Non è che ci sorprendiamo che valori profondamente, essenzialmente religiosi, lasciati cadere ai margini o addirittura dimenticati dalla Chiesa e quindi dalla cristianità, siano ripresi, ravvivati e anche purificati, certamente riscoperti, a determinare premesse per la storia futura.
La responsabilità del mondo della Fede è gravissima nei confronti di un insegnamento mutilato, di una predicazione intenzionalizzata, di una evangelizzazione arbitraria e condizionata.
Dio, e tutta la sua dolce ed appassionata fatica di segnare di Amore il cammino dell'umanità, si è trovato spesso relegato nei cieli e non per volontà degli atei, degli irreligiosi, dei materialisti ecc. ma per volere dei credenti, degli uomini di Fede, degli uomini di Chiesa.
Gesù Cristo non si è ritrovato spesso annebbiato, oscurato, negato, dagli illuministi, dai marxisti, dagli eretici ecc. quasi sempre anticristiani non tanto per detestazione di Gesù Cristo, quan-to per impossibilità di sopportazione dei suoi cosiddetti seguaci, i cristiani.
Tutta la respinta di Dio fatto uomo, Gesù Cristo, non è stata, da il quarto secolo in poi, per la volontà di accoglienza, per il non gradimento di avere per compagno, fratello, amico, lungo il cammino sulla strada della storia, Gesù Cristo ma unicamente per il fatto che Gesù Cristo non era Gesù Cristo che di nome, in realtà era un potere economico, politico, spesso militare, una dottrina implacabile, un'oppressione di libertà, causa di disuguaglianza, pretesto per privilegi insopportabili, motivo di autoritarismi impietosi, di servitù e schiavitù disumanizzanti.
Il cielo non si è mai andato chiudendo e la sorgente dell'Amore non si è mai inaridita, il sole ha continuato a levarsi fedelmente ogni mattina e le stagioni ad avvicendarsi nel fare sempre nuova la faccia della terra.
I tetti, sia pure delle cattedrali romaniche e gotiche, barocche e novecento, non hanno potuto dividere il cielo dalla terra.
E così pure i monasteri, i conventi, gli episcopi, non hanno potuto rinserrare e rinchiudere l'immensità. E nemmeno i santi e le sante hanno esaurito la santità, come se al di fuori di loro, fosse tutto deserto di perdizione. Anche i padri della chiesa, i dottori della sapienza, i teologi, le università ecclesiastiche ecc. non hanno visto e scrutato la verità che con il telescopio, piccoli spazi anche se vasti, nei confronti dell'immensità infinita del mistero della galassia della vita, della storia e infinitamente di più, del Mistero di Dio. Gli innumerevoli libri dagli incunaboli alle preziose biblioteche ricche di scienza e di polvere, non contengono che balbettamenti più o meno infantili, ripetuti senza fine, smentiti e poi riaffermati, come se tutto fosse nuovo, mentre, è proprio vero, niente di nuovo è sotto il sole.
Una lunga storia, quella della Chiesa, stranissima e assurda, perché è il racconto di un proget-to di Dio, vissuto da Gesù Cristo e che gli uomini si intestardiscono (popolo di dura cervice) a svol-gere, realizzare, storicizzare alla maniera umana, secondo i criteri (comunque siano questi criteri) degli uomini e logicamente degli uomini di potere.
Siccome Dio non si è deciso, almeno fino a questo momento (e la sua pazienza sia come il suo Amore, infinita) a svegliarsi dal suo sogno di Amore, adesso, in questi nostri maledettissimi tempi, come sempre da che mondo è mondo, l'adorabile potenza dell'Onnipotenza di Dio (e sia pure incomprensibilmente è sempre Amore, unicamente Amore) sta conducendo la storia alla strettoia attuale dalla quale può emergere o una umanità nuova, finalmente umanità, oppure la disumanità suprema, quella dell'annientamento universale.
E questa onnipotenza-Amore sta raccogliendo e provocando la sua speranza, dai quattro angoli della terra, da ogni essere umano e da ogni popolo, dalla loro storia e dalla loro pazzia, da qualsiasi cultura e da qualsiasi disperazione, nel tentativo - e viene da pensare, nel tentativo estremo di quel miracolo storico del riemergere e dell'imporsi di quelle verità essenziali, creative di umanità, verità di uomo e quindi di Cristo e quindi di Dio.
Perché la verità, la giustizia, la fraternità, l'uguaglianza, la dignità umana, l'unità, la solidarietà e quindi la pace e cioè l'umanità e non la disumanità... scendono dal cielo e germogliano dalla terra. In questo dissacrato tempo sta accadendo che la speranza di Dio è che l'umanità ritrovi se stessa per la tremenda pressione e costrizione disumanizzante che imperversa e irreversibilmente, come è ovvio temere, nella realtà della storia individuale e universale.
Pare e la constatazione è tutta un'infinita angoscia per il credente e il veggente, che la Chiesa e la Cristianità, di questi sacri segni del nostro tempo, non si avvedano.
Sta scritto allora che se tacciono i profeti, gli apostoli, i pastori, la Chiesa, la cristianità... grideranno le pietre: i poveri, gli oppressi, la gente che non conta, i giovani minacciati in tutto e perfino della sopravvivenza. Grideranno le strade, le piazze, le folle, le moltitudini. Grideranno le coscienze che si ribellano, i popoli che si agitano, l'Europa che si unisce. Grida con voce orrenda il potenziale nucleare pronto per incenerire l'umanità quindici volte, la pazzia e l'arroganza dei due imperialismi, la disperazione dei due terzi dell'umanità affamata.
Grida il cielo solcato dai missili della morte, grida la terra rabbrividita sull'orlo abissale del nulla... E se anche queste «pietre» taceranno o saranno fatte tacere, allora si spegne la speranza perché sarà vero che la storia non ha dato il suo ultimo, estremo insegnamento o non è stato raccolto o è stato addirittura, volutamente e criminosamente, respinto. E l'insegnamento è questo: gli uomini possono sopravvivere solo se saranno uomini, se decidono di essere disumani saranno aggrediti, consumati, inceneriti dallo loro disumanità.
In questo caso, allora, le stelle staranno a guardare? A Dio rimarrà soltanto di piangere sulla sua creazione? E sulla terra sarà una croce senza resurrezione? Perché è venuto il tempo in cui Dio è la Pace e Pace è Dio. La non unificazione e peggio ancora la separazione della Pace e di Dio è l'anticristo, cioè la fine.
Miei carissimi Amici italiani,
Finalmente sono riuscito a superare le due difficoltà che ostacolavano questo contatto personale che vorrei fosse periodico: il primo é costituito dalla difficoltà di parlare a molti insieme; il secondo da non sapere come organizzare l'invio di questa lettera. Il primo lo supero pensando che continuamente mi dirigo a un pubblico di settanta ottanta persone; è vero che mi comunico da sguardo a sguardo, però posso immaginare i vostri occhi; il secondo é stato superato per la gentile disponibilità del mio amico fraterno don Sirio Politi. Il contatto con voi è facile perché so di non avere mai interrotto il dialogo con voi, attraverso i libri gli articoli della Rocca e di Nigrizia, le lettere personali che sarebbero la mia delizia, se, per la loro quantità, non riuscissero ad essere il mio incubo.
Io abito ora a Caracas con i fratelli Patrizio e Jesus (fratello di Maurizio, il nostro martire) e ora con due novizi, Juan (spagnolo) e Neto (brasiliano) che sono qui per il contatto con il mondo operaio della grande città. Finalmente abbiamo il nostro alloggio, dopo aver tribolato più della santa Coppia di Betlemme.
