LOTTA COME AMORE: LcA settembre 1982

L'abitudine

È sempre più difficile credere alla pace e l'utopia di una lotta per la pace sta rischiando ad ogni giorno che passa, l'assurdità.
C'è un inquinamento da polvere da sparo (tanto per usare un'immagine ormai quasi poetica) entrato in profondità nello spirito umano e l'agita, intorbidandolo, fino al punto che è assolutamente negato, impedito anche soltanto intravedere possibilità di pace.
Sta crescendo di giorno in giorno la normalizzazione della guerra o, se si vuole arrotondare la parola e l'impazzimento spaventoso del pericolo, sta aggravandosi la normalizzazione del ricorso alla "forza" come risoluzione di diritti, di doveri, disonesta copertura dell'irrazionalità e della disumanità.
Qua e là per il mondo esplode e sempre con una improvvisazione sbalorditiva, questa normalità guerresca, come un vulcano maledetto a eruttare lava di fuoco e sangue, come un terremoto spietato a fare rovine e macerie di morte.
E tutto avviene perché tutto il dispositivo per la violenza è pronto all'uso e accumulato in misure tali che è in forza dell'accumulo che deve succedere il traboccare e cioè la guerra.
A questa orrenda realtà, ad ogni minuto che passa, sempre più incontrollata e incontrollabile, c'è da aggiungere la scienza che evidentemente non dorme sugli allori, paga di quello che ha inventa-to, perché è vero che invenzione chiama invenzione (il salmo direbbe: "un abisso scava un altro abisso") e quindi vengono fuori "le novità", la capacità di più uccidere, e i generali, la strategia mi-litare, il bellicismo del potere, ha urgenza, smania, ha una voglia pazza di provare, di esperimentare, di vedere in concreto cosa possono, in fatto di morte, i nuovi potenziali.
E le tante guerre, da Hiroshima in poi, alla radice sono esercitazioni per affilare le armi, provare le novità e inventarne di nuove. Disumani poligoni di tiro inventati e provocati dalle strategie del potere e dall'economia di guerra per il potenziamento delle fabbriche e del commercio di armamenti. Anche la guerra in quelle scogliere del sud Atlantico, per il possesso di pecore e il dominio su neanche duemila abitanti, non ha altra spiegazione, insieme a quella di governi ammalati fradici del cancro del potere e di popolazioni (inglese e argentina) ancora in stato di schizofrenia nazionalistica, non ha altre spiegazioni che la maledetta sopravvivenza della fede nella guerra.
Ma è cosi in ogni angolo di questo povero mondo. Dovunque, si producono, si vendono e si comprano armi, dalle pistole ai missili a testata nucleare, dovunque, si ammucchiano armi si ammassa la voglia di uccidere. L'essere pronti ad uccidere, è nel cassetto dell'armadio di casa, nella tasca dei pantaloni, negli immensi, misteriosi arsenali nel ventre delle montagne o nei sommergibili acquattati nelle profondità dei mari.
La morte è in agguato, a ribollire la maledizione sempre in attesa di sfondare la crosta protettiva dell'illusione dei popoli, della falsità politica, del più redditizio profitto economico. La morte la strage lo sterminio è pronto ad esplodere dove e quando vuole, sembra perfino senza un disegno preordinato, nell'imprevedibilità più assoluta, nell'incertezza più drammatica della sua incontenibilità.
È realtà storica, è condizione esistenziale attuale e più ancora futura, al di là di ogni immaginazione. La vita umana, individuale e collettiva, di popoli e di continenti, vive, lavora, cerca il benessere, le proprie sistemazioni, distrazioni ecc. su un campo minato, cercando soltanto di non mettere il piede sull'esplosivo, di girare intorno al missile, senza toccarlo, di evitare lo scontro con il carro armato o col cacciabombardiere... di non incappare cioè nella disgrazia di essere coinvolti e travolti, pur sapendo, e stranamente non fa impressione, che prima o poi dovrà succedere, è impos-sibile che non succeda.
Sta sopravvenendo e ormai dilaga straripando oltre le difese della ragione, del sentimento e perfino dell'istinto alla sopravvivenza, l'abitudine, l'assuefazione, l'adattamento, la stupida e criminale rassegnazione, a che le grandi manovre degli imperialismi che incancreniscono la storia, si tramutino in guerra guerreggiata, cioè con il conteggio dei morti e il racconto spettacolarizzato degli orrori.
Assistiamo tutti ai fatti e ai misfatti con un'impossibilità, forse data la lontananza e la trascurabile (!!!) entità dei conflitti, come se non avvenisse automaticamente l'esserne coinvolti e quasi con la coscienza tranquilla per la non diretta, personale responsabilità.
Il fuoco che non tocca la pelle non brucia.
La morte che non porta in casa un funerale non ci riguarda.
La guerra che non esplode una bomba sulla nostra testa non è niente di più di uno spettacolo fra i tanti spettacoli.
Perché nel criterio che giudica della civiltà o della barbarie non é scritto che chi tace acconsente.
E nella morale non si legge che chi porta in tasca una pistola giustifica gli arsenali di bombe atomiche.
È punibile con anni di carcere il cosiddetto fiancheggiatore che ha versato un po' di alcool e fasciato le ferite di un terrorista, ma non è condannato come criminale chi si schiera da una parte o dall'altra, in guerra o mentre si prepara la guerra. Perché ormai stiamo vivendo in questa civiltà dei consumi, che sta consumando tutto, dalla più elementare moralità e umanità fino all'ultime sopravvivenze di speranza della pace, in una normalizzazione di conflittualità, di scontro, di guerra. Impunemente e senza scomuniche si gioca alla distruzione dell'umanità e del mondo.
È un fatto spaventoso, orrendo, ma è la realtà e è miserabile incoscienza alzare gli occhi al cielo per non guardare, che questo nostro benessere, vanto e pomposità della nostra civiltà occidentale, sia tutto (o quasi) fondato sulla morte. Il mercato che più tira è quello delle armi. Subito dopo è quello della droga. L'industrializzazione sta finendo di rendere irrespirabile l'atmosfera e imbevibile l'acqua e avvelenando ciò che si mangia e fa morire di fame e di sete milioni di esseri umani, di animali e distrugge progressivamente le foreste.
E sempre più il denaro è il micidiale nemico che semina di ammazzati le strade e distrugge ogni possibilità di buoni rapporti, di rispetto vicendevole, di dignità umana.
Perché a livelli mondiali e a quelli individuali e familiari, ormai pare proprio e la sciagura è suprema, assoluta, che la pace sia possibile unicamente se e quanto più è fondata sul terrore.
E a questa realtà storica abbiamo fatto l'abitudine. Non ci turba i sonni, né ci guasta la digestione.
E tanto meno mette sottosopra e in crisi la coscienza. Anche perché "la morale del Vangelo" non è interrogata e quella tradizionale dei codici, niente dice circa il bene o il male della progressiva distruzione ecologica, questa adorabile creazione di Dio, donataci dal suo Amore e dell'annientamento, dell'assassinio dell'umanità, questa misteriosa famiglia di figli di Dio.
Anche la Fede cristiana non è interpellata e pare che dal Cielo non scenda più la profezia a far piangere e gridare, a digiunare, coprirsi di cenere e cambiare vita e imboccare altra strada nel cammino della storia.
Sono grandiose le imprese di pace che compie la Chiesa, ma forse la Fede chiede ed esige altro e forse non sappiamo bene cosa o non si vuole sapere.
Può anche essere che predicazione di pace non sia più sufficiente. E può essere perché forse la parola non è la Parola.

