LOTTA COME AMORE: LcA novembre 1992

La pace appartiene ai popoli

"Ho conosciuto tanti amici che hanno speso la vita per battersi contro la guerra, si sono consumata l'anima per promuovere l'avvento della giustizia, sono giunti a figgere gli occhi in imminenze di mondi nuovi abitati dalla pace... poi, all'improvviso hanno perso l'entusiasmo rompendo proprio sulla dirittura d'arrivo. Che cosa era successo? Hanno visto, magari, che la guerra esorcizzata del Golfo é riemersa in Jugoslavia, spenta nel Centro America é divampata nel Sudan, snidata dalle tenebrose caverne nucleari é ricomparsa nei funesti apparati delle armi convenzionali con la stessa quota di desolazione e di morte... e si sono ritirati delusi: tanto non c'é nulla da fare!
Ho conosciuto tanti apostoli della nonviolenza attiva correre su e giù per additare spazi affrancati dall'odio e dalla logica della forza. Ma poi é bastata la rimonta dei messaggeri di segno contrario, e la sufficienza teologale degli accademici, l'irrisione bruciante dei "maitre à penser" di turno e si sono accasciati distrutti.
Non hanno saputo superare il punto critico di rottura, da cui o sgorga la speranza o dilata la disperazione. Sono entrati in crisi da insuccesso. Hanno visto, cioè, allontanarsi le frontiere delle loro calde utopie, e non hanno avuto più il coraggio di additarle ai loro compagni di strada." (Mons.Tonino Bello in Il Mosaico di pace n.16 dic.1991)
A quasi un anno di distanza queste parole rimangono attuali a segnare una difficoltà in cui ci dibattiamo che non nasce tanto dalla disillusione quanto dalla incapacità di uscir fuori da una specie di intorpidimento, di paralisi, di fronte ad una situazione che si frammenta e si sbriciola in mille emergenze quotidiane.
Ci basta e avanza il carico dei problemi che si accumulano nelle ventiquattrore, fino ad esaurire il coraggio di un'utopia che si avvita sempre più nella constatazione di inutilità di ogni gesto che abbia rilevanza collettiva.
A volte, a raccontare come va, ci vuole tutta l'immaginazione per tirare fuori dei fatti - ma anche solo delle intuizioni - che non sappiano di già visto e raccontato. Antologie di nomi, di esperienze, di storie tutte dignitose e valide in sé, ma raccolte nelle classiche copertine d'archivio che segnano bilanci, ma non liberano sogni.
Così mi sembra l'impegno per la pace che non può essere rimproverato ai singoli gruppi e soprattutto ai militanti, ma che segna inequivocabilmente una caduta di tensione, una difficoltà lacerante e disarmante specie di fronte alle vicende della ex-Jugoslavia.
Pace é veramente parola molto grossa e, forse, l'essercene appropriati come gruppi, movimenti, ecc. ha finito per tradire chi pensava di poterne essere attore senza considerare la dimensione del problema. La pace appartiene ai popoli ed é molto difficile. Essa passa attraverso gli innumerevoli nodi delle differenze e dei confronti, penetra a fondo e percorre i crocicchi di ogni possibile diversità. Risale a passo lentissimo i dirupi scoscesi dove é possibile raccogliere la stima e la fiducia reciproca per poterla trapiantare e crescere nelle strade e nelle piazze, lungo i confini storici e quotidiani che ci dividono.
Pace va oltre la nonviolenza, la solidarietà, l'ecologia... Pace non é il nome di qualcosa, ma forse la sola autentica possibilità di dare un nome vero alle cose.
Per questo non può non stupire dolorosamente che sia così difficile alimentare un dibattito, una rilettura, una critica del muoversi in nome e per la pace durante questi lunghi mesi dell'odissea balcanica, facendo di questa terribile realtà il luogo di revisione di atteggiamenti di fondo e di motivazioni anche storiche.
Quanto e come un certo modo di parlare di pace comporta la conseguente dimostrazione che c'é un nemico da battere perché pace sia? Quanto e come la pace é ancora identificata con una ideologia, fosse pure supportata da una lettura nonviolenta di un vangelo? Quanto e come la pace ha finito di essere un sogno che ci sorprenderà per vestire gli abiti realistici di un frutto da cogliere? Quanto e come la pace é riuscita ad alimentare e nutrire nuovi rapporti e nuovi modi di essere anche nel nostro quotidiano?
C'é un respiro ed una libertà che dobbiamo riconquistare prima di riparlare di pace. Ci sono spazi da percorrere senza la paura di smarrirsi o di allungare la strada. E la forza d'animo di ridire a se stessi che si può essere sconfitti, ma mai derubati del senso di questa grande utopia.

