LOTTA COME AMORE: LcA febbraio 1981

Le radici della salvezza

Non è più il caso di perdere tempo e fatica a fare l'analisi della crisi generale che imperversa in questo nostro tempo. L'analisi è sostituita dalla semplice, spietata constatazione attraverso l'esperienza personale per chi, in qualche modo, si trova ad essere personalmente coinvolto e gli bruciano terribilmente le scottature o attraverso la conoscenza, seria e responsabile, di ciò che quotidianamente succede all'angolo della strada, nella propria città, nel nostro paese, nel mondo.
Chi ha cuore e sensibilità umana e accetta e consente di essere attraversato e percosso dalla realtà attuale del vivere e del convivere, non può non essere oppresso e sconvolto da angosce profonde, da amarezze senza fine.
Tanto più che a guardare d'intorno cercando uno spiraglio di luce dal quale possa essere sperata una salvezza, o se non altro una semplice alternativa, qualcosa di diverso insomma, è come trovarsi nel fondo di un pozzo dove l'acqua sporca, la melma soffocante, arriva fino alla gola. Perché tutto è possibile reggere e sopportare, quando si è sicuri, o almeno balena nell'anima l'intuizione, la fiducia, di essere in una condizione di attesa, qualcosa scenderà dal cielo o spunterà dalla terra, da oriente o da occidente, da settentrione o da mezzogiorno.
Invece niente. Come quando si scruta il cielo e dove si sperava uno squarcio di azzurro, si sono addensate nuvole nere.
Forse la frustrazione dell'attesa è l'amarezza più inconsolabile. La caduta della speranza, è il morire dell'anima.
Il nostro tempo e la gente che lo vive, più che tutto è schiacciata dal vanificarsi di un'attesa, dallo spengersi della speranza, dal crollo di ogni possibilità di fiducia. Specialmente nel mondo dei giovani gioca l'immiserimento, la banalizzazione, la sfiducia, provocata da quei vuoti paurosi che la storia del nostro tempo ha scavato, spazzando via, perfino all'orizzonte, i motivi essenziali del vivere umano e schiacciando a rullo compressore, utopie e sogni di umanità diversa.
Il tempo dell'oggi uccide il tempo del domani, fossilizzando nell'immediato, nell'artificioso, nell'obbligato, inevitabile perché spietatamente imposto, il guardare fiducioso in prospettiva, l'orientarsi allegro verso un futuro.
Il fatto che gli uomini del potere assoluto (il potere è ciò che decide di tutto, dell'aria da respirare fino a chi deve vivere e abitare la terra, un ingranaggio cioè dal quale è impossibile che un essere umano in qualsiasi angolo del mondo, non venga macinato) il fatto che questi uomini del potere abbiano disponibile e pronto all'uso, un potenziale nucleare capace di distruggere l'umanità quindici volte, questo fatto può essere, oltre a quella realtà terrificante, anche un'indicazione simbolica, eloquentemente descrittiva, della realtà dei rapporti fra l'esistenza umana attuale e quella di domani: sopravvivenza oggi, seria probabilità di sterminio domani. La conclusione psicologica imperversa più o meno in tutti: la provvisorietà, il niente della persona, l'inconsistenza del valore della vita. Nel S. Salvador, più di diecimila morti nel 1980, uccisi dalla repressione governativa. A Napoli diciannove assassinii dal primo giorno di quest'anno per rapine e regolamenti di conti. Due soli esempi. Così, ugualmente, non conta niente l'insidia alla salute pubblica delle centrali nucleari, i migliaia di miliardi nella costruzione di armi vendute al terzo mondo dove la fame uccide a milioni. Il giocare sulla vita e sulla morte, spietatamente da parte delle B.R. l'uccidere disinvoltamente da parte della polizia e in questi giorni sui muri della città hanno attaccato grandi manifesti invocanti la pena di morte... E questi sono semplici accenni di una vera e propria necrologia universale.
E' chiaro, spaventosamente evidente che, come sempre, anche oggi, conta di più e nel gioco del potere è più vincente, la morte, l'assassinio, lo sterminio, che la vita, che il vivere e il convivere in pace.
L'attesa, ma aspettare chi, che cosa? La speranza, ma sperare cosa?
Il cammino della storia dell'umanità, sono migliaia e migliaia di anni, è come un fiume che scorre.
Spesso non si sa se è più lacrime e sangue o l'acqua di questo fiume che scorre e scorre.
Il nostro tempo segna forse una novità nella storia umana: il tentativo di fermare, di arrestare, di bloccare lo scorrere del fiume. Il tentativo spaventoso di chiudere la storia nel presente, nell'attuale. Il tentativo di impedire che possa esistere il domani, di escludere dal presente il futuro
E' la maledizione più pesante che grava sul nostro tempo. E' anche la dichiarazione esplicita, anche se tutt'altro che riconosciuta, che il nostro tempo è abitato e vissuto assai più dalla morte che dalla vita.
D'accordo che questo giudizio può essere eccessivo e avvelenato da pessimismo, da una visione drammatica e traumatizzata della storia. Sta il fatto però, comunque, che s'impone il dovere di fare qualcosa, di prendersi le proprie responsabilità, di compromettersi in qualche misura.
Non apparirà facilmente il che cosa fare, quali responsabilità da assumere, dove e in che modo compromettersi. Anche questa è una novità affacciatasi in questi ultimissimi anni e non è indicazione di problema di poco conto. Perché i vuoti di progetto si dilatano sempre di più: per un chiudersi istintivo nel buco del personale, con il solo impegno e pagando spesso prezzi di valori essenziali e di dignità umana, per ovattarlo questo buco, di benessere epidermico, artificioso, alienante. E poi perché gli spazi concessi e permessi per progettazione di rapporti, sono sempre più ristretti dalle realtà di potere e dalia sopraffazione e quindi dall'imposizione più o meno violenta, dei sistemi imperanti, dai quali sembra impossibile sottrarsi e liberarsi. Non rimane altro da fare, per chi ha voglia di non arrendersi e quindi di non allinearsi, che, nelle misure del possibile di ognuno, operare vere e proprie rotture, realizzare respinte, stabilire delle scelte, in un clima interiore di resistenza a costo di tutto, di dissenso profondo, credendo fermamente ad una possibilità di proposta per se stesso e da offrire intorno a sé.
E' chiaro che non può essere concessa una programmazione di risultati e tanto meno un gradimento, un'accoglienza, un'approvazione e un seguito.
Perché l'unica fruttificazione non può essere di più di una sincerità personale, di una libertà liberata, per un vivere fuori dal ghetto soffocante di una civiltà in putrefazione.
E altra cosa da fare estremamente importante è cercare di custodire, salde e forti, le proprie radici.
Nell'albero che non fa più frutti, che ha perduto le foglie e vitalità, rinsecchendo miseramente, le radici affondate nella terra, abbarbicate disperatamente alla roccia, possono conservare la speranza di una ricrescita dell'albero al tempo opportuno. La fiducia del domani é tutta posta nelle radici, nella loro sanità e saldezza, nella cocciutaggine, tenace ed appassionata, di rimanere aggrappate a succhiare linfa vitale dalle profondità nascoste, sotterrate.
Perché ognuno ha le sue radici, fittoni che scavano e penetrano nel profondo della carne e dell'anima, rete aggrovigliata, fino ai capillari, di radici invisibili ma tenaci, resistenti, aperte a ventaglio nel sotterraneo del proprio vivere.
Noi pensiamo che la radice che mai inaridirà è la Fede, è Dio, è Gesù Cristo. E quindi la verità, la giustizia, la libertà, l'amore...
Custodire, a costo di tutto, questa radice é garantire sicurezza di Speranza per un valore, per un significato al vivere di se stesso e al vivere umano dell'umanità.
Perché in questi nostri tempi di smarrimento, di disorientamento, di alienazione, individuale e collettiva soltanto la conoscenza dell'essenziale e il giocarvi tutto sopra, può fruttificare salvezza.



