Sempre più martella nell'anima con esigenze irrimandabili di risposta, la domanda. Urge trovare, scoprire o almeno inventare la strada sulla quale camminare, decidere quale fardello portare sulle spalle e poi sapere, almeno con una certa approssimazione, verso quale meta orientarsi e là dove è giusto e necessario arrivare.
Non può essere preso in considerazione il problema dei prezzi da pagare, delle amare delusioni da inghiottire e tanto meno va messa in conto la stanchezza, che può anche essere suprema; come quando si ha l'impressione di non farcela assolutamente più.
Perché in questo frangente di tempo, da pochi mesi a questa parte, il senso del vuoto e dell'inutile, angoscia l'anima incredibilmente e si porta via, con la tentazione dell' «ora basta» , le ultime, residue forze della fiducia e della speranza.
I movimenti per la pace e le grandi manifestazioni in Italia e in Europa, hanno concluso con lo scavare fino all'osso questo vuoto. E' venuto l'inverno meteorologico, ma più terribile ancora quello iniziato con i113 dicembre e sceso giù dalla Polonia a raggelare una circolazione di sangue giovanile che pareva rivelarsi ardente come una promessa nuova di vitalità. Così tanto da scuotere e agitare la morta gora del qualunquismo generale, soffocante e maleodorante, fino a impressionare e impensierire le crasse istituzioni politiche di casa nostra e fuori.
Un'ondata di piena insomma non straripata al di fuori degli argini, ma che se non si arrestava e si placava cosi improvvisamente e stranamente, avrebbe sicuramente straripato e nella piena dilagante non poche resistenze avrebbero travolto: senza dubbio gli euromissili a Comiso, i militarismi di Lagorio, le strategie americane della Nato, hanno messo in difficoltà molti schemi di politica sclerotizzata, la disumana industria delle armi, il patriottismo dell'esercito... e creato una coscienza nuova popolare, consistente specialmente nel fatto che se il popolo vuole ancora può.
Invece è venuta di colpo la paura. E non soltanto per il popolo polacco e il suo sindacato. È venuta la paura alla chiesa ridotta a piangere in piazza S. Pietro e davanti ai televisori insieme al papa polacco, angosciato per le sorti ingloriose della «sua patria» e della chiesa polacca.
E la paura è venuta e sconcertante al P.C.I. come quando si agita il vento di tempesta e il mare a forza dieci mette in grave pericolo la nave: bisogna gettare a mare la zavorra (65 anni di storia, accidenti) e cercare di reggere e dominare il ciclone.
I sindacati, ma specialmente gli operai, hanno avuto paura che i loro problemi sul costo del lavoro e sulla cassa integrazione, fossero scavalcati dalla tragedia di Solidarnosc. Come se non fossimo tutti legati alla stessa catena tenuta per mano da una parte da Reagan e dall'altra da Bresnev.
I giornali hanno soffiato sulla paura e si sono riempiti di Polonia e di terrorismo, di mafia e di camorra. Le televisioni hanno fatto rivedere le stesse immagini delle strade di Polonia sporche di neve infangata da carri armati e autoblindo, almeno un milione di volte, e i volti sorridenti e trionfanti degli sfruttatori delle disgrazie altrui.
E i movimenti per la pace?
Forse sono rimasti paralizzati dalla paura di essere rimasti soli e quindi in pochi, per il fatto che i cattolici avevano altro da fare, piangere con il papa Woitjla e i comunisti anch'essi in altro impegnati, a piangere cioè con Berlinguer o non con lui.
Della pace non se n'è occupato più nessuno. Un clima tiepido autunnale raggelato dal vento glaciale venuto dal nord.
E ora?
Rieccola la domanda, acutizzata e sconcertante come un vecchio malessere che ritorna ancora più carico di sgomento: cosa fare?
Pensiamo che nessuno ha delle risposte chiuse nel cassetto, dei preparati pronti all'uso, delle ricette misteriose. E forse nemmeno idee nascoste negli angoli più segreti della propria anima.
Parrebbe che tutto sia come logorato, consunto e i rattoppi erano qualche pezzo di stoffa nuova sul vestito vecchio.
E certamente è successo (e sono alcuni decenni che sta succedendo) che il vino nuovo si è trovato in otri vecchi e tutto è andato puntualmente in malora. C'è chi nel cercare di ravvivare la speranza, nei tentativi di ricominciare con fiducia, è invecchiato. Perché gli anni passano e scavano il corpo e l'anima di abissi sempre più senza fondo, dove è inevitabile e giusto perdersi. Ma questo perdersi non vuoi dire staccarsi, dividersi, sparire, seppellirsi...
Forse è rinsaldare quella libertà fino a diventare anima della propria anima, destino del proprio destino?
E tutto questo però può anche voler dire che chi ha scoperto che la propria vita, la propria esistenza, è ordinata spiegabile e giustificabile soltanto nell'affermazione della libertà per se stesso, per gli altri, per tutti, per l'umanità intera, ha scoperto e trovato una buona risposta alla domanda, all'angoscioso problema del «cosa fare».
Perché, sempre, ma particolarmente adesso, in questo tempo in cui è così abissale il vuoto di valori, può anche comportare il decidersi a vivere, pagando qualsiasi prezzo, liberamente, con spirito libero, in un'umanità schiavizzata da ideologie e culture disumanizzanti, da interessi economici fino alla pazzia, dal culto della violenza e della morte, dalla produttività del benessere a gettito continuo e progressivo, dall'oppressione di blocchi imperialistici, di militarismi spietati e di armamenti fino alla capacità distruttiva del mondo intero. Può anche significare che il vivere la vita, la propria vita, il proprio quotidiano e custodire rapporti e alimentarli, con gli altri e con la storia in modo umano, con spirito libero, pacifico, fraterno ecc. è già un «cosa fare» scoperto e vissuto, realmente formidabile.
Perché il non lasciarsi travolgere e affogare dallo straripamento della fiumana, è già salvarsi e salvare.
È di nuovo il tempo in cui la «resistenza» è decisiva, essenziale impegno, dovere, responsabilità, giustificazione di vita.
Tanto più è rispondere al «cosa fare» la capacità di offrire. Offrire cosa?
Offrire la Fede, una Fede. Credere in Dio è credere nell'uomo. Credere nell'uomo è credere in Dio. Lottare contro la violenza, qualunque essa sia. è sempre Amore. Difendere la creazione, l'esistenza. è essere dalla parte del Creatore. Affermare la vita contro lo strapotere della morte affermata e cercata come l'unica soluzione dei problemi umani, è credere nella Resurrezione. Respingere l'esercito, le armi convenzionali e nucleari, le fabbriche di armi, i blocchi tutta la politica di guerra, è sognare e amare la fraternità, l'uguaglianza, la non violenza...
Svanire dentro se stessi ogni istintività egoistica, saper essere felici di un bicchier d'acqua e di una boccata d'aria pura, dell'aurora e del tramonto, di un fiore e di una stella, di occhi luminosi di Amore, di una stretta di mano... è affermazione e credere appassionatamente alla pace.
Forse tutto ciò che è organizzato (l'organizzazione è sempre un insieme, un accumulo, spesso un'accoglienza, di valori e di miserie umane) va male, frana, è inghiottito e sparisce nella fiumana travolgente della storia, perché gli uomini (l'umanità) si convincano (!!?) che «il Regno di Dio - cioè l'umanità vera - è dentro di noi», in ciascuno di noi, come Gesù affermava.
Bisogna cioè decidersi a rifarci da noi, da ciascuno di noi (è chiaro, non per chiuderci nel personale, nel privato). Sì che ognuno sia quell'umanità che sogniamo. È per questa pace, per noi e per tutti, che lottiamo. Anche per non perdere tempo e forze e speranze, logorandoci nell'angoscia di quella terribile domanda «cosa fare».