La Redazione

La posta di fratel Arturo

Cari Amici,
prima di lasciare l'Italia, voglio ripensare con voi alcune esperienze di questo tempo che mi é sembrato più veloce del solito: "Motus in fine velocior" dicevano gli antichi, il movimento é più veloce verso la fine. Voglio ricordare l'incontro con i fratelli di Spello, con i miei superstiti compagni di scuola e con tanti amici che ho incontrato nel mio cammino. Riconosco una volta di più che il mio desiderio di amicizia, che ho inseguito costantemente, é stato abbondantemente appagato, ed é questo che mi fa amare la vita.
Tutti si sono rallegrati di trovarmi in forma; alcuni - i più vicini - notavano un'ombra di preoccupazione che cercavo di nascondere senza riuscirci come é evidente. E questo voglio chiarire.
La preoccupazione era originata dalle notizie che ricevevo dal Brasile e che ora affido alla vostra preghiera.
Una domenica di giugno duecento famiglie hanno occupato un terreno vicino alla mia casa unendosi ad una favela vicina, formando così la più vasta favela dello stato.
Cercherò di illustrarvi questo fenomeno insolito nelle nostre cronache, che voi conoscete forse attraverso giornali o tv, oppure attraverso i racconti dei ricchi discendenti degli emigranti che vengono a visitarvi.
Chi sono questi "invasori"?
Sono famiglie il cui capo si trova improvvisamente licenziato e senza possibilità di ritrovare un lavoro; piccoli coltivatori diretti che perdono la terra: avevano fatto un mutuo con la banca, il raccolto é andato male, viene lo sfratto e vanno alla città dove hanno parenti. Famiglie che non possono più pagare il canone di affitto e devono cercarsi un posto al sole, facendosi ombra con un tetto di lamiera.
Come questi" aspiranti alla terra" si uniscano e decidano l'esodo, il viaggio verso la terra promessa, resta per me un mistero.
Quando il popolo pellegrino é entrato nella terra, appaiono i "lideres" che cercano generalmente la protezione della chiesa, la sola che può proteggerli. Il nostro Vescovo é sempre disposto perché ha assimilato la dottrina della chiesa che parla dei diritti naturali della persona (vedi 'Pacem in terris') fra cui la casa.
Né lui né noi siamo tanto ingenui di da ignorare che fra loro si possono infiltrare dei profittatori, quelli che "usano" la chiesa e i loro soccorritori. Ma né lui né noi, che collaboriamo con lui, siamo prudenti a tal punto da perdere la grande occasione dell'incontro con Gesù: "ero forestiero e mi avete ospitato nella vostra casa". ,
Se noi siamo semplici, gli astuti sono costretti a scoprirsi. Per esperienza posso dire che l'astuzia si vince con la semplicità e mai con l'astuzia, e questo si impara con la preghiera.
Ora la proprietaria di quella terra si é rivolta alla giustizia per riavere la terra. Vincerà?
Dove andranno questi stranieri nella loro patria? Se restano di che vivranno?
Capite che queste sono domande che preoccupano. Se l'occupazione di quella terra fosse uno spettacolo televisivo, potrei spegnere lo schermo e concludere che non é affar mio. Ma Gesù ha detto che quelli sono la tua famiglia, carne della tua carne, ossa delle tue ossa... Se il suo discorso si fermasse lì, davvero sarebbe insopportabile. M a ci ha anche detto che sono carne della "sua" carne!
Nella messa preghiamo - pericolosamente preghiamo... - di essere con lui un solo corpo e un solo spirito. Parole misteriose che si capiscono quando si fanno esperienza, sensibilità. Allora l'angoscia si trasforma in un dolore sereno, fiducioso, e diviene il contenuto stesso dell'amore.
Vi scrivo questo perché dovevo una spiegazione a chi mi diceva: "ti vedo stanco, preoccupato". .
Vi chiedo di aiutarmi con la preghiera che sola può aiutare a mantenerci sotto l'ispirazione dell'amore. E questo desidero per tutti voi che so che vivete in un paese apparentemente più felice, ma non più libero dai problemi.
Vi saluto con affetto ripetendovi che la vostra accoglienza mi ha dato molta gioia.