La casa é piccola, povera, ma in un luogo tranquillo nonostante sia inserita in un «barrio» più popoloso e turbolento di Caracas. per una eleganza della Provvidenza siamo in piena colonia di Monte Carmelo, sicché non faccio uno sforzo quando chiedo alla vicina una cipolla o di poter mettere qualcosa nel suo frigo, perché la vicina è Rosa di cui ho benedetto le nozze, e il mio amico Sisto di M. Carmelo vigila il patio perché non entrino «malandros» (simile al nostro malandrini, ma meno poetico) a disturbare il mio lavoro. certo che se non fossi sicuro che difende anche la sua quiete e l'incolumità delle famiglie che danno sul patio, il suo zelo m'imbarazzerebbe molto, perché non sono né il Papa né altro personaggio ufficiale. È certo che il barrio é minacciato come del resto le periferie di tutte le grandi città, dove dimorano masse di disoccupati, di immigrati stipati nelle piccole abitazioni di parenti o conoscenti in attesa di essere assimilati dalla massa urbana. L'ama-bilissima Gertrude, una ragazza di M. Carmelo che é la titolare di questa casa, ha approfittato di una mia breve assenza per sbarazzare una stanza dove pensiamo istallare fra breve il nostro oratorio.
Lo so che «é venuto il tempo che né su questo monte né in Gerusalemme adorerete il Padre... questo é il tempo in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità». Ma avere un piccolo angolo in cui mantenere l'appuntamento con l'Amico é un richiamo che scuote la nostra pigrizia, ed è un mezzo per cui qualcuno può restare con i nostri visitatori e altri ritirarsi tranquillamente. Non ho dimenticato certamente M. Carmelo dove tornerò il più frequentemente possibile, approfittando anche dei viaggi dei nostri vicini. Sisto ha la moglie e quattro bambini là dal venerdì sera a tutta la domenica si strugge dalla voglia di scappare. La comunità di M. Carmelo è ben aiutata dall'instancabile Mario e da altri membri stabili o provvisori della comunità di Bojo.
Io sono rientrato il giovedì 15 ottobre da una permanenza lunga in Brasile, e una breve, di una ventina di giorni in Colombia. Mi rammarico sempre di non essere un narratore, perché mi piacerebbe compartire con voi le mie esperienze, le sensazioni che provo nei viaggi il più delle volte in bus, per le strade interminabili del Brasile, e in quelli meno lunghi, ma meno comodi, attraverso la montagnosa Colombia. Il mio vuoto di narratore non provocherà tante delusioni, perché l'Oceano é diventato un mediterraneo qualunque, ed è facile incontrare a Sao Paulo un gruppo di giovani partito pochi giorni prima da Modena, e abbracciare qualcuno approdato qua sulle ali del vento calabrese.
Ho riempito le nove ore di ritardo di un aereo in un aeroporto dell'Acre, lo stato più all'ovest che tocca la Bolivia, conversando piacevolmente con due giovani italiani «missionari civili» (speriamo non dispiaccia il nome). Ormai l'America latina non è più un mistero per gl'italiani e tutte le voci della selva arrivano in scatola a Milano e a Palermo. La nuova forma di narrare è quella di accendere davanti a un gruppo di giovani la visione delle favelas di Rio e di intercalare il «ballenato» della costa colombiana, con una musica reggae. Se vi facessi l'esposizione delle città e degli stati (regioni) che ho percorso in questo tempo vi darei il capogiro. Io stesso mi meraviglio di essermi spostato tanto, di essere passato per esperienze cosi diverse, e di essere rientrato alla base, come se fossi uscito di casa ieri, per una escursione di un giorno, almeno se guardo l'aspetto psichico. Sono arrivato a mettere in chiaro, che, per vivere nella successione, come trascinato nella corrente di un fiume che corre velocemente, senza perdersi, bisogna portare in noi «qualcosa» che sia fermo, sicuro, stabile. Non so come ringraziare Dio di avermi dato in questi ultimi anni la grazia di raccogliere la mia fede, la mia vita religiosa, in un solo ideale, che è il regno, questo movimento di riconciliazione degli uomini e delle cose, che terminerà nella sintesi, il Cristo totale. Leggevo stamani nel breviario le parole della «Gaudium et spes»: «infatti il Verbo di Dio per mezzo del quale tutto è stato creato, si è fatto egli stesso carne, per operare, lui, l'uomo perfetto, la salvezza di tutti e divenire il centro di convergenza di tutte le cose. Il Signore è la fine della storia, il punto focale dei destini dei popoli, e delle loro culture, il perno della vicenda umana, la gioia d'ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni». Poco a poco senza mio merito, e senza sforzo, posso dire che questa verità è diventata in me un'idea forza, la sola ragione del mio vivere e del mio muovermi. Mi vengo-no spesso in mente le novelle del buon tempo antico dell'uomo che cercava per cammini interminabili, l'amore lontano. So di non essere un'eccezione perché incontro spesso in America latina persone che, sotto altre denominazioni e spesso con motivazioni che non coincidono con la mia, cercano il Regno. E le mie impennate contro uomini e gruppi di chiesa sono motivate dal fatto di vedere come la nostra maniera di vivere la fede è dispersiva ed è spesso deformata da scelte che chiaramente vanno contro il movimento del regno. Il mondo cattolico mi appare spesso come un'Arcadia di amabili cavalieri e di non meno amabili dame che passano il tempo in trattenimenti amabili. Questa concentrazione sul Regno mi ha fatto perdere di vista totalmente la legge come criterio di giudizio; e di condotta e non posso superare la stizza nel sentir parlare in un certo contesto di «bontà» di «santità» di «perfezione».
Devo a questa trasferenza di criterio, il sentirmi liberato dalla tentazione di giudicare, di fare dei confronti, di cadere nel giuoco dei concorsi di bellezza (naturalmente spirituale). È una soffèrenza acuta e permanente vedere una utilizzazione egoista e utilitarista di Gesù che è il «punto focale dei destini dei popoli». Il documento di Puebla mette in guardia contro una «privatizzazione» del Cristo, ma questo avvertimento non è stato raccolto. A volte il ricordo della legge abbandonata e ormai lontana, mi provoca una certa paura, ma se mi sfracellerò per il Regno è un guadagno.
In questo tempo ho letto la Cristologia del Ducocq che mi è parsa bellissima e l'assassinio di Cristo di Welhem Reich. Perché non vi spaventiate, dirò che di notte trovo il tempo anche per dormire, ma quando per tutta la durata del giorno, mi trovo immerso nelle speranze e nelle delusioni del Regno, il sonno si fa più difficile del solito. AI mattino mi alzo sempre con un ottimismo feroce. Vorrei saper cantare (ahimè un'altra cosa cui sono negato) canticchio salmi quando nessuno mi ascolta. Non posso certamente raccomandare il libro del Reich, pero, quando leggevo pensavo che é un vero peccato che Vescovi e religiosi apologeti non si preoccupino di guardare il Cristo contro-luce. Non si può dire che Reich parli male del Cristo, tutt'altro, ma il suo Cristo non è quello della chiesa, il Signore; ma guardandolo con lui, dalla sua parte l'ho visto cosi straordinariamente bello e gigantesco che ho dovuto spesso di notte reprimere il desiderio di svegliare i giovani partecipanti ad un incontro per comunicare quello che mi esaltava in quel momento. Ma poi ho avuto paura di finire in un manicomio.
Vorrei ora sostare su un punto che torna spesso nelle vostre lettere. Pare che il mio amore per l'America latina mi abbia fatto dimenticare l'Italia e gli amici Italiani, mentre io sento che é vero il contrario. Non credo si possa definire amore lo sguardo rivolto sempre al passato, alle cose che abbiamo lasciato, trovare orribile quello che viviamo qui, ora, e vivere le amicizie attuali con un riferimento continuo a «quelle vere», quelle che abbiamo alle spalle. Credo che tutto questo sentimento investito nel passato sia in fondo una forma di egoismo. Io sento che molte esperienze le vivo con voi e quanto più sono ricche, vibranti affettivamente tanto più importante è quello che vi comunico. Forse fra poco sarò un vecchio rudere che chiederà al passato la forza di sopravvivere, ma perché anticipare quel giorno? E se non venisse mai? Sarebbe troppo bello. In tutti i modi se le mie esperienze sono produttrici di amore, tutti ne usciamo con guadagno. Forse la mia felicità e la mia fortuna non sarebbero apprezzate da tutti. Gesù ha detto una verità sacrosanta (e quando non dice la verità?) quando ha promesso il centuplo con la persecuzione, e questo l'ho vissuto letteralmente in Colombia. Ve ne parlerà un'altra volta e poi sapete che certe cose non si possono raccontare in qualunque tempo.
