...
meglio ancora, lasciati dietro
ciò che fa di te quel che tu sei
e adotta le nostre caratteristiche!"
Mi son sentita oppressa; era ingiusto, terribile.
Ho pianto, ma nessuno mi ha teso la mano.
Non ho avuto la forza di resistere:
stremata nella volontà, mi sono sottomessa.
Ma dentro di me accesi una fiammella di speranza.
Un giorno, dissi a me stessa,
un giorno sarà di nuovo io.
Le cose vanno meglio ora;
altre culture hanno cominciato
lentamente, a riconoscermi.
Esse si accorgono che anch'io
ho qualcosa da offrire: un'identità.
Io che ero storpia ho cominciato
di nuovo, a camminare;
le mie gambe sono ancora intorpidite
e la mia andatura e ancora lenta.
Ma so che presto sara diverso.
Quando il sole sorge,
nessuno può farlo rientrare
nel grembo dell'alba.
Joachim Pelekamaio
Nthawie Kinshasa
Zaire
(Questo é il risultato di una ricerca compiuta da giovani americani durante un corso sulla fame nel mondo. La ricerca é iniziata perché, come per il Biafra, il Bangladesh e l'Etiopia nel passato, la Somalia sembrava essere qualificata come il "paese affamato dell'anno". A parte questo nessuno aveva idee preconcette sulla Somalia.
La ricerca é stata pubblicata alla fine del 1992.)
Lo studio della mia classe iniziò da notizie che i mass-media ripetevano costantemente: i Somali soffrono la fame a centinaia di migliaia; presumibilmente la fame è causata da scarsità di cibo, siccità, sovrappopolazione e ignoranza; barbari signori della guerra impediscono che gli aiuti alimentari dell'Occidente raggiungano le popolazioni affamate; i governi occidentali sono preoccupati da questa inesplicabile situazione; l'invio di truppe americane restaurerà l'ordine e salverà delle vite.
Ma la ricerca dei giovani studenti rivelò che le vere cause della crisi somala includono:
La Somalia si trova nel Corno d'Africa, di fronte allo stretto golfo di Aden che separa l'Africa Orientale dallo Yemen e dall'Arabia Saudita. I paesi confinanti con questa regione cruciale hanno sempre interessato le potenze occidentali come la Gran Bretagna, l'Italia, l'Unione Sovietica e l'America. Gli USA hanno anche costruito un porto, sulla costa somala, così profondo da permettere l'attracco delle grandi petroliere e delle navi da guerra.
Perciò la preoccupazione per la Somalia e la restaurazione dell"'ordine" non è - presumibilmente - solo a scopo puramente umanitario. Il mondo sviluppato ha motivi per essere molto interessato. Dopo tutto è in ballo il petrolio. Tutto questo suona molto sospetto.
Gli interessi strategici e petroliferi dell'occidente furono in pericolo nel Corno d'Africa quando, dopo il 1969, sia l'Etiopia che la Somalia passarono dall'area capitalistica all'area socialista. Così esse divennero una pedina di una guerra combattuta per conto dell' America o della Russia.
La strategia americana, per questa guerra combattuta attraverso terzi, fu di dividere e conquistare. Ciò fu favorito da una disputa tra Somalia ed Etiopia riguardo al territorio dell'Ogaden. Mentre la Russia sostenne l'Etiopia, l'America allontana la Somalia dall'area socialista con la promessa di aiuti. Fu la guerra che ne seguì e non la siccità, la carenza di cibo o la sovrappopolazione, a produrre la fame, prima in Etiopia e poi in Somalia. Ignorando questo effetto, l'amministrazione Regan inondò di armi la regione. La Russia rispose nello stesso modo. In questo processo gli USA sostennero Siad Barre, già socialista e dittatore denunciato apertamente da organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International. I verbali del Congresso (Americano) sono pieni di discussioni sulla validità di un sostegno a Siad Barre alla luce del suo deprecabile abuso di potere.
Per giustificare il sostegno, alcuni membri del Congresso persuasero Siad Barre a rilasciare alcuni prigionieri politici. Gli stessi uomini politici che avevano suggerito la mossa, interpretarono questo come una dimostrazione della validità della politica USA nel portare la Somalia verso le riforme. Gli abusi di Siad Barre contro i diritti umani continuarono indisturbati.
La Somalia, in altre parole, rappresenta un altro punto critico del genocidio provocato e alimentato dalla politica USA di subordinare il rispetto dei diritti umani ai propri interessi economici e strategici.
Ultimamente uno dei seguaci di Barre, il generale Mohamed Farrah Aidid, si oppose al suo capo e lo depose. Tuttavia, invece di accettare il ruolo di Aidid, le potenze occidentali appoggiarono un (per loro) più malleabile presidente nella persona di Ali Mahdi Mohamed, uomo di affari e proprietario alberghiero. Quando Aidid rifiutò di riconoscere quello che lui considerava un fantoccio della politica neocolonialista, Mahdi entrò anche lui in campo con un esercito presumibilmente armato e sostenuto dai suoi ispiratori. In breve tempo anche Mahdi meritò la censura di Amnesty International per gli abusi contro i diritti umani.
