Cara redazione di "Lotta come Amore",
ho vent'anni e conosco il vostro giornale perché da tanto tempo continuate a mandarlo ai miei genitori. Adesso sono io a leggerlo e mi interessa molto. In tutta sincerità mi sembrate l'unico gruppo (associazione, movimento... ?), cristiano e non, che ha veramente qualcosa di nuovo da dire, proprio perché ha mantenuto la sua linea. Nei vostri articoli non ho trovato vaghi discorsi fumosi, adesioni a quello o l'altro padrone, ma vere prese di posizione verso veri valori! E se c'è chi vi considera illusi, ben venga l'utopia! ("E' ancora molto quello che ci resta da fare. Solo attraverso l'utopia e la speranza si può credere di avere le armi per tentare, assieme a tutti i poveri e gli oppressi del mondo, di sovvertire la storia").
Nel vostro ultimo numero ho letto un passo di Sirio che mi è parso molto attuale: "Il nostro mondo attuale è troppo privo ormai di possibilità di iniziativa personale. Siamo dei costretti. La nostra posizione attuale è quella di subire [...]. Chi è che non prova la tentazione dell'adattarsi, dell'abbandoarsi alla corrente? [...] A volte si ha l'impressione tanto dolorosa, sgomentante, d'esser tutti stanchi. Gente che ha sperato seriamente, ha creduto dal più profondo, ha sognato con entusiasmi ardenti e poi afflosciata, ripiegata e raggomitolata in se stessa con dei moti immensi di stanchezza, di delusione".
Io ho provato e sto provando tutto questo. Non è una bella sensazione quella di sentirsi impotente di fronte agli avvenimenti sconcertanti e catastrofici della nostra epoca.
Tutto quello che sta accadendo (ed è una vera pioggia di calamità) mi mette in crisi; non comprendo la logica di questo mondo che pensa al benessere del futuro immediato e non alle sorti dell'umanità e dell'intero ecosistema; non vedo come un cristiano possa accettare di scindere in due il modo di vedere: la religione è una cosa, la politica (e intendo "politica" in senso lato) è un 'altra. Io vedo la fede non come parte che integra la nostra vita per cui tutto ciò che facciamo può prescindere da essa, ma come vita in se.
Per questo non credo che il crollo del comunismo sia il trionfo della libertà, ma piuttosto come li avete scritto, "la vittoria di un sistema economico su un altro"; non credo nel "dio-denaro", ma, come Gandhi, in una società in cui "se ciascuno avesse solo ciò di cui ha bisogno, nessuno mancherebbe di niente e tutti si accontenterebbero"; non credo nei compromessi, nel conformismo, nell'arrivismo, nelle conoscenze di comodo, nella strumentalizzazione, nella legge come copertura dei potenti e non sempre giustizia; non credo nemmeno nella Chiesa come istituzione e nella limpidezza delle sue azioni. E la lista potrebbe continuare con esempi più che espliciti. Come diceva Sirio più di vent'anni fa: "l'ora attuale è un'ora di povertà impressionante di stima vicendevole, di fiducia nelle istituzioni, di speranza nel valore umanità".
Sento, ora più che mai, che per cambiare qualcosa (se mai qualcosa cambierà) bisogna rimboccarsi le maniche in prima persona e darsi da fare; non necessariamente missionari all'altro capo del mondo, ma anche qui dove il marcio è nascosto e sotto sotto lavora.
Vi prego di darmi qualche informazione circa la storia del vostro gruppo e il suo operato, su Sirio e il giornale. Vorrei anche qualche notizia su "La prora"... Questa lettera che vi mando è una collaborazione indiretta per la vostra lotta viva!
Elena
In testa a questo numero del giornale non mettiamo, come al solito l'articolo redazionale, ma, questa volta, sorprendentemente al contrario, una lettera alla redazione.
Da un po' di tempo ci andiamo interrogando su che tipo di rapporti stabiliamo con questo nostro semplice foglio trimestrale ed i segnali che riceviamo di ritorno sono sorprendenti nella loro semplicità e ci invitano a continuare senza esigere resoconti e verifiche, La parabola del seminatore ci invita ad obbedire a questa nostra "esigenza" di comunicazione,
Ci sono figli che leggono la copia mandata ai genitori (che forse le nostre cose ormai le conoscono a memoria!). Ci sono Padri che leggono la copia mandata ad un confratello che non si trova più in quella casa religiosa... insomma, speriamo che anche qualche postino legga le copie che non arrivano a destinazione!
Sarebbe bello poi che questo nostro foglio riuscisse a mettere insieme anche un' amicizia ed una comunicazione diretta tra i lettori. Lo è già tanto tramite la comune amicizia con Sirio. Vorremmo sperare di essere anche noi, in qualche modo, tramite sereno di rapporti nuovi.
Questa lettera introduce poi una seconda riflessione puntualizzata nell'articolo seguente. E' strano perché l'articolo era già pronto prima dell' arrivo della lettera, ma in questo numero sono diverse le "coincidenze" che sembrano realizzare un incontro, La dimensione personale di questo nostro scrivere permette di accogliere i commenti entusiasti con cui Elena apre la sua lettera. Siamo uomini di età, sensibili ai complimenti specie di una giovane donna, ma non è questo il punto. Sarebbe imbarazzante doverci difendere dalla affermazione di una nostra fedeltà alla lotta e ai valori in cui da tanti anni crediamo. Ma lo faremmo se questa affermazione dovesse cristallizzarci in un ruolo, al di sopra del livello delle acque mosse e tempestose di questa nostra realtà contemporanea. Non siamo rocce granitiche contro cui si infrangono i marosi di una storia dura che tutto pare sbriciolare nella relatività del superamento. Lo stile che stiamo faticosamente cercando per la nostra vita e quindi per la nostra comunicazione è semmai quello di una fedeltà a navigare con le nostre povere forze nella complessità della vita di oggi, Ed è questa navigazione (ma a volte, tante volte, non sappiamo neppure se ci muoviamo tanto siamo intenti a pompare l'acqua imbarcata andando sotto il filo delle onde..), è questa navigazione che cerchiamo di comunicare convinti che tanti intorno a noi stanno lottando caparbiamente, rimboccandosi appunto le maniche.