Momenti di passaggio

Ci sono dei momenti, ma possono essere giorni, mesi, in cui lo scrivere risulta uno sforzo quasi impossibile e il foglio bianco diventa un incubo. Forse anche il parlare, perché gli avvenimenti hanno bisogno di una loro decantazione prima di poter esprimere il senso di un cammino in salita o discesa che sia. E questo è per me un momento di avventura di cui non so bene valutare la portata. E' un po' come quando ci si alza prima dell'alba per partire e con gli occhi ancora mezzi chiusi si sbircia il cielo dalla finestra per tentare di interpretarne i segni ancora molto incerti.
E parlo di avventura nel senso migliore del termine e cioè quando l'avventura stessa è proposta dalla realtà delle cose, dagli avvenimenti che la storia prepara e che l'esistenza personale avverte man mano che l'età avanza e i contorni delle proprie responsabilità si fanno sempre più precisi.
D'altra parte questo giornaletto viene fuori così di rado che non è possibile non inserirvi almeno qualche riga se non altro per dire agli amici: «eccomi qua. sono sempre vivo».
In questi ultimi anni ho cercato di resistere alla disperazione crescente degli avvenimenti tentando di cucire giorno dopo giorno un tessuto di speranze, di lotte, di rianimazioni, ed entusiasmi dovunque avvertissi la possibilità di una crescita di umanità, di un incontro di sensibilità, di un confronto aperto. Ed è stata come una lunga liturgia eucaristica vissuta alla luce pallidissima del rinnovarsi delle coscienze, spezzando il pane del desiderio emergente di una vita qualitativamente diversa, di una possibilità di confronto nelle libertà reciproca, di un profondo desiderio - alimentato da un'istintiva ostilità - di penetrare nel cuore del dolore e della morte per affrontare a viso aperto la vita.
Sono stati gli anni del lavoro nel baracchino qui, vicino alla chiesetta. Un lavoro povero, insignificante, quasi da cenciaio. Eppure una cosa così tanto mia non l' ho mai avuta. Sono stati gli anni in cui sono uscito pochissimo dal guscio della Darsena in una ricerca molto istintiva di radici concrete di umanità, di amicizie, di gesti quotidiani che mi aiutassero a resistere ai venti che riempiono il cielo di nuvole fino ad impedire alla luce di filtrare e preparano il tempo della disperazione.
Ora molte cose sono cambiate, nel quotidiano e nella prospettiva, ma non credo affatto nel peggio.
E stato come il lento rientrare dall'eremo alla vita della città. Un mutamento radicale di movimenti, di ritmi, di suoni e di incontri. Ed ora non è più il tempo in cui star seduto fuori della porta ad aspettare il mondo che passa, ma il tempo di saltar su la sella degli avvenimenti e degli scontri degli uomini. So di perdere molto della mia tranquillità; ma mi aiuta un carattere da plantigrado (almeno così dicono all'esterno...).
Mi sento tremendamente sprovveduto ad entrare nel vivo di situazioni e di problematiche che sono senz'altro più grandi di me. Ma confido nel taglio «sacerdotale» della mia vita. Non mi so molto meglio esprimere. ma intendo una «laicità» di fondo che mi permette (almeno mi sembra) di non essere conquistato dal potere che anche i valori più veri e più sacri possono avere sull'uomo proprio perché sono radicato nella vita di un Uomo che abbraccia l'umanità da una croce innalzata per affermare la superiorità del «sabato» sull'uomo stesso. E questo non per un sacramento ricevuto una volta per tutte, ma per la verifica non facile, ma continua, della conversione gioiosa e della penitenza.
Ma qui vado veramente nel complicato. ammesso che ci sia della semplicità in quello che io scrivo! Quando non ci sono segni chiari è veramente molto difficile far capire quello che si muove sotto la pelle.
Una cosa mi sembra di poter dire con chiarezza. E riguarda il lavoro che sto facendo al capannone.
Un progetto di lavoro che si muove lentamente, con mille difficoltà facilmente comprensibili. Un progetto che condivido con gli altri compagni fino a che, sia pure nei difficili contorni dell'utopia, trova lo spazio per muoversi verso una realtà di lavoro meno separata dal resto della vita e meno separante gli uomini tra loro. Verso condizioni di collaborazione concreta, di superamento di deleghe e di ruoli per scavare il proprio tiepido privato nelle pieghe dello sfascio pubblico. Nella ricerca di iniziative di rapporto con chi condivide le nostre speranze e la nostra condizione di ricerca.
Non mi basta la «rimpatriata» che abbiamo fatto, anche se non ne sottovaluto la portata. Il fatto di lavorare di nuovo insieme, preti ed amici ormai da tanti anni. è fiore che appassisce presto se vive del ricordo e non trova motivi serrati e decisivi per vivere di nuovo. Ed i motivi ci sono. Io, senz'altro, prendo le cose un po' a zuccate e vorrei buttar giù le porte al più presto forse per un vecchio difetto di claustrofobia, ma sento che se ci lasciamo crescere l'erba sotto i piedi... Ognuno di noi in fondo a parole è un guerriero, ma amiamo, abbiamo bisogno come tutti di vita tranquilla.
E dopo l'anno dei debiti (quelli in soldi tanto per intendersi) ora possiamo un po' respirare e cominciare a guardare più avanti, ma la tensione rimane; si è sempre in debito di ossigeno per le energie, il tempo, le idee, le conoscenze... Forse questo ci rende meno disponibili, ci può far sembrare dei fanciulloni tutti presi dal loro nuovo giocattolo, non so... Bisogna che gli amici si adattino al fatto che dai vecchi tronchi può sempre spuntare qualche ramoscello di pazzia.

Luigi

Convegno nazionale dei P.O. marzo 1981

CONVEGNO NAZIONALE DEI P.O. 5 - 6 - 7 - 8 Marzo 1981
presso il CENTRO GIOVANNI XXIII Via Colle Pizzuto, 2 - FRASCATI (RM)
tel.: (06) 9422113


L'inizio è previsto per le ore 15 del 5; la conclusione per le ore 13 dell'8

TRACCIA DI LAVORO
1. Esserci dentro adesso
- partecipazione reale alla storia del movimento operaio, con riferimento alle condizioni attuali (piccole e grandi imprese, artigiani, Nord e Sud,...).
- sradicamento culturale operato dai modelli della società dei consumi, sradicamento che investe sia la soggettività che le relazioni interpersonali, il modo di vivere e di pensare la vita
- rapporto con gli "spezzoni" di chiesa (parrocchie, comunità di base, fraternità emergenti) autonomia personale, autonomia finanziaria, autonomia culturale (nei confronti delle chiese e della politica), autonomia affettiva
nota bene: andiamo a questa analisi con un approccio non concettuale e astratto, come fosse discussione, e nemmeno raccontando singole storie, ma assumendo con responsabilità tutta la complessità del reale che ci coinvolge cercando di renderla STORIA, anche personale.

2. Interrogativi nuovi
- autonomia del sindacato dai partiti, unità e democrazia nel sindacato; le conquiste operaie (legge 300, contratto, contrattazione) di fronte alle esigenze dell'economia di mercato; lavoro, senso del lavoro, assenteismo,...
- è possibile una ridefinizione innovativa evangelica dell'essere preti?
- Qual à il nostro rapporto con i cristiani praticanti
con i sacramenti
con le comunità di base,...
- come ci poniamo di fronte agli spazi ecclesiali istituzionali disponibili?
- quanto l'autonomia finanziaria ha condizionato-favorito il nostro essere uomini, preti, credenti?
- Quanto questi anni di vita operaia hanno favorito una maggiore autonomia culturale e politica? quanto questi anni hanno contribuito a una modificazione dell'approccio del problema della sessualità?
3. La nostra speranza in questa situazione
- lettura dei segni di speranza e di vita nella situazione attuale (riferimento al punto 1)
- radicalità dell'evangelo e uscita dall'anonimato
- rendiamo conto della nostra fede di fronte a una situazione italiana dove la fede o è temporalizzata (partito cristiano, scuole cattoliche, assistenza cattolica ...) o è insignificante (come nelle masse praticanti)
- quale il cammino da cercare per una fede liberata dall'essere funzionale a coperture politiche, ma è significante in un mondo profano e in un mondo completamente laico.