E per, essere pronti nel caso che Dio o la storia, cioè la Fedeltà, ci abbiano a chiamare.
E sarà sempre come bussare alla porta di casa, cioè forse quando meno ce l'aspettiamo.
Carissimi Amici italiani
Oggi trenta novembre 81 compio sessantanove anni ed entro nel tratto che mi condurrà rapidamente ai settanta. Dico rapidamente per l'esperienza di questi ultimi decenni che sono trascorsi a un ritmo impressionante: ho presente la possibilità di non toccare il traguardo dei settanta, e questa prospettiva, nonostante che ami molto la vita, non mi fa increspare di spavento. Compio gli anni nella città messicana di Guadalajara in una casa amica accompagnato da due fratelli, e mi sento in una vera famiglia. La prima cosa di cui ringrazio Dio e lo ringrazierò eternamente è del dono dell'amicizia. Si dice che la cosa più importante è la salute, e io correggo che la cosa più importante è l'amicizia. A che varrebbe una buona salute, una lunga vita, se il tempo non fosse altro che un lento inabissarsi verso la solitudine e la sofferenza insopportabile di non sentirsi atteso in nessuna parte e da nessuno? Non è già l'inferno questo convivere senza comunicarsi profondamente? Per questo dono dell'amicizia accetto cordialmente 1'«inconveniente» di essere uomo che semina crucci e inquietudini (v. Ger. 15,10). Questa mia vita avventurosa e polemica sarebbe davvero una rovina più che una grazia, se non fosse contenuta entro due argini che la infinita sapienza e bontà dell'Amico ha pensato di costruire e di mantenere. Un argine è l'amicizia, cioè lo scoprire quotidianamente che esiste un tipo di comunicazione libera dell'ideologico, sciolta da qualunque interesse, che attraverso l'amicizia l'uomo si tocca con l'uomo al di là, e al di sopra e talvolta contro le differenze che nascono per le nostre scelte. Il secondo argine ed è fatto di pietra, di roccia, è aspro orribile a vedersi é lo scoprirsi nell'ultimo. gradino sotto il quale non sta nessuno. Sempre mi sta presente una confessione di Santa Teresa d'Avila che racconta in termini che oggi ci sembrano infantili come la pittura dei primitivi, che Gesù la prese per mano e la condusse all'inferno. Questo scorcio «primitivo» è di una verità incredibile. Veramente non esiste una esperienza di Dio cosi profonda e salutare come quella che si fa «dall'inferno».
Non si tratta di una convinzione, di una conquista intellettuale, si tratta di una situazione reale, di un essere in un luogo, come ora sono in Messico a Guadalajara. In questa posizione dell'ultimo gradino non è possibile giudicare, perché il giudicare suppone qualcuno che sta di sotto. Il giudice è uno che siede in un luogo soprelevato: «I maestri della legge e i farisei si sono seduti sulla cattedra di Mosè» (Mt. 23, 2)
È una grazia durissima quella di sedere nell'ultimo gradino, vivere l'esperienza di quelli che si sentono esclusi dall'assemblea dei santi, eppure capisco razionalmente che è la sola condizione per accettare un ruolo di critica, condizione per aiutare i nostri fratelli di fede e vivere in un mondo che sfida costantemente la nostra fede. E questa sfida non è un fenomeno patologico della storia, è il senso della storia. Che è la fede se non la lettura dell'alleanza, del processo di salvazione e di liberazione che il Signore Gesù va attuando e realizzando nella storia? Proprio questa storia che sfida la nostra fede è la polpa della nostra fede e della nostra speranza. Se ci allontaniamo o tagliamo corto la fede si trasforma in ideologia e facilmente giustifica tutte le aberrazioni contro la giustizia.
Questo che vi dico in un linguaggio difficile, l'ho scoperto e lo vado scoprendo nel mio soggiorno in America latina, e direi con i poveri e per i poveri dell'America latina. Per questo ringrazio Il Signore di avermi messo di malavoglia, lo confesso, su una nave da un carico in partenza per l'America latina e di avermi spedito con altra mercanzia verso questo continente.
Avrei scoperto in altra parte questa dimensione di fede? Ho davanti a me un quadro dell'episodio di Emmaus: dietro il gruppo del tre pellegrini sta la "massaia" che attinge a un piatto che le presenta un ragazzotto, il figlio, la carne e il contorno che distribuisce nei piatti. Avrebbero scoperto i due viandanti il Cristo della strada, quello che comparte la mensa e che mangia il pane e i pesci con gli uomini senza questo viaggio? Chi lo può dire? È certo che il tratto di strada resterà importante per loro, «storico».
Per questo per me l'America latina non è né il «meglio» né il «più», ma semplicemente il luogo dove il Signore risuscitato mi si è rivelato. Credo che con quello che ho detto sopra non mi stimerete un visionario, né un mistico, perché lo stile di questa rivelazione é dall'«inferno»; esattamente come il figliol prodigo comprende suo padre quando sta in mezzo al porci. Già che ho toccato il tema dei due argini vi vorrei parlare dell'amicizia e dell'esperienza dell'inferno, come posso. Riguardo all'amicizia mi sono regolato sempre con una indicazione di San Giovanni della croce: «quando di una amicizia posso parlare con Dio, mi sento tranquillo». In questa linea mi sono sentito libero, straordinariamente libero sentendo dentro di me che le diverse esperienze di amicizia aumentavano la mia intelligenza del Vangelo e quindi la mia amicizia con il Cristo. Sono cosciente di non aver lasciato in tutti la impressione e il ricordo di essere amati: nessuno di noi ama come dovrebbe quanto dovrebbe e chi dovrebbe. È sperabile che i vuoti che lasciamo, si facciano sete e fame di Dio. La mia «esperienza dell'inferno» é incomunicabile. È uno di quei segreti che restano segreti perché per quanto uno sia estroverso, non riuscirà mai a tradurre in termini di logica. Non mi sento modello perché Gesù con me non ha lavorato il modello, non se ne è preoccupato: mi ha usato e mi sono lasciato usare: «Mi hai sedotto Yaweh, e mi sono lasciato sedurre da te. Mi hai fatto violenza e sei stato il più forte. E ora sono motivo di risa e tutti mi prendono in giro» (Ger. 20,7). A volte per il vezzo che mi ha lasciato l'educazione religiosa, mi viene fatto di guardarmi allo specchio e mi succede che o mi vedo disperatamente deforme, o lo specchio si appanna e non vede nulla. L'essere sedotto vuol dire l'essere fatto strumento, rinunziare per sempre ad essere un modello. Sono due metodi differenti, due stili della nostra relazione col Cristo. Non si può scegliere o l'uno o l'altro come si scelgono i pantaloni azzurri o neri, perché chi sceglie è Lui. Sono felice di questa scelta perché sono convinto che è la migliore per me, anche se difficile. Voglio approfittare dell'occasione per ringraziarvi del vostro ricordo e di quanto fate per me e soprattutto di interessarvi alla mia vita: è un segno di amicizia. Dopo il Messico sono stato una quindicina di giorni in Nicaragua. Penso di scrivere abbastanza sul Nicaragua, sicché voi coglierete le mie impressioni qua e là. Vi voglio dire solamente alcune cose: che in Nicaragua ho molto sofferto al punto da cadere ammalato e ho molto goduto, più che goduto direi più esattamente che mi sono sentito in pieno entusiasmo nell'incontrare persone che credono in un ideale.