La posta di Fr. Arturo Paoli

Miei carissimi amici:
Stavo per cominciare questa lettera così: "Sto arrivando dal Messico" e alzo gli occhi sul calendario, e mi rendo conto che mancano 4 giorni a compiere il mese dal mio arrivo. Non voglio soffermarmi sul lamento sulla rapidità del tempo, perché so che questo è monopolio dei vecchi. Avrete già saputo che in Messico è avvenuta una disgrazia orribile; è bruciata una cinemateca e sono esplosi dei gas che si erano accumulati - pare - nei sotterranei, sicché centinaia di giovani sono morti e spariti fra le macerie. L'incendio è stato di proporzioni tanto gravi che quattro pompieri sono morti nel tentativo di domarlo. Fra le vittime si trovavano tre fratelli di Gesù, due messicani e un francese; il disastro é avvenuto il 23 marzo e il 24 io arrivavo in Messico. Ho avuto così là il conforto di abbracciare i fratelli e di stare lungamente al capezzale di Gustavo il superstite. La mattinata di Pasqua l'ho passata nella sala di un ospedale con sei ustionati che non avevano molta speranza di sopravvivere. È stata per me una mattinata dolorosissima e difficile perché questi ammalati hanno bisogno di fare dei movimenti e un inesperto come me, non sa come fare. Ma ho vissuto un mattino veramente pasquale, per tutta la luce che è entrata in me per il dialogo con il fratello Gustavo.
Vi posso trasmettere il fatto di cronaca che è veramente drammatico, ma non saprei trasmettervi la ricchezza di fede, di speranza, di vera profonda fraternità, che è nata da questo episodio tanto triste. Abbiamo portato il corpo di Paul in un villaggio a circa sette ore di bus dalla capitale per seppellirlo accanto a Chuy il fratello messlcano. Era il mercoledì santo e dopo che io avevo celebrato la Messa nella immensa chiesa "gotica", volevamo seppellirlo per non turbare il ritmo della settimana; ma la famiglia di Chuy ha voluto portare nella sua casa il cadavere e vegliarlo tutta la notte, come avevano fatto col figlio e fratello di sangue. E moltissima gente del villaggio ha fatto turni di preghiera fino alle nove del giovedì successivo. Ho pensato che in America latina non si muore da esuli, si muore sempre in famiglia. Mi è parsa una eleganza dell'amico che complicazioni burocratiche non abbiano permesso che il corpo di Paul fosse imballato e spedito in Francia, e che potesse riposare in terra messicana.
L'importante non è la terra, è l'essere accolti in una comunità che si ricordi di noi. E questa la sola cosa che possono promettere i poveri in mezzo a cui abbiamo scelto di vivere. Quando visito qualche cimitero monumentale, il che mi capita di rado, perché non ho mai amato i cimiteri, penso alla scelta che abbiamo fatto rinunziando al triste blocco di marmo e di bronzo, scegliendo la terra nuda dove andremo scortati dalla comunità umana, e Dio voglia che per ciascuno di noi quest'accoglienza dei poveri sia come per Paul il simbolo di quell'accoglienza di cui parla il vangelo: - fatevi degli amici... affinché vi ricevano nel tabernacoli eterni - Lc. 16, 9.
Ora sono a Caracas con tre fratelli, Patrick o Patricio, o Vikingo come lo chiamiamo, irlandese, Juan del Ojo spagnolo, e Luis Fernando colombiano: facciamo uno sforzo generoso per incontrarci, perché ci sentiamo bene quando possiamo sederci, e pregare insieme e comunicarci le nostre esperienze e i nostri insuccessi, ma ciascuno di noi ha impegni diversi che ci costringono a stare molto tempo fuori di casa. Domenica abbiamo passato un pomeriggio bellissimo; erano con noi anche José il nuovo regionale e Jesùs il fratello di Mauricio lo scomparso in Argentina, che sta a Caracas però in una casa che accoglie bambini senza padre. Jesus ex salesiano ha unito la vocazione salesiana con quella di fratello del vangelo. Pensa giustamente che una delle grandi piaghe del Venezuela, forse la maggiore, è quella di ragazzi che ignorano il volto e spesso anche il nome del padre, e Jesùs pensa di svolgere con due signorine dell'Istituto secolare questa supplenza in modo non paternalistico. I salesiani, ripete, mi hanno insegnato a amare i giovani e la fraternità mi ha insegnato ad amarli non paternalisticamente. Con questi giovani svolge un 'attività nel barrio intensissima e in più lavora otto ore, sicché non sappiamo se e quando dorme. Ma lo vediamo tranquillo e liberato dall'ossessione che è propria dei familiari degli scomparsi: - Dove saranno? Saranno in vita o morti? Patricio è quasi solo a dirigere il comitato dell'associazione delle famiglie degli scomparsi (a cui recentemente Le Monde diplomatique ha dedicato pagine di informazione e di riflessione molto esaurienti che ci spingono al malinconico confronto col provincialismo dei grandi giornali italiani. Le madri, le cilene, guatemalteche, argentine, salvadoregne e ormai di tutto il continente lo inondano di lettere e tutte sono intrise di lacrime. Il sabato lo ha passato a letto per una grippe, ma penso piuttosto per un collasso psichico. Comunque oggi è in partenza per il Costarica e il Canada per un congresso sul tema. Io corro da una parte all'altra per cercare un letto in un ospedale, un posto di lavoro, un banco in una scuola. Per fortuna comincio a capire qualcosa nella trigo-nometria dei trasporti di Caracas, usandoli saggiamente si può arrivare nello stesso posto in mezz'ora o in due ore, e i taxis sono sempre più cari. Riesco quasi sempre a passare mezza giornata in casa e di pascermi di quel cibo che solum è mio, come diceva il nostro amico Nicolò. Beato lui che passava il tempo libero giocando a carte e bevendo Chianti. Mi sono dedicato in questi ultimi tempi a letture politiche e spero ne vediate gli effetti, che spero buoni nella Rocca. Avete visto che i lettori della Rocca mi qualificano come non troppo difficile? Meno male, è una qualità cui tengo, e che so di non tenere in modo costante. Gli altri due fratelli lavorano; Juan del Ojo pensa di restare con noi a Caracas cosa che mi rallegra molto perché potrà fare qualcosa di serio nel barrio e Luis Fernando sospira Bojò e se ne andrà quando avrà terminato certi esami che sta facendo qui. La nostra casa di Petare (Caracas) si presta abbastanza al silenzio e al ritiro, finché regge perché delle immense crepe annunziano la possibilità di seguire il destino di molte case di qua, costruite sulla creta, che quando piove slittano a valle. Non vi mettete delle paure per me; in generale questi crolli non fanno delle vittime, lo slittamento è soave. Questo equilibrio relativo fra ritiro e movimento, fra contemplazione e azione si rompe ahimè presto, perché il 18 giugno parto per la Bolivia e seguirò in Brasile fino ai primi di dicembre. Ieri ho ricevuto una lettera da una diocesi del Brasile (Palma) firmata da un nome italiano Munaro dove mi si chiede un ritiro per l'83, ma potrebbe essere per 1'84 e in mancanza di meglio per l'85. In generale lettere del genere mi danno una certa malinconia, ma questa mi ha fatto ridere di cuore, perché leggevo preparando il sugo della pastasciutta per l'arrivo del fratelli previsto per le otto di sera e contavo su un pacchetto di pomodori che ho trovato fradici e inservibili, già, non avevo contato sul tempo e probabilmente il mio amico non conta sul tempo. Chissà che Arturo invita Invitando l'Arturo dell'85, se ancora sarà su questo pianeta. Dicevo sopra che lettere di questo genere mi arrecano una certa tristezza perché scoprono continuamente la mia crisi: continuare questa vita nomade o cambiarla? Sono i momenti in cui desidererei la obbedienza antica, quella che fu trasmessa con l'aggettivo gesuitica. Capisco con la ragione - che non sempre aiuta - che, per continuare questo tipo di vita, occorre l'accompagnamento di cui parla chiaramente Paolo, dei due personaggi, la insoddisfazione interiore, il dubbio " è proprio questo quello che dovrei fare? - "timori al di dentro" (II Cor. 7,5 e l'altro personaggio, "l'angelo di Satana" (II Cor, 12,7) e tutti e due i personaggi sono in piena forma. Per 1'83 è in programma il viaggio in Italia non solo per le ragioni affettive che si potrebbero soddisfare con la corrispondenza, le foto e la comunione dei santi, ma anche per il fatto che sono restato uomo di due culture (non di tre come la famosa piazza di Messico). Il perché chiedetelo all'Amico però è un fatto che credo positivo per tutti.
Mentre vi ringrazio con tutto il cuore della generosità che dimostrate verso di me, mi viene di accennare al fenomeno inflazione che è anche qua paurosa, anche se mascherata. Il cambio col dollaro è statico però tutto cresce in maniera impressionante. Fino ad oggi per uscire dal paese, occorrono 100 bolivares circa, d'ora in poi ne occorreranno trecento (circa 72 dollari). I tre milioni di lire che ho ricevuto si sono convertiti in diecimila bolivares che rappresentano qua una somma abbastanza modesta, un auto usata non costa meno di 50.000 bolivares. Ognuno di noi che viaggia per la città spende da 15 a 20 bolivares al giorno se non è obbligato a prendere un taxi. Vi racconto questo non perché mi manchi qualcosa, ma per partecipare a voi la mia pena di vedere sfumare il denaro cosi come il tempo.
Ieri ho ricevuto per la gentilezza della Morcelliana l'edizione spagnola di "Grideranno le pietre". In copertina sta fieramente un Indio che presenta nelle sue fattezze la loro storia - Ci avete vinto, però noi ci siamo ancora e non scompariremo - Non è un capolavoro di arte figurativa ma mi è piaciuta molto l'idea. se fossi un disegnatore avrei concepito qualcosa di simile. Che dirvi del conflitto anglo-argentino? Mi fa soffrire abbastanza e fra l'altro Patrizio mi ha portato stanotte l'invito pressante di un menage dove sta succedendo un disastro. Dopo 27 anni di matrimonio lui (argentino) lascia la famiglia e si stabilisce in un hotel dichiarando che non tornerà a casa, perché la moglie ha sentimenti inglesi e non può vivere con una nemica. Saranno solo ragioni nazionalistiche e politiche? Io sostengo la tesi argentina in solidarietà con tutta l'America latina. Ma sono convinto che il conflitto è stato creato dal generali argentini - tanto simpatici come Hitler perché non sapevano come conquistare la simpatia o per lo meno il consenso del popolo. Certamente contavano sulla simpatia degli USA , sulla lontananza dell'Inghilterra che si sarebbe limitata a delle vibrate proteste nella società delle nazioni. Hanno sbagliato i calcoli, e siamo in un bel pasticcio: la guerra potrebbe anche estendersi e farsi una cosa davvero seria. I due protagonisti del conflitto gareggiano con orgoglio, e non so quale dei due sia più antipatico. L'aspetto positivo sta nel fatto che l'America Latina si è alzata in piedi e si frega le ginocchia ammaccate dal tanto stare in ginocchio davanti allo zio Sam. Che si sta accorgendo che la rabbia di Fidel non era dovuta solo al suo cattivo carattere. Che ha suonato l'ora in cui l'America Latina deve cominciare a fare da sé, e ad accorgersi dell'inganno della balcanizzazione cui l'ha condannata l'Europa e in primis la stessa Inghilterra. La pressione repressiva sul Nicaragua e El Salvador potrebbe allentarsi. Vedremo che ne esce da tutto questo. Io continuo a sperare che tutto ci aiuti ad avanzare verso il regno. Vi ricordo molto e vi abbraccio con tutto il calore tropicale. Caracas 13 maggio 82

