LOTTA COME AMORE: LcA giugno 1983

Distrazioni ed elezioni

Vi sono momenti - ma sono lunghissimi spesso questi momenti - in cui si prova l'ansietà e l'angoscia che il cammino dell'umanità e della sua storia si sia come arrestato, fermato. Si prova l'impressione che a forza di progresso si sia come arrivati a dei punti morti, un camminare che non va più avanti ma si muove in senso circolare, ritorna su se stesso, un girare e rigirare come in un labirinto del quale non si vede l'uscita e tanto meno la strada distesa davanti, a perdita d'occhio, oltre l'orizzonte.
Sono riflessioni di questi giorni di clima elettorale sconsolatamente senza impegno, interesse e tanto meno entusiasmo. Tutto sa spaventosamente di vecchio, di fritto e rifritto. E non soltanto perché gli uomini che contano sono eternamente gli stessi, ma perché i valori sbandierati sono logorati, gli antagonismi si ritrovano sempre più banalizzati, i programmi accentuatamente artificiosi e il propagandismo in crescita impressionante, sconcertante per ostentazione impudente del convincimento che tanto la gente, il popolo è cretino.
Non é possibile non ripensare alla democrazia, a questo faticoso - e ognuno sa di che lacrime grondi e di che sangue - cammino della storia e non affliggersi profondamente e non temere seriamente, che vada logorandosi questo valore preziosissimo per una svalutazione inarrestabile.
Il partitismo contribuisce irresponsabilmente a questo deterioramento. E non certamente il sistema partitico è la causa .di questo deprezzamento. La responsabilità è degli uomini che dei partiti s'impossessano e poi manovrano politicamente, ideologicamente ma più ancora, e qui sta il marcio, amministrano a clientelismi e personalismi incontrollati e incontrollabili.
Il tempo nel suo prolungarsi è un terribile nemico della democrazia: logora tutto, il tempo, anche le montagne e le civiltà, ma particolarmente i valori umani più profondi, essenziali, decisivi, come l'amore, la libertà, la pace e quindi la democrazia. La banalizzazione della democrazia divora gli anticorpi e lascia spazi per la cultura dei germi del bubbone. E il cancro è anche micidiale malattia politica. L'irresponsabilità dei responsabili sta rasentando la follia perché sta riuscendo la provocazione e l'ottenimento della nausea politica nelle realtà popolari.
È sconcertante che la politica non appassioni l'età giovanile. Non animi e ravvivi le piazze e le strade se non con scialbi striscioni e manifesti stampati dai candidati e incollati da squallidi galoppini.
È chiaro che i tempi cambiano, ma non può (non) impressionare e sgomentare la pesante fatica affrontata per tirar su dalla palude acquitrinosa della partitocrazia attuale, una scelta, una fiducia, una speranza.
Andare a votare a cuore morto e per adempimento di un dovere e cioè senza entusiasmo, è democrazia amministrativa, è il sistema parlamentare, certamente preferibile, ma svuotato di valori umani, culturali, sociali e politici.
Sono le risultanze di un potere "democratico" che democraticamente punta ad una assolutizzazione e ci sta maledettamente riuscendo, degradando la politica ai livelli d'intrallazzo, di strumentalizzazione, di profitto. Lo scandalismo non è soltanto il trionfo e l'affermazione d'interessi e profitti personali ma autentico strumento politico tendente al deprezzamento, alla svalutazione della "politica", vocabolo significante ricerca di valori umani per un'umanità di rapporti nella convivenza e nella collettività, ma ormai equiparato a disonestà, intrigo, imbroglio legalizzato. E questa svalutazione fino alla nausea, della politica nelle masse popolari, allarga gli spazi e favorisce la dittatura democratica della partitocrazia. Non andare a votare, o deporre nell'urna scheda bianca o dopo avervi scarabocchiato una parolaccia ecc. non è certamente lotta intelligente ed efficace. È vera, anche se raccontata intenzionalmente, quella storiella del contadino che avendo ricevuto una scalciata dalla mucca, mentre la sta mungendo, per vendicarsi giura di non bere più latte in vita sua. La democrazia e cioè la libertà (almeno quella di poter abbaiare a piacimento contro la luna) richiede prezzi da pagare e fra i tanti (forse stanno diventando troppi) c'è anche quello della speranza, dell'illusione, del rischio che è il voto.