Le ragioni della sofferenza - le ho pensate profondamente - sono sopratutto due: io sono sicuro che la rivoluzione sandinista è nata da una radice cristiana, cioè dall'impegno di realizzare una società più giusta, più umana, più fraterna. Quando uno pensa di trasformare la società - lo costatate anche in Italia - partendo dal programma di valorizzare il popolo, i poveri, è accusato di comunista.
Ogni iniziativa di aiutare il povero è comunismo. La cosa che mi ha fatto soffrire è vedere i membri della Gerarchia non capire che avevano un'occasione unica di fare una rivoluzione in nome di Cristo, e hanno cominciato col diffidare.
Avete mai visto al mondo che una persona di cui si diffida, alla quale facciamo sentire da principio: - Ragazzo mio, io non ho nessuna fiducia in te, so che tu pensi di gabellarmi - che si apra, che si disponga ad accettare i nostri consigli, che voglia bene? I Vescovi hanno scritto una pastorale splendida il lunedì e il martedì hanno cominciato a far sentire alla organizzazione sandinista e ai loro capi:
Sarà, ma voi puzzate di comunismo leninismo, noi non abbiamo nessuna fiducia in voi! Avrebbero cominciato col diffidare se non fossero stati spinti dai cavalieri cattolici, dai buoni borghesi supercattolici che sono la gramigna della Chiesa? lo penso di no, quindi è nata una spaventosa associazione fra i ricchi e i borghesi e la Gerarchia. Personalmente penso che se la gerarchia si fosse buttata a capofitto con fiducia, non in maniera stupida ma conservando lo spirito di critica, dalla parte dove sta il popolo e dove deve stare il popolo, avremmo visto qualcosa di assolutamente nuovo e meraviglioso, il venire alla luce di tutta la forza rivoluzionaria del Vangelo. Altro che le statue di Riace!... Sarebbe apparso il vero volto di Gesù. Perché tarda questa epifania?
La seconda cosa che mi ha fatto soffrire è constatare che un popolo che è stato sotto una dittatura delle più dure e delle più corrotte per trent'anni e si è abituato a vivere di espedienti, a sopravvivere come i topi a cui nessuno pensa di preparare il pasto regolamentare come si prepara al cane da caccia che è costato tanto e che bisogna tener caro, non può essere libero da un momento all'altro. Trent'anni di esclusione assoluta da ogni interesse politico. Somoza fa tutto lui e voi dovete starvene al vostro posto sgobbando tutto il giorno, contentandovi di quello che vi danno, e se parlate c'è la camera di tortura. Naturalmente questo popolo non può in ventiquattr'ore trasformarsi in un popolo politico, come supporrebbe il socialismo, cioè in un popolo consapevole di essere il costruttore e il responsabile della sua vita. Mi facevano pensare molto le leggende sui veicoli pubblici, sulla porta di edifici o di ville: Questa è proprietà del popolo. Per poter godere di queste proprietà è necessario un lungo tirocinio, di preparazione politica. La sofferenza viene non dal fatto di constatare che questo clima ancora non si da, ma dall'impazienza di volerlo già oggi, ora.
L'aspetto positivo è sentire quasi fisicamente. quasi portato dall'aria la forza spirituale di quelli che credono nel cambio e nella possibilità di una società giusta. Quando vi dicono dei cubani che si sono infiltrati in Nicaragua. rispondete che è certo. Ma rispettate profondamente uomini giovani che lasciano la famiglia e la loro terra e vanno nei luoghi più difficili, più pericolosi per le malattie, per la mancanza di alimento, per le insidie dei controrivoluzionari, per insegnare come maestri o curare come medici. Quando cattolici borghesi fra una tirata di fumo e l'altra e un sorso di vino e l'altro criticano questi cubani, la risposta semplice e diretta é questa: - perché non lo fate anche voi? se il Vangelo vi preme, se siete punti dalla passione del regno, prendete le vostre gambe e andate dove sono i cubani. nessuno ve lo impedisce avete come loro le strade aperte... È una sfida ai cattolici che hanno la bocca piena di ideali, e non sanno prendere il bastone, la bisaccia e avviarsi. Se il nostro amore al Vangelo, la nostra passione del regno non ci spinge a tanto accettiamo in pace la nostra sconfitta. Non è leale né giusto combattere i cubani con la forza della legge o con la forza delle armi americane; abbiamo mai pensato a sfidarli con la forza dell'amore? Ti vinco perché amo di più, e te lo dimostro perché spingo il mio spirito di sacrificio e la donazione di me, oltre i confini che tu hai raggiunto. Se siamo capaci di questo perché temere i cubani? Già li abbiamo vinti.
Vi abbraccio uno a uno augurandovi buon 1982
Artur Paoli
Non é possibile non parlare della Polonia. Se non altro perché é ferita ancora sanguinante e quando si rimarginerà rimarrà senza dubbio una cicatrice così profonda che non si cancellerà mai più. Tanto più che sicuramente sarà ferita che prima o poi riaprirà labbra ulcerose a gridare angoscia, disperazione, sgomento mortale.
La Speranza
Perché qualunque sia questa «normalizzazione» tutto è rimandato ad altri tempi più o meno vicini o lontani. La ribellione di un popolo non si risolve al passatutto in una brodaglia grigia, inqualificabile. È «il pugno di lievito» (e la paraboletta porta in se il sacramento di parole che sono l'onnipotenza di Dio) che non è possibile che possa rimanere compresso, schiacciato, nella massa: quello è proprio il momento in cui sta lievitando. Così il seme sotterrato, condannato (nei programmi del potere) a marcire sotto terra: rispunta e è vitale proporzionalmente al suo marcire.
La morte di un popolo
Ciò che angoscia è che tutto (crocifissione, morte e risurrezione) è nella sofferenza, nell'umiliazione, nell'oppressione, nell'annientamento. E l'oppressione di un popolo e la morte della sua libertà, è delitto supremo e disperazione assoluta. È carne di umanità dilaniata, è anima di popolo soffocata. Rimane soltanto il sopravvivere e la sua spaventosa fatica, anche se sostenuta dalla certezza. Ma spesso l'attesa è uguale all'agonia.
Non so se di questa agonia del popolo polacco ne abbiamo sofferto abbastanza. Di quella sofferenza lancinante, soffocante che sgomenta fino a non sapere più a cosa aggrapparci. È per dieci milioni di operai ricacciati, soltanto a morire, negli abissi delle miniere (perché uccide il lavoro materiale quando é soltanto «materiale»). Respinti a fondere le loro speranze di poter essere uomini, nell'inferno delle acciaierie. Riseppelliti al di dentro dei muri di cinta dei cantieri navali... o nei campi a concimare di sudore i prodotti da regalare allo stato, o costretti a chiudersi il mangiare di tutti, nel proprio egoismo.
Perché il sindacato («Solidarnosc» la sola parola che tutti abbiamo imparato perché è diventata universale) perché il sindacato vuoi dire unica possibilità di essere uomini, operai e non animali da soma.
Fratelli contro fratelli
Sofferenza estrema perché fratelli hanno spento la speranza di milioni di fratelli. E carri armati e mitra hanno ucciso l'anima di un popolo.
Perché abituati a misurare la gravità degli avvenimenti dal numero dei morti, forse abbiamo pensato che in fondo, dato che, uno più, uno meno, tutto si è risolto con appena una diecina di morti, poteva andare molto peggio. E non ci si sgomenta che polizia ed esercito, figli tutti del popolo, abbiano scorrazzato per le vie della città, bloccato miniere e cantieri. Puntato le armi e sparato a zero sulla libertà, la fraternità, l'uguaglianza, il respirare della gente, il sognare un domani diverso, di un popolo.