fratello Arturo

Festa amerindia

Nel piccolo spazio di terra che circonda la chiesetta del porto. il "campo della pace", si é svolto un incontro un po' speciale, una specie di "festa dell'incontro" provocato dalla presenza di un carissimo amico che da molti anni vive in Bolivia, nella zona di Camiri. Con lui, in occasione delle celebrazioni dei 500 anni dalla "conquista-scoperta" dell' America, sono venuti anche alcuni rappresentanti delle popolazioni indigene Guarany.
Ci siamo incontrati con loro, insieme ad un numeroso gruppo di amici per un momento di festa, di scambio, di accoglienza vicendevole, per mettere insieme le attese e le speranze di un mondo capace di "scoperta" vera ed autentica e non di conquista e di sopraffazione. Il campo della pace, in quella bella sera di luglio, ha vissuto di un respiro davvero singolare, pur nella semplicità dell'avvenimento. Nella rotonda di mattoni che vuole essere segno di comunicazione e di dialogo (realtà essenziali alla pace) abbiamo cenato tutti insieme, ascoltato canti e musica, parlato a cuore aperto. Soprattutto abbiamo "accolto" con sincera partecipazione e amicizia questi piccoli uomini scuri di pelle discendenti di quelle popolazioni indie che attraverso secoli di sofferenze e di oppressioni sono riusciti a resistere, a mantenere viva la loro memoria storica, la loro cultura, l'essenza della loro anima.
Mi ha molto emozionato, in profondità, ascoltare la voce antichissima del più anziano Guarany che nella lingua indigena ringraziava per l'accoglienza fraterna ed esprimeva il desiderio di tutto il suo popolo di trovare spazi di libertà e di vita migliore anche attraverso la collaborazione a distanza con piccoli progetti comuni per un migliore sviluppo della vita della sua gente. Fra tutte le 'celebrazioni' dei 500 anni la piccola festa amerindia sul lungo canale est di Viareggio é stata certamente la più modesta: é stata però una cosa bella, non nel senso estetico del termine (anche se tutto é stato curato con attenzione e con premura) quanto piuttosto nel senso di un momento estremamente importante per raccogliere motivi di fiducia dentro una situazione generale carica di enormi difficoltà, angosce, timori, senso di impotenza, impressione di inutilità di una lotta per una umanità liberata ed aperta. I Guarany sbarcati inaspettatamente nel piccolo fazzoletto di terra della Darsena mi hanno comunicato un sentimento di coraggio, di forza, di desiderio di resistenza dentro il fluire incessante della vita per la costruzione di rapporti nuovi basati soprattutto sul conoscersi e sul "riconoscersi" come appartenenti allo stesso progetto umano a qualunque latitudine lo si collochi. Mi sono perfettamente riconosciuto in loro, li ho sentiti semplicemente parte di me, della mia stessa umanità. Sono stati nella nostra casa, alla nostra tavola, hanno bevuto (molto volentieri) un buon bicchiere di vino, hanno aperto il loro cuore e ci hanno manifestato alcuni dei loro problemi.
C'é un piccolo progetto che sta prendendo forma per realizzare una conduttura per portare l'acqua in alcuni villaggi: l'acqua é fondamentale per la qualità della vita, in modo particolare per la salute. Un po' di acqua buona della Bolivia potrà raggiungere finalmente la sua destinazione con l'aiuto degli amici di Viareggio. E' certamente un progetto prezioso e meritevole, sulla linea di altri interventi che già ci sono stati in passato. Per me, importante e significativo é il motivo da cui é scaturito questo progetto, la falda più profonda dove scorre il fiume della solidarietà e della partecipazione.
La presenza di un amico che ha dedicato la sua vita da molto tempo a questo popolo ha determinato l'incontro. Questo esserci incontrati, riconosciuti, accolti reciprocamente alla pari, mi sembra fondamentale: così non avvenne davvero in quel lontano ottobre 1492. Non avviene purtroppo neppure ora, dopo tanto cammino culturale, sociale, economico, politico, religioso ... Il dramma umano, forse, consiste proprio in questa enorme difficoltà di riconoscersi, accogliersi, ascoltare per tracciare progetti comuni per una stessa umanità, per una me medesima vita: Serbi, Croati, Sloveni, Azerbegiani, Somali, Etiopici, Eritrei, Palestinesi, Israeliani, Sudafricani... Un'in-finita lista di nomi che attraversa in lungo e in largo, all'interno e all'esterno il corpo vivo dell'umanità che porta i segni dolorosi di questa incapacità a "riconoscersi" come appartenente ad una medesima razza.
Ho vissuto la nostra umilissima festa amerindia alla luce di una possibilità ritrovata, come segno che l'impossibile può ancora diventare possibile se il cuore si apre alla dimensione autentica per cui siamo fatti. Per lo spazio di una sera, sotto i pini ed i platani del campo della pace, tra il fruscio leggero delle foglie del mais che come per incanto era spuntato (portato dalla tenace caparbietà di un'amica) vicini all'acqua salmastra del canale, é stato chiaro il senso di che cosa dovrebbe portare con sé ogni "scoperta", ogni incontro con la diversità, con lo straniero, con l'altro. Capacità di stare insieme, di fermarsi, di ascoltarsi, di parlarsi: per scoprire con meraviglia le comuni radici che affondano nello stesso misterioso destino umano.

don Beppe

Una sola terra

Abbiamo un solo pianeta,
una sola acqua
una sola atmosfera
una sola terra.
Se non ce ne prendiamo cura
non si prenderà cura di noi.

Prego
perché l'acqua, l'aria e la Madre Terra
ci perdonino.
Prego per la salvezza del popolo.


Corbin Hamey
Anziano degli Shoshoni dell'Ovest

Pastorale del 'nulla'