Il voto che non è il deporre una scheda elettorale nell'urna consegnando ai numeri la speranza che tutto sia più giustizia, uguaglianza, libertà e cioè umanità. Il voto elettorale non dovrebbe essere che la risultanza, l'espressione politica di tutta una lotta continuata, vissuta, sofferta. E dovrebbe significare la concretezza di un progetto, l'indicazione di una volontà, il segno di un coinvolgimento per l'ottenimento di un programma culturale, sociale, politico, sempre più a misura d'uomo, in ricerca di umanità che sia sempre meno disumanità.
La costatazione può essere sconcertante ma non può essere lasciata cadere: quanti fra i milioni di elettori hanno tenuto presente il problema della guerra e della guerra nucleare, sempre più possibile e della pace disgraziatamente sempre più impossibile?
Non è certamente democrazia una campagna elettorale impostata sulla ricerca di affermazione partitica e sulla affannata corsa alle poltrone, sollecitando e solleticando gli interessi personali degli eIettori e lasciando cadere o strumentalizzando miserevolmente la pace e la guerra cioè la sopravvivenza o la morte universale.
La democrazia che si preoccupa d'innaffiare i gerani alle finestre e non dell'incendio che sta per divorare la casa e incenerirla, lascia piuttosto perplessi: può anche voler dire l'accentuarsi della disponibilità a che tutto possa succedere.
Perché la "distrazione" sta per varcare la soglia dell'alienazione.


La posta di Fr. Arturo Paoli

Carissimi amici:
Sono ormai alle ultime settimane italiane. Questo tuffo in Italia mi ha fatto scoprire che la crisi di nostalgia più che liquidata, è in me dolcemente repressa. E dico dolcemente perché la vita piena dell'America latina ricopre spontaneamente senza richiedere interventi volontaristici il dolore di terra lontana che sarebbe inevitabile. Mi è stato molto dolce il sentirmi avvolto dal parlare italiano e da tutto il contorno in cui sono vissuto per più di quarant'anni' Mi ha messo alquanto in imbarazzo la domanda che mi ha inseguito e che trovo per altro normale - come trovi l'Italia? - l'imbarazzo viene dal fatto che non saprei dare una risposta. Per le notizie che mi arrivano laggiù mi sarei aspet-tato di peggio e penso davvero che qualche santo protettore si occupa full time dell'Italia, forse san Gennaro o san Francesco. Deve essere piuttosto san Gennaro perché san Francesco deve essere scarsamente informato di mafia sulla mafia, camorra e intrallazzi bancari. Insomma ho trovato un paese dove si vive abbastanza allegramente nonostante le periodiche paure dell'atomica e delle crisi vulcaniche. Penso che abbiamo la grande qualità che non hanno tutti i popoli, di sfogarci e di gridare, il che in fondo è la miglior cura preventiva contro gl'infarti individuali e sociali.
Vi porto con me come sempre; la gran tristezza di non aver potuto riabbracciare molti amici a me carissimi e penso particolarmente ai coetanei o quasi coetanei soprattutto avendo presente che lo
spazio d'incontrarci sulla terra si restringe sempre più. Mi sorride sempre il progetto di passare un tempo lungo in un eremitaggio dove mi possa incontrare, e mi ritrovo su un nastro mobile che riduce quasi a zero le mie iniziative di seguire un programma di tempo e di luoghi. Mi ha dato molta gioia l'interesse che ho sentito per "America latina e interesse che ha avuto la sua espressione più chiara e concreta nel convegno di Torino delle associazioni "Oscar Arnulfo Romero" diffuse un po' dappertutto in Europa e in America latina; sono intervenuti rappresentanti di molti paesi di Europa e dell'America centrale. Due interventi mi hanno particolarmente interessato quello di una indigena guatemalteca che portava nella sua passione arginata da quella dignità e imepertubabilità propria della etnia india che io ben conosco, la passione del suo popolo. Quel suo silenzioso gridare e quel suo, pudico modo di raccontare gli strazi di cui si é resa capace la generazione che é sbarcata sulla luna, ha raggiunto il cuore di tutti. L'applauso lungo unanime in cui è scoppiata la folla che gremiva il tempio di Maria Goretti a Torino quando questo volto trapunto di dolore, si affacciava all'altare per intervenire umilmente nell'omelia, credo che abbia espresso quello che ciascuno di noi non avrebbe mai saputo dirle. Davanti a questi testimoni delle sofferenze dell'America latina, ho ripensato spesso come italiano a un diario di un ambasciatore francese che lessi nella mia adolescenza. Raccontava l'ambasciatore di aver incontrato una sera a Bruxelles, in un incontro di diplomatici, alcuni italiani in esilio; fra questi, se ben ricordo, Gioberti e Gonfalonieri che si