Gli sconfitti: la chiesa e il partito
Ho pensato, a torto o a ragione, che i grandi sconfitti del golpe polacco, oltre al popolo, è stata la Chiesa e il partito Comunista Polacco. Sotto i cingoli dei carri armati tutta una chiesa descritta rigogliosa, fiorente, orgogliosa, ha rivelato la sua devozione, rispettabile certo, ma devozione casalinga, da affollamento di chiese e per manifestazioni di religiosità popolare. E vescovi e preti, buoni, ottimi sacerdoti in cotta e stola. Ma forse non totalmente eredi di quel 30% di clero sacrificatosi nei campi di sterminio nazisti.
È chiaro che non penso questo perché avrei preferito che vi fossero stati dei martiri, ma unicamente perché un cristianesimo che non traduce la Fede in una realtà di lotta, di resistenza, è devozionalità, ritualità.
Il partito comunista completamente soppiantato dalle divise militari. Intervento militare sicuramente richiesto dal partito, certamente imposto da Mosca. Partito di popolo, democrazia popolare, proletariato al potere... dopo trentacinque anni la salvezza del sistema comunista riposa sull'esercito, le armi della polizia, i carri armati, i generali.
La sconfitta è bruciante, sconvolgente. Quei carri armati hanno schiacciato sotto i loro cingoli maledetti tante speranze non soltanto del popolo polacco, ma del mondo intero. Del mondo dei lavoratori, dei popoli sfruttati, dei poveri. Speranza a vuoto, può darsi, assurda, ma speranza come saper dove guardare, puntare il dito sorridendo di fiducia sulla carta geografica. Se non altro per il sapere dell'esistenza di una possibilità di alternativa, qualcosa che potrà portare un cambiamento. Se non altro l'esistere di una forza ideale e di popoli, contrastante questo rullo compressore del denaro, del potere economico e militare del mondo occidentale.
Motivi di sgomento
Un'angoscia, senza fine, lo confesso, perché 65 anni di infinita sofferenza (dall'ottobre del '17) di rivoluzione, di costrizione, di disumanità e sempre però di speranza e di fiducia, nonostante tutto, d'ideali, di sogni di un'umanità diversa, vederla questa storia di speranza di popoli, stritolare sotto i carri armati, come la neve caduta di fresco per le strade di Varsavia, è sgomento per una sconfitta, per un fallimento che vien da pensare irrimediabile.
Tanto più che tutto è avvenuto per l'assedio dei 20.000 carri armati dell'Armata russa, degli alleati-nemici del Patto di Varsavia, dei nemici-alleati della Nato, dei missili URSS da una parte e di quelli USA dall'altra, per lo sgomento del freddo, della fame e dei trenta miliardi di dollari di credito delle banche tedesche occidentali ed americane. Ma particolarmente tutto è avvenuto e un popolo è morto, dopo un'agonia di pochi giorni, per la disperazione d'impotenza del più debole davanti all'incredibilmente più forte, del disarmato davanti ad un potenziale spaventoso di strapotere militare, qual'è l'armata russa.
In Polonia ha vinto la paura che può essere chiamata prudenza, saggezza, inevitabilità e quindi ha vinto ancora una volta la violenza organizzata, armata. Ha vinto ciò che mette paura. Ha vinto l'esercito, il potere, la forza militare.
Una sconfitta di tutti
Forse non abbiamo meditato abbastanza che nella sconfitta del popolo polacco, abbiamo perduto tutti la battaglia della libertà, della giustizia, del rispetto della dignità umana...
Fra i due blocchi, con tutte le irrisioni e burattinate degli incontri di Ginevra, delle «dure» reazioni americane, si è rinsaldato il patto di Yalta e il mondo è sempre più diviso non fra nord (lo spreco) e il sud (la fame) ma fra est e ovest. E in un blocco e nell'altro è a man salva l'oppressione, lo sfruttamento, il fermarsi della storia della giustizia, della dignità umana. In modi diversi, ovviamente, ma con gli stessi risultati.
Perchè fra la Polonia e il Cile, fra l'Afganistan e il Salvador, fra l'Europa dell'est e l'America latina... tanto per citare qualcosa di geografico, è difficile trovare diversità se non nella diversità del numero di km. che separa la disumanità politica e militare da casa nostra.
Il potere si sta polarizzando e centralizzando sempre più. L'umanità e la sua storia sta correndo, e non è facile ipotizzare chi fermerà questa corsa, verso il suo dipendere da pochi uomini, che non rappresentano niente se non gli enormi interessi di potere economico e militare, capaci di decidere della sopravvivenza o no dell'umanità intera.
Vien da pensare che i due bottoni dai quali dipende la possibilità della fine del mondo, siano d'accordo molto più di quello che non sembri. Perché sotto questo maledetto ombrello atomico l'umanità é già distrutta o in via di distruzione. La Polonia ne è l'ultima testimonianza .
Papa Woitjla e Berlinguer
Fra questa povera umanità, anch'essi come tutti o forse di più, giocati nonostante l'aria di giocatori, ho particolarmente avuto pena per due uomini, diversi eppure dal 13 dicembre molto vicini: Enrico Berlinguer e Papa Woitjla. I fatti polacchi hanno sconvolto i due uomini fino allo smarrimento (con ogni rispetto, è chiaro). Perché trovare i modi giusti per un comportamento rispondente, non è stato facile. Conciliare per es. Partito Comunista Italiano e Marxismo-Leninismo e 65 anni di storia e dieci milioni di operai polacchi schiacciati dai militari (Armata Rossa), non è impresa facile. Ma anche ravvicinare Chiesa Cattolica, Fede cristiana (cioè Gesù Cristo) e «la mia patria» non è che evangelizzazione tipo piazza S. Pietro. Tanto più che i comunisti italiani (compresi i sindacati) non è che si siano particolarmente commossi e agitati per i fatti di Polonia. Se il vertice (direzione e C.C.) non si mettevano sottosopra per tentare affannosamente «lo strappo», succedeva non molto di più che nel '68 per la Cecoslovacchia. Forse era più consigliabile il cambio di guardia, dato che tutto fino a pochi giorni fa è stato sbagliato. Perché le mani che demoliscono non possono anche ricostruire. Ma la cosa non sorprende perché si sa come è fatto il potere.
Ma anche la Chiesa, cioè il popolo di Dio, non è proprio detto che si sia particolarmente angosciata per la situazione drammatica della Chiesa polacca. E se il papa non era polacco, meno gente sarebbe stata, forse, a commuoversi sotto la Finestra.
Perché il mondo cattolico è ancora molto sensibile alla parola «patria», (A me, per es. non piace molto che il papa dica «la mia patria e così dovrebbe essere per ogni cattolico cioè l'uomo universale»). Anche tutto quel lavoro di vertice diplomatico o no, non è che edifichi il Regno di Dio. Perché questi sono giochi di potere e di li non passerà mai (anche questa è cruna di ago) la pace, la fraternità, la giustizia, la libertà ecc. cioè quell' «uomo» di cui tanto si parla.
Chiedo scusa di queste righe, confuse, frammentarie. Spero di poterne essere perdonato perché sono come i singhiozzi, non si possono trattenere o come le lacrime che quando scendono giù non rimane che inghiottirle.
don Sirio
Gli eventi legati agli sviluppi del terrorismo si accavallano in questo mese di gennaio e non è certo facile fare il punto su una situazione che non può avere all'improvviso svolte clamorose. Il discorso che vorrei affrontare in queste righe non vuol essere un giudizio documentato dei fatti, ma, più semplicemente la reazione di fronte a ciò che sono venuto a sapere leggendo un paio di giornali e ascoltando la televisione della caccia all'uomo che i carabinieri hanno compiuto nei boschi e sulle strade tra Siena e Tuscania. All'origine un fatto gravissimo: l'uccisione di due giovani carabinieri, il ferimento grave del loro maresciallo da parte di terroristi che cercavano di lasciare Siena dopo una rapina in banca.