Ricordo tre episodi recenti:
- la discussione tra pretioperai riguardante la decisione di celebrare messa in un contesto in cui poteva esservi - a ragione una maggiore ricerca di 'autenticità';
- l'aver benedetto il varo di una motonave in un cantiere di Viareggio;
- la riflessione, in un incontro di amici, su la presenza e la lotta nella Chiesa ...
Un filo che mi fa collegare questi fatti tra loro: la "facilità" con cui faccio il prete, specie in questi ultimi tempi. Mi sorprende. Forse, più onestamente, dovrei dire: la facilità con cui, in questo tempo, uso il mio essere prete.
Ecco, ci siamo: mi imbarazza (il mio essere prete) solo quando qualcuno bussa alla porta della chiesetta e chiede di un parroco (sinonimo di prete) per avere l'elemosina. Non so perché finisco sempre con l'inquietarmi e anche le cose più facili mi diventano difficili.
Invece, quando qualcuno mi chiede di fare il prete (messe, sacramenti, prediche ecc.), non é certamente che vada a nozze, ma mi lascio usare, appunto, con più facilità! Mi sembra di conoscere ormai bene il mestiere. E di avere quella tranquilla disponibilità che mi deriva dall'utilizzare creatività e inventiva per cavarmi d'impaccio e rivestire il gesto sacrale di umana quotidianità. Senza che questo mi inquieti troppo.
Perché sorprendermi? Bisogna pur vivere!... o no? Eppoi, dopo oltre 25 anni di sacerdozio sarà pure entrato dentro il mestiere. E cioè la disinvolta capacità di far fronte alle diverse richieste senza entrare ogni volta in crisi.
E, a questo proposito, devo confessare che mi sorprende molto notare la frequente rigidità e l'avarizia di risorse umane, spirituali, tipicamente pastorali di preti con anni di sacerdozio sulle spalle e a cui é evidentemente negata la gioia di chi si sente a suo agio nell'interpretare un ruolo richiesto e si destreggia con arte nella materia, a volte davvero non facile, dei rapporti religiosi e sacrali.
Quale contraddizione! Perché io, che sto scrivendo queste cose, mi sono sempre rifiutato di considerare il sacerdozio come un mestiere. Fino ad avere, ormai da sempre, un lavoro. Fino ad aggrapparmi tenacemente al brandello del mio attuale status di lavoratore nei servizi pur di cercare di evitare la facile equazione di prete che si interessa di emarginazione e di far lavorare gli handi-cappati.
E' contraddizione addolcita dalla cosiddetta "pastorale del nulla". Scherzando tra amici preti toscani é venuta fuori questa espressione che traduce non il nulla delle cose fatte (se ne fanno, eccome, di cose... ), ma l'assoluta leggerezza con cui vengono vissute, appunto le 'cose' pastorali sfrondate di ogni orpello autoritativo e ricamo burocratico. Una leggerezza simpatica che tende a sdrammatizzare l'impianto sacrale e a produrre intorno rapporti semplici, familiari, di confidenza con le cose di Dio fino alla irriverenza tutta toscana, alla Benigni tanto per intendersi.
La leggerezza mi attrae sempre. Saranno i miei abbondanti 90kili, sarà l'antico sogno del fabbro di sprigionare dal ferro nero e pesante agili aeree volute... , ma non é questo che é importante. Piuttosto, una riflessione sulla leggerezza nel religioso potrebbe essere tema da approfondire perché, ad esempio, la forza dell'ironia e del buonumore immessa nella drammatizzazione sacrale può miscelare tuttoggi strani propellenti per le dinamiche che ci interessano.
Narciso, Narciso... ! Sì, il narcisismo é in agguato: il mestierante trova gusto e si diverte della sua stessa virtuosità. O, se preferite più prosaicamente, il giullare non si rende conto di far parte di un voluto effetto 'placebo' guidato dal potere del sacro.
La leggerezza non può esser un bene rifugio. Non può essere un antidoto o un'alternativa alla conflittualità, ma la condizione perché la conflittualità sia liberata e restituita ad una autentica radicalità di cui é frutto.
Non si può essere radicali (e radicati) senza la necessità di scuotere la polvere dalla suola delle scarpe ogni volta che é necessario. Anche se questo gesto, fatto con leggerezza, può insaporire di presa di giro la conflittualità manifesta. Non si può essere radicali (e radicati in una fede, in una lotta, in un popolo...) senza prenderne le distanze e affrontare situazioni e nodi anche a costo di attraversare le oscure terre dell'angoscia.
E forse qui, più che raccontarci gli equilibrismi quotidiani dell' esercizio del nostro essere preti liberi da ritorni economici e di carriera, dal bisogno di essere protetti dalla corporazione, dovremmo cercare di mettere a fuoco quanto e se il mestiere innegabile del pastore aiuta il gregge ad un processo concreto di liberazione che esige il confronto e il conflitto. E quanto e se il "gregge" che é presente nello stesso pastore, si stia liberando.
Perché non accada (e solo Dio sa quanto sta accadendo e accadrà) che la quotidiana leggera manipolazione del sacro divenga convinzione che il nodo del sacro non sia poi così cruciale nella vita e nella storia . umana. Così come il serpente cullato dal ritmo abile e suadente del pifferaio.
Un'azione che non introduce il sogno nella realtà, ma, al contrario, rischia ad ogni passo di far svanire la realtà nel sogno.

Luigi

L'analfabeta politico

Il peggior analfabeta
é l'analfabeta politico.
Egli non ascolta, non parla
né partecipa agli avvenimenti politici.

Non sa che il costo della vita,
il prezzo dei fagioli, del pesce,
della farina, dell' affitto, delle scarpe
e delle medicine
dipendono dalle decisioni politiche.

Un analfabeta politico é tanto animale
che si inorgoglisce e gonfia il petto
nel dire che odia la politica.

Non sa l'imbecille che
dalla sua ignoranza politica
proviene la prostituta, il minore abbandonato,
il rapinatore ed il peggiore di tutti i banditi,
che é il politico disonesto,
ingannatore e corrotto,
leccapiedi delle imprese nazionali e multinazionali.

Bertold Brecht

Gli scritti di Sirio

La morte non chiude la storia

Il comitato di lettura delle borse di studio su Sirio ha deciso iu modo unanime di prolungare il termine per la consegna degli elaborati dal 31/10 al 15/12 del corrente anno 1992.
Questa breve comunicazione sottintende la consapevolezza di una scarsa partecipazione alle borse di studio su Sirio, borse indette lo scorso febbraio e pubblicizzate assai diffusamente. Senza anticipare giudizi ed analisi che raccoglieremo alla conclusione di questa prima esperienza, possiamo però dire che questa iniziativa - così come é stata da noi immaginata e realizzata - non sembra essere riuscita a rappresentare un valido canale per cui tener desta la memoria di Sirio.
L'idea e la sua realizzazione necessitano di una revisione chiara e serena, ma non per questo meno profonda e razionale.
Avevamo creduto di poter affidare a questo strumento lo scandire gli 'anniversari' della morte di Sirio. Può essere che occorra scavare di più e seminare ancora prima di permetterei raccolti regolari. E così, senza pregiudicare i risultati di coloro che stanno lavorando alle borse indette, crediamo di dover mettere ancora mano a questa iniziativa in modo da renderla più viva e - perché no? - più vivace. Prima e più che la celebrazione di anniversari ci interessa trovare il tempo e il modo perché l'incontrarsi nel ricordo di Sirio e per approfondirne il senso della vita e il messaggio non risulti rituale, ma motivato e scandito da un autentico cammino.