Ogni cocciuta utopia che serenamente continua il tormento di resistere ad ogni tentazione di rimettere i remi in barca è collaborazione diretta alla lotta viva.
La Redazione
Quando - e son passati quasi quattro anni - decisi di mettere il mio nome nell'elenco speciale dell'albo dei giornalisti per continuare Lotta come Amore dopo la morte di Sirio, avevo, più che idee chiare, una istintività forte in me. Non presi neppure in considerazione una prosecuzione del giornaletto tutta legata ad un rispetto per la memoria di Sirio e ai tanti amici che lo seguivano, anche se questa motivazione ebbe un suo peso tutto particolare in ordine alla continuità. Sentivo però nel profondo che occorreva accogliere molto onestamente la consapevolezza che stava per nascere un'avventura diversa dalla precedente. E avvertivo che proprio la radicazione in ciò che, fino ad allora, era stato comune per amicizia e condivisione, premeva perché si realizzasse la libertà di proporsi senza tentennamenti come novità.
Sono ben consapevole che Beppe ed io non rappresentiamo una novità nel senso stretto della parola! Ma nuove si presentavano le condizioni del nostro cammino comune e quindi anche di queste paginette prima letteralmente colmate dalla penna, dal cuore, dallo spirito di Sirio.
Non mi e' difficile confessare di non aver avuto altro che questa istintività condita di ingenuità e presupponenza insieme. Tant'è che la mia maggior preoccupazione fino ad oggi, è stata quella di non mancare all' appuntamento dei quattro numeri sia pure distribuiti irregolarmente nell'arco dell'anno. Maggiore preoccupazione rispetto ai contenuti del giornaletto, intendo.
Avercela fatta finora - grazie a Dio, innanzi tutto, e poi a Beppe, Arturo e a tutte le collaborazioni non firmate ma non per questo meno preziose -, è già un motivo di soddisfazione. Ma, appunto, questa fedeltà non solo non esaurisce, ma non ha neppure grande importanza nel contesto di questo giornaletto il cui titolo è così fragile nei confronti di possibili stiracchiamenti spiritualistici e intenzionalistici per cui l'amore può restare solo un sentimento e la lotta qualsiasi interiore rimescolamento.
Chi ci ha seguito in questi ultimi anni non può non aver notato una altalena di risultati nel modo di comporre il giornale e nei suoi contenuti. Essa segue l'altalena della nostra vita, della nostra presenza, della nostra più o meno cosciente identità di gente che vive qui nella Chiesetta del Porto. Questo mi appare non solo come un dato scontato per una pubblicazione come questa molto personalizzata, ma soprattutto un dato caratteristico da coltivare con attenzione fino al punto da mettere in questione la stessa fedeltà alla periodicità. Non si tratta tanto, per Beppe e per me, di mettere giù per iscritto un diario, una cronaca di avvenimenti, una riflessione giusto per fare uscire il giornalino. Pur attraverso la sua veste modesta, i discorsi più o meno centrati, la ripetizione a volte ossessiva dei temi e delle espressioni, ecc. ecc., queste paginette sono soprattutto la misura della nostra umile ma reale apertura "a tutto il mondo". Può sembrare davvero smisurato orgoglio e grandissima scemenza, ma dopotutto - e mi si scusi il bisticcio di parole - un porto, un vero porto, non può chiudere... la porta! E' necessariamente ospitale con tutti: per rifugio, riposo, riparazione, rifornimento... ma altrettanto necessariamente solo in funzione di RI-PRENDERE il mare. Anche se a volte - tante volte il porto si angoscia letteralmente vedendo quanta gente prende il mare affidandosi solo alla propria deriva. Questo giornaletto è misura quindi del nostro essere "porto": a noi stessi, agli amici come ai nemici, ai vicini come a coloro che vengono da lontano. E lo è "misura" non solo dalle parole che scriviamo, ma anche dai nostri silenzi che segnano i tempi della contraddizione e della sempre faticosa ricerca di autenticità.
Non preoccupatevi troppo quindi,cari amici lettori, se continueremo ad essere così poco precisi nelle nostre uscite. La responsabilità della tipografia e delle Poste è davvero minima nei confronti di questa nostra altalena tra parola e silenzio, silenzio e parola che segnano comunque i ritmi regolarmente atipici di questa nostra fedeltà di vita. Questo nostro lasciarsi andare ai ritmi ineguali di un andirivieni che non è solo di persone, ma di idee, impegni, lotte e, perché no, anche di convinzioni. Purché tutto non si risolva in uno smantellamento, ma in una continua ripresa.
* * *
Quale comunicazione queste paginette possono favorire? Esse paiono composte per lo più da monologhi recitati per un cerchio ristretto di persone già introdotte. Specie quando sono io a scrivere... !
Riflettendo in me stesso, parlandone con diverse persone, mi sono convinto che Lotta come Amore può avere una ragion d'essere in quanto esprime la fiducia di poter comunicare qualcosa di se. Non soltanto la propria esperienza, i propri impegni, le proprie lotte, ma quel sottile filo interiore che unisce - ombelico vitale - la coscienza di essere immersi in un rapporto di amore con la necessità di rompere ogni ristagno, pigrizia o intorpidimento che rende opaca la genuina trasparenza della vita. Quella turbolenza apparentemente caotica che ogni essere che si apre alla vita porta dentro e che vigila affinché gli occhi del cuore non si chiudano stanchi di solitudini e di amarezze.
Non è facile comunicare di se senza finire per raccontarsi, senza affrontare le forche caudine della vanità e del narcisismo. Non è facile soprattutto perché questa comunicazione, quando avviene realmente, trabocca l'esistenza fino a renderla nuova, irriconoscibile, e crea una necessità di riconciliazione con il nuovo di se che solo autentici anche se anonimi facitori di pace possono compiere senza irradiare veleni di angosce o esaltazioni.
Forse può aiutare una certa dose di autoironia oltre ad un'infantile, innocente spudoratezza. Ma sicuramente non è qui la chiave.
Eppure sento che questa - ancor non ben tracciata - è una linea di ricerca da perseguire attraverso queste paginette. Vorrei inoltrarmi di più su questo terreno ed incontrare persone che affrontano e soffrono questo cammino, che accettano consapevolmente di trasferire dal sapere e dal fare all'essere il livello della loro comunicazione.