Non voglio giustificare il terrorismo. Il mio rammarico è tutto per le occasioni perdute, per ciò che non siamo stati capaci e non abbiamo voluto fare, per un immagine di convivenza basata sulla porta sprangata e il giubbotto antiproiettile. Per rassicurarci della bontà del sistema ci mandano davanti agli occhi le immagini di blocchi stradali, di cani lupo a stento trattenuti dai guinzagli, di fotoelettriche che sbiancano le campagne, di lunghe file di uomini in divisa con in mano la mitraglietta. Il bosco è circondato da tutte le parti, il cerchio di stringe, si attende solo la prima luce dell'alba per sferrare l'attacco risolutivo. Intanto si rettificano i piani sulla scorta delle informazioni degli scout locali: gente che partecipa al grande gioco e rivela l'esistenza di una fornace abbandonata, di una grotta, di anfratti che possono costituire l'ultimo nascondiglio. Gli indiani cattivi sono ormai nella trappola, cominciano a cadere un po' per volta. «Siamo stati noi, scrivetelo!» gridano i carabinieri ai giornalisti, «Tutto il popolo italiano vi ama» recita il grande comandante Lagorio. «Voi siete la parte migliore della nazione. La vostra scelta a servizio del popolo è la migliore in assoluto per ogni giovane italiano», son le parole con cui il Vescovo di Siena seppellisce i due carabinieri uccisi.
Solo una grandissima pena: queste parole, questi atteggiamenti, non portano lontano. Sembra di ritornare indietro di quarant'anni. L'efficacia nazista: il nemico da combattere è chi non è ariano, comunque e chiunque sia. Contro il terrorismo non abbiamo saputo creare di meglio: un popolo di carabinieri. Perché se gli uomini politici, gli uomini del potere economico e religioso continuano a fallire e i carabinieri cominciano a vincere chi si sottrarrà al destino di vederci assegnato un cane lupo a testa e un pezzo di bosco da pattugliare? Perché nella stessa azione del senese sono stati catturati due medici e messi dentro con l'accusa di aver «praticato cure a terroristi». Non quindi perché «appartenenti al gruppo terrorista», ma per aver medicato feriti. E quindi attenzione: catturate i portaferiti non perché sono dell'esercito nemico, ma perché prestano cure a chi deve essere lasciato morire dissanguato. Ed è poi come dire: tagliate le spese sociali e aumentate quelle del Ministero della Guerra, date a chi già merita, aiutate solo chi sta in piedi da sé, siamo qui per i sani non per gli ammalati.
Lo so, non bisognerebbe farsi prendere la mano dell'emotività, dall'istinto; i problemi sono gravi e complessi, occorre far ricorso al massimo della razionalità per poter continuare a nutrire speranza... Lo so che c'è tutta una cattolicità italiana che marcia con la parola d'ordine di essere «per l'uomo»... Ma non capisco perché ci si abitua senza reagire al ruolo del cacciatore e alla sua esaltazione. Quando si arriva a questo si è già sconfitti anche se vincitori.
E poi ci sono quei carabinieri, quei ragazzi del sud di vent'anni. Venuti di leva per qualche soldo in più e forse poi un posto come guardia giurata. Sulla loro pelle il potere si ammanta di martirio e di gloria e nasconde il proprio peccato. No, signori ufficiali delle forze dell'ordine, no, signor Lagorio, Ministro della guerra, no, monsignor, Castellano vescovo della chiesa di Dio, le vostre non sono parole di vita.
Luigi
Vado al lavoro al mattino
e sono come l'acqua del fiume
a scorrere dentro le sponde,
varco il cancello di fabbrica
come sfociare nel mare
Fra me e l'utensile non trovo differenza
ci accumuna lo stesso motivo:
la produzione al massimo del rendimento
Mi guardo intorno e vedo anime morte
ombre di esseri umani
organizzati dietro compenso
ad accumulare capitali e potere
nelle mani che ci stanno stritolando
Perché l'operaio in fabbrica con un numero per nome
il contadino piegato sulla terra del campo
l'artigiano del lavoro economia sommersa
il professionista dalla borsa di cuoio
l'impiegato, camicia bianca e cravatta
la donna nel tepore di casa
o a trattare la spesa del supermercato
o a strappare un lavoro per sbarcare il lunario
i ragazzi a scuola e gli insegnanti
il medico, il giornalista, lo scienziato,
la folla che corre per le strade
sospinta dal bisogno, affascinata dal benessere...
quest'immenso ingranaggio umano
a guardare fino in fondo, a cosa serve?
Immagine della storia è il nostro tempo
e forse consumazione estrema
come un lungo cammino che arriva alla meta:
Nei paesi socialisti il lavoro è disumano
rubato dalla burocrazia di regime
e trasformato in potere imperialista
Nei popoli occidentali il lavoro
è sfruttamento capitalista e ripagato
saldando ai piedi la catena del denaro
Uguale imperialismo, identica schiavitù
da affermare e consolidare
minacciando distruzione universale
se questo equilibrio imperialista
da una parte o dall'altra sia minacciato
Forse l'orrore delle armi nucleari
è la morte di ogni libertà
ultima spiaggia dove dignità umana
è affogata dalla disumanità
I due poteri che si dividono il mondo
ci hanno divisi e separati
in blocchi gli uni contro gli altri armati
Da una parte gli asserviti
alla libertà del capitale
dall'altra gli oppressi
dall'utopia del socialismo reale!
E adesso libertà è a prezzo
di arsenali spaventosi di armi nucleari
e la sua difesa è in mano ai generali
Dall'Afganistan al Salvador
dalla Polonia all' Africa del sud
dal Cile fino alla Cambogia...
c'è un soldato a far la sentinella
e a sparare a vista al «chi va là»
se una voce risponde: «sono la libertà»
È forse tramontato il tempo
e svanita è perfino la speranza,
in cui il potere operaio, il sindacato
combatteva quella antica battaglia
per realizzare la storia di un'umanità diversa?
Non sono contro il sindacato
quest'unica forza di speranza proletaria
e detesto l'autonomia sindacale
affermazione di corporativismo qualunquista,
ma il problema, sindacati federali,
non è il costo del lavoro
fatto dei quattro soldi allo scatto contingenza
il problema di fondo, decisivo
è la dignità dell'operaio e la difesa del lavoro
e il peso operaio sulla bilancia dei poteri dello stato
Il nemico è la piovra del capitalismo
questa razza bianca insaziabile bestia apocalittica
che divora due terzi dell'umanità
per impinguare la sua disumana obesità
E alleato è l'infernale macchina dell'esercito
ingranaggio orrendo di obbedienza e carri armati.
Si annida questo orrore nella gerarchia dei generali
e corre a forza di «signor sì" fino ai caporali
e avverrà che i nostri figli un fucile imbracceranno
e spareranno ad altezza d'uomo
se si apriranno i cancelli delle fabbriche
e usciranno gli operai cantando: «Libertà»
Questo popolo deve sapere e scegliere
se vuole una pace garantita dal mitra dei soldati
e dai missili puntati a testata nucleare
o se vuole una pace fiorita dall'immensa risata
degli uomini e delle donne libere del mondo
che nel ridicolo seppellisca
della Russia e dell'America i presidenti
i generali della Nato e del patto di Varsavia
tutti i gonfiati di potere economico, politico, militare
insieme a quelli del potere religioso e sindacale.