Il potere e la chiesa

Vorrei scrivere qualcosa sulla Chiesa. E intendo la Chiesa gerarchica, organizzata, visibile, storica e attuale. Perché la mia Fede che, grazie a Dio e con sempre più immenso stupore, mi ritrovo chiara e serena, include e porta in se, nella sua chiarezza e serenità, il problema della Chiesa.
Soltanto apparentemente e per volontà di uomo, sono e vivo ai margini della Chiesa, quella di cui sopra, perché della Chiesa, Popolo di Dio, penso e spero di essere nel più vivo del cuore. Succede quindi che il sogno di Chiesa e l'angoscia di Chiesa me lo porto nell'anima, cioè nell'essenzialità di me stesso e non è possibile, neppur volendolo, distrarmene.
Leggo poco ormai della stampa cattolica. Anche lo stomaco ha i suoi limiti. Non partecipo agli incontri di studio, di aggiornamento, come li chiamano e di problemi pastorali. Non vado più in là della ricerca di conoscenza dei documenti ufficiali e di quello che raccontano i giornali e i telegiornali. Posso essere e con ragione, giudicato prete con scarso interesse nei confronti della sua Chiesa cattolica e locale e anche alquanto poco aggiornato culturalmente. Concedo tutto e più ancora, se a qualcuno interessa un giudizio ancor più severo. Con questo però non rimane affatto dimostrata una poca Fede nella Chiesa o un intiepidito o addirittura raggellato Amore. Direi esattamente che è vero il contrario.
Da molti anni ormai, a parte le effervescenze giovanili, ho capito che battere le mani e gridare evviva non é per niente calore di Fede e fiamma di Amore: è piuttosto alienazione, passività, vuoto consenso. Dove e quando l'Amore non è anche dissenso e proposta, non è partecipazione e responsabilità, dunque non è far proprio un valore, non è assumerlo per condividerne tutto il destino. E il destino della Chiesa nasce dal cuore di Dio, porta in sé il progetto che si chiama Gesù Cristo, investe tutta la storia portandone, e il peso è tremendo, forse le uniche possibilità di salvezza.
Non è possibile e permesso allora girarvi intorno a questo problema, profumandolo di volute d'incenso, accontentandosi di gridare evviva o più semplicemente di risolvere quell'immenso dovere di responsabilizzazione che coinvolge e nessuno sa fino a quale misura, ogni credente, sospirando devotamente Amen, così sia.
So bene quanto è sempre stato e quanto lo è attualmente, rischioso decidersi ad una coscienza di Chiesa a livello personale: una scelta che significhi, interiormente e scopertamente, l'assumersi nella propria anima e nel concreto della vita, il mistero della Chiesa. Non vuoi dire giudicare nessuno, respingere altri o tagliarsi fuori, abbandonarsi a orgogli personali bloccandosi in pregiudizi o preclusioni, mettersi al posto del Papa o dei Vescovi ecc. Significa invece e molto semplicemente perdere la propria pace, uscire dal chiuso di se stessi e mettere le spalle ma specialmente la propria anima, sotto i pesi universali che il Mistero del rapporto Dio e umanità comportano e che, non è una frase mistica, hanno inchiodato Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo, alla croce.
Evidentemente non è prospettiva consigliabile se non a chi è disponibile a questo scambio: porre la Chiesa al posto di se stesso, anteponendo il suo Mistero alla concretezza della carne e del sangue e tanto più nell'anima propria. Perché qui è particolarmente vero che è nel perdersi la salvezza.
Che possa trattarsi, in questa perdizione, di crisi, d'insoddisfazione, di disobbedienza, di ribellione ecc. è discorso facile ad ascoltarsi nelle conversazioni del clero «fedele» e negli uffici delle curie; consacrate di amministratività secolare. Che possa trattarsi di ansia di Fede e di struggente Amore, forse lo sa soltanto chi da sempre paga una fedeltà, connaturata alla propria vocazione, maturata nel silenzio e nella preghiera e fatta scelta di vita sempre e voce di Parola, ogni volta che sarebbe non Amore tacere. Parola che é come donazione di sangue.
Tutto questo non é che lo stia scrivendo per dare giustificazione alle amarezze che dilagano ormai l'anima, ma per rammemorare che si tratta di Amore, semplice, purissimo, verginale Amore. In ogni caso chi volesse dare altre spiegazioni, faccia pure: è venuto il tempo in cui la sincerità è valore personale e non si attende e tanto meno pretende, di essere approvata e condivisa.
Ma volevo riflettere con gli amici, i fratelli e le sorelle che mi conoscono, qualcosa che attualmente mi affoga l'anima di amarezza a causa della Chiesa di questo nostro tempo e vorrei sottolineare «Chiesa di questo nostro tempo».
Avverto e non per sottilità di percezione, ma evidenza alla luce del sole, una forzatura di ricerca di potere da parte della Chiesa. Una volontà di contare, di avere precisi connotati e significati temporalistici. I metodi, le vie seguite, é chiaro, sono diversi da quelli dei tempi passati, anche se a rifletterci bene, non così tanto, come sembrerebbe a prima vista. Ma i risultati ai quali si punta, sono esattamente gli stessi: Chiesa personaggio di primo piano, alternativa storica, assolutizzazione della Verità e non soltanto quella teologica, esclusività di risoluzione in ordine a qualsiasi problema, clericalizzazione accentuata della presenza storica, polarizzazione d'intervento, preferenza di interessi a misure totalizzanti nei confronti di particolari problemi, lasciandone volutamente in ombra altri... Pare che la Chiesa sia determinata e governata da una centrale di programmazione elettronica bloccata su precise intenzionalità: si introducono i dati scelti con cura, si preme il pulsante e i risultati segnano le vie da battere.
Non è certamente ben chiaro se in tutte queste operazioni lo Spirito Santo abbia un ruolo, oltre a quello di sperare bene e di avere pazienza.
Mi rendo conto che la descrizione è troppo succinta e racconta soltanto delle impressioni. I fatti però sono raccontati, giorno per giorno: per coglierne tutta l'amarezza e lo sgomento spesso il cuore vede di più assai della mente e certamente la Fede molto più della ragione e specialmente della ragione del potere.
Bisognerebbe, è vero, di questa realtà di Chiesa discorrerne con il Papa. Ma al Papa è possibile parlare soltanto battendo le mani e struggendosi gli occhi di commozione verso la finestra di piazza S. Pietro, tutte le domeniche a mezzogiorno o in altre occasioni qui o là per il mondo. E mai nella storia tanta gente o popoli hanno «parlato» battendo le mani o sbracciandosi, col Papa.
Ma anche semplicemente raccomandargli di fare meno il Papa e un po' più il cristiano, è praticamente impossibile. Non si può dire al Papa e suona la raccomandazione poco rispettosa se non addirittura un'impertinenza,di cercare di essere cristiano, mentre lo si raccomanda, si predica, si esorta tutti ad essere più cristiani. Anche perché senza dubbio (ci mancherebbe!) lui cerca con tutte le sue forze di essere un Papa cristiano: qui possiamo mettere la mano sul fuoco.
Lo strano è che almeno dal terzo secolo in poi che la storia della Chiesa soffre le angosce del parto per via di questo problema del papato cristiano. E da ogni conclave nasce un Papa cristiano: ancora non è venuto il tempo, ma è perché continuano a imperversare realtà di potere e si confida assai più nell'umano che in Dio e nella potenza del suo spirito, il tempo in cui non sarà più proclamato un Papa, ma soltanto un Successore di Pietro e più ancora un Vicario di Cristo.
Ma chissà se qualcosa sarebbe cambiato, il concludersi di una storia e l'inizio di un'altra, nel caso che i bersaglieri di Porta Pia si fossero fermati soltanto nel cortile di S. Damaso e il Papa si fosse trovato a non essere che un semplice monaco in un monastero.
Sono gli antichi sogni di scismatici, di eretici, di mistici, di poeti, ma forse anche di tanta povera gente, compresa quella che trabocca piazza S. Pietro e ormai tutte le piazze del mondo.
Non é possibile sapere se nella terza tentazione di Satana a Gesù, stremato dal digiuno e perfetta luce di Dio, i regni che gli ha dispiegato davanti, di tutta la terra, offrendogliene il possesso e il potere, erano regni come quelli che conosciamo dalla storia (ma in questo caso Satana avrebbe manifestato poca conoscenza di Gesù, il che è improbabile) o erano invece folle, moltitudini sterminate acclamanti, in delirio fino al fanatismo, capace di esaltazioni e assolutismi. Forse é preferibile la seconda interpretazione anche perché più confacente ad un potere religioso. Gesù ha respinto Satana e le sue offerte, come ha lasciato volutamente svanire la folla osannante delle palme, preferendo quella della piazza del pretorio di Pilato.
Ma capisco bene che sono riflessioni che si fanno riferendoci alla gloria dei potenti di questo mondo, per i dittatori, i despoti, i capi popolo ... E'senza senso. E' stupidità polemica porsi questi problemi trattandosi degli incontri pastorali, missionari, di un Papa, anche se non può non venire in mente che sì, può andar bene per un papa, ma non però per un Papa cristiano.
Tanto più. che se le acque sono chiare o inquinate alla sorgente, scenderanno lungo le valli, dilagheranno per le pianure a irrigare i campi e ogni zolla di terra acque feconde o acque inquinanti.