Queste paginette sono aperte a questo e spero fiorisca il tentativo di offrire non tanto uno spazio bianco da occupare quanto una spinta fraterna perché ciascuno trovi modo e stile, luogo e mezzo perché questa comunicazione che ci espropria per poterci donare come nuovi a noi stessi e agli altri possa avvenire nella vita.
Luigi
Sono ormai degli anni che alcuni amici da Viareggio e da Lucca stanno realizzando collaborazioni con le due Missioni di Gambo e di Assella nella regione dell'Arsi, nel centro dell'Etiopia.
I Padri Missionari della Consolata che reggono queste missioni hanno chiesto un intervento specifico programmato di istruzione e formazione professionale per giovani etiopici nei laboratori della Missione di Assella.
Il gruppetto di persone che finora hanno sostenuto lo sforzo concreto di una presenza, sia pure episodica, ha bisogno di essere allargato proprio per sostenere questa nuova iniziativa.
Si cerca, perciò, un falegname e un carpentiere in ferro disponibili tra un po' di tempo a realizzare in Etiopia interventi di istruzione e formazione al lavoro. Per un mese o più, con paghe non ministeriali...
La cosa migliore sarebbe avere persone che hanno già fatto esperienza di vita africana. Comunque è chiaro che gli eventuali candidati devono essere disposti a vivere e lavorare in ambienti e realtà umane dove occorre tener di conto le cose essenziali ed essere disposti ad affrontare esperienze assai diverse da come tradizionalmente ci vengono presentate.
Sappiamo che questa ricerca è difficile, ma confidiamo nella sua diffusione anche tramite i lettori di questo nostro giornaletto. "Da cosa nasce cosa... ", quindi ogni cosa può essere utile per cominciare: un indirizzo, un numero di telefono, un'associazione, un gruppo di volontari... qualsiasi cosa che vi può venire in mente, comunicatecela all'indirizzo di Lotta come Amore. Zone interessate per questa ricerca: dalle Alpi alla Sicilia e, perché no, anche più in la.
Riprendendo una frase di Gesù ed usando un linguaggio più familiare, essa potrebbe essere tradotta così: "Io sono il cammino, la verità, la vita".
Gesù è la via, la strada, il cammino, il sentiero su cui è necessario porre con fiducia e decisione i nostri passi per entrare nel pieno significato di noi stessi, degli altri, dell'intera creazione. Il rapporto con Lui, l'incontro con Lui è decisivo per una pienezza di vita, per una scoperta vitale della verità, per una perfetta possibilità di comunione con gli uomini e con Dio.
Il cammino è anche la normale condizione dell'esistenza di ogni creatura. Siamo tutti "in cammino"; la vita è il viaggio al quale nessuno di noi si può rifiutare di partecipare. Ogni giorno è "una giornata di cammino": l'acqua del fiume deve scorrere per non imputridire, il sole si innalza verso l'arco del cielo e giunto al suo punto massimo inizia a discendere per il suo inevitabile tramonto, forzato a proseguire il suo cammino nell'altra parte dell'emisfero celeste. Il seme, se cade in terra, viene subito spinto da tutte le energie vitali ad iniziare il suo cammino per arrivare alla piena maturazione del suo essere: il chicco di grano "sogna" e cammina verso la spiga matura.
La nostra vita è essenzialmente, un camminare, un andare; una carovana di viandanti, di pellegrini, di viaggiatori, è l'umanità: anche chi si rifiuta a questa fondamentale necessità, vi è costretto se non altro dalla terribile "forza del tempo".
Sul finire di questa estate assolata, ho fatto un viaggio in treno attraversando un buon tratto l'Italia. Un viaggio semplice, niente di particolare; non un viaggio turistico, ma solo per motivi legati allo scorrere del fiume e alle "necessità della strada". In questo viaggio molto normale, mi è accaduto di condividere per diverse ore il mio scompartimento con alcune persone che durante lo scorrere delle ore hanno manifestato tutto ciò che racchiudevano nel loro cuore. Come succede, a volte, il dialogo è iniziato con semplicità: poche battute, poi l'interesse e l'allegria simpatica di una bambina ha allargato lo stare insieme al gioco, agli indovinelli, a piccoli racconti di vita... Poi, all'improvviso, la conversazione ha subito un salto di qualità: c'è stato un misterioso rivelarsi dell'anima di ciascuno di noi, un aprirsi vicendevole nella semplicità di un incontro che aveva il sapore di qualcosa di "guidato" misteriosamente dall'alto, un mettere ciascuno nel cuore dell'altro il proprio peso, l'angoscia profonda, la disperazione, la sfiducia per un destino inspiegabile, dominato dalla malattia e dall'ombra amara della morte. Da parte mia è stato spontaneo aprire l'anima e il cuore perché ne trasparisse tutta la speranza, la dolce fiducia in Dio, la certezza del suo Amore. E' stato naturale riferirmi a Gesù, al suo "cammino" così vicino al nostro, alle sue parole cariche di orizzonti allargati nell'infinito mistero del Padre che custodisce, segue, accoglie, è presente accanto ad ogni sua creatura. Nello scompartimento del treno si è come concentrato in uno spazio ristretto tutto un cammino di dolore, di fatica, di angoscia; il peso di una vita rivelatasi come delusione, assurdo, mistero inspiegabile. Non mi è stato proprio possibile chiudere l'anima di fronte al dolore delle persone che mi erano sedute accanto, sono stato costretto a raccogliere la sfida di questo incontro assolutamente non previsto né tanto meno cercato. Avevo messo nella mia borsa alcuni libretti che da tempo desideravo leggere: ero felice di poter finalmente ampliare la mia "cultura" che di solito rimane molto poco aggiornata! Ma il libro che mi è stato offerto da sfogliare non era fatto di pagine di carta cariche di pensieri ad inchiostro: il libro era scritto con lo spessore stesso vita delle persone con le quali stavo tessendo la fragile tela di un dialogo fatto di schiette, sincere, senza veli. E' stato un libro inedito quello che mi si è offerto in una lunga meditazione sul senso del sul dolore, la malattia, i perché essenziali della vita, l'amore, i figli, la famiglia, il senso ultimo delle cose, la fede in Dio, Gesù, il Vangelo, la Vita Eterna... Non era una discussione culturale né tanto meno un abile gioco di parole: le nostre anime erano messe a nudo dalla serietà delle cose, il cuore era obbligato alla sincerità e all'accoglienza senza difese della verità della vita.