Sirio
(dal teatro contro la guerra "Le ombre di Hiroshima" in via di allestimento)
Seppellire i morti è un'opera di misericordia che da sempre è stata insegnata alla coscienza cristiana e fa parte del bagaglio morale dell'umanità. È giusto quindi che di fronte al mistero della morte di ogni uomo e di ogni donna, chiunque sia e qualunque sia la sua storia individuale, la Chiesa si metta in atteggiamento di preghiera e di accoglienza fraterna della sofferenza e della speranza che ogni morte racchiude. Ma la morte, come la vita, è un segno che il cristiano deve anche interpretare e comprendere alla luce della fede e del messaggio evangelico. Specialmente la morte violenta, la morte che non viene come una «sorella», ma che raggiunge gli uomini sulla lama infuocata dell'odio, dello scontro, della vendetta di parte. Non si può accogliere - per chi è cristiano - la morte di Gandhi, di Luther King, di Charles De Foucauld (per ricordare alcune «grandi» morti violente) allo stesso modo in cui si può accogliere la morte di chi cade con le armi in pugno, sul fronte di guerra, in un dirottamento aereo, nel corso di una rapina, in un'azione terroristica. La morte non è «uguale per tutti»; non è neutrale, come neutrale non può essere la vita, specialmente quando è segnata dal marchio drammatico della violenza. Ho pensato queste cose di fronte agli ultimi avvenimenti in relazione alla spietata uccisione di due giovanissimi carabinieri, in servizio di leva, a Monteroni d'Arbia in provincia di Siena per mano di un commando di «Prima linea». I loro funerali nel Duomo di Siena alla presenza del Vescovo di quella comunità, del ministero della Difesa, di esponenti dei comandi militari, mi hanno costretto a considerare come possa succedere che insieme ai morti si seppellisca anche la verità della loro morte. Perché ogni morte porta con se un bagaglio, amaro quanto si voglia, ma estremamente importante di verità che se fosse raccolto potrebbe essere motivo di salvezza e di liberazione. Il discorso del vescovo, la parata politica e militare all'interno della cattedrale, sono stati i segni di un'occasione ancora una volta perduta per poter «leggere» un avvenimento diventato amaro pane quotidiano dei nostri tempi. È da farisei piangere sui morti che noi stessi fabbrichiamo giorno per giorno addestrando centinaia di giovani alla difesa violenta dell'ordine costituito, costruendo e vendendo armi sempre più micidiali, alimentando un'economia di sfruttamento a qualunque costo.
Chi porta la spada è destinato a morire di spada: la Chiesa e i suoi vescovi queste cose dovrebbero saperle perché sono scritte oltre che nelle pagine del Vangelo anche nella carne e nel sangue sparso a fiumi di tutti i popoli. Come cristiani non possiamo piangere e pregare su questi morti senza piangere su noi stessi che questi morti li vogliamo con le nostre connivenze quotidiane con le strutture politiche e militari della nostra società. Certi discorsi di sapore patriottico possono stare sulla bocca delle autorità civili, non certamente su quella di un vescovo che avrebbe potuto celebrare l'Eucarestia solo con i familiari di quei disgraziatissimi giovani uccisi dalla follia di un pu-gno di disperati. Con loro, e con noi poveri credenti alla ricerca della forza necessaria per continuare a sognare e a cercare il regno di Dio nelle pieghe della storia umana, il vescovo avrebbe potuto tentare di comprendere l'appello che veniva da quel sangue versato su una strada della dolce campagna toscana. Avrebbe potuto dire che la violenza è maledetta, diabolica, antiumana e antievangelica: tutta la violenza, quella dei terroristi come quella degli eserciti, delle polizie, delle milizie di qualunque nazione; anche la violenza che è mestiere, carriera, lavoro per un pezzo di pane. Che i giovani, specialmente quelli del Sud devono imparare a difendersi dal miraggio di un posto di lavoro nella polizia, nei carabinieri e nell'esercito perché questo significa imboccare una strada che ha il sapore amaro della violenza legalizzata. Che non ci sono armi da benedire e altre da maledire, uniformi buone e altre malvagie, una violenza omicida buona e una cattiva. Che non si può dichiarar dalla parte di Abele e poi agire come Caino.
don Beppe
Polonia e Italia fuori dai blocchi
La pace deve diventare un obiettivo politico, non una. semplice rivendicazione rivolta agli stessi che la minacciano.
La pace può diventare la politica principale di un popolo cosciente: la politica dei due blocchi ormai non può fare a meno di minacciare la sopravvivenza del mondo intero per difendere il proprio strapotere. Non basta aspettare da Ginevra la buona notizia che vero rà tolto qualche centinaio delle 16.000 testate nucleari di stanza in Europa! Oltre «t'opzione zero", la pace va costruita sulla volontà dei popoli e, in particolare, sulla capacità del proletariato di ricostruire la società e la storia.
Dieci milioni di lavoratori polacchi non si fermano! E danno ragione a chi lotta coscien-temente, a chi sa reagire vigorosamente e senza armi, alle provocazioni e alle repressioni. Il blocco dell'Est non può più ritornare allo stato precedente: riportato "l'ordine" in Polonia, resterebbe sempre una massa enorme di persone in grado di capovolgere da un giorno all'altro la situazione.
- La Polonia è instabile nel Patto di Varsavia proprio perchè sta reagendo con lo scio-
pero e la resistenza nonviolenta e, per questo, conserverà una instabilità politica e militare: l'URSS favorendo un regime repressivo perenne, metterebbe in crisi gli stessi lavoratori russi e paesi satelliti contro il proprio governo e l'immagine del comunismo nel mondo.
- L'Italia ha allarmato gli USA per dieci anni con l'aspirazione a un semplice compromesso storico fra vertici di partiti. La popolazione italiana sta andando oltre il compromesso storico. Alla base la tradizione cristiana e marxista stringono già forti legami in un incontro che supera la contrapposizione EstOvest. Il popolo italiano, nonostante Lagorio e i partiti al governo, non è più l'alleato sicuro degli USA. I movimenti per la pace ne sono una indicazione.
- Italia e Polonia in Europa hanno il proletariato più forte. che può sopportare meglio che altrove la lotta dura per sganciarsi dai superpotenti;
- Polonia e Italia neutrali si aggiungerebbero ad Austria. Svizzera, Finlandia, Svezia. Norvegia e Jugoslavia. creando una zona quasi continua di paesi cuscinetto tra i due blocchi contrapposti. Garanzia di pace;
esempio per la risoluzione dei conflitti internazionali; maggior forza politica e maggior peso internazionale alla politica di distenzioneedi pace.
Su questo obiettivo può lottare il movimento per la pace che in questi mesi ha scosso l'Europa e Reagan, nonostante i vecchi partiti inclini alla guerra fredda.
Su questo obiettivo altri paesi socialisti (Romania) possono dare un assenso per gua-
dagnare quella libertà che il mondo ha perso dopo l'ultima guerra mondiale con la minaccia delle armi atomiche.
MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione)
- Recapito di Viareggio: Lungo Canale Est. 37
- Segreteria Nazionale: Via Mazzini. 6 40033 Casalecchio (BO)
PER CHI NON CAPITOLA:
I CONSIGLI DI SOLIDARNOSC
Ci troviamo 'oggi di fronte alla scelta tra opposizione e capitolazione. Per coloro che sceglieranno la prima strada, noi diamo i seguenti consigli:
1) In caso di sciopero rimanere presenti tra i lavoratori; non creare comitati di sciopero; non ci devono essere leader.
2) Nei rapporti con le forze dell'ordine bisogna essere molto ingenui: non sai nulla, sei disorientato.
3) Solidarnosc deve rimanere presente in ogni luogo di lavoro; non bisogna quindi farsi eliminare stupidamente con inutili bravate.