don Sirio

Le lotte antinucleari

PROCESSO DI CONDANNA
Il processo alla Corte d'Appello di Firenze del 16 dicembre 1980 si è concluso, dopo una giornata di intenso, appassionato dibattito, alle 18,30, con una condanna per tutti gli otto imputati, a sei mesi di carcere, pena sospesa con cinque anni di condizionale. Alle parole, come sempre atone e incolori, del presidente della corte, è calato un silenzio da cimitero sugli avvocati, gli imputati, le centinaia di giovani che per tutta la giornata si sono accalcati dietro le transenne del tribunale. Il giudice prendeva subito le carte di un altro processo e chiamava il nome di un borseggiatore ma nessuno si muoveva, bloccati e come scioccati dall'assurdità, dalla violenza della sentenza.
Perché quella condanna uccideva una lunga speranza: che le ragioni del popolo possano an-che creare "diritto" e quindi prevalenza nei confronti delle ragioni del potere, di qualsiasi potere, politico, economico, militare, religioso. Quell'antica speranza, sempre riaccesa, in mille modi, nei secoli e sempre puntualmente e freddamente spenta. Una legge di un codice del 1930, attualizzata nel 1948 e sempre per ovvie ragioni contingenti di potere politico, ha governato e deciso, in questo nostro tempo, in cui si programmano e si tenta di realizzare progetti di micidialità assolutamente nuova, di cui non vi è traccia nei tempi passati e di irreversibilità tale che, per diverse migliaia di anni rimarranno segno e realtà di morte. Si gioca l'abitabilità della terra, la salute di popolazioni, la sopravvivenza delle generazioni future, imponendo il silenzio, ricacciando la protesta nel criminale, soffocando per quattro parole di un codice fascista, la speranza e la fiducia nella giustizia. "Perché non li hanno trascinati questi imputati al banco dell'accusa, i carabinieri, ma spontaneamente sono venuti qui per un'autoaccusa, determinata dalla fiducia nella giustizia", diceva un avvocato.
E mi sgomentava fino all'angoscia, ritrovandomi affogato dall'amarezza di quei giovani, sentir mormorare, fra i denti, ma vedevo che saliva su da coscienze turbate e oppresse: ma allora che si deve fare? Si deve sparare?
Perché la condanna era calata su tutto il Movimento Non Violento, sulla scelta di un metodo di lotta, assolutamente fondato sul rispetto anche della legge, e condotto in totale obbedienza alla propria coscienza, alla condivisione e partecipazione ai problemi di umanità alla ricerca di sollecitazione delle centrali di potere attraverso la promozione dell'opinione pubblica.
Questa Non Violenza è nel vuoto, nella carenza, spesso nella respinta della mediazione amministrativa e politica (amministrazioni comunali, provinciali, regionali, dei sindacati e dei partiti!) che è venuta facendosi lo spazio per lo stabilirsi della necessità di supplenze nelle realtà popolari, oppresse da interessi a livelli mondiali e di gruppi di potere, ormai scopertamente al di là di ogni limite morale, umanitario, di legalità. E' in questo spazio, è in questa mediazione che la lotta Non Violenta realizza la fedeltà e la coerenza ai valori di umanità, quali la dignità di ogni essere umano, la libertà, l'uguaglianza, la fraternità ecc. e quindi tutti quei valori che si riflettono sul rapporto uomo e ambiente nella lotta contro gli armamenti, il nucleare militare e civile, i modelli di sviluppo impazziti, la corsa verso l'esaurimento delle risorse naturali, l'inquinamento ecologico e tanto più quello morale ecc.
E' stato momento particolarmente faticoso dover ascoltare la requisitoria del Proc. Generale e non poter alzare nemmeno un dito. Manifestava ignoranze paurose circa il nucleare e raccontava assurdità impossibili a sopportarsi. E nel frattempo raccomandava di continuare su questa strada della non violenza e di attaccare manifesti, di distribuire volantini... fate cultura, paternamente sollecitava, fate cultura perché in fondo la causa dei mali che travagliano il mondo, è la mancanza di cultura... E capivo perché la giustizia spesso commette ingiustizia o almeno non è giustizia, perché le regole le trova in un libro e non le scruta nella storia. Su un piatto della famosa bilancia un codice, cioè la legge e infiniti interessi da difendere e sull'altro piatto un'ipotesi, una utopia e cioè un pericolo capace di insidiare la tranquillità del sistema.
La condanna della corte di appello fa retrocedere la «giustizia» fino all'assoluzione del 19 marzo del tribunale di Grosseto, «per aver agito in stato di necessità putativa, la ribalta totalmente, cancellandola con una condanna e stabilendo che siano pagate le spese processuali anche di quel processo che si concluse con l'assoluzione. Un tribunale condanna un altro tribunale, dei giudici danno del cretino ad altri giudici...
La cosa lascia perplessi e non può non venire in mente la parola del Vangelo: "Se gli abitanti di una città si dividono e si combattono tra loro, quella città non può continuare ad esistere. Se in una famiglia manca l'accordo e ci si divide, quella famiglia non potrà più durare. Se dunque Satana si mette contro Satana e non è più unito, non può andare avanti; il suo potere è finito" (Mc. 3, 24-26).
E' chiaro che il nostro processo e noi stessi siamo un ombra, un niente, nei confronti di quello che sta succedendo in Italia e nel mondo, ma è anche vero che le piccole cose sono un segno sbriciolato di quelle grandi e che il mare è fatto di gocce d'acqua e ogni rigagnolo cresce l'inquinamento.
don Sirio Politi



Questo appello alla Corte del Tribunale è stato letto, in apertura di dibattito, da Don Sirio, a nome di tutti gli otto imputati.
Signori Giudici,
abbiamo deciso comunitariamente un solo intervento. un intervento che non vuole assolutamente avere il benché minimo sapore di comunicato o di pronunciamento ideologico. Ognuno di noi risponda come persona indipendente, obbedendo, secondo la propria coscienza, a motivazioni che ci hanno condotti alle medesime scelte.
Questo compito di precisare ancora una volta, davanti a questa Corte di appello, le motivazioni che ci hanno convinto all'azione che ci viene contestata come reato è stato affidato a me (e io vorrei assolverlo con particolare intensità) forse per i miei capelli bianchi, segno evidente di una già lunga vita e per il fatto che, essendo io sacerdote da trentotto anni, mi conferisce forse una particolare credibilità nel garantire che il nostro essere qui è semplicemente e unicamente in risposta ad un chiaro imperativo di coscienza. Coscienza che particolarmente in me, credente e sacerdote, è determinata, anche in questa lotta contro il nucleare, da un dovere di fedeltà e di coerenza ad una scelta di Fede in Dio, come norma fondamentale di impegni pratici e quindi di comportamento.
Per me o per questi miei fratelli e sorelle questo valore inalienabile della dignità umana che è la coscienza, è criterio determinante di rapporto con il mondo e il tempo in cui viviamo, con la realtà storica nella quale siamo chiamati ad operare.
Su questo problema di coscienza, che noi abbiamo vissuto e sofferto, vorremmo che questa Corte ci giudicasse. Perché la nostra responsabilità, se di questa si vuole parlare, sta tutta nell'avere agito secondo coscienza, rispondendo e affrontando i gravissimi problemi morali che il nucleare, e quindi le centrali nucleari, ci hanno imposto, in misura tale di gravità da renderci impossibile, perché risulterebbe disonesto e immorale, non raccogliere.
Mi permetto appena fare qualche accenno a questi motivi di obbligo morale, umano e civile: problemi del resto ormai abbondantemente trattati dalla scienza responsabile, dall'economia ragionata, e da una politica sana e libera:
1) Questa nostro opposizione alle centrali nucleari in progetto di costruzione in Maremma, siamo nell'anno 1976, maturata con l'occupazione del sito ferroviario di Capalbio, è ovvio che non è per motivi personali, né per arrecare danno alle FFSS, ma unicamente per raccogliere e potenziare tutto un popolo, teso a salvare la propria terra e la sua abitabilità. Semplicemente non siamo rimasti indifferenti, chiusi nel privato e nel tepore della nostra tranquillità.
2) Ci incoraggiava la fiducia di un ascolto da parte dei poteri costituiti, fino allora rimasti insensibili e sordi a qualsiasi richiesta di interessamento. Fiducia del resto non inesaudita dal fatto che la Regione Toscana non ha concesso il nulla osta per la costruzione della centrale "Coredif" nel territorio del comune di Capalbio, diversamente dal comportamento della Regione Lazio per Montalto di Castro
3) Siamo convinti della sismicità dei siti prescelti per la costruzione di centrali nucleari nel nostro paese. Vedi il recente disastro sismico nell'Irpinia precedentemente indicata dal CNEN come territorio disponibile per centrali e per depositi di scorie radioattive.
4) E' ormai certo, per ricerche scientifiche anche recenti, realmente impressionanti, che il rilascio radioattivo di centrali in normale funzionamento comporta un progressivo aumento di cancro e di leucemie. E' semplicemente assurdo pretendere che una coscienza popolare non si muova per bloccare l'incremento di questo male spietato: tutta l'ansia dell'umanità e lo sforzo della scienza è teso nella speranza che sia vinto questo micidiale nemico della vita e nel frattempo disinvoltamente viene incrementato e dilatato.
5) E' immoralità sconcertante che sia imposto alle generazioni future un inquinamento radioattivo atmosferico, di acque, di alimentazione, in aumento incontrollabile e irreversibile. Che siano lasciate ai figli dei nostri figli, fino a migliaia di anni, depositi di scorie radioattive equivalenti a depositi di morte.
6) Una sana e retta coscienza non può accettare che la ricerca di una fonte di energia, che otto centrali nucleari non possono soddisfare che nell'irrisoria misura del 5% del fabbisogno nazionale, possa compromettere il diritto ad una terra dove sia possibile la vita: se è vero, come è vero, che «il fine non giustifica i mezzi» e che il benessere materiale dell'oggi, abbia il diritto di distruggere la vita del domani.
7) Non può lasciare indifferente sapere che l'energia nucleare inizia la sua storia con Hiroshima e Nagasaki e che il tentativo di farle perdonare un orrendo massacro cercando di utiliz-zarla in usi civili, non ha impedito la continuità della sua maledizione arrivata fino al punto di accumulare un potenziale di armamento nucleare sempre in aumento, capace di distruggere già l'umanità 15 volte. Nel 1985 saranno 45 le nazioni che avranno fra le loro armi la bomba atomica.
E' ormai lampante, agli occhi che vogliono vedere, che la costruzione di centrali nucleari nel mondo non è determinata da scelte civili, ma militari. Nel nostro paese la costruzione e il commercio di armi pone l'Italia al quarto posto fra le nazioni: questo disumano profitto sulla morte ha necessità di centrali nucleari: davanti a queste scelte che richiedono investimenti di oltre 30000 miliardi, chi ama la pace e non accetta che l'umanità giochi la propria sopravvivenza, non può che prendere un posizione di resistenza e di lotta.
8) Siamo consapevoli e angosciati della rovina e devastazione che questo modello di sviluppo, centrato su una progressiva industrializzazione, ha imposto alla convivenza umana e siamo profondamente convinti che il tutto nucleare come già, ma spaventosamente in misura incalcolabilmente maggiore, il tutto petrolio degli anni '50, completerà la sua opera di disumanizzazione del vivere civile e della abitabilità della terra che ci ospita.
Signori Giudici, dichiariamo di riconoscere, come già nel Tribunale di prima istanza di Gros-seto, il reato contestatoci. Dichiariamo di avere agito nello spirito e nella pratica della Nonviolenza che noi tutti professiamo e di cui siamo e intendiamo essere indicazione e testimonianza, anche in tutta questa vicenda penale, specialmente davanti ai giovani e in questi tempi dominati dalla violenza occulta di questa nostra cosiddetta civiltà e dalla violenza che insanguina le nostre strade e abbrutisce questo nostro tempo di storia.
Dichiariamo l'onestà della nostra coscienza e il suo primato nel determinare la realtà della convivenza umana per profonda convinzione e linearità di vita, ma anche per testimoniarne tutto il valore umano in tempi come questi dove pare che non ci sia più posto e rispetto per una coscienza umana.
Dichiariamo di accettare, se questa Corte lo riterrà opportuno, le nostre punibilità, secondo la parola dei Codici, della nostra azione di blocco ferroviario, anche se di treni in ritardo sono piene le nostre stazioni e senza incriminazioni di sorta. Respingiamo però e con tutta la nostra forza, a nome della nostra coscienza, e delle migliaia e migliaia di firme che ci hanno dimostrato solidarietà in tutta Italia, la identificazione di una punibilità giuridica con un giudizio di condanna per immoralità di comportamento.
In questo nostro tempo, per i motivi più che noti, si dibatte il problema della moralità delle istituzioni e degli uomini che le rappresentano: ci permettiamo dichiarare di sentirci sereni e di essere qui a testa alta per la convinzione di avere agito per Amore di questa umanità che, ed è angosciante doverlo riconoscere, è spesso soltanto sgabello per sostenere interessi e privilegi: sgabello al quale si è poi disinvoltamente disposti e pronti a dare un calcio e farlo rotolare. E sempre più, Signori Giudici, maturano i tempi in cui sotto i piedi dell'umanità e della sua storia si sta scavando l'abisso.
Contro questa sentenza della corte d'appello di Firenze è stato fatto ricorso in cassazione. Tutto il processo si sposta quindi a Roma e tanto per una speranza di rivincita, quanto per una tenace fiducia nella Giustizia e per mantenere più viva che sia possibile questa lotta contro il nucleare.