E' stata una grande fatica, fino alle lacrime. nello stesso tempo, per quelle vie misteriose che solo Dio conosce, le parole sono diventate anche cariche di dolcezza, di amicizia, di fiducia reciproca, di desiderio di speranze nuove, di apertura sincera a valori forse intravisti, ma mai raccolti sino in fondo. Si sentiva chiaramente che tutti eravamo spinti a non chiuderci di fronte al dramma senza soluzioni e senza risposte: si è parlato del dovere di lottare, di non arrendersi, di chiamare a raccolta tutte le energie migliori, di essere solidali, di riuscire tutti ad esprimere il meglio stessi, di non lasciarsi affogare dalla disperazione e neppure dall'evidenza "scientifica" del male. Andare oltre, seguendo il cammino indicato nel Vangelo da Gesù stesso: "chi crede in me, non morirà..". Forse è stata la prima volta nella mia vita che il "caso" (che poi è la mano della dolce Bontà di Dio) mi ha costretto a rivedere velocemente, in pochissimo tempo, le ragioni vere, le radici autentiche della mia fede cristiana. Nessuno mi costringeva a questo "esame"; era la mia stessa anima, la profondità del mio cuore che esigevano di uscire allo scoperto.
Ci siamo lasciati con una specie di "nostalgia" che il viaggio ci costringesse a separarci: la Comunione che era nata lungo i parecchi chilometri di rotaie faceva sentire il desiderio di poter prolungare l'incontro.
Ci siamo promessi di rimanere "collegati" ed io sono sicuro che sarà così: il piccolo, meraviglioso filo dell' amicizia non può spezzarsi perché esso è stato certamente tessuto dalle abili mani di un Tessitore unico nel suo genere. Non so come, nel concreto, si svolgerà il cammino: nessuno di noi può sapere le modalità del percorso, come la strada proceda in avanti, le sorprese, gli imprevisti, la filigrana del disegno dell'avventura umana. Sono sicuro, però, che il cammino, comunque sia, sarà buono: certo, bisognerà che il cuore non si chiuda, che l'amarezza non sopraffaccia, che l'angoscia non vinca. Bisognerà ricordarsi le parole di fiducia dell'Amico Tessitore:
"Non abbiate paura!". Queste parole semplici e nello stesso tempo meravigliose, Gesù le offre agli amici al momento dell'incontro con loro dopo la sua morte in croce. Al suo apparire dal regno delle ombre, della solitudine, della notte più fonda, Egli avverte che il cuore degli amici è sopraffatto dalla tristezza e dalla sfiducia più totale. Solo la paura è il sentimento che nasce violento al vederlo di nuovo vivo di fronte a loro. La gioia della Resurrezione non ha ancora dilagato come fiume in piena nelle loro anime segnate a fuoco dalla terribile esperienza del Calvario .
Sento che mi devo sempre più abbandonare alla fiducia radicale in Gesù: una fede limpida, un'accoglienza senza difese di Dio nella mia vita, un'accoglienza senza difese del dolore dei miei compagni di viaggio .
Nella grande carovana dei pellegrini, altri volti amati si sono aggiunti nel giorno del mio viaggio in treno: li porto con me, sono diventati parte di me, sono parte viva del mio cammino. Spero che la paura non vinca mai definitivamente nei nostri cuori. Spero che l'Amore di Dio non ci lasci soli lungo la strada, ma sia pane, vino, acqua, fuoco, energia, nutrimento. Spero che i nostri occhi riescano sempre a vedere, fra le nebbie e le oscurità, la luce dell' Amico Risorto che ci libera dal peso della paura e ci apre all'infinita dolcezza della sua Presenza.
don Beppe
Ho ascoltato il nastro registrato da amici attenti e premurosi di un intervento di Sirio durante una messa concelebrata con don Fabio Masi, un amico prete di Firenze cui era legato da sincera amicizia. Mi sembra che nelle poche battute di Fabio e nel discorso di Sirio ci siano gli elementi di un rapporto serio tra uomini.
Mi è parso anche che Sirio lasci trasparire la sorgente del suo vivere, quell'acqua che tonifica, alimenta, pulisce come acqua di fonte ed interessa tanto padre Mongillo e tutti coloro che hanno vissuto con Sirio in grande amicizia.
Gesù Cristo, la gente, una vita povera: potrebbe venir fuori un santino, eppure c'è un legame affatto banale che in Sirio non provoca tanto l'affermazione di una fedeltà, quanto di una meraviglia, di una sorpresa proprio perché gli ingredienti non sono quelli di una ricetta spirituale ben collaudata, ma terreno vitale di incontro e di scontro dove viene giocato tutto.
FABIO E SIRIO
C'è, a spezzare il pane con noi, don Sirio. In tutta la vita ci saremo visti forse quattro volte, ma credo sia une delle persone cui voglio più bene e che sono importanti per me. Anche se ci siamo visti poco io so quasi tutto di lui e lui, non so, ma credo sappia di me più di quanto io gli abbia raccontato in queste quattro volte. Questo vuol dire che ci si interessa, ci si preme. E io sono felice che voi lo conosciate, anche se lo conoscerete con lo stile della chiesa e cioè come il prete che parla mentre il popolo ascolta. E' una nostra scommessa quella di riuscire a far diminuire il prete e a far crescere il popolo cristiano: chissà se ci si riuscirà.
Comunque d'ora in poi potrete dire di aver conosciuto don Sirio. Lui è stato, insieme alla comunità in cui ha vissuto, una presenza appassionante nella Chiesa, una presenza tormentata e tormentante nella Chiesa italiana degli ultimi tempi. E' stato preteoperaio - io non so se sei il primo, ma insomma uno dei primi di certo -, sta a Viareggio, nella diocesi di Lucca, e non è un uomo solo. C'è un prete, tra l'altro amico mio carissimo ed è di Firenze, che sta con lui e intorno a lui gira una comunità. .