Arturo

Tomate tiempo

Prenditi tempo per pensare
perché questa é la fossa del potere

Prenditi tempo per gridare
perché questo é il segreto del potere perpetuo

Prenditi tempo per leggere
perché questa é la base della saggezza

Prenditi tempo per pregare
perché questo é il maggior potere sulla terra

Prenditi tempo per amare ed essere amato
perché questo é il privilegio dato da Dio

Prenditi tempo per essere amabile
perché questo é il cammino della felicità

Prenditi tempo per ridere
perché il riso é la musica dell'anima

Prenditi tempo per dare
perché il giorno é troppo corto per essere egoista.

(dall'Uruguay)

I tuoi figli. o Signore

Sono tornato stamani sulla strada, in una lunga processione di uomini e donne, colorata di striscioni e bandiere rosse: Camminavo come portato, partecipe, certo, e a gran cuore, ma anche con fatica e stanchezza. Perché mi pareva di camminare da un'eternità e lungo una strada di cui non vedo più la segnaletica e meno ancora dove conduce.
Mi accendeva questo sole di giugno e quasi mi abbacinava gli occhi e mi bolliva sulla testa spelacchiata di capelli bianchi, ma non mi scaldavano il cuore gli slogans quasi ridotti a uno solo, martellato come quando batte il martello sull'incudine e rimbalza negli orecchi e nell'anima, fino a stordire. E non mi piaceva quell'insistenza monotona, caparbia, come rabbia smarrita, disorientata, a cercare il nemico imprecisabile, inafferrabile e allora si concentrava su quel cognome riversandovi una rima di disprezzo, ma anche, quasi, d'implorazione. "Merloni, Merloni, non romperci i coglioni". Il presidente della Confindustria e il povero popolo. Per "salvare" il capitale rifacendosi sulla scala mobile. Il povero popolo per "salvare" il salario sempre più divorato dal costo della vita. L'incontentabilità del benessere da una parte e dall'altra. E per gli uni e per gli altri sempre pochi questi maledettissimi soldi. E la paura che siano sempre di meno. E la voglia incontenibile che siano sempre di più.
Camminavo con estrema stanchezza e con indicibile angoscia perché mi sentivo dentro, coinvolto, in uno scontro, in una guerra nella quale non ho voglia di combattere.
So bene che gli operai hanno ragione a difendere la scala mobile e a gridare e a scioperare e a lottare che "la contingenza non si tocca", ma non è possibile non prendere coscienza che il male è alla radice, sotto la crosta delle emergenze, nel tenebroso abisso dove si muovono e manovrano i grandi interessi, e gli sfruttamenti più spietati diventano "ragione" anche se ragione economica, questa irrazionalità intessuta soltanto di disumanità.
E il camminare e camminare con tutti quegli stendardi rossi, sotto il sole cocente, arsura divorante, mi sembrava una di quelle processioni che si facevano una volta, per implorare la pioggia ad un cielo di fuoco che pareva incenerisse perfino le invocazioni e la preghiera. Sentivo nell'an-goscia dell'anima traboccare un immenso senso di pietà. Come una tenerezza infinita, penosissima e mi dilatava l'accoglienza interiore, come un grembo materno misterioso, per ricevere e vivere tutto il travaglio di un'umanità sempre, eternamente, nelle doglie angosciosissime e spesso disperate, di un nascere che non nasce mai, che non nascerà assolutamente, nonostante tutto l'infinito amore effuso e le speranze tenaci di un mondo diverso, nuovo.
E pensavo e penso nei momenti in cui cielo e terra si confondono in quell'unica realtà di mistero rivelante di dove unicamente la novità può sorgere e nascere, pensavo che la mia angoscia era appena un segno, un riflesso, un'eco lontanissima, di quell'angoscia (è parola significativa di Amore) dilagante nel cuore di Dio. La fatica di una creazione (realtà che è assolutamente soltanto rivelazione e offerta di Amore, di Amore costitutivo dell'Essere di Dio) che da un tempo inimmagi-nabile, non riesce a trovare la sua identità nell'essere ciò che deve essere e cioè opera di Dio, segno di Dio, manifestazione di Amore, di Bontà, realtà glorificante Chi è perfezione Infinita, questa fatica la sento personale fatica di lui, di Dio. E avverto una onnipotenza impotente, un'attualità sempre in attesa, una presenza costretta, imprigionata, oppressa.
Allora mi succede, e la sofferenza è indicibile, di avvertire, di sentire che questo mondo è ne-mico, che l'umanità è una smentita implacabile. Sento la spietatezza sopraffare la pietà come la disumanità l'umanità e in una più affondata percezione del tremendo problema, vedo e la visione è esperienza concreta, vedo l'ostilità, lo scontro, la guerra dell'umanità contro Dio. La fatica spa-ventosa esasperata, implacabile dell'umanità eternamente impegnata nella respinta di Dio.
Le due fatiche opposte e irriducibili, senza possibilità di scendere a patti e trovare accordi, è la spiegazione della storia, è l'anima che determina, provoca e svolge la vicenda che segna di orrori, sempre più orrendi, il cammino dell'umanità. Perché la terra e il tempo, realtà dove la fatica di Dio alla ricerca di una terra che nel tempo ottenga e sia risposta perfetta al suo progetto di creazione, sono pure realtà, questa terra e il tempo, dove l'uomo, l'umanità affronta e soffre, trabocca di lacrime e sangue, la disperante fatica di creare un mondo, di costruire una vita secondo le ragioni, i criteri, "le leggi" che gli uomini escogitano, impongono e alle quali ciecamente si affidano.
Vedo questa misteriosa, nascosta e rivelata, fatica di Dio. Fin dal primo giorno la vedo. E la vedo e l'adoro nel suo esprimersi totale e perfetto, fin oltre le misure del possibile, quando questa fatica ha preso il nome di Gesù Cristo e in Lui si è fatta fatica storica, personale, fino alle misure estreme della Croce.
E sono duemila anni. E tutto sembra, ma le apparenze nascondono appena la realtà che è cru-dele, violenta, spietata, tutto fa pensare che la fatica di Dio nella ricerca affannosa che tutto sia Amore, sia caduta a vuoto e attualmente sia sull'orlo dell'abisso dell'inutile.
Perché la fatica dell'uomo e dell'umanità (ma umanità qui vuoi dire ragione economica, pubblica e privata, questa crea il potere e i gruppi di potere politico, di qui nascono i regimi militari e i potenziali bellici, il tutto coperto e mascherato da ideologie sempre assurde e disumane, impazzimenti di personaggi, nazionalismi di popoli, orgogli privati e collettivi ecc.) questa fatica dell'umanità continua sulla strada di sempre e questo suo camminare nell'orrore progredisce, va avanti, sta entrando negli spazi della maledizione e della perdizione suprema.
Stranamente e per chissà quale sensazione come di anima e corpo dell'universo e della sua storia sentivo, nel camminare sulla strada, scomparso, inesistente, fra la folla di operai vociante quello slogan e, a tratti il fischiare stridente, mi assordava, sentivo salire dal più profondo della mia angoscia ma non era soltanto la mia, ma la disperazione del mondo, l'implorazione alla pietà. Non so bene chiarire a quale pietà, forse quella sospesa fra cielo e terra, o a quella che vola rasente sulla vicenda della storia e non riesce a entrare. Pietà come chiedere un po' di pioggia sull'arsione esasperata del deserto. Una goccia di rugiada sulla foglia dell'albero. Un accenno di sorriso di Amore sulla rabbia, sull'odio imperversante...
Ma poi mi palpitava nel cuore come un accenno timido eppure fiducioso, la dolcezza di un ri-cordare come a Chi lo potesse avere dimenticato, ma non può dimenticarlo, lo so bene, perché conosco il suo Amore: "Signore, questi tuoi figli...".
Questi tuoi figli. Vi penso sempre e mi si esprimono nell'anima queste parole, ogni volta che vedo folle radunate, moltitudini a gridare, uomini e donne agitarsi, l'assurdità comandata, esaltante, le innumerevoli occasioni di pazzia collettiva, ogni volta che viene in mente il gregge, il branco, la ressa, il trionfalismo, la violenza del plagio collettivo, il culto della personalità, ogni e qualsiasi forma e realtà d'idolatria, gente da piedistallo al monumento, vanificazione della persona nel mar morto della strumentalizzazione popolare, ogni delega di popolo, ogni speranza affidata ad un uomo, questa eterna e inguaribile "maledizione dell'uomo che confida nell'uomo"...
Allora le parole come battito di Amore, richiamo all'inesauribile sorgente, alito di un respiro d'aria mattutina, dolcissima fiducia, audace sicurezza, presso quel Cuore che è di Padre: "Signore, questi tuoi figli".