Il profeta innamorato

Nel numero di giugno di questo giornalino abbiamo ricordato il passaggio di due profeti Turoldo e P. Balducci, sgomenti per la loro scomparsa, e abbiamo cercato di scoprire la sorgente da cui è scaturita la loro forza profetica che ha risvegliato, come ha scritto il Vescovo di Molfetta, "la nostalgia di una chiesa 'inedita' ruggente nelle viscere della storia".
Prima di conoscere quanto risulterà dal bando di due borse di studio per una ricerca storica sulla figura di don Sirio Politi, vorremmo, anche per questo profeta, risalire alla sorgente, al momento in cui Dio passa accanto all'eletto e vi lascia il suo segno.
P. Turoldo in un suo inno così canta il momento misterioso dell'incontro:
"Di solitudine vestito e fede
basti il respiro a farsi preghiera,
poi nulla: tutto il corpo in silenzio,
sia desto appena l'udito dell'anima.

Attendi poi con timore che passi:
contando prima i vuoti di Dio...

Ed ecco un brivido appena di vento,
un mormorio di vento leggero,
a far tintinnare le messi rapite:
profeta, copriti il volto, che passa...".

Sirio in "Una zolla di terra ", il racconto della sua storia spirituale, ci narra di questa necessità, che il Mistero di Dio passi accanto all'eletto "almeno sfiorandolo". Ma per lui l'incontro avviene sì nel silenzio, "in vetta alla montagna ", ma non è "vento leggero ", è contatto personale con Dio. Il colloquio è a domanda e risposta immediata. Per cogliere quell'istante bisogna in qualche modo "avere già conosciuto Dio, in qualche modo averlo sognato". E' il posarsi di uno sguardo "acceso d'Amore sopra il proprio destino" e il mistero dell'incontro s'allarga, si allarga fino a incontrarsi e a perdersi in quella terra meravigliosa che é Gesù Cristo ".
Tutto avviene quindi tra sogno e innamoramento e rapisce in modo semplice e meraviglioso: "quell'istante non é riservato ai santi e ai mistici, ma é candidamente per tutti"; non é facile lasciarsi stiepidire dal sole di primavera? Ci toglie dolcemente dal freddo e dal grigiore dell'inverno colmandoci la carne e il sangue e l'anima di un mistero profondo e rigoglioso di vita, di luce ". Il destino allora cambia, diventa sconvolgente e coinvolgente "dare sangue alla sua Verità e testimonianza vivente delle sue promesse".
Lo sguardo acquista quella vastità di orizzonti già esplorata da un Theilard de Chardin.
Il flusso d'Amore che ha portato Dio alla creazione del mondo e dell'uomo nello stupendo dono della libertà ha ottenuto come risposta "no", onde il dolore, il male, la morte. Ma l'Amore non lascia cadere nel vuoto questa tragica scelta; la Sua misura di amare é senza misura. Nella storia dell'umanità, che é insistenza di Dio nell'amare e insistenza nostra nell'essere "non-amore", Lui ha sovrabbondato incarnando la nostra povera e tragica realtà in Gesù Cristo. La sua scelta divina cade su questo vuoto pauroso: sofferenza, male, morte non sono opera sua, ma che egli accetta di vivere e di abbandonarvisi senza misura.
Ecco che il profeta, colui su cui si é posato lo sguardo di Dio, si getta in questa scelta di Dio, per quanto "misteriosa, strana, ingiustificata". Egli non vede più attraverso se stesso, cioè attraverso un punto di vista egoistico, ma attraverso l'Amore.
Dunque il nodo, la sorgente da cui é fluita tutta la storia di Sirio é questo sogno innamorato. Egli ha percorso il suo cammino andando, inebriato dall'Amore, verso le realtà più vuote, più disperate, seguendo il Cristo: "Lui sento e credo e amo come Colui che ha vissuto interamente e totalmente, secondo misure infinite di Verità e Amore, ciò che io appena intravedo e amo".
Ed eccolo fare la scelta operaia: "l'operaio, gli schiavi di ieri e di oggi, non sembra vero, ma c'é chi li guarda con Amore e raccoglie il sudore della loro fronte e lo sconforto del cuore". Si é inserito nella lotta nonviolenta fino ad essere condannato quale sovversivo (e sovversivo era di un ordinamento ingiusto!). E' vissuto in una piccola comunità di compagni, uomini e donne, che non sono" del mondo", ma in forza di questa liberazione sono coinvolti nel mondo e travolti dalla storia. Vivono del loro lavoro e hanno creato un centro artigianale per handicappati, esseri umani in cui più si frantuma il dolore, il male e il vuoto.
Se in "Una zolla di terra" don Sirio ha raccontato la storia della sua anima, in "Antico sogno nuovo" traccia la storia di un Monastero in cui pochi uomini e donne vivono una fede appassionata nella Chiesa e, per amore del Regno, lottano all'interno delle istituzioni una lotta nonviolenta guidata dalla violenza dell'Amore.
Questo profeta innamorato ha vissuto quell'Amore che costringe al superamento di sé e a compromettersi e giocare tutto nella storia, secondo il Vangelo, unica alternativa di umanità alla disumanità.

Grazia Maggi

Della notte in montagna

Nel vano della finestra
aperta sul cielo
nell' ora in cui la notte
parla solo la voce del torrente,
si sono riversate le stelle.

Le prime
splendidi petali d'argento
mi hanno svegliato dal sonno,
poi dietro nel buio
una esplosione lucente
ha trascinato tutto il mistero dell'universo
nel piccolo vano della finestra aperta.

La notte si é fatta
solo sorgente di luce,
espansione dell' Amore
al di là della soglia del mondo
la cui patria é l'infinito indicibile
e la cui scoperta
ci segna per sempre
col suo marchio di fuoco.