Ancora una volta ricorro al vostro aiuto; so di non farvi dispiacere, perché molti di voi mi chiedono che possono fare per me. Alla fine dell'81 mi occorrono circa tremila dollari per giovani e ragazze che aiutiamo a studiare. Non vi ho detto che entro novembre e dicembre andrò in Nicaragua e in Messico perché il nostro fratello regionale Giovanni mi ha dato l'incarico di visitare le due fraternità (due luoghi che visito volentieri). In Nicaragua non posso andare a mani vuote. Voi sapete la situazione generale e particolare dei religiosi che sono là a dare il loro aiuto. I fratelli hanno preparato un progetto per seminare le piante per fare spago (credo che si chiami maguey). Poi io devo pagarmi i viaggi, quando i gruppi che invitano sono poveri. E devo dire che sono i migliori. Ora per esempio devo pagarmi il viaggio Nicaragua-Messico. Vi scriverò certamente prima di Natale; penso che questa lettera potrebbe esservi inviata quattro volte nell'anno. Che ne pensate? Vi scriverò dal Messico o dal Nicaragua. Le offerte potrete inviarle a mio cugino Gianni Villani, Lungadige Cangrande 9 - 37126 Verona - Tel. 914387. Non ha fatto niente di male per esser mio parente; ma lo sopporta con cristiana rassegnazione ed esercita stupendamente il mestiere di mio amministratore. O potreste anche inviare al prof. Umberto Allegretti, via Cagna 23 - 09100 Cagliari - Tel. 302288 perché ha il progetto favoloso di venire a passare il Natale con noi. Sto aspettando il figlio del mio carissimo indimenticabile Mario Rossi: gli ho scritto ai due indirizzi americani che mi ha mandato. Sarebbe una vera gioia averlo qua un po' nella vostra casa.
Manderò a don Sirio gli indirizzi pregandolo di inviare a ciascuno più che un numero della lettera in modo che voi possiate diffonderla a comuni amici. La salute va benone a parte una artrosi che mi ricorda il memento homo. Ma se dura cosi, conviviamo senza litigi. La vita in fraternità é splendida. La vita comune é davvero deliziosa quando guardiamo tutti dalla stessa finestra. Vi abbraccio a uno a uno e bacio i vostri bimbi che ormai sono nostri nipoti o bis nipoti.
Vostro Arturo
Arturo Paoli
Apartado 51753 - Caracas 1050 A - Venezuela
Statuti, ossia leggi fondamentali dell'uomo: leggi per la vita. La più importante di tutte, quella che rende l'uomo veramente tale, è la legge della libertà. il poeta sogna il giorno in cui ogni uomo potrà essere se stesso, libero e perciò felice.
Il documento è tanto più valido perché cantato, oggi, da un uomo in esilio; testimonia il sogno di tutti gli oppressi del mondo.
A Carlos Heitor Cony
Art. 1
È decretato che adesso vale la verità
che adesso vale la vita
e che, la mano nella mano,
lavoreremo tutti per la vita vera.
Art. 2
È decretato che tutti i giorni della settimana
anche i mercoledì delle ceneri più tristi
hanno diritto di diventare mattini di domenica.
Art. 3
È decretato che a partire da questo momento
su tutte le finestre ci saranno i girasoli,
che i girasoli avranno diritto
di sbocciare all'ombra;
e che le finestre dovranno restare tutto il giorno
aperte sul verde dove cresce la speranza.
Art. 4
È decretato che l'uomo non avrà più bisogno
di dubitare di un altro uomo.
Che l'uomo avrà fiducia nell'uomo
come la palma si affida al vento,
come il vento si affida all'aria,
come l'aria si affida allo spazio azzurro del cielo.
Paragrafo unico:
L'uomo avrà fiducia nell'uomo
come un bambino ha fiducia in un altro bambino.
Art. 5
È decretato che gli uomini
sono liberi dal giogo della bugia.
Non più dovranno usare
la corazza del silenzio
né l'armatura delle parole.
L'uomo si siederà a tavola
con lo sguardo semplice
perché la verità verrà servita
prima del dolore.
Art. 6
È decretata per dieci secoli
la pratica sognata dal profeta Isaia,
e il lupo e l'agnello pascoleranno insieme
e il cibo di ambedue avrà lo stesso gusto di prima.
Art. 7
Con decreto irrevocabile è stabilito
il regno permanente della giustizia e della chiarezza,
e la gioia sarà una grande bandiera
che sventola sempre nell'anima del popolo.
Art. 8
È decretato che il più grande dolore
è stato sempre e sempre sarà
non poter dare amore a chi si ama
e sapere che solo l'acqua
dà alla pianta il miracolo del fiore.
Art. 9
È permesso che il pane di ogni giorno
abbia per l'uomo il marchio del suo sudore.
Ma che soprattutto abbia sempre
il caldo sapore della tenerezza.
Art. 10
È permesso a chicchessia,
a qualunque ora della vita,
l'uso del vestito bianco.
Art. 11
È decretato per definizione,
che l'uomo è un animale che ama
e perciò è bello,
molto più bello della stella del mattino.
Art. 12
Si decreta che niente sarà obbligato né proibito.
Tutto sarà permesso,
perfino giocare coi rinoceronti
e passeggiare di pomeriggio
con un immensa begonia all'occhiello.
Paragrafo unico:
Una cosa sola è proibita: amare senza amore.
Art. 13
È decretato che il denaro
non potrà mai più comprare
il sole delle aurore che verranno.
Espulso dal grande baule della paura,
il denaro si trasformerà in una spada fraterna
per difendere il diritto di cantare
e la festa del giorno che è spuntato.
Articolo finale
È proibito l'uso della parola libertà,
che sarà soppressa dal dizionario
e dal pantano traditore della bocca.
Da questo momento
la libertà sarà qualcosa di vivo e trasparente
come un fuoco o un fiume,
o come il seme del grano,
e la sua casa sarà per sempre
il cuore dell'uomo.
Th. De Mello, A Cancon de amor armado, trad M.P. Angeloni e D. Faria in Antologia poetica a cura di Mocir Felix, Civilizazion Brasileira.
Il cammino della storia
I tempi e i misteriosi corsi e ricorsi della storia spesso hanno maturato momenti nei quali l'umanità veniva chiamata a decidere del proprio destino. E' il camminare della storia che a un certo punto si trova davanti al bivio dell'umanità o della disumanità.
L'esemplificazione disgraziatamente è fin troppo facile specialmente se ci riferiamo alle scelte che hanno segnato l'incamminarsi della storia sulla via della disumanità.
E' praticamente impossibile precisare le responsabilità che hanno pesato sul piatto della bilancia della disumanità vanificando ogni altro valore sull'altro piatto, sapere come è stato possibile che in quei momenti di scelte storiche, l'accecamento possa essere stato di misura tale a far tenebre assolute nel buon senso, nella radice stessa della ragione umana, superando perfino lo stesso istinto di conversazione, al punto da consentire l'affermarsi dell'esaltazione dell'irrazionale più assurdo, della disumanità più impazzita e criminale.
Bisogna però ricordare che sempre la responsabilità di fondo sta nello scadimento, nell'annebbiamento della coscienza individuale e collettiva e nell'incapacità quindi di giudicare il momento storico con oggettività di giudizio. Giudizio oggettivo è vero praticamente impossibile per il pervertimento dei criteri indispensabili per la formulazione del giudizio stesso.
La guerra, questo male assoluto, questa sciagura suprema, questa sintesi di tutte le disumani-tà, non è mai stata giudicata per quello che è, fino alla conseguenza logica di respingerla nello spazio dove è soltanto maledizione. Anzi l'aberrazione dell'irrazionalità umana e la corruzione della coscienza fino alla giustificazione dell'immoralità più assoluta, è giunta all'esaltazione, alla glorificazione della guerra, dalle guerre sante alle guerre come momento supremo di amore alla patria.
Novità storica
Quello che il progresso civile, culturale, morale, religioso, non ha ottenuto nel corso dei secoli, forse lo sta ottenendo la scienza e la tecnologia al servizio del militarismo dell'uomo: il convincimento che la guerra è il male morale, la sciagura storica suprema.