4) Non ci si deve vendicare sul proprio vicino. Il nemico è il miliziano, l'impiegato troppo ze-lante, il collaborazionista.
5) Lavora lentamente, critica il disordine e l'inefficienza dei capi; lascia tutte le decisioni ai commissari militari e ai collaborazionisti; subissali di domande; cumunicagli i tuoi dubbi; non pensare per loro: fai l'imbecille.
6) Non prevenire le decisioni militari e dei collaborazionisti con un atteggiamento servile. Il lavoro sporco tocca tutto a loro. Bisogna creare il vuoto intorno alle canaglie. Sommergendoli di domande sui piccoli problemi si può provocare una disgregazione della macchina militare e poliziesca.
7) Segui alla lettera le istruzioni più idiote; non cercaredi risolvere i problemi; lascia li ai mili-tari e ai collaborazionisti poichè la stupidità dei regolamenti è il tuo alleato più sicuro. Ri-
corda di aiutare in qualsiasi situazione i tuoi compagni di lavoro o il tuo vicino, senza curarti dei regolamenti.
8) Se qualche canaglia ti chiede di sorvolare sui regolamenti, pretendi un ordine scritto; piagnucola; tira in lungo e il commissario politico, prima o poi, vorrà essere lasciato in pace; sarà l'inizio della fine della dittatura.
9) Prendi il più spesso possibile permessi per malattia o per ragioni di famiglia.
10) Nei tuoi rapporti privati boicotta apertamente le canaglie e i collaborazionisti.
11) Aiuta le famiglie degli arrestati, dei feriti, di tutte le vittime.
12) Bisogna creare nelle fabbriche dei fondi sociali di aiuto.
13) Partecipa attivamente alla propaganda verbale; trasmetti tutte le informazioni sulla situazione e gli atti di resistenza.
14) Bisogna dipingere slogan sui muri, affiggere manifesti, distribuire volantini e documenti clandestini. Mai dimenticare le necessarie precauzioni.
15) Nella tua attività tieni sempre presenti due principi: non c'è bisogno di saperne più del necessario e la cosa principale oggi è lottare per la liberazione nazionale, l'abrogazione dello stato d'assedio. il rispetto delle libertà civili e sindacali.
(da un volantino del sindacato clandestino di Varsavia
I consigli di Solidarnosc
PER CHI NON CAPITOLA:
I CONSIGLI DI SOLIDARNOSC
Ci troviamo 'oggi di fronte alla scelta tra opposizione e capitolazione. Per coloro che sceglieranno la prima strada, noi diamo i seguenti consigli:
1) In caso di sciopero rimanere presenti tra i lavoratori; non creare comitati di sciopero; non ci devono essere leader.
2) Nei rapporti con le forze dell'ordine bisogna essere molto ingenui: non sai nulla, sei disorientato.
3) Solidarnosc deve rimanere presente in ogni luogo di lavoro; non bisogna quindi farsi eliminare stupidamente con inutili bravate.
4) Non ci si deve vendicare sul proprio vicino. Il nemico è il miliziano, l'impiegato troppo ze-lante, il collaborazionista.
5) Lavora lentamente, critica il disordine e l'inefficienza dei capi; lascia tutte le decisioni ai commissari militari e ai collaborazionisti; subissali di domande; cumunicagli i tuoi dubbi; non pensare per loro: fai l'imbecille.
6) Non prevenire le decisioni militari e dei collaborazionisti con un atteggiamento servile. Il lavoro sporco tocca tutto a loro. Bisogna creare il vuoto intorno alle canaglie. Sommergendoli di domande sui piccoli problemi si può provocare una disgregazione della macchina militare e poliziesca.
7) Segui alla lettera le istruzioni più idiote; non cercaredi risolvere i problemi; lascia li ai mili-tari e ai collaborazionisti poichè la stupidità dei regolamenti è il tuo alleato più sicuro. Ri-
corda di aiutare in qualsiasi situazione i tuoi compagni di lavoro o il tuo vicino, senza curarti dei regolamenti.
8) Se qualche canaglia ti chiede di sorvolare sui regolamenti, pretendi un ordine scritto; piagnucola; tira in lungo e il commissario politico, prima o poi, vorrà essere lasciato in pace; sarà l'inizio della fine della dittatura.
9) Prendi il più spesso possibile permessi per malattia o per ragioni di famiglia.
10) Nei tuoi rapporti privati boicotta apertamente le canaglie e i collaborazionisti.
11) Aiuta le famiglie degli arrestati, dei feriti, di tutte le vittime.
12) Bisogna creare nelle fabbriche dei fondi sociali di aiuto.
13) Partecipa attivamente alla propaganda verbale; trasmetti tutte le informazioni sulla situazione e gli atti di resistenza.
14) Bisogna dipingere slogan sui muri, affiggere manifesti, distribuire volantini e documenti clandestini. Mai dimenticare le necessarie precauzioni.
15) Nella tua attività tieni sempre presenti due principi: non c'è bisogno di saperne più del necessario e la cosa principale oggi è lottare per la liberazione nazionale, l'abrogazione dello stato d'assedio. il rispetto delle libertà civili e sindacali.
(da un volantino del sindacato clandestino di Varsavia
Viareggio, gennaio 1982
Abbiamo pensato di pubblicare sul giornalino questa lettera che noi della Comunità del porto stiamo offrendo a chiunque nella nostra città e fuori, s'interessa al nostro lavoro artigianale a chi viene a trovarci nelle ore di lavoro per commissionarci qualche lavoro da fare nei nostri artigianati o per motivi di simpatia. Sono le nostre iniziative che volentieri offriamo anche agli amici di "Lotta come Amore».
Cari amici,
abbiamo pensato, ormai dopo tanti anni di ricerca di un rapporto concreto fra i nostri ideali di Fede e quindi di umanità e socialità, con il mondo nel quale ci troviamo a vivere - rapporto vissuto e pagato in anni di lavoro sia a livello sacerdotale, operaio e attualmente artigianale - abbiamo pensato di allargare intorno a noi gli spazi, assai poveri e semplici per la verità, ma dentro i quali stiamo giocando tutto di noi stessi, agli amici che ci conoscono e ai quali può significare qualche interesse il conoscerci.
Oltre all'aziendq. artigianale che abbiamo realizzato in via Virgilio n. 222 e nella quale lavoriamo noi e altri, vorremmo offrire agli amici e a chiunque ne abbia interesse, una possibilità non tanto di affiancamento o di sostegno, quanto una vera e propria partecipazione e, oseremmo aggiungere, responsabilizzazione.
Vi preghiamo di leggere, se la cosa vi può interessare, questi semplici accenni riguardanti le finalità di questa Associazione che vorrebbe interpretare in qualche modo la parola del racconto biblico: A R. G.A (Associazione Ricerca Cultura Artigiana)
Vi siamo riconoscienti di una vostra attenzione e distintamente vi salutiamo.
A.R.C.A (Associazione Ricerca Cultura Artigiana)
FlNllti
- L'AR.C.A è un associazione legalmente costituita che per metodi di ricerca e finalizzazione si propone la riscoperta e la promozione dei valori tipicamente propri di quella cultura popolare ormai in disuso per sommersione da parte del modello di sviluppo industriale predominante in questo nostro tempo.
- L'Associazione basa questa riscoperta e questa promozione rifacendosi prima di tutto alla riqualificazione del lavoro manuale inteso come autenticità di valore umano e quindi sociale e politico. Privilegia quindi il lavoro artigianale in tutta la molteplicità dei suoi lavori di creatività e di professionalità fino a prospettive di liberazione da dipendenze passivizzanti e di affermazione e sviluppo della persona umana.