don Sirio

Tempo accorciato

Provo, in questi ultimi tempi, la curiosa sensazione di una ulteriore accelerazione degli avvenimenti che rompono l'equilibrio faticosamente costruito nel quotidiano di questi anni. E non più per fatti, decisioni, scelte che hanno attraversato la mia storia personale o le sue intersezioni col vivere sociale. La guerra delle Malvine, i missili di Comiso, la rottura degli equilibri sociali in Italia, il decadere dei vertici della Chiesa, sono alcuni degli elementi che da diverse parti, costituiscono il segnale di allarme di una realtà che incalza e precipita a dimensioni impensabili.
Se ripenso alla fatica di questi anni per accogliere e normalizzare tutta una serie di tensioni dal rapporto fede e politica a quello uomo e donna, dall'emergere del personale alla convivenza con le contraddizioni presenti nel sociale; se ripenso al fatto che alcune cose si sono chiarite nella serena atmosfera della contemplazione e della riflessione, altre nell'oscurità dolorosa degli avvenimenti che si impongono con la inevitabilità dell'accaduto; se quindi sento particolarmente "miei" questi ultimi anni nella tranquilla accoglienza di un quotidiano a volte amaro, ma sempre palpitante e che dà un senso alla mia vita: allora non vorrei perdere ciò che ho acquisito su una memoria e su una storia che mi sono ancora davanti momento per momento.
Eppure sento che non sono più misure sufficienti ad illuminare il tempo che sta venendo, quasi come luce che batte sul piede nel punto dell'appoggio e non nella ricerca del nuovo equilibrio per avanzare. L'analisi dell'esistente non mi basta più se non è attraversata dalle sensazioni di ciò che avanza dalle profondità della storia ritrovando echi antichi e stimoli dalle novità. Non penso necessariamente al terremoto di una guerra a dimensioni mondiali, ma allo stabilirsi comunque di nuove regole di civiltà e nuove condizioni di rapporti umani tali da ridefinire il senso della libertà e soprattutto della giustizia. E non riesco ad intravedere quali possono essere a meno di non lasciarsi condizionare da visioni del tutto pessimistiche che non pensano affatto a raccogliere possibili germi di speranza.
Il quotidiano e l'universale non appartengono più a due sistemi differenti, a scelte divaricanti: si incrociano nella concretezza dell'esistenza, non sono più un polo di scelta per nessuno se non come evidente mascheratura di fughe e strane rinunce.
La vita è quella vissuta, la verità è quella che è espressa, la giustizia quella realizzata e il tem-po è oggi: E questo non più per la sopravalutazione nel confronti della speranza o del sogno, di tutto ciò che è immediato e tangibile, ma al contrario per la fiducia che tutto ciò che è atteso, lottato, amato, invocato o è già con noi in questi nostri tempi "accorciati" o non lo sarà mai. Cosi la pace come la vita come l'amore.
E mentre percorro in serena laicità di confronto e di verifica la strada dell'esistenza in compagnia di uomini e donne, mi rendo conto che quando la storia restringe i tempi della vita e della morte, laicamente devo affrontare la totalità.