Io ho piacere che sia lui a testimoniare, a render conto della sua fede con povere parole, per quanto può. Un uomo secondo me - io ti dico come t'ho visto - la cui forza, ed è stata una forza notevole, nella vita è stata nella mitezza e nella nonviolenza. Ma di una mitezza che mai è rassegnazione o un tirarsi indietro. Questo è stato l'insegnamento che Sirio m'ha dato, quello che io ho recepito anche se sarà sicuramente molto più ricco. Volentieri quindi, e non per rinunciare a parlare, una volta tanto io ascolto la testimonianza, durante l'eucaristia, di un fratello nella fede.
Vi sono nella vita dei momenti in cui si ha la sensazione di toccare il fondo della sofferenza, dell'angoscia, dello sgomento, del dolore, della pesantezza della vita. Ci sono dei momenti in cui invece sentiamo qualcosa che ci ricolma e ci trabocca, ci travolge di gioia, di effervescenza interiore. Ecco questo giorno per me è proprio un momento di pienezza, di sovrabbondanza. Quasi direi: "Signore, Te ne ringrazio!".
E' cosa molto umile, molto semplice: credo che sono almeno vent'anni che non ci incontriamo dopo quelle poche volte in cui ci siamo incontrati e conosciuti e abbiamo vissuto insieme momenti piuttosto intensi. Momenti di reazione, di impegno e - diciamo la parola senza timori e senza paure - lotta all'interno della Chiesa per la speranza, la fiducia, quasi direi la sicurezza di ottenere un cambiamento dell'insieme della Chiesa secondo un progetto di fraternità, umiltà, di spirito evangelico.
Tanti anni, vero don Fabio? Tanti anni. Ma stamani, quando ci siamo abbracciati qui, ecco, quel momento in cui ho capito che realmente vale anche patire, soffrire, reggere, rimanere intenti, impegnati, fedeli perché sicuramente capita l'occasione in cui ci sentiamo veri, autentici. La vita passata non è trascorsa, non se n'è andata a vuoto, smarrita e perduta. Anzi, prevale la constatazione che tutto è stato un valore, che tutto è stato un'importanza, che tutto è stato una grande grazia di Dio. Tutto quello che e' stato vissuto. E ne abbiamo vissuto - veramente - di avventure nella nostra vita, tante avventure.
Ha detto molto bene don Fabio che anche se in tutti questi anni non ci siamo più incontrati però abbiamo continuato a conoscere uno dell'altro in qualche modo. Quasi direi, più per intuizione, ma specialmente credo proprio per una convinzione, una sicurezza di fedeltà. Io ero sicuro, sempre sono stato sicuro, che Fabio era fedele a quelle idee, a quegli impegni, a quei programmi, a quei progetti, a quelle lotte. Sicurissimo. Penso che anche lui abbia avuto la stessa impressione, lo stesso convincimento nei miei confronti. Sicurezza per una fedeltà, una continuità: non ci siamo arresi mai! Grazie a Dio, alla potenza del suo Spirito e anche forse ad una cocciutaggine che ormai è scesa in noi ed è rimasta bloccata in noi, direi proprio da tutta una potenza dell'Amore di Dio per noi e per quello che si poteva e si è potuto significare.
Ecco, questa fedeltà, questo non esserci arresi, questa continuità in tutto un programma. un progetto, per tutta una lotta vissuta, continuata, sofferta, pagata. Io avevo saputo, quando è successo che lui è stato preso, lasciatemi dire la parola - violentemente -, trasportato su questa vostra collina, e ho detto: Certo! E' una grazia di Dio per tutta quella gente - ve lo dico sinceramente, non è che lo penso in questo momento. Allora, quando l'ho saputo, veramente l'ho pensato -, una grazia di Dio per tutta quella gente, anche se mi è dispiaciuto per tutta l'altra del Vingone rimasta, perché sapevo quanto vi è stato di partecipazione così intensa, di coinvolgimento così appassionato. Però ho anche pensato: Guarda come Fabio è rimasto fedele, preciso, fino al punto che l' autorità è dovuta intervenire. Cose grosse, cose molto belle veramente.
Ecco, direi che tutta la storia nostra - non è che sto qui a raccontare cose che abbiamo vissuto, ma cose che stiamo ancora vivendo e non solo concretamente, perché io sono ancora il prete operaio di trent'anni fa. Trent'anni. Quest'anno il quindici d'agosto erano trent'anni da quando ho cominciato questa vita in mezzo agli operai del porto di Viareggio in una condivisione piena, totale, nella condizione operaia nella maniera più chiara e precisa, e poi tutto l'insieme di quelle lotte e poi quella ricerca di incidenza nella Chiesa e poi tutta quella respinta nei confronti dei grossi problemi che hanno travagliato questi trent'anni di storia e quindi tutto un impegno per l'ottenimento della legge per il servizio civile in alternativa a quello militare e poi le lotte contro le centrali nucleari molti anni prima di Cernobyl con una dedizione, un coinvolgimento, ma tutto quanto sempre a seguito di una coscienza popolare operaia entrata in questa realtà di fede e di vita sacerdotale fino alla necessità di un coinvolgimento a costo di tutto, pagando sempre qualsiasi prezzo fino ai tribunali, fino alla condanna al carcere, ma con disinvoltura, con serenità, Poi le lotte contro l'esercito, le lotte per la pace, con dedizione e impegno e coinvolgimento fino ad ora, fino a questi ultimi tempi, per una respinta piena e totale di tutto quello che può essere oppressione, schiavizzazione, sfruttamento ai livelli nostri di popolo, di gente, di umanità nel mondo intero, per una aspirazione ad una fraternità, ad un'uguaglianza, ad un'intesa, ad un vivere insieme da fratelli e non così: sfruttamenti, oppressioni, schiacciamenti, violenze, prepotenze, strapotenze - perché stanno veramente minacciando perfino la sopravvivenza dell'umanità. Contro, lotta serrata senza respiro, senza tregua, direi materialmente, senza pace, ma per tutta un'esuberanza, per tutta un'effervescenza; lasciatemi dire la parola - penso che la capirete -. per tutta una violenza di pace e di amore, di fraternità dentro il cuore, dentro l'anima, da effondere, da allargare in modo da coinvolgere questa nostra storia perché' non diventi storia di disperazione c di distruzione ma di costruzione di umanità.