El Salvador

Testimonianza della madre di un torturato
Presentiamo questa «Lettera di denuncia ai popoli del mondo» della mamma del giovane Jaime Balires arrestato e torturato dai corpi di polizia di El Salvador. Il giovane Jaima è morto il giorno dopo (4/3/80) della data in cui è stata scritta questa lettera: una nuova vittima che si aggiunge nella lunga lista di assassinii compiuti in questi mesi dal governo. Nella lettera si accenna alla recente sospensione della legge di «Difesa e garanzia dell'ordine pubblico», provocata delle continue proteste della Chiesa e dei movimenti popolari. Ma nonostante questa deroga il terrore poliziesco continua imperturbato.

Venerdì 23 febbraio del presente anno, verso le sette del mattino, è uscito dalla nostra casa mio figlio Jaime Baires, di 29 anni, licenziato in scienze politiche e non abbiamo più saputo nulla di lui fino alla domenica 25 dello stesso mese, quando abbiamo ricevuto una chiamata dall'ospedale Rosales della città di San Salvador che ci informava che mio figlio si trovava ricoverato, gravemente ustionato.
Dalla scomparsa di mio figlio, tutta la famiglia ha passato. giorni di angoscia, cercandolo. in ogni luogo immaginabile, con risultato negativo, fino a quando abbiamo ricevuto la chiamata sopra ricordata.
Non ho parole per esprimere la scena amara e dolorosa che ho vissuto, per cui il mio cuore di madre ha dovuto far ricorso a tutto il coraggio e l'energia per poterla sopportare: ho visto il corpo di mio figlio orribilmente torturato: bruciature, quasi tutte di forma circolare, di terzo grado, sul petto, le spalle, le gambe, le braccia, il ventre, i glutei, le dita delle mani e dei piedi e sulle piante dei piedi. Emetteva sangue dagli occhi, dalla bocca e dal naso, con i piedi piegati e probabilmente fratturati.
Respira con difficoltà, non vede bene, non può parlare, ma conserva la coscienza perché dà segni di capire quando gli si parla e riconosce le persone. Ultimamente il suo stato si è aggravato, poiché la perdita di sangue è continua e nonostante le cure intensive somministrate nell'ospedale, le previsioni sono che mio figlio morirà in breve tempo. Le gravi bruciature, soprattutto sul braccio destro e sul petto e l'emorragia interna proveniente dai polmoni e dallo stomaco gli causeranno la morte.
Da fonte degna di fede, si sa che mio figlio Jaime, il giorno 23 febbraio passò per la caserma San Carlo e si trattenne a conversare con uno dei soldati che stavano facendo la guardia e per questo motivo uno dei capi lo considerò come sospetto e ordinò il suo arresto. Da lì lo consegnarono alla Guardia Nazionale di San Salvador dove rimase 2 giorni, sottoposto a torture e vessazioni il cui risultato ho descritto sopra. Per il tipo e la forma delle ustioni che mio figlio presenta, si deduce che probabilmente fu bruciato in diverse parti del corpo con un cannello per saldature, dato che i suoi vestiti presentano segni di bruciatura e le mutande con un segno di una grande bruciatura nella parte posteriore.
Mio figlio fu oggetto di crudeli torture che lo porteranno alla tomba, per il fatto di essere stato confuso, presso la Guardia Nazionale, con il fratello Federico che si trova esiliato in Costa Rica per essere stato un responsabile studentesco nell'Università Nazionale, dove fu presidente dell'Associazione Generale Degli Studenti Universitari (AGEUS) nel periodo di Sànchez Hernàndez.
Una circostanza aggravante è che mio figlio Jaime soffriva, in forma ciclica, di perturbazioni psichiche, per le quali si trovava sotto cura medica, e i suoi torturatori, oltre che infliggergli le torture riferite, si inferocirono maggiormente data la sua situazione personale.
E molto duro per me, come madre e per la nostra famiglia, affrontare questo doloroso caso, tanto più che pochi anni fa mio figlio ritornava felice dall'Europa dopo aver ottenuto il diploma all'Università di Vincennos a Parigi e fu impegnato nell'insegnamento .all'Università Nazionale di El Salvador, aveva un grande desiderio di collaborare con la gioventù studentesca della nostra patria, impegno che dovette sospendere per prescrizione medica e prendersi un po' di riposo. Ora è una spoglia martirizzata dai suoi carnefici, in modo sanguinario e crudele e come conseguenza perderà la vita.
Questa situazione di flagrante violazione dei diritti umani si crea proprio nel momento in cui questo governo, per demagogia, sospende la legge repressiva di "Difesa e Garanzia dell'Ordine Pubblico", e pubblicamente si dichiara rispettoso dei diritti umani.
Contraddizione evidente per tutto il popolo che sa che, nonostante la sospensione di quella legge, i corpi di "sicurezza" continuano a fare il loro lavoro di repressione e le torture continuano ad essere il metodo adoperato contro ogni cittadino considerato «sospetto».
Faccio questa denuncia, cosciente di ciò che significa per la nostra famiglia, ma sono decisa e mi mantengo serena di fronte alla tragedia che ora sta desolando la nostra famiglia e nello stesso tempo lancio un appello a tutte le madri e i familiari di casi simili per lottare affinché siano eliminate situazioni come queste e si rispettino i diritti integrali dell'uomo.
Spero che questa denuncia arrivi a tutti i cuori e produca una solidarietà tra tutte le madri e i familiari che stanno soffrendo il dolore per i nostri figli colpiti e torturati da questi regimi repressivi.