Nella guerra nucleare è impensabile la mascheratura di gloria di patria, di difesa di sacri confini, la ricerca di eroismi militari, le affermazioni ideologiche, le discussioni moralistiche, ecc...
E' finalmente sopravvenuto lo sfrondamento di aloni epici, di sublimazioni eroiche: la guerra non può che mostrare tutta la sua crudele, spietata disumanità. L'unica bandiera che può sventolare in una guerra, adesso, è unicamente quella nera della morte universale e può essere issata soltanto sullo sterminato cimitero del mondo intero. Non sono parole queste e immagini retoriche, ma semplicemente cinquantamila testate nucleari a tutt'oggi pronte all'uso. Perché la guerra oggi e sempre più domani, vuoi dire distruzione d'ogni realtà di vita, conclusione della storia umana, regno assoluto della morte.
Se l'umanità prendesse coscienza e ponesse attenzione a questo camminare della storia sull'orlo dell'abisso della distruzione universale, la guerra apparirebbe, finalmente, smascherata da tutti gli inganni, come criminalità assoluta, da condannare e maledire chi ne fa realtà di potere, argomento politico, soluzione economica, affermazione di ideologie, possibilità di liberazione, necessità di difesa...
Responsabilità universale
Sembra che in questi nostri tempi che pure hanno maturato la disgraziata condizione di un potenziale bellico capace di distruggere l'umanità quindici volte, sembra che l'umanità, vivente attualmente, non abbia maturato quella coscienza umana, morale, culturale, religiosa, politica, da renderla capace di avvertire, dimostrarsi consapevole, dell'orrore della guerra e nemmeno della guerra nucleare, traducendo questo senso dell'orrore in una lotta, a costo di tutto, per arrestare e bloccare la follia del ricorrere alla guerra.
È urgente, perché unica possibilità d'impedire l'esplodere della guerra, che la coscienza universale umana e quindi i popoli nelle loro attuali condizioni, realtà politiche, sappiano e vogliano precisare e isolare i gruppi di potere economico, politico, militare che sul potenziale militare giocano i loro interessi e le loro strategie.
Responsabilità delle centrali di potere
Il potere economico e politico attualmente va giudicato con estrema severità nei confronti della realtà del suo affidarsi e confidare sul potere militare, sul potenziale bellico, sulla forza di dissuasione e di persuasione fondata sulla superiorità dei mezzi di distruzione, di annientamento. Questi gruppi di potere è doveroso che siano incriminati a norma dei codici penali per costituzione di banda armata, associazione a delinquere, porto d'armi ecc. All'occorrenza può essere indicativo il codice penale usato a Norimberga contro i criminali nazisti.
È l'assurdo giuridico più clamoroso che si sia dovuto aspettare cinque anni di guerra spaventosa e cinquanta milioni di morti e incalcolabili distruzioni, per giudicare e condannare come criminali quel gruppo di potere politico e militare che poteva e doveva già essere giudicato e condan-nato per criminalità nel 1939. La storia sta commettendo la stessa assurdità giuridica: per giudicare come criminali di guerra e condannare per attentato all'umanità i gruppi di potere che minacciano la guerra nucleare e ne realizzano concretamente il potenziale, c'è bisogno che sia scatenata la guerra, che sia cioè annientata l'umanità fino alla soluzione finale della sua sopravvivenza. Allora e soltanto allora, se ombre di uomini sopravviveranno, raduneranno un'altra Norimberga per condannare i criminali di guerra?
È tempo il nostro di rivedere seriamente i criteri di giudizio nei confronti delle cause di male, di pervertimento morale, di progresso della disumanità, da parte della magistratura, del magistero religioso, della coscienza pubblica, popolare.
Il pericolo estremo che l'umanità corre nel nostro tempo è ancora una volta l'impossibilità che sia posta la scure alla radice dell'albero maledetto della guerra. E adesso è, sembra, l'ultima occasione.
Criminalità della guerra
A livelli mondiali, da sempre, ma con forme e misure inusitate nel nostro tempo, impera sull'umanità e domina incontrastata, la criminalità.
E, attenzione, perché dicendo «criminalità» non bisogna cedere al giochetto politico alienante, accettando il giudizio di criminalità e polarizzandolo, fino all'esaurirne il terribile concetto, nella criminalità comune: quella che sfonda la casa, aggredisce all'angolo della strada, svaligia le ban-che, organizza i sequestri di persona, lo sfruttamento della droga, le organizzazioni mafiose, i terrorismi di destra o di sinistra... Questa criminalità, a qualsiasi livello, è criminalità periferica, ombra, rimbalzo, rigagnolo della criminalità costituita dal potere economico che porta in se stesso la criminalità dell'assolutismo della ragione economica, totalmente al di là e al di sopra dell'umanità e della disumanità. In appoggio e sostegno è la criminalità politica con il particolare aggravamento criminale della copertura, della mascheratura ideologica. Questa impalcatura di criminalità si affida e confida tutta la sua forza di dominio in continuo, inarrestabile movimento di espansione, sulla criminalità militare.
Un giudizio critico sulla storia non può avere incertezze nell'identificare militarismo e criminalità. La storia di ogni guerra è storia di criminalità. Qualche accenno appena.
La realtà militare è fondata sulla violenza e violenza esercitata e con piena giustificazione morale, fino alla più crudele, spietata disumanità. La coscrizione obbligatoria, pena la fucilazione. L'obbedienza equivalente all'annullamento della persona. La disciplina fondata sulla paura gerarchica. L'identificazione del «nemico» con esclusione assoluta della coscienza personale e di qualsiasi sensibilità umana. Giustificazione di ogni orrore purché ordinato ad uccidere. La vittoria determinata dalla misura dello sterminio. L'adempimento del dovere e la gloria che ne deriva proporzionata alla crudeltà della morte inflitta o subita... Realmente la guerra è la sintesi spaventosa della criminalità organizzata, glorificata, benedetta.
Nella guerra attuale chi deve essere prima di tutto sterminata è la popolazione di donne, vecchi e bambini: dal fondo del mare, dalla stratosfera, dalla distanza di 3.000-8.000 Km e più ancora.
È l'esistenza e la potenza di questa criminalità gratificata dalla gloria di difesa della civiltà e della libertà, o propagandata come difesa e affermazione del socialismo, che crea e costituisce l'equi-voco più aberrante e quindi il pericolo più micidiale dal quale è forse impossibile che l'umanità possa essere salvata. Tanto più che è da questa criminalità se è in misure uguali, equilibrata da una parte dall'altra, che la criminalità diventa l'unica possibilità di pace, l'unica speranza di salvezza per l'umanità.
Stando cosi le cose e non si vede come possano essere considerate diversamente se si è disposti a che il parlare sia «si, si e no, no» perché si è convinti che tutto il resto viene dalla menzo-gna, non è possibile non concludere che il tentativo di una lotta contro la guerra è l'ultima possibilità che rimane all'essere umano di avere coscienza di dignità umana e di viverla a costo di qualsiasi prezzo. Lasciare cadere questa lotta è rassegnarsi senza speranza che qualcosa che significhi «uomo» sopravviva a quella realtà di potere criminale che pare irreversibilmente deciso a spazzare via qualsiasi valore umano, ottenendo quindi questa prima distruzione di umanità distruggendo ogni valore umano e preparando la distruzione anche della sopravvivenza del mondo se richiesta e resa inevitabile dai tenebrosi giochi della criminalità imperialista.
Incoscienza popolare
Altro motivo indicativo e costitutivo della gravità del pericolo di guerra, a livelli locali, nazionali e mondiali, perché già l'individuo ne è, sembra, irrimediabilmente malato, è l'incoscienza. L'incoscienza è l'atteggiamento interiore che poi logicamente si riflette nei comportamento di rifiuto di responsabilità. Rifiuto che comporta l'indisponibilità a conoscere seriamente, a prendere coscienza della realtà oggettiva dei problemi e a farsene carico nella ricerca delle soluzioni.