erano presentati nei loro abbigliamenti poveri, chè non avevano certamente nè denari nè voglia di vestire abiti da cerimonia, e il loro parlare pacato senza venature d'odio, il semplice raccontare le sofferenze dell'Italia e le sue giuste aspirazioni alla libertà e alla indipendenza erano la protesta più forte e più gridata contro l'usurpatore e la prova più eloquente di un popolo maturo e degno della libertà. L'altro intervento che ha attirato la mia attenzione è stato quello di Enrico Dussell il filoso teologo argentino che presentai agli italiani una diecina d'anni fa, e mi sentii riconfermato nella mia ammirazione per lui. Dussell meriterebbe di essere conosciuto di più in Italia, almeno attraverso i suoi libri perché, secondo me, è quello che ha contribuito a rinsaldare la teologia della liberazione mettendola su forti e sicure basi filosofiche. Ripete evidentemente, su altre ipotesi di lavoro, quello che Antonio Rosmini fece nel suo tempo. Quando ero a Roma sentivo spesso sospirare anche da persone della linea conservatrice - Oh se avessimo dato retta ad Antonio Rosmini - e a questa ammirazione partecipava Paolo VI che solennemente tirò fuori dall'indice l'opera di Antonio Rosmini. A me questi sospiri postumi fanno l'aria sempre di commenti che fanno i visitatori di musei di armi del medioevo. Sono commenti turistici che non aiutano per nulla la vita della chiesa e degli uomini. La presentazione dell'Eucarestia ripetuta da Dussell, un tema che, come sapete, mi è carissimo, mi ha veramente entusiasmato e ho visto più chiara la missione di quei tormentati popoli dell'America latina di portare nella chiesa quella passione che libera l'Eucarestia da un freddo e inerte ritualismo cui l'abbiamo spesso condannata, per farne lievito di vita, forza della storia, speranza di una risurrezione che si deve concretizzare qui, ora, nel nostro tempo. Sono convinto che l'America latina ha oggi il compito di far reale, storica quella dimensione della Chiesa che è stata annunziata nel Concilio Vaticano Il e che non ha trovato forse in Europa l'humus storico per germogliare e dare i suoi frutti. La causa per la quale le speranze e le mete del Vaticano Il ci appaiono frustate, e proprio quelle speranze sulle quali avevamo puntato di più, si deve ricercare soprattutto in questa mancanza di opportunità storica, di momento storico che non si da in Europa e si da in America latina e particolarmente nell'America centrale, Guatemala, Nicaragua, Salvador, Honduras, la parte demograficamente ed economicamente più debole dell' America. La sua piccolezza e il martirio, sono credo, i segni chiari di questa scelta di Dio perché il progetto di chiesa dovuto allo Spirito si faccia realtà.
Non è certo facile distinguere nel movimento convulso e contraddittorio della storia centro-americana le linee ecclesiali che si vanno formando. Coloro che parlano di chiesa nuova o di chiesa popolare, con una intenzione polemica di segno differente ed opposto, non capiscono quello che si sta gestando in questi piccoli paesi e sono dirottati da vecchi schemi ideologici, cancellando nella definizione di conflitto est-ovest la vera novità ecclesiale. L'etichetta chiesa nuova - chiesa popolare vuoi creare una contrapposizione alla chiesa alla quale apparteniamo, mentre nessuno dei popoli o degli individui del centroamerica ha !'intenzione di contrapporre una chiesa ad un'altra chiesa, né per proposte teologiche insolite, né per desiderio di autonomia e di separazione. Si tratta di poveri che si svegliano alla coscienza di essere chiesa e che scoprono una nuova dimensione della fede: non è più la fede che li spinge verso i santuari a chiedere grazia e conforto ad una vita dipendente e miserabile senza vie d'uscita, ma fede che infonde una inestinguibile sete di giustizia, l'imperativo assoluto di dare la propria vita al regno di Dio che ha la sua fase iniziale qui, su questa terra, in questa storia, in questo tempo. La conciliazione fra fede e politica sarà sempre oggetto di controversia perché fra la fede e la politica c'é veramente incompatibilità, quando sono pensate a un livello di astrazione di concetti; si compongono in una unità armoniosa solamente quando si trasformano in lotta popolare, in rivoluzione che ha come meta il raggiungimento di valori che sono allo stesso tempo profondamente e universalmente umani, e, nello stesso tempo religiosi, in quanto sono proposti dalla Parola di Dio, la libertà e la dignità dell'uomo, l'uguaglianza di tutti nella partecipazione dei diritti essenziali, la convivenza pacifica che suppone che sia sradicato dal cuore dell'uomo il desiderio di dominare, di sfruttare, di possedere.