Argentina: le donne di "Piazza di Maggio"

Santità,
E' necessario, Padre Santo, fare la nostra presentazione. Sua Santità ci conosce. Ci vide fugacemente, in una udienza generale, in san Pietro, nel dicembre dello scorso anno e ci ricevette paternamente a Porto Alegre, nello stadio "Gigantinio", in occasione della sua visita in Brasile.
Avrà udito senza dubbio, altresì, parlare di noi. Siamo le madri di "Piazza di Maggio". Siamo migliaia di madri argentine che, da più di quattro anni richiediamo al governo del nostro Paese, senza essere ascoltate, notizie intorno ai nostri figli, arrestati dalle forze armate e di sicurezza nelle loro case, nei loro posti di lavoro o di studio, nella pubblica via e dei quali non sappiamo nulla.
In varie occasioni, ora come rappresentanza del movimento ora a titolo personale, abbiamo fatto pervenire lettere a Sua Santità esponendo il nostro problema.
Sua Santità si é occupata del problema, privatamente e pubblicamente. Speriamo che i suoi nuovi interventi ottengano che il governo modifichi la sua inumana posizione e ci informi su ciò che è stato dei nostri figli.
Pertanto in questa occasione, Padre Santo, noi ci presentiamo a questo venerabile Sinodo, sintesi della Chiesa Universale, per ripresentare tale richiesta che sappiamo essere in buone mani.
Veniamo per esporre un problema collegato al tema centrale della riunione sinodale: la famiglia. Il lavoro che presentiamo é il risultato di un incontro sopra l'incidenza del problema degli SCOMPARSI.
Sembra sia opportuno fare una chiarificazione. Le madri di «Piazza di Maggio» effettuarono due incontri: «Vangelo e Dignità» nel mese di luglio e quello che abbiamo appena menzionato nella prima metà di settembre. Il primo fu programmato per analizzare, nel loro complesso, i problemi che la situazione degli scomparsi creava nell'ambito familiare. Come conclusione di tale incontro si programmò il secondo, però con la partecipazione di tutti i gruppi familiari.
In ambedue, il lavoro dei gruppi fu preceduto da esposizioni sopra il contesto socio-politico e economico, dal «golpe» militare del '30 fino ai giorni nostri. Il far riferimento alla realtà del Paese é necessario per comprendere che il. fenomeno degli scomparsi non costituisce un fatto isolato all'interno del piano che iniziarono le Forze Armate nel 1976 (alleghiamo una breve sintesi di tale esposizione in un opuscolo a parte).
I metodi di repressione usati dal regime militare argentino, fondati sul sequestro, la tortura, le vessazioni, i saccheggi, l'assassinio dei prigionieri e la mancanza di informazione ai famigliari e all'opinione pubblica - vero terrorismo di Stato, applicazione dell'ideologia anticristiana della sicurezza collettiva come valore supremo - hanno prodotto conseguenze caotiche e traumatizzanti nei focolari argentini.
Migliaia di genitori cercano infruttuosamente i loro figli; migliaia di figli i loro padri; coniugi i loro sposi o le loro spose; i fratelli i fratelli; i nonni i nipoti. Perché nessuno, Santità, è stato ...tralasciato.
Le Forze Armate hanno detenuto e fatto sparire bambini piccoli, adolescenti, uomini maturi, anziani, benché la stragrande maggioranza delle vittime siano. giovani nella pienezza della loro vita.
Se i giovani scomparsi sono il 70 o 75%, non é un fatto casuale. Settori significativi della gioventù hanno preso coscienza della realtà politica, sociale e economica e delle ingiustizie che esistono nel suo ambito.
Da ciò derivò l'idea politica di cambiare le strutture, idea legittima, benché siano esistite realtà che abbiano falsato il cammino.
Una generazione é stata annichilita in nome della Sicurezza Collettiva in realtà per servire gli interessi più loschi ed egoisti e, ciò che più é penoso, pretendendo usare come scudo il nome del Dio Vero, quello di suo Figlio e della sua Chiesa. I risultati di questa politica premeditata di distruzione si basano vedendo e peseranno assai sulla società argentina.
Matrimoni in situazione di grande insicurezza; bambini e adolescenti che non trovano risposta sulla condizione dei loro genitori, difficoltosamente allevati ed educati da nonni anziani o lontani parenti; padri e madri che soffrono di gravi turbe psichiche o fisiche derivate da tale tormen-to.
Insicurezza, odio, conflitti, aggressioni, degradazione, dolore. Ecco alcuni dei frutti della diabolica decisioni politica degli uomini che detengono il potere nel nostro Paese senza l'onestà di prendere pubblicamente la responsabilità dei propri atti e condotti dal concatenarsi delle loro realizzazioni a continuare a mentire, pure a Vostra Santità ed ai Vescovi argentini.
Il sistema repressivo instaurato col colpo di stato del 26 marzo 1976, con la sua metodologia delle sparizioni è inedito, non solo nella storia argentina ma nel mondo.
Ha creato una speciale ed atipica categoria di persone nella quale formasi uno stato politico: gli «scomparsi» o «sequestrati» o «detenuti poi scomparsi per ragioni politiche o ideologiche» o le «vittime dell'eccesso di repressione» o altra designazione approssimativa che si potrebbe dare a persone che non avvantaggeranno padroni elettorali in un ipotetico futuro; che non figureranno in un registro dei morti; in una lista dei disoccupati; in una lista degli «arrestati» dalla giustizia, o in una qualunque delle figure giuridiche che si potrebbero supporre.
I nostri scomparsi costituiscono una vera e propria mutilazione sociale. Un fatto cruento inferto alla famiglia argentina, senza distinzione di condizione sociale, credo religioso o posizione politica. Mutilazione che è razionalmente pianificata col fine di poter realizzare un effettivo piano politico-economico. Solo cosi si può comprendere questo fatto mostruoso, veramente antibiologico, di non appartenere né alla vita né alla morte.
La grandezza del problema è tale che ha prodotto e produce una situazione veramente traumatica dal punto di vista individuale, familiare e sociale.
Questo trauma è di tali dimensioni che fino ad oggi non si possono capire totalmente i suoi effetti.
Il problema degli «scomparsi», nella nostra Patria, palpita nella vita argentina attuale e sarà presente, senza alcun dubbio, nella prossima generazione. E' questo un fatto inedito che si dovrà analizzare nel suo sviluppo, non c'è bibliografia. E' la mostruosità stessa che si fa presente e si offre come materia di studio e di investigazione.
E così come la mostruosità della repressione è realizzabile, altrettanto lo è la lotta dei familiari. Quella lotta permanente, quotidiana, modello di capacità di sublimazione dell'essere umano.
Il problema degli «scomparsi» attenta alla famiglia. Però pure si proietta, in forma diretta, sulla totalità del popolo argentino. Chi non ha sentito parlare di uno «scomparso»? Di un attivista?
Analizzare il grado di informazione che riceve la famiglia argentina richiede una analisi. Le richieste dei famigliari degli «scomparsi», non trovano - o la trovano in pochissime occasioni, per censura o autocensura - una relazione veritiera della situazione che ci colpisce.
In generale, tutte le informazioni risultano ridotte alle sole notizie che si possono pubblicare. In tal modo il popolo risulta disinformato.
Se a questo uniamo la utilizzazione dei mezzi di comunicazione di massa da parte del gruppo che detiene il potere, la disinformazione su questo problema, come su molti altri, è assoluta. La cittadinanza risulta così disinformata fino a che non riceve un'informazione distorta... E' cosi che si può giungere a dare o un disconoscimento reale del problema o da produrre - per la cattiva informazione ricevuta - una predisposizione ostile nei confronti della famiglia della vittima, isolando o recando ancor maggior danno ai danneggiati.
Pertanto queste stesse caratteristiche rivelano che questo dramma di enormi proporzioni non potrà risolversi nel corpo della società argentina.
E' un fatto storico di gran portata e brutalmente reale. La storia dell'umanità dà chiare dimostrazioni del fatto che i popoli hanno memoria e non possono sopportare l'oppressione che soffrono da parte del loro governanti.
Pertanto, la mostruosità di ignorare la sorte corsa da migliaia di esseri cari si inserisce nella vita quotidiana e la mancanza di risposta ufficiale mantiene viva nei familiari quella lotta continua per i loro «scomparsi» con la forza di chi sostiene una rivendicazione senza tempo e senza soluzione di continuità. Come le leggi che reggono l'ordine sociale dell'umanità indicano da molti secoli, la loro lotta tenderà ad impedire che il crimine rimanga impunito. E ciò comporta delle esigenze di ordine psicologico individuale e familiare: saldare il debito col familiare scomparso.
Il silenzio ufficiale di fronte al ritrovamento del familiari (tralasciando di considerare il patto di silenzio assunto tra i militari) è di ordine tattico: smembrare e sconvolgere il gruppo familiare. Creare un clima di paralisi. Si semina il panico, attraverso due meccanismi: da un lato, se i familiari intraprendono a fare qualcosa può succedere loro la stessa cosa e da un altro lato se fanno qualcosa pongono in pericolo lo «scomparso». In termini di psicopatologia è un messaggio «schizofrenicizante». Che vita si può condurre non sapendo se sono vivi o morti?
Parimenti sono strumenti di minaccia per la famiglia la legge sugli «assenti con presunzione di fallimento», la possibile modifica alla legge di adozione e tutto l'insieme delle leggi repressive.
Altro aspetto da considerarsi di tale problema è quello dei figli di una coppia di «scomparsi».
Il metodo repressivo adottato dalle autorità argentine è giunto al colmo di separare i genitori dai bambini detenuti con loro o nati in prigionia.
Queste creature vengono affidate in adozione, per far loro perdere la loro identità, ad altre famiglie, in particolare di militari. L'obiettivo è che non conoscano il destino dei loro genitori e non abbiano orrore delle istituzioni militari, causa diretta della loro sorte sventurata.
Mai, Santo Padre, si è conosciuta nella nostra civiltà una aberrazione simile nella lunga e tediosa storia delle crudeltà umane.
Per i fanciulli che rimangono a carico dei nonni o di altri parenti; l'effetto di ciò è disturbatorio. Esistono migliaia di bambini, figli di genitori scomparsi privati dei loro esseri cari. I valori tradizionali di cristiana formazione sono sovvertiti dalla sommità del Potere, recandosi al figlio dello «scomparso» un'informazione sbagliata e deformata, tendente a creare in lui l'oblio della sua origine.
Nel processo di socializzazione, il bambino passa da una situazione di simbiosi con sua madre al riconoscimento di un ordinamento esteriore cosi fatto, ordine al quale tutti si adeguano. In tale ordinamento entrano concetti basilari: la struttura familiare, il mondo scolastico, idee di giustizia, di ordine, di rispetto, ecc. Quale può essere la forma di relazionare col mondo esteriore da parte di questo fanciullo se nel «suo» nucleo familiare sono stati traslati tali principi basilari? Ciò che egli apprende è assolutamente distinto da ciò che apprende il suo compagno. Per un bambino, se i suoi genitori sono «scomparsi», essi non esistono. Questo è un fatto reale e concreto. Però se non esistono potendo forse esistere, per lui ciò è doppiamente traumatico. Perché niente è più traumatico per un fanciullo che un messaggio confuso e contraddittorio.
Altro aspetto di questa traumatica situazione, la cui proiezione psicologica attacca solo la famiglia, è il dolore.
In tutte le culture è organizzato il culto ai morti, però, dal punto di vista psicologico l'elaborazione del dolore per uno «scomparso» è, dentro la famiglia, una situazione traumatizzante. Non si sa quale sia il dolore da elaborare. Ciò che caratterizza la situazione di «scomparso» è l'incertezza. Come elaborare la perdita di qualcuno che vive però non c'è? Di qualcuno che cessa di essere registrato al mondo senza essere morto? Come sperare un ritorno senza sapere se questo è possibile? Come pensare il fatto che un essere umano, una persona cara, possa esistere, senza che la sua famiglia sappia neppure la minima condizione della sua esistenza?...
Questi problemi meriterebbero di essere iscritti nell'elenco delle fantasie diaboliche o delle storielle. Però, purtroppo, si trovano nell'elenco delle cose reali e segnano il cammino della famiglia dello «scomparso», segnando la sua esistenza per sempre al limite tra la realtà e l'irrealtà.
Questi sono i fatti, Santo Padre, speriamo che questo sacro Sinodo li conosca, li analizzi, li giudichi e adotti le decisioni pastorali adeguate per condannare tali pratiche, e, soprattutto, per proporre rimedi idonei.
Potrà farlo alla luce dei valori cristiani sull'istituzione familiare che il sinodo confermerà e attualizzerà, valori che non sono che teorici fuori che in un contesto sociale che ha sviluppato deformazioni gravi come le suesposte e che richiede l'intervento urgente della Chiesa nel suo compito di evangelizzazione del genere umano.
Santo Padre, sappiamo della sua sincera preoccupazione per la rivitalizzazione umano-cristiana della famiglia. Sappiamo che la Chiesa, fedele al Vangelo, tiene alla dignità dell'uomo e condanna espressamente il terribile obbrobrio delle detenzioni-sparizioni. Il documento di Puebla fu molto chiaro e ci fece rinascere la speranza.
Le sue parole, Santo Padre, furono determinanti e valide.
Queste madri addolorate, umilmente sollecitano da Sua Santità che interceda davanti all'Episcopato argentino affinché prenda delle disposizioni di spirito concordanti con la sua. Noi madri abbiamo ricevuto da assai pochi membri della Chiesa l'adesione al nostro problema; la maggior parte delle volte abbiamo sofferto di una reazione di rifiuto.
Perdoni, se queste parole sono dure. Solo noi madri compariamo la predisposizione della nostra Chiesa con quella degli altri Paesi.
Supplichiamo che Sua Santità interceda presso i vescovi argentini affinché riconvertano la loro attenzione alla nostra causa.
Santo Padre, non si può conservare il silenzio sull'arresto degli «scomparsi». E' una causa di Giustizia e di Verità, è una causa della Chiesa, è una causa divina.
Con tutta la nostra speranza, salutiamo filialmente Vostra Santità ed i Monsignori Vescovi facenti parte del Sinodo.
Le Madri di "Plaza de May"