L'incoscienza individuale è conseguenza e causa dell'incoscienza collettiva. E si concretizza in quella cultura fondata sulla delega, provocata dai centri di potere, suffragata dalla passivizzazione popolare. Praticamente l'incoscienza, attraverso la delega, comporta l'affidarsi, il conseguirsi alla gestione alienata e alienante, con la conseguenza di un consolidamento progressivo del potere, di qualsiasi potere, e di un servilismo per una dipendenza sempre più totalizzante, della base, della realtà popolare. La stessa democrazia risulta inquinata e avvilita quando le misure dell'incoscienza realizzano condizioni di delega e di passività, consentendo l'assolutizzazione del potere. È dalla democrazia rinunciataria che matura il cancro della dittatura. E è altrettanto vero per una correlazione di disumanità che è nel progredire dell'incoscienza, della passività popolare fino ai livelli di delega della stessa sopravvivenza o della distruzione dell'umanità, a determinare centrali di potere, che può esplodere l'orrore supremo della guerra nucleare.
L'incoscienza dell'umanità in questo nostro momento storico, è arrivata al punto di affidare e consegnare alla criminalità del potere economico, politico e militare dell'imperialismo russo e americano, il decidere della vita o della morte di tutta l'umanità attuale e futura.
È assurdità inimmaginabile che uomini si arroghino il potere di giocare le loro strategie di egemonia mondiale, manovrando la sopravvivenza o la distruzione come risorsa diplomatica accrescendo nel frattempo il potenziale bellico fino alle misure della cosiddetta dissuasione, macabro eufemismo per indicare superiorità assoluta della forza di distruzione, di sterminio dell'umanità. E altrettanto è al di là dell'immaginazione l'assurdità dell'incoscienza popolare che passivizzandosi in una delega incondizionata abbandona totalmente alla gestione criminale delle centrali di potere, gli spazi di libertà, di dignità umana, di uguaglianza di popoli e perfino - e siamo ai limiti del suicidio universale - del diritto alla vita, alla sopravvivenza dell'umanità vivente e futura.
Potere e incoscienza
Realmente il destino dell'umanità è tutto giocato in questa maledetta confluenza della criminalità del potere e dell' incoscienza dei popoli. E stranamente succede, adesso come sempre, che il crescere della misura di criminalità del potere, verificabile nella sua assolutizzazione progressi-va, specialmente economica e militare, provoca l'accentuarsi dell' incoscienza popolare riscontrabile in una progressiva normalizzazione del clima di guerra, in un accentuarsi della sua inevitabilità e quasi della sua necessità. È di qui il consenso agli investimenti militari, il favorire l'industria bellica, l'accettazione delle basi missilistiche, l'adesione incondizionata e subalterna ai patti Atlantico e di Varsavia. E più ancora favorisce il clima di guerra e la sua normalizzazione come componente della realtà attuale, la convinzione che la guerra non può esplodere perché sarebbe la fine del mondo (e la pace che fiorisce sull'equilibrio del terrore) con la conseguenza dell'attenuarsi della paura e della crescita dell'incoscienza. E altrettanto favorisce il clima di guerra e la sua normalizzazione, il senso di sicurezza che proviene, secondo tutta una criminale propaganda, dalla protezione del Patto Atlantico, dal suo potenziale bellico esistente e in via di formidabile rafforzamento.
Responsabilità dell'Europa
Forse impedirebbe la guerra e la fine apocalittica dell'umanità, salverebbe la pace e la soprav-vivenza, se i popoli dell'europa dell'est e dell'ovest, avessero coscienza della tremenda realtà strategica che li riguarda: in una guerra scatenata fra i due imperialismi, America e Russia, per risolvere il problema del ruolo primario o subalterno nel mondo, questa guerra, almeno nella fase ini-ziale ma sufficiente per fare terra bruciata annientata, dalla Finlandia alla Sicilia, sarà combattuta in Europa.
È assolutamente urgente annullare la separazione e l'opposizione dei popoli europei. Il patto Atlantico e il patto di Varsavia sono il detonatore del potenziale nucleare che spazzerà via dalla storia e dall'esistenza l'Europa.
Se i popoli europei non opereranno questa gigantesca ribellione al tentativo criminale di coinvolgimento dell'Europa nell'ingranaggio disumano degli interessi imperialistici e delle strategie militari delle centrali di potere americane e russe, la guerra si abbatterà sul mondo scatenando quella violenza attualmente equivalente a ottantamila Hiroshima.
Sui popoli dell'Europa occidentale pesa la tremenda responsabilità di essere nella condizione politica capace di favorire un recupero di coscienza, un dilatarsi dell'opinione pubblica di respinta della guerra, un imporsi di volontà popolare di disarmo, si sganciamento da servitù militari, di gestione libera dei propri destini.
Nella fiducia (senza fiducia non c'è pace ma unicamente guerra) che anche i paesi dell'Europa orientale risveglino quella coscienza, sicuramente soltanto oppressa e soffocata, di liberazione da servitù militari e insieme la volontà d'incontro e di collaborazione di un'Europa unita nella pace.
Quest'Europa che da che mondo è mondo non ha mai avuto un respiro di pace. Adesso che i popoli europei non hanno motivi di guerra lungo i propri confini, finalmente senza filo spinato, quest'Europa è la famosa «terra di nessuno» fra le due trincee e le baionette sono innestate, pronte all'assalto mortale.
don Sirio Politi
Questa lettera era stata inviata al giornale «La Repubblica» perché venisse pubblicata e servisse di stimolo per una riflessione e una allargamento di dibattito sul problema così tragicamente attuale della corsa al riarmo, Non risulta che il giornale in questione l'abbia pubblicata.
Ho letto con piacere su «Repubblica» del 18/8/81 il commento che il vescovo di Spoleto monsig. Ottorino Pietro Alberti ha fatto il giorno di Ferragosto a proposito del testo dell'Apocalisse cap. 12 denunciando con coraggiosa chiarezza il riarmo in corso a base di missili a testata nucleare e di bombe al neutrone. «Denunciare e deprecare non è sufficiente - dice il vescovo - ma è comunque necessario». Su questo sono pienamente d'accordo, anche perché è raro che a livello di gerarchia della Chiesa cattolica lo si faccia nei tempi e nei modi che sarebbero richiesti dall'urgenza e gravità dei problemi: la storia è piena di questi «ritardi di denuncia» e di prese di posizione chiare e precise.
Penso però - ed è questa la domanda che vorrei fare a monsig. Alberti per aprire un dibattito franco e leale su un problema di vitale importanza per tutti - che riguardo al «che fare?» forse è giunto il tempo per i credenti nel Dio di Gesù Cristo (e anche per i credenti nell'uomo) e quindi anche per la gerarchia, di dare risposte più evangeliche.
Denunciare la corsa agli armamenti da parte delle grandi e piccole potenze, va bene; depreca-re la condizione di ingiustizia e di fame, va bene: ma tutto questo che è già stato fatto in modi e maniere diverse al ripresentarsi di ogni pericolo di guerra (vedi I e Il mondiale), quali risultati ha prodotto?
Non sarà giunto il tempo, e forse chissà da quanto, di proclamare da parte della gerarchia «l'anno della disobbedienza?» Una disobbedienza che nasca, per il credente, dalla radice stessa del Vangelo e dalla profezia del regno di Dio fra gli uomini; e che al tempo stesso affondi dentro l'anima del popolo, del nostro come di tutti i popoli della terra.
Là dove l'umanità ha subito le ferite più terribili, gli inganni e gli sfruttamenti più tragici, lo schiacciamento della propria dignità di uomini in nome di una «difesa» che altro non era se non l'interesse del più forte.
La proclamazione, l'invito, l'annuncio di questo tempo della disobbedienza, dall'operaio che lavora alla fabbricazione delle armi ed è quindi all'inizio della catena della morte - anche di quella nucleare; ai giovani chiamati ogni anno a rinnovare con la loro «obbedienza» la vitalità della struttura di tutti gli eserciti, organismi nati e alimentati unicamente per strategie di morte; ai cappellani militari che in Italia come in altri paesi sono il supporto religioso al concetto di un esercito in qualche modo "battezzabile", di una difesa legittima anche se essa significa in termini reali l'uccisione e l'annientamento del nemico. Ed ora che di fronte alle terribili armi nucleari e al neutrone "nemici" siamo diventati tutti, dal bambino appena nato al vecchio centenario, come la mettiamo?