Luigi

Lo spettacolo

Si tratta di un fenomeno non certamente tipico del nostro tempo. Il mettersi in mostra, l'esibizione personale, l'organizzare manifestazioni spettacolari, la strumentalizzazione delle folle, delle moltitudini affascinate, imbambolate dal personaggio spettacolo, è sempre stata una risorsa del potere per avvincere e convincere le masse. Il fenomeno spettacolo "spettacolo", favorito com'è dalla tecnologia e dai mezzi di comunicazione, in questo nostro tempo, sta trasformandosi però in vero e proprio attentato alla ragione umana. Siamo al punto di rischiare l'assassinio delle facoltà costitutive dell'essere umano e cioè dell'intelligenza della volontà, della libertà, della coscienza individuale e collettiva.
In mano e totalmente al potere, in tutte le sue espressioni settoriali e globali, lo spettacolo e i suoi attori, intenzionalmente, volutamente, sta scavando sempre più vuoti paurosi d'interesse personale e collettivo, riempiendoli e traboccandoli poi - si tratta di micidiale violenza e sopraffazione - di interessi cari al potere: qualsiasi realtà di potere, da quello politico, all'economico, da quello partitico, al militaristico, da quello ideologico a quello religioso.
Lo spettacolo è sempre una violenza del potere sulla suggestionabilità della gente, dei popoli. Si tratta ogni volta di giocare sulla sensibilità della massa per catturarne e imprigionarne il consenso, l'adesione, la dipendenza. È il perdersi dell'individuo e lo smarrirsi del suo giudizio soggettivo e oggettivo, nella marea montante dell'entusiasmo provocato dallo spettacolo.
Gli occhi, l'immaginazione, la fantasia, il sentimento, a causa dello spettacolo, acquistano tali misure di sopraffazione sul pensiero, il ragionamento, la capacità di giudizio fino a produrre la distorsione più assurda dei valori e ciò che è può essere, nullità, irrazionalità di ridicolezza od orrore, diventa persuasione, consenso, partecipazione.
Lo spettacolo è il momento e il luogo dell'irrazionalità perché è il momento e il luogo dell'emozione e dell'emozione personale e collettiva, individuale e di massa. Ogni volta che la persona viene aggredita e sopraffatta (e lo spettacolo ha dell'irresistibile per la sua forza di oppressività) diventa la goccia d'acqua a formare la fiumana capace di tutto travolgere. La persona, questa sintesi di ogni valore umano, ammassata nella moltitudine, diventata marea di teste, di braccia agitate e di bocche gridanti, non è più umanità, qualsiasi possano essere le motivazioni, i valori rivendicati o affermati.
Perché l'ammasso è irrazionalità, passivizzazione, remissività rinunciataria. La folla significa soltanto e sempre delega, un affidarsi emotivo, un consegnarsi irresponsabile. A parte la stupidità del godersi lo spettacolo, dell'esaltazione collettiva, del compiacimento per un'impressione di forza, il raduno "oceanico" è sempre e unicamente rafforzamento del potere, appoggio ai programmi prestabiliti, consenso alle scelte già fatte.
L'affollamento non è mai una ricerca propositiva, un dialogo libero e paritario, una possibilità di scelte.
Non è manifestazione di volontà libera ma di obbedienza cieca, di accettazione, di annullamento personale per la fiducia di ritrovarsi vivo ed esistente, deciso e forte, "nell'altro", cioè in chi ha pensato, organizzato e gestisce lo spettacolo.
E una moltitudine di esseri umani che si fa tutt'uno con chi utilizza e strumentalizza la moltitudine, si raccoglie nelle sue mani e gli offre la propria forza, non è umanità, ma servilismo, supinità, assurdità.
"Tu sei noi. .. noi siamo te" è trasposizione di pazzia collettiva, di esaltazione criminale, di vera e propria idolatria. E sappiamo bene che l'idolatria è peccato che non è né può essere perdonato. Si paga sempre. È il "vitello d'oro" (simbolismo di sconcertante chiarezza) che non può che essere distrutto, ridotto in polvere e la polvere sciolta nell'acqua, acqua che dev'essere bevuta da chi ha posto l'idolo sul piedistallo.
E la storia racconta che cosi sempre è avvenuto. La constatazione è amarissima: la storia non è maestra della vita, è soltanto la vicenda di una pazzia, di una schizofrenia implacabile, irrefrenabile, inguaribile. E la civiltà, il progredire della cultura, non ha fatto fare all'umanità un passo avanti nella liberazione della disumanità della storia.
E cosi è delle religioni, cosi è del Cristianesimo, della Chiesa.
Su una piazza, quando il potere politico, partitico, sindacale, ecclesiastico, lo ritiene opportuno.
Questo radunarsi a folla, a moltitudine, sempre plaudente, osannante, delirante... ad ascoltare "uno" che parla cioè legge un discorso preparato con cura e furbizia nei giorni precedenti e forse affinato e collaudato dai consigli dei consiglieri.
Davanti al televisore e la folla è sbriciolata in una miriade di salotti, di cucine, di bar, di ritrovi. E tutto è studiato ad effetto, accuratamente programmato. Tutto, assolutamente tutto è spettacolarizzato, senza pietà, sviscerato in immagini e in parole, mostrato, sezionato fino all'orrore, alla nausea.
Perché ormai lo spettacolo e le sue esigenze hanno sostituito i valori umani, il rispetto, la pietà. E più ancora la essenzialità costitutiva dell'essere umano e cioè la ragione.
Si sta costruendo un'umanità i cui gusti sono sempre più il disumano e il disumanizzante. Allora ogni orrore è possibile, l'abitudine può cancellare le ultime difese, le estreme speranze di respinta.
E ci si appiattisce tutti, in una passività assurda, nel ruolo di spettatori, gente da ammasso in piazza e da ammasso sulla poltrona davanti al televisore. È costatazione impressionante, sconcertante, quanto l'emotività, il provocarla e lo sfruttarla, sia la realtà di rapporto dove le classi dirigenti (politiche, culturali, economiche, militari, ecclesiastiche) ricercano spazi di potere nei confronti delle classi subalterne, popolari.
Lo spettacolo ad ogni costo, attraverso qualsiasi mezzo, lasciando cadere ogni pudore e ritegno, con l'insistenza più pressante, ricorrendo a qualsiasi risorsa, è l'arma spietata di questa guerra per sottomettere e soggiogare individui e popoli in un asservimento di passività, di rassegnazione, di qualunquismo. Perché ciò che interessa ai personaggi dello spettacolo è sostituirsi al pensiero libero, alla ragione indipendente, al giudizio responsabile, in modo e misura tale che la persona si dissolva nella folla e la folla, che è sempre anonima, attraverso la commozione e l'esaltazione dello spettacolo, si lasci andare all'applauso, questo dialogo assurdo a base di irrazionalità e di plagio, di asservimento e di stupidità.