G.M. agosto '92


I crocifissi di oggi

(Riportiamo questo testo da una relazione tenuta nell' ambito del ciclo di conferenze "Passioni senza resurrezione... " organizzate dalla Nuova Corsia nel marzo '92. Il testo ciclostilato é stato rivisto e riassunto in alcuni tratti.)
A me é stato chiesto di parlare dei 'crocefissi' di oggi a partire dalle due professioni che esercito: faccio il medico e lavoro nell'ambito del tribunale per i diritti dei popoli. Questi i punti di contatto, di tipo culturale e pratico, più diretto con alcune di quelle realtà cui faceva riferimento Mario Cuminetti: quei morti inutili o quegli assassinati che si possono facilmente intravvedere dietro il termine: i 'crocefissi' di oggi. Questo sarà il centro della mia riflessione di questa sera.
Voglio mettere questo tema sullo sfondo di una prima domanda che mi sembra importante e sulla quale ritornerò alla fine: che cosa ha a che fare questo appellativo di crocifissi con questi morti o assassinati oggi?
La risposta é in un certo senso ovvia: dietro la parola' crocefisso' si può vedere una parola che indica un 'fatto' che da sempre fa parte della storia. Sempre ci sono stati dei crocefissi. Sempre ci sono stati morti inutili o in eccesso. Fa parte della storia dell'uomo, nella logica di una evoluzione più o meno violenta, il fatto che ci siano delle vittime.
Il vero problema é di sapere se é lecito e come lo é nella prospettiva della risurrezione, applicare a tutti questi morti un significato di 'crocefissi' che ha molto più a che fare con la parola 'destino' proprio nel senso di 'destinati a'. Destinati, cioè, ad essere portatori, anche se incoscienti, di una profezia, di un annuncio di risurrezione.
Questa é la lettura specifica a partire da quel Crocefisso. Una lettura non semplice perché mancano elaborazioni che tentino di riscattare l'anonimato di quei morti così da non ridurli a semplice fatto, ma dar loro un destino o un senso.
Questa prima domanda dobbiamo tenerla presente: quei morti 'non sono altro che' uno dei tanti modi del manifestarsi di quello che può capitare, oppure fanno parte di una struttura di rivelazione della storia?
Scoprire il senso di quelle morti inutili e dare a quelle morti inutili il significato di polo essenziale della storia é davvero il momento in cui la storia stessa si divide tra quelli che la vivono come un dato e quelli che la vivono come un progetto.
Vorrei partire da questa premessa per ricordare una pubblicazione molto recente che descrive una sperimentazione clinica controllata su un gruppo di bambini in Giamaica.
Sono malnutriti e quindi a rischio di infezioni e di sottosviluppo mentale: rischiano anche di essere sotto stimolati da un punto di vista psichico, culturale e ambientale.
Questi bambini sono stati divisi in quattro gruppi. A un gruppo non si é dato niente; a un altro gruppo é stato dato un supplemento alimentare; al terzo é stata data anche una stimolazione psicologica oltre al supplemento alimentare; all'ultimo gruppo é stata data solo la stimolazione psicologica. I risultati di questa ricerca sono stati prevedibili: i bambini ai quali non era stato dato niente stavano meno bene degli altri; quelli cui é stata data la stimolazione psicologica e anche alimentare stanno molto meglio e si riprendono.
La pubblicazione di questi dati sottolinea che é la prima volta che si dimostra scientificamente che combinando alimentazione e stimolazione psicologica si permette anche a un bambino in cattive condizioni di recuperare.
Perché non lo si fa? Quello che mi sembra caratterizzare l'oggi é che noi in ogni momento possiamo di fatto identificare il bisogno e la risposta al bisogno ma possiamo anche in ogni momento positivamente decidere che non possiamo rispondere al bisogno, pur riconoscendolo molto chiaramente.
Questi crocefissi della storia sono effettivamente oggi crocefissi perché - come per il Crocefisso - la morte non é casuale, un incidente!, ma é una cosa in un certo senso prevista e pianificata.
Se si legge il rapporto della Banca Mondiale o dell'Unicef, esso diventa ogni anno la proclamazione del conto dei morti. Le tabelle sono piene. Se un tempo c'era una geografia dei crocefissi che via via venivano scoperti, la geografia di oggi li mette sempre in primo piano. Non possiamo più nasconderci dietro lo stupore perché la geografia di oggi i crocefissi li mette proprio in primo piano in maniera tale da poter dire: "ma noi l'avevamo detto!".
Anche quest'anno il rapporto della Banca Mondiale sulla povertà dimostra che rispetto al 1990 le cose vanno ancora peggio. Tuttavia di fronte a questo peggioramento la Banca Mondiale non cambia la formula del finanziamento. Il rapporto dice infatti che non c' é un' altra formula: anzi, la stessa formula viene estesa anche ai paesi dell'Est. Questi paesi chiedono di entrare in questa situazione di dipendenza economica che non produce più dei drammi e delle tragedie bensì produce delle tabelle.
Una situazione tale non riesce più a far cronaca: la tragedia é ormai incorporata nella normalità, non riesce più a diventare un evento, qualcosa di fronte a cui reagire, perché la sua traduzione moderna é la statistica, la contabilità.
Ad esempio, gran parte dell' Africa viene programmaticamente esclusa dai piani di cooperazione con vari meccanismi, cambiando le regole, tassando i finanziamenti, abbassando i prezzi delle materie prime... e tutto nel più puro anonimato.
Non solo questi crocefissi sono privati della possibilità di essere un evento, ma sono anche privati della possibilità di avere una originalità e una identità: sono all'interno di meccanismi che permettono di conoscere in anticipo la loro sorte.
Anche la liberazione viene espropriata e non é più un progetto per il quale si può lottare e morire: é solo l'effetto delle azioni prodotte dalla pianificazione. Sono la Banca Mondiale e i nostri governi che ci dicono quali sono le regole per la liberazione. Dopo aver fatto i conti, beninteso ...
E' importante considerare tutti i morti di questi ultimi anni diversi da quelli dei genocidi avvenuti nelle Americhe. Noi non abbiamo più un mondo da scoprire: tutti i morti di questo nostro tempo li conosciamo perfettamente e non possiamo neppure più dire che tanto sono indios. Noi li abbiamo incorporati nella nostra conoscenza scientifica del mondo; li abbiamo dichiarati alla pari e per questo li dichiariamo perseguibili ed eliminabili perché ci servono. La violenza é chiamata diritto. I costi sociali, che sono i costi umani delle vite spezzate di cui non si parla mai, nelle tabelle diventano percentuali in crescita o in diminuzione, diventano statistiche. E' difficile dire a coloro che sono destinati a morire dalla pianificazione dei modelli di sviluppo che c'é la resurrezione. Loro non sanno neppure di morire: non sono crocefissi e quindi neppure possono risorgere. La nostra storia sta incorporando il fatto di avere dei morti senza futuro. A coloro che stanno per morire perché inevitabilmente compressi nelle tabelle, la nostra civiltà non sa altro che dire: "Fate in fretta ad uscire dalla vostra povertà, altrimenti per voi non c' é più speranza". Non c'é più nessuna possibilità di vedere in loro dei segni di liberazione.
E' chiaro che se noi crediamo, la speranza gliela attribuiamo. Ma con una variante. Abbiamo elaborato per questi morti, anche per quelli morti esplicitamente per la liberazione, il modo di non parlare troppo di 'crocefissi' e di 'risorti'. Ci sta troppo a cuore salvare l'impunità perché le statistiche non soffrano di contraddizioni.
Noi siamo in una civiltà che sta cercando di cancellare la possibilità del crocefisso e sta ancora cercando di evitare che sia visibile l'unica resurrezione della storia che é quella del racconto e della memoria.
Le storie dei 'crocefissi' non sono più narrabili, non sono più cose che muovono il cuore: sono prevedibili effetti che possono essere letti nelle statistiche.
Il problema diventa, forse, strettamente 'teologico'. Per questo sono pochi - ma così importanti! - coloro che, nei termini loro consueti, parlano ancora della storia dei 'crocefissi' cercando di ridare loro la dignità della crocifissione e quindi la possibilità di essere annuncio di qualche cosa.
Persone come Galeano che vanno a ritrovare il quotidiano della gente, degli anonimi morti, in modo tale da poter ritrovare in quel quotidiano la forza di un annuncio.
Senza però offrire facili resurrezioni, perché evidentemente il nostro mondo ormai scettico non avrebbe altro da dire se non chiedersi: "Ma resurrezione da che cosa e per che cosa?".