È stato ribadito a Torino che solidarietà significa accettare con umiltà il cammino e la storia dell'altro; solidarietà non è dare quello che io stabilisco di dare, imporre il piano che io ho elaborato per esportarlo in una storia e in un cammino che non é mio. Se la chiesa vuole ricevere questa nuova dimensione che è stata definita nel Concilio e continuamente ripresa come concetto, di chiesa dei poveri, è necessario che la chiesa d'Europa rinunzi alla sua missione di missionaria ed evangelizzatri-ce e accetti di essere evangelizzata. E analogamente se la società occidentale nei paesi industria-lizzati, sente la necessità di trovare una alternativa a progetti politici che non offrono la garanzia di liberare il mondo dalla minaccia della distruzione, bisogna che guardi con, molto rispetto il sorgere di queste nuove società frab le spine che stringono da tutte le parti questo sbocciare. Più che protezione questi popoli che noi abbiamo contribuito a mantenere in schiavitù chiedono a noi rispetto e comprensione e aspettano che la nostra sensibilità cristiana non sia esaurita al punto da non saper distinguere il debole, la vittima, l'oppresso e da non avere il coraggio di mettersi dalla sua parte. Il cristiano dovrebbe avere attinto e consolidato questa sensibilità dall'esempio del Cristo Gesù, che si è rinnovato nell'attualità proprio in uno di questi paesi dell' America centrale nel sacrificio di monsignor Oscar Arnulfo Romero.
Vi abbraccio e continuiamo a volerci bene, comunicarci e ad aiutarci mutua mente nel nostro cammino.
vostro fratello

Arturo

Un libro di don Sirio

Veder pubblicato un proprio libro fa sempre una certa emozione: è qualcosa di se - e forse tutto se stesso - che viene offerto. È quindi Amore o almeno Amore vorrebbe essere. Queste pagine sono veramente anima della mia anima e forse più ancora perché vorrebbero significare tutto ciò che è "oltre" la narrazione e le parole che la raccontano.
Vorrei tanto che il mio sognare possa aiutare a vivere, a credere nella vita umile e semplice per un saperla traboccare d'infinito. È possibile anche nel tempo in cui viviamo e che tutti, un po' più un po' meno, rabbrividisce di tristezza e raggomitola in spazi sempre più ristretti e soffocanti.
È possibile aprire la porta, uscire di casa ed abitare nel mondo.
Il libro uscirà alla fine di giugno.
Edizione Gribaudi Torino
Il titolo: "Antico sogno nuovo".

È un fatto e ognuno ne ha o può averne esperienza, che le vie lungo le quali cammina la vita sono tante, anche se non proprio infinite, come quelle di Dio.
E forse non poniamo attenzione, come sarebbe giusto, alle strade che, ai bivi frequentissimi abbiamo deciso di abbandonare.
La nostra vita è quella realizzata a seguito delle scelte fatte o è più vera, cioè più noi stessi la storia non vissuta, quella che ha camminato su strade tracciate ma non percorse?
Certamente la vita vissuta concretamente, quella raccontabile perché fatta di date, di cronaca quotidiana, di avvenimenti e di vicende, non è l'unica vita che abbiamo vissuta o che poteva essere vissuta.
La musica scritta non è tutta la musica del compositore, può essere non di più di una risonanza, di un'eco lontana. Così per il poeta le poesie, le opere d'arte per l'artista... Il concreto, il realizzato non è mai per ogni essere umano molto più dell'onda che si frange sulla spiaggia nei confronti dell'immensità del mare.