In questa prospettiva, cosa dovrebbe dire il parroco di Cosimo nel ragusano ai muratori e carpentieri che dovranno mettere mano alla sistemazione delle basi missilistiche per i cruiser?
Forse è davvero giunto il tempo in cui per nessuno "L'obbedienza non è più una virtù" come aveva coraggiosamente e profeticamente intuito l'amico don Lorenzo Milani, il parroco di Barbiana che per fedeltà a Gesù Cristo scelse di stare dalla parte dei poveri per ridar loro la parola.
E molto prima di lui, un altro prete e martire, il tedesco Max Joseph Metzger ucciso dai nazisti nel 1944 aveva affermato in una lettera dal carcere inviata al Papa in quello stesso anno: «Se l'intera cristianità avesse fatto una potente, unica protesta contro la guerra non si sarebbe potuto evitare il disastro? ».
Viareggio 13/8/81
don Beppe
Italia, 4 Novembre 1981
Caro Pertini,
Presidente degli italiani
in questo giorno, che viene festeggiato come anniversario della "vittoria", ma che noi ricordiamo come il giorno di lutto per i morti di tutte le guerre, a te che, oltre che Presidente, sei anche il capo delle forze armate, sentiamo il bisogno di comunicare alcune cose per noi della massima importanza:
1) Per prima cosa ti vogliamo dire che ti siamo vicini per certe tue dichiarazioni di principio contro la guerra, per le tue recenti dichiarazioni durante il viaggio nelle Marche - sulla necessità di agire politico in sintonia con i principi della morale, su quella di andare verso il superamento degli attuali schieramenti in blocchi contrapposti e di agire per la Pace. E riteniamo indegno che, per queste tue dichiarazioni, tu sia stato redarguito, apertamente o velatamente, dai segretari dei due principali partiti di governo, che sembrano invece essere cosi condiscendenti verso i loro colleghi di partito implicati nello scandalo della P 2. Per questo ci sentiamo, anche per il modo spontaneo e umano in cui dici queste cose, vicino a tutti i semplici cittadini di questo paese che vedono l'unico o uno dei pochi sostegni morali e civili in uno stato lottizzato e corrotto, che fa acqua da tutte le parti.
2) Ti vogliamo dire inoltre che non siamo affatto d'accordo con la linea portata avanti dall'attuale governo (purtroppo sulla scia di quelli precedenti):
a) che ha raddoppiato le spese militari mentre sta pesantemente tagliando quelle sociali:
b) che, in contrasto con la posizione presa da vari altri paesi europei (Olanda, Norvegia, ecc.), ha accettato di impiantare i missili Cruise nel proprio territorio, proprio in una zona, d'altra parte, che invece che di missili e di guerra, ha bisogno di lavoro e di sviluppo economico-sociale;
c) che ha accettato di essere il cane da guardia del medio oriente sia attraverso i missili a testata nucleare a Cosimo, sia mandando propri soldati nel Sinai, in appoggio agli interessi U.S.A. nel medio oriente;
d) che punta su un incremento di centrali nucleari o mega centrali al carbone per appoggiare e portare avanti un modello di sviluppo del paese che vede al suo centro la costruzione e la vendita di armi ed altri ordigni di guerra ai paesi del terzo mondo.
3) Noi riteniamo al contrario che il nostro paese dovrebbe:
a) non attendere che le due superpotenze mondiali (USA-URSS) si mettano d'accordo per uno non prevedibile smantellamento graduale delle loro testate nucleari, accettando cosi implicita-mente la logica dell'equilibrio del terrore, ma dia per primo l'esempio di un paese che opera con-cretamente per la pace, diminuendo progressivamente i propri armamenti nucleari e convenzionali, stimolando la costruzione di una Europa unita, denuclearizzata, fuori dai due blocchi, ed operante concretamente per il superamento della fame nel mondo e degli squilibri e della dipendenza del Nord sul Sud;
b) stimolare la costituzione, all'interno dell'O.N.U. e del nostro paese, di corpi di intervento non armati e non violenti dei conflitti internazionali ed interni, ed organizzare e sviluppare forme di difesa popolare non violenta capaci di resistere all'invasione esterna ed all'oppressione interna. La lotta non violenta degli operai polacchi di Solidarnosc é un esempio vivente ed attuale di come una azione del genere può mettere in difficoltà anche regimi totalitari e porre le premesse per una loro trasformazione pacifica in regimi più aperti e democratici, più vicini a forme di socialismo autogestito;
c) puntare su un modello di sviluppo completamente opposto dall'attuale che abbia al suo centro, invece che. una industria costruttrice di armi, uno sviluppo agricolo-industriale decentrato, basato sul risparmio energetico e sulle energie rinnovabili, sul rispetto ed amore per la natura, sul lavoro creativo e non alienato, sul capitale umano e non su quello delle multinazionali o degli appa-rati burocratici dello stato, sull'autogestione di base e non sul dirigismo centralizzato.
d) Garantire uno statuto degli obiettori di coscienza con una legge non punitiva, ma che rece-pisca e promuova la libertà di un 'affermazione della pace anche attraverso la respinta del militarismo e la promozione della difesa popolare non violenta, la protezione civile, i valori di cultura popolare, di assistenza sociale ecc.
4) Per questo noi riteniamo che su questi problemi fondamentali, delegare tali scelte a nessuno, nemmeno a governi «democraticamente» eletti, e riteniamo improcrastinabile mettere in pratica, fin da oggi, il tuo ammonimento di svuotare gli arsenali e riempire i granai.
Per far questo:
a) ci rifiutiamo di pagare quel 5,5% di tasse che vanno a costituire il bilancio militare;
b) decidiamo di versare la cifra corrispondente per la costituzione di un fondo per la pace e lo sviluppo che mettiamo a tua disposizione perché tu, con l'aiuto di un comitato costituito da personalità del nostro paese che in tutti questi anni hanno concretamente operato per la pace, con noi concordato, ne decida la più valida destinazione ai fini di una politica di distensione e di pace, per una conoscenza dei limiti e dei costi delle guerre e delle armi, per lo sviluppo di forme di lotta e di risoluzione dei conflitti che rispettino la vita degli avversari, senza per questo accettare la continuazione di forme di sfruttamento e di ingiustizia, per lo stimolo e la sperimentazione di un modello di sviluppo più umano, più consono allo sviluppo dei paesi del terzo mondo e del nostro;
c) invitiamo tutti i cittadini italiani di coscienza a seguire il nostro esempio ed a unirsi con noi in questo concreto gesto di «costruttori di pace».
Movimento Nonviolento
Movimento Internazionale della riconciliazione
Lega per il Disarmo Unilaterale
Siamo oggi a Roma, cosi in questi giorni sta avvenendo in tutta Europa, a testimoniare un profondo impegno per la pace e il disarmo.
Hanno aderito forze politiche, sociali, sindacali, movimenti antimilitaristi e pacifisti, non violenti, antinucleari, ecologici e gruppi di ispirazione cristiana e singoli altrettanto diversi per ideali, orientamenti, opinioni, modi di vivere. Tutti accomunati dal credere in un futuro di pace, senza armi.
Decisive tensioni attraversano oggi il mondo.
Siamo entrati in un decennio in cui, a fronte di grandi possibilità di sviluppo e di trasformazione, stanno gravissimi pericoli per il destino dell'umanità.
I vecchi falsi equilibri sono entrati in crisi profonda: quelli basati sul predominio, sul terrore; sulla politica di potenza sulla divisione del mondo in sfere di influenza. In ogni parte del mondo si affermano nuovi e contraddittori processi rinnovatori, si espandono guerre locali con milioni di morti, cresce e si moltiplica la crisi negli stessi paesi industrializzati, si deteriorano i rapporti tra le grandi potenze. In questo quadro la corsa al riarmo assume dimensioni mai viste.
L'aumento qualitativo e quantitativo degli arsenali ha raggiunto una soglia tale che di per se stesso impedisce non solo un vero sviluppo dell'umanità, ma, accentuando i rischi di guerra, favorisce l'involuzione e la moderna barbarie.