Gianni Tognoni

Nevada Tests Site

"Prova ad immaginare per un momento una vasta distesa desertica. Non una terra deserta, riarsa e sterile, ma un deserto colorato di fiori selvatici in primavera e circondato di vette incappucciate di neve d'inverno.
Ora immagina bombe, ordigni atomici, esplodere sull'orizzonte desolato; nubi a forma di fungo che trasportano veleni mortiferi alle comunità dei dintorni.
Immagina esperimenti nucleari sotterranei, esplosioni nel ventre della terra che sprigionano gas radioattivi su per gli strati d'aria sovrastanti...".
Per più di 40 anni, questo deserto del Nevada, appartenente per trattato alla nazione degli Shoshoni dell'Ovest, é stato usato per il nostro programma nazionale di sperimentazione di armi nucleari.
Questa terra sacra e bella é stata descritta dal Presidente del Atomic Energy Gordon Dean come "un posto adatto a gettarvi le lamette da barba usate".
"Dall'arrivo di Colombo 500 anni fa, si é aperta una terribile contraddizione nelle Americhe tra le 'scoperte' e il modo con cui i popoli nativi hanno avuto cura della terra e della stessa preservazione della vita. Oggi questa contraddizione é particolarmente evidente nella lotta tra sostenitori e oppositori delle armi nucleari. Sebbene la vita umana esista sul pianeta da 2,4 milioni di anni, nel solo ultimo mezzo secolo il cosiddetto "uomo civilizzato" ha reso vasti tratti della Terra inabitabili per innumerevoli generazioni a venire"
Raymond D. Yowell
Capo degli Shoshoni dell'Ovest


Dagli albori dell'era atomica in tutto il mondo le armi nucleari sono state sperimentate su terre appartenenti a popoli nativi ivi residenti.
Il trattato di Ruby Valley deli863 stabilisce che gli Shoshoni dell'Ovest sono custodi a pieno diritto della terra dove gli USA stanno ancora sperimentando bombe atomiche.
Gli Shoshoni, i Paiutes e altre comunità soffrono in modo del tutto sproporzionato di cancro, problemi alla tiroide e malformazioni dalla nascita.
500 anni fa Cristoforo Colombo arrivò nelle Americhe. Egli" scoprì" una terra abitata da tanti popoli indigeni diversi che vivevano in migliaia di nazioni tribali e di villaggi, che parlavano innumerevoli lingue e dialetti, che ebbero una cultura ed una spiritualità altamente sviluppate e vissero in rispettoso equilibrio con la terra.
Ora sono solo l'1% della popolazione. Sono stati sistematicamente spogliati delle loro terre e questa storia ha lasciato una scia di accordi traditi, di promesse non mantenute, di vite spezzate.
Il Nevada Tests Site (l'area riservata agli esperimenti) rappresenta un macabro memoriale del genocidio, della distruzione ecologica e dell'ingiustizia che deve essere parte della nostra memoria durante questo Cinquecentenario.
Gli Stati Uniti sono ora la sola nazione sulla terra con un programma attivo di esperimenti nucleari che prevede almeno 7 esplosioni nucleari sotterranee nel 1992.
Siamo soli in questa corsa al riarmo.
La Russia ha chiuso la maggiore area di prove e ha promosso una moratoria degli esperimenti.
Anche la Francia ha promesso di non fare esperimenti per un anno. insieme con la Russia chiede con forza la fine di ogni esperimento nucleare.
Gli Stati Uniti e il suo alleato, l'Inghilterra, sono le sole nazioni che si oppongono sistematicamente ai negoziati su un ampio trattato per la messa al bando degli esperimenti nucleari.
Il trattato di non proliferazione nucleare che scadrà nel 1995 corre il grave rischio di dover essere di nuovo negoziato se un trattato definitivo non verrà firmato per quella scadenza.
Il 1992 dovrebbe essere un anno di conversione e riconciliazione. Negli Stati Uniti potremmo cominciare a riunirei al resto del mondo rinunciando al nostro programma di esperimenti nucleari.
Un danno irreparabile é stato fatto al deserto sacro che appartiene alla nazione Shoshone e non possiamo permettere che questa devastazione continui.