Tutta questa oppressione e strumentalizzazione dello spettacolo, è realtà di ogni giorno in ogni angolo della terra, dove uomini e popoli vivono e dove quindi domina autorità e potere.
Sono gli schemi obbligati e puntualmente raccolti anche se con diverse modalità e misure da ogni e qualsiasi regime politico. Sono le adorabili verità del mistero di Dio e dell'amore cristiano tradotte in realtà storica temporalistica, terrena, non evangelica.
Nella condizione storica nella quale stiamo vivendo, c'è una guerra guerreggiata ricorrendo a tutte le risorse che la cultura e la tecnologia moderna offrono: la guerra dello spettacolo.
Questa guerra piace molto ai diversi personaggi e la combattono con perspicacia, furbizia, e instancabile perseveranza. Perché spettacolo oggi e spettacolo domani, lo spettacolo finisce per creare il personaggio e allora il gioco è fatto: lui crescerà (e chi può misurarne le dimensioni d'importanza storica?) e il popolo diminuirà nei suoi diritti e nei suoi valori ( e chi potrà calcolare il bloccarsi del sud cammino storico e forse il suo regredire?).
Non intendiamo fare riferimenti a personaggi e a spettacoli. Anche perché l'elenco sarebbe interminabile e i luoghi a carta geografica. È chiaro che particolarmente interessa e angoscia lo scivolare in questa tentazione, della Chiesa e della sua gerarchia. Confessiamo che anche celebrazioni liturgiche spesso le avvertiamo cedere allo spettacolo e in quei casi ci sgomenta che anche Gesù Cristo e Dio e la Fede (con tutta la carica emotiva che comporta) siano strumentalizzazione per spettacoli che è forse sacrilegio definirli spettacoli di Fede. La Fede non è e non può essere mai spettacolo.
Le tentazioni respinte da Gesù (fra i misteriosi significati) certamente sono anche un tagliente e categorico rifiuto dello spettacolo.
Perchè l'unico "spettacolo" cristiano è unicamente quello della Croce. Quello spettacolo (lo descrive S.Paolo) di gente che raccoglie in se stessa l'orrore che imperversa nel mondo e ne fa la sua Croce sulla quale crocifiggere l'Amore, la fraternità, la dignità umana, in riscatto, in redenzione, in speranza di salvezza.
La cristianità non è crocifissione, le chiese non sono un Golgota ma spettacolo di liturgie e Gesù Cri. sto continua ad essere il solo Crocifisso davanti a spettatori.
La passività, come sempre, è il grande nemico dell'Amore perchè è indifferenza. E è peccato contro la Fede perché è rispondere di no alla chiamata a coinvolgersi attivamente nel mistero della gloria di Dio e della salvezza del mondo.
Offrire come proposta il rifiuto del personaggio, della piazza, dello spettacolo, può essere giudicato contestazione assurda a va bene, proporre però che ogni cristiano, ogni comunità cristiana si prenda sulla coscienza, personalmente, la responsabilità della salvezza del mondo e sulla propria croce apra le braccia all'Amore universale, non è sogno mistico, utopia medioevale, ma serio impegno di sincerità cristiana, autentico rapporto con il mondo in nome e in virtù di Cristo.


Parole non dette

È impossibile prevedere ciò che papa Giovanni Paolo Il dirà durante il suo viaggio in Argentina riguardo al drammatico problema della guerra.
È possibile invece riflettere sul suo messaggio di pace durante i sei giorni trascorsi in Inghilterra: come sempre non riesco ad avvertire il soffio dello Spirito, il profumo di lievito nuovo del Regno che fermenta la massa, il calore del fuoco acceso nel freddo della notte. Ho la chiara impressione che il papa esprima molto concretamente la difficoltà della grande maggioranza dei cristiani a prendere coscienza del profondo legame che esiste fra l'amore di Dio e l'amore per l'uomo, fra la terra e il cielo, fra la preghiera e la vita. Io non posso pregare per la pace, chiedendola ad un dio lontano sperduto aldilà delle nuvole, quando le mie mani sono impegnate a costruire strumenti di morte, a premere i pulsanti dei missili, dei siluri, delle bombe al napalm, a benedire i soldati sulle portaerei o nei quadrati delle caserme militari. Perché se è vero che la Chiesa è un corpo (il corpo del Signore) allora è anche vero che finché in essa avranno libera cittadinanza i generali, i costruttori di armi, i soldati, i cappellani militari, i vescovi militari, le polizie di ogni specie, i potenti delle nazioni, fino ad allora ogni parola che parli di pace sarà equivoca se non addirittura menzognera.
Anche l'ultimo papa della Chiesa di Gesù Cristo porta davanti nelle nostre coscienze i segni di un dramma secolare che ancora non trova soluzione: l'incapacità di sciogliere all'interno del popolo di Dio i nodi che la storia ha legato in modo inestricabile.
Ci sono parole non dette, un annuncio evangelico rimasto sepolto sotto la cenere della potenza, del denaro, dell'orgoglio, della ragione personale, della paura di perdere il prestigio e la stima dei potenti. Non c'è stato che Gesù Cristo a dire parole chiare e limpide come acqua di sorgente, a insegnare l'obbedienza al Padre e la disobbedienza ai padroni di questo mondo. In questo nostro secolo disseminato di guerre terribili, di armi micidiali (fino a quelle chimiche e nucleari), di campi di sterminio, di stragi feroci, non un papa ha avuto la grazia di poter gridare dal tetti ciò che lo Spirito certamente agita nel cuore dell'umanità lacerata. Abbiamo pregato per la pace, abbiamo scritto, parlato, manifestato per la pace, e poi siamo andati tranquillamente alla tavola del dittatori cristiani, dei mercanti (di cannoni) cristiani, degli eserciti cristiani. Abbiamo insegnato l'obbedienza per amore della patria invece che la disobbedienza per amore di Dio e dell'umanità. Abbiamo proclamato che "tutto è perduto con la guerra", ma non abbiamo detto, "Disertate, disobbedite, state a casa, non andate". Si capisce allora perché i potenti di questo mondo ci mettono a disposizione i loro elicotteri, le loro polizie, le loro macchine blindate: ci sentono alleati nell'identico sforzo di tener buone le coscienze.
Rimane però il fatto amaro che una chiesa amica del faraone non potrà liberare il popolo dal giogo della schiavitù.

don Beppe

I pentimenti delle B.R.