L'attuale ordine internazionale è in realtà un disordine profondo, basato sull'oppressione, sul-lo sfruttamento brutale, sulla rapina delle risorse, senza tener conto delle conseguenze sull'uomo e sull'ambiente, che determinano povertà e fame in grandi aree del mondo.
Per questo milioni di persone muoiono ogni anno. Centinaia di milioni di esseri umani sono costretti a un livello di vita inumano.
La creazione di nuovi rapporti politici ed economici tra il Nord e il Sud del mondo, insieme alle lotte di liberazione contro ogni vecchia e nuova forma di colonialismo e per l'autodeterminazione di tutti i popoli rappresentano quindi le condizioni fondamentali per uscire da questa situazione e per creare un nuovo e più giusto ordine internazionale in grado di soddisfare gli interessi delle masse diseredate dei paesi non industrializzati.
Non possiamo accettare che enormi risorse vengano sottratte alle popolazioni per garantire un equilibrio armato a livelli più che mai spaventosi e oggi incontrollabili, mentre vi sono oggi potenzialmente gli strumenti per elevare il livello e la qualità della vita di tutte le popolazioni.
Dobbiamo anche denunciare, quei sistemi industriali nati dalla guerra e organici al riarmo, presentati come strumenti di pacifico sviluppo economico tra cui primo spesso la costruzione di centrali nucleari è solo il primo passo per disporre di materiale necessario alle armi nucleari.
La corsa agli armamenti è oggi specificatamente un incessante innovazione tecnologica nel settore nucleare. L'enorme volume di investimenti dalla fabbricazione dei combustibili, al ritrattamento dei materiali irradiati, ai prototipi di reattore, all'elettronica di supporto, spinge chi è impegnato nel settore nucleare alle applicazioni commerciali come parziale compensazione. Anche queste valutazioni di ordine economico sono certamente tra le ragioni del rilancio del nucleare da parte di Reagan e dei progetti URSS nel campo dell'energia nucleare.
I programmi nucleari «di pace» tra l'altro servono anche per finanziare la corsa alle armi nucleari.
Se i popoli dovessero accettare le pressioni e i rischi riarmistici, qualora l'Europa dovesse abdicare da un solo ruolo autonomo ed attivo, non solo verrebbe compromessa la possibilità di una emancipazione dei paesi del terzo mondo, ma la stessa Europa verrebbe travolta dalle sue logiche militari ed economiche. Quindi, un ruolo autonomo ed attivo implica che si intervenga sugli equilibri Est Ovest, e fondi una vera politica di solidarietà e di cooperazione con il Sud del mondo che ponga fine al monopolio delle politiche commerciali, ai ricatti economici e militari, al rifiuto di tecnologie operate nei confronti dei paesi in via di sviluppo.
Il riarmo, sia all'Est che all'Ovest è il primo nemico di questa ipotesi. Riarmo vuoi dire distruzione di ricchezze sociali, impoverimento della gente del Nord come nel Sud del mondo, taglio delle spese sociali, possibilità concreta della guerra.
Oggi più che mai battersi per la pace vuoi dire salvare le condizioni di vita di milioni di individui ed opporsi, qui in Italia, alla installazione dei missili, all'aumento delle spese militari, ai provvedimenti economici del governo che premiano la spesa militare e sacrificano i bisogni della gente.
Non è un'ottica eurocentrica a muoverci e quindi consideriamo ogni ipotesi di Europa come terza forza militare una pericolosissima avventura, cosi come vediamo negativamente la funzione degli arsenali nucleari autonomi inglese e francese, ivi compresa l'annunciata decisione francese di costruire la bomba N.
Conseguentemente esprimiamo la ferma volontà affinché tutti i paesi della CEE decidano di non costruire più armi atomiche o dispositivi nucleari di guerra per loro stessi o per altri stati. In particolare riteniamo che l'Europa, in quanto tale, debba svolgere il suo ruolo sul disarmo, al di fuori di ogni logica dei blocchi, e rimuovendo la tremenda eventualità di conflitto nucleare limitato sull'Europa, anche recentemente ribadita dal presidente USA Reagan.
A questo punto è bene che se il dialogo tra le superpotenze va richiesto al fine di trattenere il mondo al di qua del baratro della guerra, noi pensiamo che solo la mobilitazione delle popolazioni, dei movimenti, può innescare un reale processo di pace e disarmo, costringendo ogni singolo governo a concreti atti in questa direzione.
Già grandi movimenti, partiti, forze sociali e perfino governi stanno lavorando nella direzione del disarmo. Riteniamo che un passo importante possa essere la realizzazione di aree libere dalle armi nucleari del nostro continente. Ma questo implica una svolta; la via della pace dipende innanzitutto da tutti i cittadini, dal rispetto della loro volontà, e oggi la prima scelta da fare per rovesciare la corsa al riarmo è lottare in ogni paese contro l'installazione degli euromissili, un passo per aprire la strada ad un processo che deve concludersi con l'eliminazione di tutte le armi.
La pace è indivisibile, e quindi lottare oggi per la pace e per il disarmo, a cominciare da un'Europa smilitarizzata, vuoi dire anche lavorare perché le contraddizioni e i fermenti (esempio Polonia), le lotte per l'autodeterminazione dei popoli (esempio Afghanistan, El Salvador, Palestina, ecc.) aperte in diverse parti del mondo possono svilupparsi a raggiungere soluzioni positive fondate sul rispetto del diritto fondamentale di ciascun popolo all'esistenza e all' autodeterminazione.
Vogliamo dare con questa manifestazione un contributo al rafforzamento e all'estensione del movimento per la pace che già con forza si è venuto affermando in altri paesi europei, e che viene significativamente esprimendosi nel nostro paese.
Un movimento che in Italia sappia negare con forza ogni avallo alla politica di riarmo: quali punti qualificanti di questo impegno assumiamo:
1) il riconoscimento in Italia e nel mondo del pieno diritto all'obiezione di coscienza al servizio militare e al sostegno di ogni altra forma di obiezione alla preparazione bellica.
2) La riduzione annuale, significativa e non simbolica delle spese militari nel nostro paese.
3) Una legislazione adeguata nel nostro paese in materia di produzione, commercializzazione ed esportazione delle armi, che contempli il divieto immediato di esportare, direttamente o indirettamente, armi verso i paesi retti da regimi dittatoriali o in stato di guerra, come primo passo per il blocco assoluto di ogni esportazione di armi, in collegamento anche con la graduale riconversione dell'industria bellica nazionale.
4) La sollecitazione dell'impegno fattivo delle forze sociali e sindacali per la riconversione graduale dell'industria di guerra in industria di pace.
Non ci sono armi buone e armi cattive. Vogliamo aprire un processo per il disarmo che abbracci l'Ovest come l'Est, con questo spirito siamo per il blocco e lo smantellamento degli SS 20 sovietici cosi come ci opponiamo all'installazione dei Cruise a Cosimo o altrove nel nostro paese e in Europa.
La lotta contro l'installazione in Italia delle nuove testate nucleari non è che il primo passo di una mobilitazione continuativa che deve nascere collettivamente da coloro che credono in un futuro senza armi nucleari, non come vaga utopia, ma come obiettivo realistico dei prossimi anni. Ma dobbiamo compierlo, questo passo, con urgenza, per bloccare i lavori in corso a Cosimo, per imporre un primo significativo segnale di disarmo, per propagare e rendere attivo ed efficace ogni sentimento, ogni singola volontà di pace. E da qui, da oggi, da tutti, e da ciascuno di noi nasca una campagna per il disarmo nucleare nel nostro paese perchè non più migliaia ma milioni di nostri concittadini dichiarino - con la forza che è consentita dalla democrazia che da noi stessi è nata - la loro indisponibilità ad ogni gesto di riarmo, la loro volontà di imporre dal basso la distruzione degli strumenti di morte.
E chiediamo subito ai comuni italiani, agli enti locali di decentramento democratico di farsi anch'essi - insieme e in nome dei cittadini - promotori di disarmo e di pace, sull'esempio dell'impe-gno che la regione Umbria ha già assicurato contro l'installazione dei Cruise sul suo territorio.