Ann Symens-Bucher
(ha lavorato negli ultimi 10 anni con il gruppo Nevada Desert Experience)


Un giornalino 'nuovo'

dal prossimo primo numero del '93

Abbiamo intenzione di rinnovare Lotta come Amore... ritornando all'antico! Riproporremo, ad iniziare dal prossimo numero, il formato che ci ha accompagnato tantissimi anni, da "La Voce dei Poveri" a "Lotta come Amore" fino al 1976.
Un formato doppio all'incirca dell'attuale che dovrebbe permettere una migliore impaginazione del materiale ed uno sguardo complessivo degli scritti da parte del lettore che lo prende in mano e lo sfoglia.
Ma non é solo un'operazione di 'riverniciatura' che ci interessa, anche se il ritorno alla vecchia testata porta con sé, inevitabili e vivi, i ricordi di sogni, innamoramenti, lotte, utopie, compagnie generose e baldanzose avventure...
L'intento va più in profondità e, soprattutto, prende l'avvio dal momento attuale per proiettarsi nel futuro.
E' forse sciocco dire che ora ci sentiamo più forti. Ma certo, dopo questi quattro anni in cui abbiamo tirato avanti Lotta come Amore cercando una continuità, almeno nell'impegno dei quattro numeri l'anno, con la presenza di Sirio (é stato lui, per 30 anni, Lotta come Amore... ), ora crediamo sia giunto il momento perché la 'fedeltà' produca i suoi frutti nuovi e attuali.
Vorremmo collegare di più il giornaletto ad una riflessione della nostra piccolissima comunità sulla storia e sui problemi che si intrecciano nella nostra vita e nella vita del mondo. Continueremo certamente a comunicare le nostre testimonianze, le nostre 'lettere agli amici' come le chiamiamo Beppe ed io. E non solo le nostre, ma anche quelle di chi, come Arturo ed altri, ci accompagnano in questo nostro camminare.
Vorremmo anche arricchire la parte che abbiamo già riservata a Sirio. Non limitandoci a ripubblicare cose sue, ma riservandola a tematiche centrate su quanto Sirio ha vissuto ed espresso, in reale e concreto approfondimento, nell'ascolto di echi che si rimandano l'un l'altro nella realtà attuale di resistenza e di lotta.
E vorremmo infine offrire una rubrica che contenga indicazioni (indirizzi, bibliografie, incontri, suggerimenti, ecc.) per 'resistere', 'lottare' e, perché no, certamente anche 'amare' in leggerezza e soavità.
Dobbiamo anche cercare di rispolverare un po' anche il nostro indirizzario. Ha anch'esso 30 anni ed é stato certo via via rivisto. Ma forse l'ultima volta é stato un po' troppo tempo fa!
Così vi preghiamo di inviarci la cartolina che si trova stampata nell'ultima pagina, compilandola almeno nella parte che vi invita a chiedere ancora l'invio di Lotta come Amore, confermando o correggendo il vostro indirizzo nel caso che noi l'abbiamo inserito in modo incompleto o errato.
Vi ricordiamo anche che le modalità per ricevere Lotta come Amore sono molto semplici: é sufficiente farci pervenire l'indirizzo di chi lo desidera. Non chiediamo abbonamenti. Non intendiamo servirei di un conto corrente postale o bancario. Chi vuole darci una mano é pregato di usare un po' di fantasia...



CHIEDIAMO A TUTTI I LETTORI DI COMPILARE LA CARTOLINA STAMPATA NELL'ULTIMA PAGINA IN ALTO E DI SPEDIRLA (affrancata con lire 650 o in busta chiusa indirizzata a LOTTA come AMORE - lungocanale est 37 - 55049 Viareggio).
E' IL CONTRIBUTO PIU' DIRETTO ED IMMEDIATO PER QUESTO GIORNALINO


Che cosa leggi normalmente di Lotta come Amore?

O tutto
O un pò di tutto
O solo alcuni scritti (quali?)
O non leggo niente o quasi

A te, Lotta come Amore:

O interessa così com'è
O interessano solo alcune parti (quali?)
O interessano solo alcuni argomenti (quali?)
O non interessa niente o quasi

Hai letto Il progetto del 'nuovo' Lotta come Amore nella pagina di fronte?

O SI O NO
Se sì, sei:
O favorevole O contrario

Cosa vorresti fosse salvato dell'attuale Lotta come Amore? Cosa vorresti fosse introdotto nel nuovo Lotta come Amore?
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