Forse era giusto e doveroso scrivere qualcosa "sul pentimento dei pentiti" quei brigatisti rossi che, come dice la legge si sono ravveduti. E ora hanno quattro mesi circa per convertirsi o decidere di dichiararsi impenitenti.
Nel tempo in cui la Pastorale lamenta il vanificarsi del Sacramento della penitenza, non ci si può che rallegrare che quello che la religione non può o non può più, lo faccia la polizia, la magistratura, lo stato. Perché spingere al pentimento e premiare chi si pente è certamente opera umanitaria, di civiltà, ottima e lodevole pastorale. Il guaio è però che l'equivoco "morale" è sconcertante, micidiale del più elementare, fondamentale sentimento e norma di moralità.
Non siamo della magistratura e tanto meno della polizia e nemmeno del parlamento, siamo semplice e povera gente che sempre più è costretta ad essere impoverita e immiserita di tutti i suoi valori, sacri, di umanità, di civiltà.
Il pentimento era cosa seria, riflessione e scelta di una coscienza ferita a morte per il male compiuto, per la volontà di riparare il passato in una ricerca di vita nuova, diversa, pagando tutti i prezzi richiesti sia da una riparazione che da una rinascita e tutto, assolutamente tutto, nello spazio del personale e attraverso un cambiamento, una conversione (la parola è estremamente chiara) di se stessi.
Il soggetto del pentimento è il mondo interiore: dove è avvenuta la scelta del male, avviene il cambiamento, il pentimento, succede il miracolo della novità di vita. Un problema di coscienza e soltanto di coscienza. Sia davanti a Dio che davanti agli uomini.
Ecco che invece la persona onesta che vorrebbe continuare a credere ai valori fondamentali della moralità e anche della Fede cristiana, si ritrova disorientata.
La legge incoraggia e premia il pentimento. Molto bene e chissà quanti nelle carceri sono profondamente "pentiti" del male compiuto e si arrovellano l'anima e si rigirano angosciati perché vorrebbero tanto che ciò che è avvenuto non fosse avvenuto. Ma rimangono in carcere e il loro pentimento è soltanto apprezzato forse dal cappellano del carcere. Ma il pentito che denuncia, che è delatore, spia, traditore, o, come lo chiamano collaboratore, perché guida la polizia, illumina la magistratura, fa fare i colpi grossi, rivela i covi e si affanna a fare nomi, strizza la memoria e forse inventa, unicamente per ingraziarsi l'autorità e diventare meritevole di trattamento di favore ecc. questo pentito dalle mani insanguinate è quasi esposto all'ammirazione, oggetto di riconoscenza, benemerito dell'ordine pubblico e dello stato democratico. E a questo pentito la legge e la giustizia diminuisce gli anni di carcere secondo e in base alla misura del suo "pentimento".
Tutto questo può andare bene per la magistratura, per la polizia ecc. ma non va assolutamente bene per l'affermazione e il progresso nella coscienza pubblica e privata, della moralità, dei suoi criteri di valori o di vergogna.
Di qui quello spettacolo orrendo di tutte quelle gabbie a scompartimenti stagno a seconda del grado di pentimento o della scelta di voler rimanere a costo di tutto, impenitenti.
E spesso è innegabile che anche il senso di giustizia degli spettatori televisivi ( e chissà se forse anche di quel giurati, gente del popolo, con il tricolore a tracolla) deve fare fatica a non simpatizzare nei confronti dei pentiti e non essere spietata nei confronti dei duri, perché spesso non è facile giudicare dove sta l'onestà, se nel male con coerenza totale o nel male che si copre di altro male ancora, come chi ha ucciso con la pistola e poi continua a uccidere con la lingua, sia pure ex compagni di delinquenza. Tanto più poi che l'odio è andato crescendo ad ogni pentimento e il ran-core mortale, che sbarre non riusciranno disgraziatamente a spengere né le carceri del pentimento né dopo che la pena ridotta in premio sarà scontata.
Le B. R. sono sconfitte, il terrorismo è debellato, ma il prezzo pagato, oltre a quello di tanto sangue, è anche il deprezzamento fino all'infrazione più sconcertante, di valori essenziali per l'essere umano e per la convivenza umana: il pentimento, la conversione, la coscienza, la moralità, la magistratura, la polizia, la democrazia, lo stato e cioè la giustizia. E quindi la Fede, il Vangelo, il Cristianesimo.
È questo prezzo pagato e il guadagno che ne è stato fatto in questo commercio fra istituzioni pubbliche e terrorismo, che ha degradato a miserabile mercato il pentimento, la penitenza, la conversione. E tutta questa immoralità con la complicità e compiacimento delle forze dell'ordine (può esistere ordine senza moralità o contro moralità?) e dello stato democratico che in questo caso si è comportato come qualsiasi dittatura, cioè come quei regimi dove è legge legalizzata che il fine giustifica i mezzi.
Sconcertante è il silenzio ( chi tace acconsente ) della Chiesa gerarchica e parrocchiale, quella chiesa che è e dovrebbe essere maestra di moralità pubblica e privata e giudice attenta ai problemi di rapporto fra le leggi di Dio e quelle degli uomini. E particolarmente nei processi ai brigatisti, pentiti o no che siano, suona stridente e assurda quell'iscrizione: la legge è uguale per tutti. E quel crocifisso sopra il presidente si deve sentire piuttosto a disagio. Se lo togliessero, il gesto forse gli significherebbe un atto di rispetto.