Da questo momento nessuno può esprimere da un solo, grande impegno: fare in modo che il decennio da poco iniziato sia per l'intera umanità il decennio del disarmo, dello sviluppo, della pace, che trovano la loro base nella solidarietà tra le popolazioni per rovesciare quel destino di distruzione senza ritorno che per oggi appare tragicamente realistico.
Il collettivo di coordinamento
della manifestazione
La manifestazione per la pace del 24 ottobre è stata una grande cosa per molti aspetti. Tra l'altro una indimenticabile occasione per riaccendere entusiasmi ridotti in cenere dalla piallatura del quotidiano.
Quando incontri quelli che hanno partecipato vedi brillare gli occhi di una giovinezza ritrovata. È tutto molto ingenuo, ma non per questo meno bello. E vedere sfilare le centinaia di gruppi del movimento era come assistere al passaggio di un vestito d'Arlecchino fatte di inventività, di freschezze miracolose, di resistenze testarde che hanno reso possibile la fiumana di Roma.
Credo che forse mai, prima d'ora, era stato dato di considerare questa variopinta articolazio-ne di un lavoro quotidiano che non dirada l'opacità di tutti i giorni, ma che conserva la vivacità e la forza improvvisamente per trovare confluenze ed innesti con sorprendente facilità.
È certo che il discorso contro la guerra comporta scontri in direzione ben precisa, ma è altret-tanto vero che appartiene all'esperienza popolare più disincantata forse, certo più matura, la determinazione di costruire con le proprie mani una diversità.
Si tratta quindi di distruggere tutto ciò che esiste per la guerra, ma si tratta anche di costruire rapporti nuovi per lottare alla radice con la generazione della violenza.
Penso al lavoro nel nostro capannone. Non conta quelle che abbiamo realizzato fin qui (ma poi chi può vantarsi di azioni decisive in questo sistema?), quanto il progetto, e, se preferito, l'utopia che portiamo dentro. L'affiorare di stanchezze è comprensibile, ma non giustificabile quando ci si rende conto della potenzialità rappresentante da un discorso di lavoro che accetta di percorrere le strade dell'emarginazione per una diversa esperienza di solidarietà. Perché il progetto del capannone è seriamente agganciato alla lotta contro le radici della guerra
Non dico che è sufficiente lavorare da noi per vivere la pace. Non è perché ci sono handicappati che allora si diventa contro ogni emarginazione. Non è perché lavoriamo con obiettori di coscienza che è lontana da noi ogni violenza. Non sono i singoli fatti o l'attenzione portata a fette di emarginazione che di per sé configurano un atteggiamento alternativo al rapporto selettivo e discriminante dal nostro tempo. Si possono inseguire ricordi di paradiso terrestre oppure pitturare a nuovo un sempre vivo spirito assistenziale e, peggio ancora, considerare la fatica chiusa e darsi al riposo del sabato.
Occorre che al di là del lavoro feriale sia vivo il progetto che si radica nelle problematiche della vita di questa umanità, nelle tensioni dei rapporti sociali, nel confronto con i bisogni che intendiamo accogliere. E questo mi pare che lo facciamo nella misura in cui abbiamo la forza di rompere le incrostazioni burocratiche, le resistenze dettate dalla paura e dell'egoismo individuale e politico. Si tratta di rischiare una realtà di lavoro che consenta di produrre oltre a dei beni anche dei rapporti umani e viceversa.
La cooperativa, la convenzione ecc. sono semplicemente strumenti che possiamo utilizzare e meno seconda che siano utili per la crescita dei nostri scopi. Non rappresentano sicuramente dei traguardi.
D'altra parte rimane vero che il progetto ha bisogno di gambe per camminare. E queste, tra l'altro, sono costituite dal lavoro quotidiano che appare, a volte in modo più marcato, un prezzo troppo alto nei confronti delle tante azioni che potrebbero venir compiute, di una presenza troppo costretta ai metri quadri e alle persone del laboratorio. Non ci sono certo regole, né assoluti, ma occorre interpretare la marcia di Roma ed altre manifestazioni popolari a impensabile presenza popolare come confluire di gente che non ha mai perso la voglia di camminare, che ha cercato di non arrestarsi mai nel quotidiano, di non darla mai vinta.
Il fondatore dei boyscout raccontava questa favoletta: "Due ranocchi saltellando qua e là vanno a finire in un secchio pieno di latte e non trovano nessun appiglio per poterne saltare fuori. Uno si stanca presto di nuotare e disperato si lascia affogare. L'altro, dotato forse unicamente di maggior caparbietà, si mette a nuotare intorno al bordo del secchio e non pensa neppure un momento di arrendersi. Sta di fatto che a poco a poco il latte, agitato dal movimento del ranocchio, acquista consistenza e si trasforma in burro offrendo al ranocchio quel minimo di resistenza che gli consente di saltare fuori". Un apologo allo stakanovismo rivoluzionario? Credo piuttosto una spinta ad incrociare progetti e tendenze con elaborazioni concrete e quotidiane.
Luigi
Se rivolgo la mente dietro le mie spalle, nel tentativo di rivivere, almeno nel ricordo, la bellezza smaltata e lucente di certi ideali di un tempo neanche poi troppo lontano, sento alitare dietro la mia nuca la sensazione fredda della loro svuotata ricchezza, della loro illusorietà, dimenticata forza della «passata» esistenza.
Pensare dietro di noi, non soltanto in noi, ma anche nella storia, ci porta a vivere questa lacerante, brutale evidenza: ogni «illusione» è stata una «fede», ogni fede alla quale non crediamo (o non crediamo più) è ormai un quasi nulla, un sogno da ridimensionare con un sorriso, un attesa divenuta insensata, una speranza rivelatasi vana, una fiaba da raccontare.
Tutto quello che oggi compiamo, per cui oggi lottiamo e soffriamo e paghiamo, forse si trasformerà nel ricordo in una ridicola scaramuccia giovanile, in una auto-risibile coscienza della antica «ingenuità» (perché l'ingenuità non è mai nell'oggi, ma sempre in ciò che abbiamo già tentato...).
Siamo gli uomini del «transire», in una "sunset age" di valori dimenticati ed esistenze degradate, angosciate nell'insicurezza e nella solitudine.
Di fronte e dentro a tutto ciò, quale risposta, quale testimonianza possiamo dare noi, uomini della speranza e della novità, della conversazione e della rivoluzione non violenta delle coscienze?
Noi crediamo oggi che sia possibile e necessario che l'uomo impari a vivere dell'egoismo potente che nega il potere, in una scelta di vita che rifiuta l'imposizione autoritaria, la barbarie delle armi e delle patrie? Noi abbiamo una FEDE, noi la proponiamo al mondo.
MA C'È FEDE E FEDE...
La fede religiosa è staccata dalla storia, non falsificabile da alcuna esperienza, una fede della sottomissione, una fede dell'amen.
È porre la propria vita e la propria forza su qualcosa di stabile, su una roccia inamovibile, su una speranza che si chiude a riccio contro ogni pericolo di divenire anch'essa «illusoria attesa di qualcosa che non è».
Spezza col dogma le domande ripiene dell' ansia umana di «sapere», giunge al fanatismo e al settarismo più bieco laddove individua eresie e ostilità, non può conoscere tolleranza al suo interno in quanto niente di sostanzialmente «altro» può in essa, ad essa coesistere.
La nostra fede, invece, non è quella delle chiese e dei partiti, dei vangeli e dei dogmi; la nostra fede deve essere sempre capace di trasformarsi con gli uomini, deve sempre saper esistere nella storia, deve in ogni luogo e in ogni tempo accettare le conferme e le falsificazioni.
La nostra fede non ricerca rocce, non fonda se stessa su niente che si trovi al di là dei suoi stessi testimoni, delle loro parole, dei loro pensieri, della loro vita, dei loro fallimenti.
La nostra fede accetta la propria «illusorietà», vive del suo passare, nella certezza che divenire è crescere, se si ama l'esistenza e la si vive con intelligenza e coraggio.
Viviamo del nostro cambiare e soffriamo dei nostri «passaggi», ma - andare al di là - saper ricominciare, questa è la sostanza della nostra nuova concezione della parola «fede».
Enrico
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455