Lettere

Comunità di Biella
so qualche tua notizia attraverso «Lotta come amore». Ho seguito un po' il tuo processo e il vostro centro artigianale. Di questo credo proprio ci interesserebbe parlare a lungo con voi, perché, credo ci potrebbero essere delle cose che voi fate che ci servono per i ragazzi del quartiere. Poi avrei comunque voglia di incontrarci perché credo avremmo molte cose da dirci. Noi qui stiamo bene. Lavoriamo molto. Per la verità adesso sono tre settimane che siamo in ferie, comunque domani si ricomincia. Io continuo a lavorare con le donne e sono in casa. Gli altri lavorano fuori, poi Egidio lavora con me nel quartiere, Alberto B. e Alberto F. lavorano nella Joc.
Dopo un anno con molta difficoltà le donne (che hanno comunque resistito nonostante le difficoltà) hanno acquistato una certa autonomia e anche una certa capacità a lavorare. Da domani inizieremo anche un doposcuola per i ragazzi che cerchiamo di gestire noi direttamente. Questo perché l'anno scorso abbiamo avuto un'esperienza abbastanza negativa. Il Comune, viste le indicazioni che noi abbiamo dato riguardo gli interventi da fare con questi ragazzi, ci ha dato cinque milioni perché noi gestissimo un doposcuola. Non potendo farlo noi direttamente perché era appena iniziato il lavoro con le donne si è data la gestione a degli animatori che sembravano disponibili a fare un certo lavoro. Purtroppo non si è capiti, per cui quest'anno abbiamo pensato di fare meno la-voro, ma di farlo direttamente e chi vuole aiutarci lo fa a livello di volontariato: primo perché chi vuole deve incontrarsi o scontrarsi con questa realtà, secondo per avere una certa autonomia del potere locale. Tu cosa ne pensi?
Tra di noi c'è un 'intesa di fondo che ci dà una certa sicurezza nelle cose che facciamo anche se, come credo tu sai meglio di me, la vita comune provoca dei momenti di tensione che comunque in questa situazione servono ad approfondire il nostro rapporto senza però intaccare le scelte di fondo.
Paola