In fondo è, caro Fabio, è stato bello. Io ogni tanto, alla mia età ormai davvero venerabile, ogni tanto ripenso a tutta questa storia di vita sacerdotale - son quarantatre anni che sono prete - e realmente devo dire - scusate se ve lo dico così a gran cuore perché mi piace tantissimo dirlo, perché è doveroso per me dirlo per dare lode e gloria al Signore datore di ogni dono, elargitore inesauribile di ogni bontà -, devo dire che questa vita impegnata, buttata là, coinvolta, 'sta vita che in fondo, spesso mi sono accorto che è rimasta travolta da questo Dio che è entrato nella mia vita, da questo Gesù Cristo che mi ha convinto e avvinto e affascinato e innamorato così perdutamente. La gente, il popolo, questa realtà umana, questa umanità, motivo, ragion d'essere della mia vita, è stata una cosa bella - davvero Fabio - una cosa bella meravigliosa straordinaria. E ogni tanto mi viene da dire: Signore Dio, grazie grazie perché mi hai dato e mi hai donato la possibilità di giocare la mia vita in un qualcosa di così splendido, di così bello, di così affascinante veramente che più non era possibile realmente. E poi vita povera, miserabile spesso, oppressa, depressa, schiacciata continuamente; continuamente.
Vi confesserò una cosa: due sere prima di Natale - forse ha saputo che non stavo bene di salute, sono ospite di Careggi, sono un po' un abitué perché è la quarta volta che vado in ospedale a Careggi negli ultimi due anni - è venuto il mio vescovo. E' venuto a trovarmi a casa. Dopo dieci anni, dieci anni è stato possibile che io parlassi; che "io" parlassi, perché parlava sempre lui e mi opprimeva, mi annientava. Faccio per dire, ma per dire che anche queste cose, ecco, non hanno non hanno importanza nemmeno la constatazione che forse è stato tutto inutile, che non abbiamo ottenuto nulla, che non abbiamo cambiato niente: perché in fondo cos'è cambiato nella Chiesa con tutte queste nostre lotte, con questi nostri sogni - io amo molto questa parola -; questo sognare a gran cuore senza stancarci mai, cosa ha ottenuto?
Non so, a volte mi sembro proprio di essere un prete che ha vissuto a vuoto. Perché non ho neanche la parrocchia, anche se ho tantissimi amici, ma così senza significato, senza avere nessun risultato pratico, senza nemmeno un'approvazione; ormai nemmeno il movimento dei pretioperai credo non può più avere neppure la speranza di un riconoscimento da parte della Chiesa perché son così tanti anni..., a vuoto, inutile, senza senso.
Mi consolo sempre con la parabola del seminatore che getta via il suo seme e qualche tempo fa mi è venuta questa considerazione che mi ha straordinariamente consolato. Fabio, te la dico perché può darsi che sia di consolazione anche per te, questo seminatore che getta via il suo seme e cade sulla strada e i passerotti glielo beccano, ma lui non se ne interessa per niente, e gli cade sopra i sassi e non porta frutto e gli cade tra le spine e rimane soffocato, va anche nella terra buona ma lui non guarda nient.. e sapete di che cosa è contento quest'uomo? Ecco la considerazione che mi è venuta: di avere alla sera, il sacco vuoto perché ha dato via tutto il suo seme, l'ha gettato tutto. Ecco, vedi Fabio, le nostre consolazioni: quello di aver dato tutto. Tutto, senza avere nessun risultato. E ultimamente ho anche con lettera a tutti i miei fratelli della mia diocesi il sostentamento del clero perché non voglio avere un sostentamento da quella chiesa e da quella diocesi che mai mi ha accolto o gradito nella pastorale che in qualche modo pure ho vissuto. Niente; così vivrò in qualche maniera, ma assolutamente nemmeno questa cosa ho potuto e voluto accettare.
Scusatemi ora tutto questo mio parlare così, ma vi accorgerete che è proprio a gran cuore e mi sembra proprio di parlare con fratelli e sorelle che, sì, insomma diranno a questo punto: ma non la smette più! Certo che la smetto immediatamente! Ma vi ringrazio perché mi avete dato l'occasione insieme a don Fabio di poter aprire qualcosa di quello che porto dentro e poterlo comunicare, offrire così a gran cuore. Perché queste sono le consolazioni, queste sono le gioie vere, profonde: questo parlarci cuore a cuore, questo offrire con semplicità, con serenità, non parole ma una vita e carne e sangue e anima e Fede e Speranza, tutto! Perché tutto è stato indiscutibilmente giocato per la gloria di Dio e per una testimonianza di fede cristiana tra i fratelli e le sorelle.
Sirio
Durante il mese di agosto un gruppo di giovani scout di Parma sono venuti alla Chiesetta. Hanno avuto il nostro indirizzo da amici e, nella programmazione del loro campo estivo, hanno inserito anche un incontro con la Comunità del Porto di Viareggio. Beppe, fuori per il suo turno di ferie, mi ha passato l'incombenza e io mi sono fatto trovare all'appuntamento. Ero assai nervoso perché so che i responsabili di questi gruppi cercano un ambiente concreto, educativo, un'esperienza di incontro su cui far riflettere i ragazzi loro affidati. Al telefono avevo cercato di spiegare che la nostra è una comunità particolare, piccolissima, ridotta ai minimi termini e, per i più, con una netta predisposizione a considerare agosto come un mese di ferie... Quando poi mi sono trovato davanti ragazzi e ragazze seduti al lungo tavolo della nostra saletta, beh, non sapevo proprio che pesci pigliare! Di fronte ad alcune loro domande ho tirato fuori il nostro lavorare con gli handicappati, ma ero furioso con me stesso perché il discorso veniva fuori un po' "folkloristico", ormai di maniera, del genere "oh, come siamo buoni e bravi".
Poi qualcuno di loro ha preso coraggio ed ha cominciato a fare domande più puntuali fino alla fatidica domanda: "ma voi quanti siete in comunità?". Alla mia risposta inevitabilmente costretta alla sincerità, "..siamo due!", ho visto brillare occhi sorridenti di ironia e di scetticismo.