Tre eserciti principali, da allora, combatterono per il controllo della Somalia. In modo diverso, però, ognuno era il prodotto della politica occidentale nel Como d'Africa.
In tutto questo la base del potere reale in Somalia - e cioè i capi dei clan - era stata del tutto ignorata. L'organizzazione in clan è molto diffusa: non c'è un singolo capo di stato con cui negoziare. Inoltre i capi dei clan non hanno mai accettato i valori dell'Occidente e neppure il fondamentale concetto occidentale della nazione-stato. Al contrario i capi delle tribù sono guidati da una visione religiosa del mondo e da un impegno che non permette nessuna aperta collaborazione con il sistema capitalistico. Come nel caso dell'Iran, i capitalisti non possono fare affari con gli integralisti islamici e in Somalia per il 99% sono musulmani.
Le ragioni storiche, il senso di colpa per la fame e l'etnocidio richiedono troppo tempo, un sacco di complicazioni e molto imbarazzo. Una soluzione militare e molto più semplice. Provvede a controllare una situazione definita caotica. Sarà un passo immediato per identificare i capi con cui avviare una collaborazione verso ben pubblicizzate elezioni tra i pochi scelti. Un processo 'democratico' così attentamente diretto stabilirà il tipo di governo con cui gli occidentali possono fare affari; non un governo tribale o islamico. Sarà più un governo neocolonialista che somalo.
I media hanno mancato del tutto il compito di aiutarci a comprendere una complessa situazione da Terzo Mondo. Il loro approccio astorico e superficiale nei confronti del problema somalo li rende responsabili unitamente ai nostri leaders politici per la crisi di quel paese. Con un sottile razzismo i nostri quotidiani, le riviste, gli opinionisti delle TV parlano di "signori della guerra", "tribalismo" e "caos".
Questa caratterizzazione ignora completamente il fatto che i principali signori della guerra sono creature dell'Occidente. Ciò autorizza tutte le parti interessate a ignorare la reale leadership della Somalia. Nello stesso tempo l'ignoranza prodotta dai media fa rivivere convinzioni quali la "barbara" natura delle popolazioni africane e il loro bisogno della continua tutela da parte dell'Occidente (quale "fardello dell'uomo bianco"!)
Questa ricerca di giovani studenti suggerisce che:
1. I nostri leaders dovrebbero accettare la loro corresponsabilità per la crisi della Somalia.
2. Dovremmo analizzare bene i fatti prima di mandare allo sbaraglio le truppe per un altro "fiasco" nel terzo Mondo.
3. Impariamo dal passato. Se si pensa seriamente alla Somalia non possiamo non sottolineare le similitudini con altri "peccati" dell'Occidente:
a. - Il problema somalo risuscita lo spirito delle Crociate: l'imposizione della civiltà occidentale sull'Islam la cui visione del mondo e i cui sistemi di governo l'Occidente ha rifiutato di comprendere e di accettare. Questo stesso rifiuto traspare continuamente nella politica israeliana verso i palestinesi, nelle relazioni americane con l'Iraq e nella guerra dei cristiani serbi contro i musulmani in Bosnia.
b. - Dal momento che i loro governi non seguono le categorie politiche del 'moderno' Occidente, le tribù somale - come d'altra parte i loro corrispettivi nelle Americhe - sono considerate "primitive" e i loro popoli sono costretti a cambiamenti radicali senza alcuna consultazione. c. - La politica americana in Somalia contraddice propositi difesi recentemente e senza compromessi in Iraq. "Reclamando" l'Ogaden Siad Barre, protetto dagli USA, ha agito esattamente come Saddam Hussein che nel 1990 ha invaso il Kuwait reclamandolo come parte integrante dell'Iraq. Nel caso di Hussein gli USA hanno chiesto rispetto per i confini imposti all'epoca coloniale che Hussein rivendicava come mai riconosciuti dai popoli tribali della regione. In netto contrasto, sostenendo le mire di Siad barre sulla regione etiopica dell'Ogaden, gli USA hanno rifiutato di rispettare le frontiere imposte dagli europei. La guerra fredda ha giustificato questo doppio criterio di giudizio.
4. Sarebbe bene consultare i somali prima di inviare truppe. Le organizzazioni internazionali degli aiuti come Save the Children sono tra quelle che più si sono opposte all'uso delle truppe USA od ONU per risolvere i problemi della Somalia. Un portavoce dell'organizzazione Africa Watch ha criticato l'ONU per non aver capito la complessità della situazione.
5. E' necessario fare del dispiegamento di truppe in Somalia solo e veramente l'ultima risorsa. I signori della guerra dovrebbero essere chiamati al tavolo della conferenza di pace usando la persuasione e le pressioni possibili.