La creazione e la collaborazione per l'esistenza e la promozione di «botteghe artigianali» di cooperative artigianali, di qualsiasi attività e misura (sia pure minima) di lavoro artigianale, l'Associazione ne assume /'impegno, collabora per lo sviluppo, il coordinamento, favorisce l'espressione e l'inserimento nella realtà cittadina.
Allo scopo, l'Associazione intende favorire e cerca concretamente la sensibilizzazione della cultura e attività artigianale, nella realtà giovanile, promovendo un apprendistato di autentica qualificazione di lavoro artigianale. E intende anche intervenire nella pesante problematica disoccupazionale giovanile, nelle incertezze del dopo scuola d'obbligo, per l'avvio al lavoro, nelle condizioni di impedimento fisico o di disorientamento, per un doveroso tentativo di offerta di ricupero attraverso i valori del lavoro manuale.
- L'Associazione quindi si prospetta anche interessamenti nei problemi concernenti i rapporti fra istituzioni pubbliche (Amministrazioni Comunali, Unità Sanitaria Lucale ecc.) e realtà concrete, nella
precisazione di responsabilità e nella ricerca democratica di possibili soluzioni, attraverso la responsabile applicazione della vigente legislazione e promuovendo, se del caso, formulazioni di leggi più rispondenti. Nei confronti di un rapporto illustrativo e formativo, di sensibilizzazione e di promozione dell'opinione pubblica, riguardante l'attività concreta dei laboratori artigianali e di tutta la problematica artigianale in genere, l'Associazione si propone di favorire e realizzare attività di ordine culturale da esprimersi nelle forme più varie, ad esempio, con mostre, conferenze e pubblici dibattiti, manifestazioni artistiche, teatro, pubblicazioni periodiche, incontri e scambi con associazioni similari ecc.
- L'Associazione per significare e qualificare anche ideologicamente e culturalmente, le proprie convinzioni secondo le quali assolvere i propri impegni di tentativo, sia pur minimo quanto si vuole, di lavorare per una società diversa in una umanità nuova, dichiara l'assoluta respinta di ogni mentalità, forma, realtà di violenza, di oppressione, di sfruttamento dell'uomo sull'uomo, per una ricerca di vera pace nella fraternità secondo i principi e la prassi della Nonviolenza.
Segno concreto di questa scelta è la convenzione già in esercizio fra l'AB. CA e il Ministero della Difesa per l'assegnazione in servizio civile per l'apprendimento di un mestiere artigianale durante il tempo della leva militare, di giovani obiettori'di coscienza nei confronti del servizio militare.
Partecipazione
- L'Associazione A R, CA intendendo nelle sue motivazioni e finalità una presenza attiva a livello di intervento nella cultura popolare, può realizzare i suoi programmi in proporzione alla maggiore larghezza di psttecipezione che le è possibile ottenere, A tutte le persone che abbiano sensibilità e volontà di volersi associare alle suddette finalità e contribuire con la loro solidarietà ed operatività, alla loro realizzazione, è possibile entrare a far parte dell'Associazione A R, CA
L'Associazione è aperta a tutti e è onorata di poter offrire possibilità d'impegno ideale e concreto a chiunque è in ricerca di tradurre in realtà pratica quei sentimenti di umanità, che porta chiusi nel cuore,
- Le modalità d'iscrizione non possono che essere estremamente semplici: una richiesta scritta precisando nome e cognome, indirizzo, numero telefonico, Sarà consegnato un cartoncino con il significato di semplice riconoscimento.
Non è dovuta alcuna offerta in denaro, A chi volesse aggiungere la somma di almeno f, 5,000, gli artigiani del CA V, (Centro Artigianale Viareggio, Via Virgilio n, 222) saranno lieti di offrire un oggetto di loro produzione,
sede dell' A.R.C.A.
L'Associazione ha la sua sede presso i laboratori del CA V, Questo Centro Artigianale ospita fino al momento attuale, gli artigianati in attività e cioè: Ferro forgiato - Falegnameria - Rame a sbalzo Impagliatura sedie - Ceramica - Carta pesta - Lavorazione del cuoio - Rilegatura libfi - Tessitura a mano,
La responsabilità del CA V, è dei tre sacerdoti Siria Politi, Rolando Menesini, Luigi Sonnenfeld: diversi laboratori sono riuniti in Cooperativa,
Quindi sia l'A R, C.A che il CA V, rispondono allo stesso indirizzo di Via Virgilio n. 222 tel. 394556 (0584) C.A p, 55049, I laboratori artigianali sono aperti nei giorni e nelle ore del lavoro operaio.
La Comunità del porto
La sicurezza mondiale è resa sempre più precaria non tanto dalla quantità quanto dalla qualità sempre più raffinata.
Il 40% delle spese sostenute nel mondo della ricerca tecnologica, sono state spese nel campo 'militare dalla seconda guerra in
poi.
Il disarmo quindi è assurdo pensarlo come diminuizione numerica degli armamenti.
Anche il fattore quantità ha però il suo peso: nel «decennio del disarmo» come sono stati definiti gli anni '70, la produzione delle ogive nucleari è quasi triplicata: nel '70 ne esistevano circa 3700, nel '76 circa 12.000.
È cresciuto il numero dei paesi «potenzialmente», nucleari cioè capaci di costruire bombe atomiche: entro 10 anni dovrebbero essere 39.
È noto che negli arsenali militari degli U.S.A. e dell'U.R.S.S. è accumulato un potenziale bel-lico capace di distruggere completamente una diecina di volte l'intera umanità.
Di proposito in questa analisi non è considerata la ormai esistente «BOMBA N» che la scienza e la civiltà americana sta regalando alla «sicurezza» mondiale e alla pace.
Nonostante tutto il parlare di disarmo gli investimenti per la costruzione di armi, sempre più moderne e sofisticate, nel '77 ha raggiunto la cifra pazzesca di 300-350 miliardi di dollari, cioè qualcosa come 300 mila miliardi di lire ...
Le vendite di armi al terzo mondo sono passate da 6,3 miliardi di dollari nel '75 a 7,3 miliardi di dollari nel '76.
Nel '77 l'America ha venduto armi per 4 miliardi di dollari. L'Unione Sovietica per 2 miliardi e mezzo, l'Inghilterra e la Francia per 2 miliardi, l'Italia (è la quinta nella spaventosa graduatoria del commercio della guerra) per un miliardo e mezzo di dollari (2000 miliardi di
lire). Nel '77 sono oltre 11 i miliardi di dollari a segnare su cosa si regge la «civiltà •• dei paesi del benessere.
È assurdo trovare nella produzione delle armi una funzione di autodifesa nazionale.
Giuoca invece un ruolo nei rapporti economici.
Giuoca il mantenimento di una scala gerarchica fra le nazioni, misurabile con l'unità di misura del potenziale bellico.
Disarmo vuoi dire:
- Una profonda riconversione industriale
- Un diverso indirizzo della ricerca
scentifica
La smobilitazione del personale impiegato nel campo militare.
Fine della dipendenza dei paesi sottosviluppati e delle dominazioni politiche ed economiche che determinano e impongono il commercio delle armi e lo sfruttamento economico, politico, strategico.
- Smobilitazioni di nazlonatìsmì ancora molto duri a scomparire.
Disarmo vuoi dire una «rivoluzione» che sia una vera e propria inversione di marcia del cammino della storia che dura da quando fu di Caino e di Abele.
È questa «rivoluzione» che interpella la coscienza umana, passivizzata dalle ideologie e dalla prassi politica e di mestiere.
È questa la rivoluzione che non può provocare la responsabilità di tutti coloro che non vogliono lasciare montagne di cenere al posto di un mondo che «solo la nostra follia c'impedisce di farne un Paradiso».
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455