Allora - sembra che io abbia una particolare abilità in questo tipo di gioco -, invece di spiegare loro la nostra storia e di dar ragione di questo esiguo numero, mi sono imbarcato velocemente sulla affermazione fatta come se fosse la cosa più naturale del mondo che le comunità siano composte da due persone e solo eventualmente da qualcuna in più...
Dicevo loro - tutto un bluff? - che mentre il gruppo, avendo valore pedagogico e di supporto, è connotato dai rapporti, dagli obiettivi, dai valori che si vivono all'interno del gruppo stesso, la comunità si esprime soprattutto nella capacità di riconoscere e di entrare in comunione con l'esterno nei valori, stili, obiettivi che cerca di vivere ogni giorno. Entrare in sintonia con chi è sulla stessa lunghezza d'onda, abiti ai poli come all'equatore. Da qui il problema del numero che non è giudicabile in termini di aggregazione, ma di rapporto, di ricerca, di intensità del segnale che viene inviato.
E mentre parlavo, sentivo crescere in me la considerazione di questa nostra piccolissima comunità, ridotta ai minimi termini eppure ancora capace in se di segnare un'energia di fusione miracolosamente intatta. Un resto storico segnato da un cammino di comunione in così tante direttrici espresse in quanti (e chi li può contare?) si sono riconosciuti, per un tratto più o meno lungo, (ma che importa quando si tratta della vita?) parte di un unico insieme. Nello stesso tempo sentivo per noi quanto limitativa fosse e meschina per giunta ogni tentazione di sopravvivere anche su equilibri saggiamente dettati dalle prove del tempo. E quanto assurdo sia essere meno comunità e più gruppo quando si è in due. Si tratti pure di marito e moglie.
E andavo verificando (prima di tutto per me stesso; loro, i ragazzi di Parma, erano già stravolti...) le direttrici di questa nostra piccola comunità con la realtà concreta di una storia che ancora stiamo vivendo. E condensavo queste direttrici in tre punti:
1) Siamo due preti, pellegrini in un cammino di Fede, e questo ci porta a far comunità con quanti si sentono spinti da ciò che va oltre il particolare e il casuale anche se ciò non ha un nome o un nome diverso per ciascuno. Non perché siamo convinti che, comunque sia, alla fine, solo il nome del nostro Dio rimarrà, ma perché anche noi conosciamo il nome di Dio man mano che riusciamo a leggerlo nel riflesso di Lui in ogni creatura che non si chiuda irrimediabilmente nella propria autosufficiente opacità.
2) Siamo due persone coinvolte in un cammino umano di condivisione con quanti affrontano la vita quotidiana con la mente, il cuore, le proprie mani. E cercano giustizia e verità, con amore. Ci sentiamo marginali nei sogni di umanità, di pace, di rapporto con la realtà delle cose e quindi guardiamo con simpatia ad ogni marginalità culturale, religiosa, sociale. Ma sentiamo l'emarginazione come sopraffazione contro cui lottare in nome di un'uguale dignità.
3) Siamo due uomini, celibi eppure "compromessi" dalla convivenza con donne (ma quanto, da noi, più compromesse loro...), dai rapporti più diversi nel corso degli anni. Ci sentiamo in comunità con quanti vanno oltre l'arroccamento in uno stato di vita per cercare di esprimere la diversità - ogni diversità - come esigenza di identità consapevole e non di supremazia, compromesso o azzeramento.
Mentre parlavo mi sembrava che le cose fossero chiare come se leggessi in trasparenza le parole da dire. Non così ora che scrivo, ma non ho perso la chiarezza di convinzione che un cammino sta dinanzi a noi. E non importa il tempo, la frequenza dell'incontro, l'essere due o folla: ciò che importa è l'intensità di corrispondenza vissuta in ogni rapporto, in ogni momento, in ogni luogo. Perché tutto può essere giocato in un punto purché il punto accetti di giocarsi nel tutto.
Non so se la nostra piccola comunità' respira questa libertà, A volte sento che il vento soffia e gonfia le vele e ci aiuta a rompere gli indugi e le difese. Altre volte vivo l'angoscia che tutto il nostro impegno abbia sostanzialmente solo ritorni personali anche se conditi di generosità e di cuore. Compresa la fatica per resistere nei diversi impegni. Non perché questo non sia cosa legittima, ma perché se la comunità non si scioglie nella comunione, essa perde ogni ragion d'essere... esattamente come il sale se perde il suo sapore.
Luigi
Lampa, luglio 1991
Carissimi amici, familiari
e tutti,
in un dialogo continuo di solidarietà, di affetto e di amicizia Vi giunge il mio saluto. A tutti insieme e ad ognuno in particolare. E' motivo di gioia quando si sa che stiamo bene. che siamo sereni e viviamo in pace, che ci diamo da fare per costruire giustizia.
Le forti gelate notturne stanno cedendo il passo al mese dei venti. Agosto è alle porte. Che si congeli una volta per tutte, la ingiustizia! Che il vento spazzi via definitivamente la miseria, la sofferenza dei deboli, l'esclusione e l'emarginazione dei poveri!
Intanto, quest'anno, i figli dei poveri ancora non si sono seduti sui banchi di scuola (... quando esistono), a quasi quattro mesi dall'inizio dello anno scolastico. Qua e là è sempre più frequente visualizzare la scena di bambini, anziani, donne che rovistando, contendono... le ghiande ai maiali!
Terzo Mondo dove vai?
Il mondo ora alla ribalta è un mondo che ha un solo padrone, un solo sistema, un unico impero. Per la prima volta il Terzo Mondo si trova completamente solo. Non può più ricorrere nemmeno al Secondo Mondo che, in un modo o nell'altro, poteva manifestarsi solidale con lui. Il secondo Mondo dei paesi socialisti si è ritirato da questa corrente di solidarietà per trasformarsi in parte del Nord contro il Sud.
E' stato già detto che il Secondo Mondo non può crescere e prosperare se non è ammesso dal Primo Mondo a quel banchetto nel quale si divora il Terzo Mondo!...
Chiesa... mettiamoci i sandali!