6. Con i signori della guerra, creature dell'Occidente, dovrebbero essere chiamati in qualsiasi conferenza di pace anche i capi dei clan.
7. Una volta che gli aiuti alimentari abbiano alleviato l'attuale crisi somala, tutti i paesi del Corno d'Africa dovrebbero poter sviluppare le loro politiche di autosufficienza alimentare per nutrire i loro popoli, prima di impegnare risorse agricole per l'esportazione. L'opposizione all'autosufficienza alimentare sta al centro dei conflitti tra il mondo sviluppato e il cosiddetto mondo in via di sviluppo. La politica dell'autosufficienza alimentare dovrebbe essere permessa anche se interferisce con i principi del libero mercato o introduce elementi di socialismo o anche se chiude i porti all'utilizzo militare o commerciale da parte dell'Occidente.
La storia della Somalia è una vecchia storia con tutti i consueti elementi che costantemente si riaffacciano nelle crisi del Terzo Mondo: colonialismo occidentale, esperimenti del Terzo Mondo con il socialismo e ricorso alla soluzione favorevole all'Occidente con la forza delle armi. Prima che inizi quest'ultima impresa, dovremmo essere già in grado di riconoscerla per quello che è!
D. Michael Rivage-Seul
SERVITIUM
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Ho le mani vuote, tanto ho dato senza avere
ma le mani sono mie. (canto flamenco)
L'asino che gira la mola rimane sempre allo stesso posto. Il Vangelo secondo Tommaso dirà la stessa verità più brevemente: "Siate di passaggio". Non basta cambiare per liberarsi. E' necessario che ciò sia fatto per fedeltà d'amore.
Paul Gauthier
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Nato ìn Australia nel 1935, Hull è esperto di metodologia dell'insegnamento della religione ed è professore all'università di Birmingham; affetto da disturbi agli occhi fin dall'infanzia, ha perso completamente la vista intorno alla fine degli anni Settanta. "Il dono oscuro" raccoglie le sue penetranti osservazioni su ogni aspetto della sua vita: cosa significhi per un cieco attraversare una strada e più in generale orientarsi nello spazio; come si trasformino la memoria dei volti, i concetti visivi, le sensazioni tattili e olfattive, i sogni; cosa si provi a essere trattati come bambini, ''infantilizzati'' da amici e conoscenti.
John M.Hull
Il dono oscuro
ed. Garzanti 1992
Capita, a volte, passando per via, di ritrovarsi tra le mani un volantino, uno tra i tanti, che ti invita a partecipare ad una iniziativa. Questo è uno di quei volantini. Un volantino per dire che a Lecco si è costituita un'associazione che distribuisce libri e altro e ti invita a conoscerla. Un'associazione dal nome un po' strano: LA QUINTA ANATRA e, se ti piacciono le fiabe, puoi venire a scoprire perché si chiama così. Ci siamo associati perche ci unisce la passione per i libri e perche crediamo che i libri siano uno strumento privilegiato per comunicare alcuni messaggi.
Sergio e Valeria 0341/250398 Vania 0341/220069 Mariacarla 0341/493349
Gianni Tognoni
NEL SECOLO DEL VENTO:
terre città periferia uomini popoli.
Quaderno a cura de:
Quinta Anatra e Comunità di via Gaggio.
via C.Cattaneo 62 - Lecco tel. 0341/286106
Il "chi arriva oggi" è il segreto, la domanda della Quinta Anatra.
Problema culturale, come qualcosa che permette di fare politica, cioè di non abdicare a pensare di essere parte in causa, protagonisti, anche se ci si dice che non c'e via di uscita da queste periferie della vita così piene di nuovi migranti (i delusi-sconfitti della politica, gli immigrati-rifugiati crescenti di tutti i colori, i non-aventi diritto alla condivisione della terra).
La Quinta Anatra ritorna, con nuove compagne, verso il Nord, perche la parabola non sia più raccontata in un solo luogo o in un solo senso.
Francesco Guccini
Cinque anatre volano a sud
molto prima del tempo l'inverno è arrivato
cinque anatre in volo vedrai
contro il sole velato
Nessun rumore sulla "Taiga"
solo un lampo un istante ed un morso crudele
quattro anatre in volo vedrai
ed una preda cadere
Quattro anatre volano a sud
quanto dista la terra che le nutriva
quanto la terra che le nutriva
e l'inverno già arriva
Il giorno sembra non finire mai
bianca, fischia ed acceca nel vento la neve
solo tre anatre in volo vedrai
e con un volo ormai greve
A cosa pensan nessuno lo saprà;
nulla pensan l'inverno e la grande pianura
e a nulla il gelo che il suolo spaccherà
con un gridare che dura
E il branco vola, vola verso sud
nulla esiste più attorno se non sonno e fame
solo due anatre in volo vedrai
verso il sud che ora appare
Cinque anatre andavano a sud
forse una soltanto vedremo arrivare
ma quel suo volo certo vuol dire
che bisognava volare, che bisognava volare...
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455