Questa realtà della limitazione di tempo e di spazio, quasi dell'imprigionamento al quale costringe la concretezza del vivere, la "storicizzazione" dell'esistenza (l'acqua di sorgente è inevitabile che diventi ruscello fiume) più che riduttività avvilita. rassegnata ribellata e disperata, mi è sembrato giusto e bellissimo giudicarla segno. simbolo, allegoria, di tutta l'ampiezza, la spaziosità della vita umana.
Perché il vivere è umano in proporzione alle sue dimensioni di spazio e di tempo, non riscontrabili unicamente nel vivere quotidiano e nella brevità della vita.
Tutto dipende dalle scelte secondo le quali si vive: ampliando cioè continuamente il corso del fiume o concludendolo in uno stagno.
Lo spazio di una vita è sempre ristretto e soffocante se non è dilatato oltre ogni misura nella vastità di cui è capace e in ricerca, lo spirito umano e la sua inesauribile creatività. E se non ha o non trova di vivere il concreto, spesso tanto banale e impietoso, in simbolismi di altre realtà, figure di pietra in immagini di vita vissuta proiettate sul grande schermo dell'esistenza. Anche l'alienazione può non essere una fuga, una trasposizione nell'assurdo, ma poesia, arte, contemplazione... cioè movimento di valori in ricerca di simbiosi. di comunione, o addirittura di completamento, di pienezza.
Tanto più questa unità-molteplicità è realtà di vita in una visione di Fede, cioè in un rapporto creativo nel quale il vivere umano è acqua di fiume che sfocia nella vastità dell'oceano e non tanto in una prospettiva escatologica, quanto nel passo, passo della quotidianità della vita e della storia.
Perché Dio è il seminatore del granello di senape per farne albero, il rimescolatore del pugno di lievito a fermentare tutta la massa di farina. Il Ministero di Dio cala in una vita per la sua pienezza, cioè per potenziare l'individualità fino alle misure della sua universalizzazione. L'esistenza è Dio e Uomo e quando non è più possibile discernere le sue entità, allora è trasfigurazione, cioè realtà perfetta.
Questo libro (che mi sono permesso di scrivere e mi confonde assai la tanta presunzione di cui chiedo perdono) è il racconto di qualcosa della vita concreta, reale, storica (tanto per un rapporto di tempi e di luoghi) ma specialmente è il racconto della vita non vissuta concretamente eppure realmente vita. Tant'è vero che fra le due vite, a voler insistere in un giudizio d'impossibile, assurda dicotomia, quella vissuta e quella raccontata, non saprei con onestà indicare quale è la più identificabile con me stesso. Eppur stando così le cose, non mi sento e non mi ritrovo sdoppiato, né sovrapposto. tanto meno complesso. Il me stesso, la mia identità, è questa totalità raccontata, dove il passo, passo di ogni giorno cammina anche su altre strade o trova ali per volare nello spazio senza orizzonti è l'urtare impietoso contro i muri del "fine corsa" e nello stesso momento è andare "oltre" dove il finito si perde nell'infinito.
Io ho vissuto tutte le pagine e ogni parola di questo libro. Il racconto non è fantasia, invenzione letteraria, narrativa di un sogno beatificante.
Non è però autobiografia se non nella misura della descrizione del predellino per il tuffo, l'autobiografia semmai è dopo, è il nuotare nell'oceano. l'abbandonarsi alla violenza irresistibile dello "spirito che è come il vento, non fa sapere di dove viene e dove va".
Questa irrealtà è la vera, autentica realtà sì che forse ciò che non esiste né mai è esistito porta il proprio nome e cognome e invece ciò che è scritto sulla carta d'identità, raccontato dalla cronaca quotidiana, conosciuto dagli amici ecc. non è che semplice apparenza o controfigura. Sono le specie, gli accidenti si direbbe con linguaggio teologico eucaristico (mistero non esclusivo all'Ostia consacrata) che non sono di più che la significazione della sostanza. È chiaro e bellissimo che la contemplazione, l'adorazione, il rendimento di grazie, sono per la sostanza: qui è Dio e Uomo, cielo e terra, eternità e tempo, finito e infinito. Il colore, il sapore, la forma... sono l'illusione, la distrazione, la vanità ma nello stesso momento sono anche il segno del mistero, il simbolo dell'impossibile, il sognare l'incanto dell'utopia.