don Sirio

Nuova comunità

Cari amici,
vi scriviamo per darvi una bella notizia: quello che da tanto tempo abbiamo atteso sta per diventare per noi una realtà. Abbiamo trovato una casa che ci consente di iniziare quel tentativo di vita comune sulla quale da anni stiamo meditando.
Ci ha fatto riflettere soprattutto la Parola evangelica ("mia madre e i miei fratelli sono coloro che fanno Volontà di Dio" - Mc. 3,35) con la quale Cristo indica una modalità di convivenza che su-pera i legami familiari e propone un vincolo di fraternità che é più profondo di quello del sangue: é la fraternità in nome della fede in Lui ed è fraternità con Lui ("dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono con loro" Mt. 18,20)
Vorremmo cosi tentare l'esperienza della vita insieme, perché l'ideale di comunità di cui il Vangelo parla e che fu esperienza viva per i primi cristiani e per altri credenti lungo i secoli, possa diventare anche per noi una esperienza vissuta quotidianamente, che prima di essere una scelta no-stra, accogliamo come un dono di cui essere grati al Signore.
Nello stesso tempo il nostro vuol essere anche uno sforzo per ricercare un nuovo stile di vita, che ci aiuti a superare, per quanto possibile, quei fattori di alienazione, anzitutto la spinta all'individualismo, che caratterizzano la civiltà e la cultura del nostro tempo. Per questo la ricerca di una nuova qualità della vita ci sembra favorita anche dal tentativo di una vita comune: non per cercare beninteso, una isola felice al riparo dal mondo, ma per un modo diverso di vivere in questo mondo. Essendo vicini in questo momento, abbiamo voluto partecipare agli amici questa nostra gioia, queste nostre speranze. Ci vorrà ancora un anno prima che possiamo abitare nella nuova casa a Velate di Varese. Vi abbiamo dato questa notizia in anticipo per due motivi: anzitutto vorremmo in quest'anno incontrarci con gli amici per approfondire e confrontarci su alcuni temi (il senso della comunità, lo spirito di povertà...). In secondo luogo abbiamo pensato di mettere in vendita alcune cose che forse a voi (a vostri amici, parenti e conoscenti) potrebbero interessare e che a noi darebbero una boccata di ossigeno per i debiti che dobbiamo affrontare. È una piccola esposizione allestita a Induno Olona, in via Solari 2 (c/o Bossi tel. 201106 (Varese)
Vi saremo grati se verrete a trovarci.
Fraternamente.
Bossi Gian, M. Teresa e figli
Casiraghi Giovanni, Legnani Serafino,
Nanda e figli, Mandelli Don Ernesto e mamma

Sono in vendita:
libri d'arte e di storia illustrati (opere edite in numero limitato e fuori commercio)
enciclopedie, romanzi d'autore, narrativa per ragazzi
dipinti, stampe e xerigrafie d'autore numerate
biancheria e tovaglie ricamate a mano, centri ricamati a mano
mandhil, indumenti, tappeti e altri oggetti arabi
oggetti in argento, peltro, cristallo e ceramica
orologi al quarzo, penne stilografiche, borse in pelle
monete e medaglie da collezione.
bottiglie vino D.O.C.
e altre cose.

I carrieristi dell'ins. religioso nella scuola

Premetto che sono una cattolica non favorevole all'insegnamento della religione nella scuola statale che ritengo una delle conseguenze negative del Concordato.
In questa sede non è mia intenzione analizzare i diversi motivi di questa mia posizione ma, in qualità di cattolica e di collega, proporre agli insegnati di religione lettori di ReS il seguente quesito: è giusto che gli insegnanti di religione usufruiscano di un punteggio valevole per ogni graduatoria della scuola statale mentre la stessa Curia, nel conferire loro la nomina, usa i criteri più diversi e non si avvale di alcuna graduatoria?
In tal modo essi sono, da parte della Curia, oggetto di nomina più o meno arbitraria, conseguita la quale diventano essi stessi soggetto di ingiustizia nei confronti degli altri colleghi.
Si verifica infatti, e sempre più spesso, che insegnanti di religione, laici e non, usano quel punteggio per passare ad altro insegnamento una volta conseguito un titolo di studio statale.
Cosi chi non ha voluto o potuto accedere, per proprie convinzioni o per altri motivi, all'insegnamento della religione è costretto ad un lungo precariato o alla disoccupazione mentre chi usufruisce del punteggio accumulato insegnando religione è chiaramente avvantaggiato.
Ed ancora: non sembra agli insegnanti di religione che questa situazione privilegiata possa nuocere o screditare lo stesso insegnamento della religione dato che questo può essere ambito per fini di carriera o può apparire come un insegnamento privilegiato più di quanto in realtà non sia?
Sembrerò un'illusa ma mi auguro vivamente che proprio dagli stessi insegnati di religione venga la proposta di eliminare la palese ingiustizia e l'assurdità del punteggio valido per ogni graduatoria.
L'ingiustizia è dovuta al fatto che tale punteggio avvantaggia gli insegnati di religione "atipici" nel possesso di un titolo non statale e perché nominati dalla Curia, nei confronti di chi con titolo statale aspira alla nomina da parte dell'istituzione scolastica; l'assurdità è data invece dal fatto che il punteggio, che non serve per il reclutamento degli insegnanti di religione, diventa utile quando si passa ad un altro insegnamento.
Infine ritengo che una tale iniziativa, qualora venisse attuata nulla toglierebbe all'insegnamento della religione che si purificherebbe da ogni velleità carrieristica; e nulla toglierebbe alla categoria degli insegnanti di religione che potrebbero pur sempre usufruire di un punteggio valevole per una loro graduatoria nel rispetto della quale ottenere che l'Autorità diocesana effettui annualmente le nomine.
Ringrazio per l'attenzione e spero che il problema da me sollevato susciti l'interesse e l'impegno soprattutto di quelli, tra gli insegnanti di religione che privi di ambizioni carrieristiche, intendano portare in tale insegnamento una autentica testimonianza cristiana.

Antonia Ragusa
Grottaglie (TA)

"Soluzione finale"

Non vi è ormai sotto il cielo
altra cosa da fare che piangere
silenziosamente le lacrime amare
di un popolo oppresso annientato

senza terra dove posare il piede
allevare i bambini seppellire i morti.

È il tempo di piangere sconsolatamente
l'impossibile pietà di chi tanto ha pianto

e ora sa soltanto far piangere
per ripagarsi delle tante lacrime amare.

Gli occhi che per millenni piangevano
ora sono asciutti impietriti

a guardare con orgoglio spietato
il fango di terra lacrime e sangue

il forno crematorio fatto di aerei e cannoni
il fumo del genocidio salire fino al cielo.

L'olocausto di un tempo rinnova
l'olocausto di altra carne di popolo

a perpetuare l'eterno mistero di odio
che odia è odiato e torna ad odiare

soggetto ed oggetto di ricorrente
maledizione, di orrore e di gloria

avvolto e travolto da destino d'amore
oro prezioso cambiato sempre in perdizione.

Popolo di condannati per sé e per gli altri
ad essere segno di Dio e causa di rovina.

Chiamato ad abitare la Terra Promessa
terra d'Amore di Dio e di Uomo

il possesso come di qualsiasi terra
ha conquistato un campo di sangue.

La disperazione ti ha fatto maledetto
la potenza l'orgoglio, disumano

perché Alleanza è il tuo destino
diversamente è pianto e stridore di denti.

Torna pure dal tuo re David sul monte Sion
a celebrare le tue nuove vittorie.

È luogo di ceneri il tuo santuario
urne di ceneri la tua stella di morte.

Perché la tua morte ha invocato la morte
di un popolo con liturgia di guerra.

L'hai celebrata ma ancora una volta
la tua cenere non è Risurrezione.

13 Giugno 1982

Sirio

menù del sito


Home | Chi siamo |

ARCHIVIO

Don Sirio Politi

Don Beppe Socci

Contatto

Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455

Link consigliati | Ricerca globale |

INFO: Luigi Sonnenfeld - tel. 0584-46455 -