Un giovane amico
Da molto tempo medito di scriverti. Da anni ricevo il tuo foglio, ed ogni volta che lo leggo è per me motivo di speranza ma anche di profonda angoscia. Cercherò di spiegarti meglio.
Sono uno studente di filosofia, al 2° anno di università, ho 20 anni. Passo cinque giorni della settimana tra libri pressocché incomprensibili e parole che hanno un tasso zero di circolazione sociale. Non faccio più politica attiva (simpatizzo per il PDUP, leggo «Il manifesto»), non ho più termini di confronto. Mi rifiuto di fare politica in quanto cattolico negli allettanti spazi offerti dal Movimento Popolare. Tutti i miei amici all'università sono non credenti e quando parliamo il mio tentare di essere cristiano viene ignorato, non crea nemmeno un problema, né a me né agli altri.
Il sabato e la domenica faccio l'animatore di un esiguo gruppo di scout laici che opera in un quartiere di periferia tra mille difficoltà: economiche, sociali, interpersonali.
Ogni venerdì sera mi ritrovo con un gruppo di amici cacciati-usciti tre anni fa da una parrocchia: con loro per tre lunghi anni ho letto e commentato e pregato il vangelo di Marco. Da tre mesi a questa parte anche questo gruppo si va sfaldando: c'è stanchezza, non ci sono prospettive di inserimento nella chiesa locale, gli studi e il lavoro ci distaccano, la speranza viene meno ogni giorno che passa.
lo mi sto chiedendo cosa vuol dire essere cristiano in queste condizioni, che senso ha leggere una parola di Dio che mi frustra anziché darmi speranza, che senso ha tentare di pregare e passare magari un 'ora in silenzio pensando a mille altre cose, a cosa mi accadrà domani, alla ripresa dell'università in ottobre. Io mi sto chiedendo che senso ha credere di tentare di essere cristiano in mezzo ad un vescovo che mi dice che sono veterotestamentario perché chiedo che chi dice di essere cristiano cerchi di esserlo personalmente nella scuola o sul lavoro, senza bisogno del gruppo cristiani scuola, del sindacato cristiano, del partito cristiano; in mezzo a parrocchie chiuse, che sfornano calciatori, travoltini, tossicodipendenti, oppure persone dagli orizzonti ristretti, che non vogliono guardare oltre il proprio naso, che puntualmente usano la fede per farneticare sul giornale locale contro il fantasma del marxismo ateo; in mezzo ad altri amici che vanno in estasi per le cerimonie di apertura delle olimpiadi di Mosca, che pensano che gli aderenti a Comunione e Liberazione siano tutti dei ritardati mentali, che non riescono ad ascoltare un discorso fatto di parole diverse da quelle che usano loro...
Oggi il mio essere cristiano è andare ad una messa anonima la domenica sera. Niente di più.
Per questo quando ricevo «Lotta come amore» rimango profondamente turbato: io non sto lottando per qualcosa, e tanto meno mi sembra di amare.
E'ormai lontana quella sera d'inverno del '76 in cui ti ho sentito parlare su «Chiesa e classe operaia», come è lontano quel gennaio del '77 in cui sono passato per Viareggio andando ad un incontro dei Cristiani per il Socialismo a Roma. Allora se non altro avevo molta più speranza, e molte più possibilità. Ora mi sembra di essere ingabbiato e che qualsiasi scelta faccia sia improduttiva e sterile.
Scusa questa lettera di sfogo: ho appena ricevuto «Lotta come amore», ed ho appena letto «Vi raccomando la pazzia».


Parlare di Dio, oggi?

Il tema ricorre e si ripropone, pur nelle sue angustie, all'attenzione di quanti si misurano sugli sforzi che le comunità cristiane fanno lungo i loro diversi itinerari di fede. Nell'usura del tempo che corrode l'immobilismo, il tedio formale di questo tema nasconde la dignità dei luoghi in cui i fedeli si trovano, quindi dei luoghi di Dio.
Qui emergono alcuni «atteggiamento ecclesiali» che sono (o possono essere) le pratiche concrete dei cristiani nelle associazioni, nelle parrocchie, che sono le pastorali.
1) Non c'è più spazio per una parrocchia-isola felice nel travaglio del mondo. Non c'è più spazio per le pastorali da «assedio». Perché il mare del mondo ha invaso l'isola, senza attendere che questa rompesse i propri argini. E' la vita complessa che ha cominciato a pulsare nelle chiese locali, senza presentarsi in forme istituzionalizzate ma venendo per file sparse, secondo modalità soggettive. Sono i mille soggetti della vita quotidiana che sono nelle chiese.
Le mille identità imprecise. I tanti e diversi modi di essere lavoratore, studente, donna, militante... Ora, questo fenomeno tanto difficilmente circoscrivibile quanto inequivocabile di laicità.
Laicità che non pretende di essere risacralizzata (operazione anni '50, peraltro impossibile in tanta imprecisione), ma che contiene una complessiva ed articolata domanda di senso che è vera domanda teologica. Sono i perché posti assiduamente sulle identità dei soggetti sociali, ecclesiali, sull'impiego delle forme «cattoliche».
2) I fermenti di laicità investono tutti i modi di essere chiesa, oggi. Essere laica ed essere pro-fondamente spirituale è impegno pressante per la Chiesa. Laicità e spiritualità sono gli «eccessi» che trasgrediscono le forme delle chiese oggi. La svolta della teologia conciliare impone la attenzione non più solamente attorno all'autonomia delle realtà terrene, ma sulla bontà di quei comportamenti. Gli eccessi del mondo piegano le forme e reclamano il diritto a dare loro forma a ciò che è chiesa. Dopo che la chiesa ha detto cosa è il mondo ora gli uomini del mondo dicono cosa è per loro chiesa. E tutto ciò non ha niente a che vedere con la secolarizzazione che è processo tutto mondano dove invece laicità e spiritualità sono bontà di Dio negli uomini quotidiani.
3) Questi «eccessi» non fanno la chiesa, - poniamo - operaia, ma di dare casa nella chiesa a questi uomini. Quando la chiesa non è del territorio (cioè degli interessi sul territorio) e degli ambienti ma è dei soggetti che vivono le miserie e le ricchezze del territorio e degli ambienti. I soggetti nuovi nella chiesa fanno della chiesa una forma che è luogo di saperi teologici (dove la gente parla di Dio), ne fanno un luogo di saperi metropolitani diversificati (dove gli uomini parlano dalla loro vita).
Giovanni Bianchi
Piergiorgio Reggio


Non dite siamo in pochi

Non dite siamo in pochi
e l'impegno è troppo grande per noi!
Dite voi forse che due o tre
gruppi di nuvole è poca cosa
in un angolo del cielo d'estate?
In un baleno si estendono ovunque,
guizzano i lampi, scoppiano i tuoni
e piove sopra ogni cosa.
Non dite siamo in pochi!

* * *

Che io faccia della mia vita
una cosa semplice e retta
simile ad un flauto di canna
che Tu possa riempire di musica.

* * *

Mi piace pensare al Tuo amore come ad un vasto Oceano
nel quale sfocia un fiumiciattolo inquinato, il mio.
Come ad un'immensa distesa di neve, una pianura in cui
termina e si apre, il mio sentiero tortuoso.
Pensare che questo tuo Amore abbia la forza di sollevarmi in alto,
di strapparmi a me, alla palude in cui sto affondando,
ogni giorno di più, di distogliere il mio sguardo da me
per puntarlo solo su Te ed essere il vuoto
colmato dalla Tua presenza dalla Tua dolcezza
dalla Tua freschezza...


Pietre di Cartagine

Ho visto storia d'umanità
sovrapposta a schiacciare
una storia un'altra storia
e ogni vittoria segnata
dal nome di un dio

dio trionfante
poggia i suoi piedi
sopra un altro dio

ho visto una stele
di pietre come visione
e ogni pietra parlava
e raccontava vicende
di morte e di gloria

Sulla terra indurita
una pietra corrosa
di pioggia, di sole, di vento
e di mille e mille anni

Era pietra sacra a te
e tu eri senza nome

Sopra questa pietra
un'altra pietra antica
e aveva dei segni
che non erano il tuo nome
ma parlavano di te

Posava su questa pietra
un'altra pietra ornata
rotonda e levigata
e incisi a lettere scolpite
tanti nomi tuoi
per indovinare il tuo nome

Al di sopra ancora
una pietra squadrata
senza nomi e ornamenti
ma geometriche sculture
scolpite a nascondere
il tuo nome
perché il tuo nome
tu solo conosci

Su queste pietre miliari
del camminare dei secoli
un'altra pietra ancora
posa e sui lati scolpiti
pesci, agnelli, colombe
e un nome che a chiamarlo
come altro uomo risponde

Il tuo nome come il mio nome
e quello di ogni essere umano
perché sopra quest'ultima pietra
è stata piantata una croce

Ma su questa pietra
la croce fu tolta
perché il tuo nome
non è nome di uomo
ma il supremo
l'unico
l'assoluto
e su questa pietra
questo nome è stato segnato
e dal cielo la falce di luna
scese a segnare la pietra

Altre pietre nei mille millenni
poggeranno le une sulle altre?
E quali segni o nomi
porteranno scolpiti?

Saranno nomi
cercati con occhi arrossati
per il troppo scrutare
negli abissi dei cieli
negli infiniti misteri
nomi che risponderanno
finalmente di sì
all'umanità che chiama
invoca e implora
a lacrime di sangue
del cuore della storia?

O sulle pietre
saranno incisi
i nomi dell'oro
del potere
della disumanità
il nome di chi bestemmierà
l'ultima parola a decidere
la fine del mondo?

Sirio

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