La sapienza evangelica è fermento nel cuore della storia che viviamo. Li inviò "a due a due", dice il Vangelo, come è usanza tradizionale del popolo giudeo quando si tratta di portare un messaggio importante. Il Signore dà delle indicazioni fondamentali per quanti vogliono impegnarsi a vivere la forza profetica del Vangelo. La missione, l'invio devono essere compiuti con semplicità e povertà. Il cammino deve essere fatto con mezzi poveri, con sandali e un bastone in mano. Soltanto con l'essenziale! Portare con se due vestiti è già segno di ricchezza. Il Regno di Dio non può essere presentato a partire dal potere e dalla sicurezza che danno la ricchezza o la posizione sociale. La povertà del messaggero è una condizione esigita dal messaggio stesso. Se c'è qualcosa di difficile nella vita dei cristiani e di tutta la chiesa, è proprio questo. Tendiamo a costruirci garanzie e sicurezze, a istallarci, a godere dei privilegi che. paradossalmente. ci possono venire nella nostra società, dall'impegno stesso di evangelizzazione. Solo un profondo senso di Dio, il rifiuto di privilegi sociali o economici, una autentica povertà personale, un esercizio non professionistico del compito di evangelizzatore permetterà che diamo una testimonianza che conduca alla conversione.
"Los Viajeros"
Una delle scene più simpatiche e familiari di queste altezze, in questi mesi, la costituiscono "los viajeros": E' gente che nelle alture della cordigliera andina, vive viaggiando. Viandanti. Gente che cammina giorni e notti in compagnia dei propri animali, delle llamas. Camminano a piedi. Instancabilmente, per arrivare a Juliaca, Capachica, Arapa, Arequipa (21 giorni. andata e ritorno). Calloma, (25 giorni. andata e ritorno).
Vanno di due in due o di tre in tre. accompagnati da venti o trenta llamas. Portano con se caniwa, semola. avena che cucinano durante il viaggio, nelle case dove viene loro offerto alloggio. Di notte alcuni dormono, altri vegliano i propri animali. Non portano con se soldi per il viaggio. Scopo del loro camminare e viaggiare è andare a offrire i propri prodotti (tessuti, corde, "charqui" o carne salata e seccata al sole) e scambiarli con altri (patate, marmitte, ceramiche...).
Le llamas costituiscono l'aspetto coreografico di questo cammino comunitario. Portano in testa degli ornamenti, dei fili di lana variopinti, che sono stati messi in carnevale, durante il sacrificio agli Apus (gli dei protettori delle montagne).
Il cammino dei "viajeros" è il cammino dei poveri!
Lampa, nell'altopiano sur-andino del Perù
L' apogeo dell'impero spagnolo, non soltanto per l'estensione dei suoi domini, ma anche per quantità di ricchezza che riceveva dal Messico e dal Perù cominciò a metà del secolo XVI. Allora scoperti i giacimenti di argento di Potosì (1545) e quelli di mercurio a Huancavelica (1563). La grande e maestosa chiesa dì Lampa (56 metri x 28). di puro stile coloniale, risale a questo periodo. Nella facciata laterale della chiesa è scolpita la data 1685, data in cui si terminò di costruire la chiesa stessa.
Nel momento in cui nobili e terratenienti fanno donazioni alla chiesa, anche le modeste costruzioni per il culto, fatte in adobes, con tetti di paglia, con le quali i Domenicani avevano riempitol'altopiano del lago Titicaca all'inizio del secolo XVI, sono sostituite con costruzioni sontuose e artistiche.
Nonostante le difficoltà storiche che, a volte, appesantiscono il cammino, siamo chiamati a risposte di vita ai tempi che viviamo. Fedeltà ai poveri che esigono solidarietà perché, oggi più che mai, esclusi.
Si tratta della solidarietà della scelta preferenziale per i poveri!
Paolo di Tarso, apostolo del Vangelo, ci dà una mano solidale e affettuosa nel cammino che siamo chiamati a percorrere. "Che la speranza ci renda allegri, che siamo forti nelle difficoltà e assidui nella preghiera... che possiamo benedire sempre a tutti, anche quando ci creano difficoltà... Non contraccambiamo a nessuno male per male e, per quanto ci sia possibile, stiamo in pace con tutti!" (Rom.12,1-12).
Ci salutiamo con il regalo che ci verrà fatto nelle prossime settimane: il regalo del re-incontro! Che sia un momento di gioia per tutti, un'oasi e una brezza nel cammino!
Un abbraccio di cuore a tutti. Ciao a presto! Il mio saluto con amicizia e fraternità.
Giovanni Gnaldi
Apartado 321
L'uomo, bestiolina così minuscola della terra,
s'annoia sulla terra
luogo di grande miseria e di poco svago.
Costruisce un razzo, una capsula, un modulo
punta sulla luna
scende con grande perizia sulla luna
calpesta il suolo lunare
pianta la sua bandiera sulla luna
sperimenta la luna
civilizza la luna
colonizza la luna
e dopo essere arrivato su Marte, Venere, Giove e persino
in altri sistemi solari..
quando li avrà esauriti tutti, resta solo all'uomo
(ma sarà equipaggiato a questo?)
Il difficilissimo pericolosissimo viaggio
che va da se a se stesso
metter piede sul terreno
del proprio cuore
sperimentare - colonizzare
civilizzare
umanizzare
l'uomo
scoprendo nelle proprie inesplorate viscere
la perenne insospettata allegria
di convivere.
Carlos Drummond De Andrade
... Vale proprio la pena ascoltare la parola di poeti e narratori? Non sarà una perdita di tempo, un'evasione nel mondo della finzione per dimenticare gli assillanti problemi reali. E non si tratta poi, tutto sommato, di pensieri e sentimenti troppo semplici e ingenui, per non dire superati? Eppure è forse proprio per questo che vale la pena: sono pensieri e sentimenti e anche fantasie, che ci aiutano a ritrovare qualcosa di fondamentale che, a furia di progresso, rischiamo di escludere dal panorama umano, con rischi c conseguenze che abbiamo sotto gli occhi: l'imbarbarimento...
Enzo De Marchi
da "Madrugada"
Rivista trimestrale dell'associazione per la cooperazione in Brasile ed America Latina
"Macondo" n.2/91
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455