Il libro è anche per domandarmi e domandare se la realtà della vita e della storia è il segno concreto o il mistero. Ho cercato di raccontare di questo mistero...
Nel racconto si tratta di me, è vero e come potrebbe essere diversamente? Nessuno è punto di convergenza, centro gravitazionale, valore determinante: non siamo che un brevissimo segmento della lunghissima linea della vita e spesso, disgraziatamente per noi e per altri, anello della terribile catena. Ma è anche vero che le concatenazioni sono una delle realtà più misteriose della vita. Si è soli e nel frattempo si è folla, moltitudine. E nella più o meno uniformità dei volti, i lineamenti chiari, precisi, inconfondibili, degli amici, questa parte vivente, carne e sangue e anima, del nostro mistero.
Raccontare di me è tutt'uno che raccontare degli amici, uomini e donne, perché insieme, più o meno consapevolmente, nel segreto dell'anima o alla luce del sole, abbiamo vissuto un'unica vita, o almeno comunità di vita, nonostante la diaspora delle vicende personali. Tutte persone che io ho incontrato, conosciuto, ma di cui mi sono permesso raccogliere e raccontare quella realtà di mistero della loro vita che io ho intuito e profondamente amato, cioè il loro vero se stessi, quell'identità costitutiva della loro originalità personale, ma che forse (per molti credo che sia un dramma angosciosissimo) non ha potuto trovare possibilità di traduzione - e per chissà quali e quanti motivi - in una concretezza esistenziale.
lo ho osato raccontare la realtà, la più vera, della loro vita, quella cioè non esistita ma che pure è esistita. Il mio raccontarla è semplice e onesto far venire alla luce un concepimento e era tanto Amore, abortito, un sereno "predicare sui tetti ciò che è stato detto e con quanta passione, nel segreto".
I nomi che ho scelto (il nome, nel segno biblico, è indicazione di destino personale) vogliono semplicemente, ma con simbologia efficace, trasparire il Mistero che sta sopra di ognuno, cioè quell'essere "segnati sulla fronte" dalla predilezione di Dio fino alle misure di possesso totale.
È a seguito di questo essere posseduti e quindi coinvolti nelle vie di Dio che questi uomini e donne, diventano libertà serenamente liberata, cioè uomini e donne che non sono coinvolti nel mondo e travolti dalla sua storia.
Così e altrettanto è per i valori raccontati: la vita eremitica, monastica, la comunità, la preghiera, l'amicizia, la libertà, la lotta... la contemplazione di Dio e dell'uomo e le infinite, adorabili confluenze.
L'Amore di Dio, esclusivo, totale, che costringe al superamento di se e a compromettersi. a giocare tutto, nella storia. Il Vangelo, respiro dell'anima, vincolazione e liberazione, per costruire l'alternativa di umanità alla disumanità...
Direi che il protagonismo del racconto è costituito assai più dai valori che dalle persone. La persona acquista i suoi significati proporzionalmente al suo essere contenuto e fermentazione di valori.
Potrà sembrare restrittivo lo spazio di un monastero costruito secoli fa sopra una collina. Ma a parte la perenne verità di quel detto, a me carissimo, "chi lotta e soffre su una zolla di terra, lotta e soffre su tutta la terra", è anche vero che la riduttività non è mai a seguito delle condizioni esterne in cui si vive, ma unicamente a causa delle ridotte misure dell'Amore.
Tutto è universale quando universale è il cuore, tanto più poi e particolarmente, quando le misure scelte sono quelle di Gesù Cristo. Allora è inevitabile, anzi cercata, la forzatura all'interno delle istituzioni. fino all'intensità della lotta nonviolenta, sicuramente provocata e guidata dalla violenza dell'Amore. Sogni di trasformazioni, anche rivoluzionarie, nelle burocrazie dell'istituzioni civili, politiche, amministrative, nelle condizioni sociali e culturali popolari. Fede appassionata nella Chiesa "pugno di lievito, sale della terra, città sul monte", vissuta più che il se stessi, amata dello stesso Amore per il Regno di Dio, nella serena disponibilità a pagare qualsiasi prezzo, compreso il vendere tutto, per il "tesoro nascosto nel campo".
Non è utopia ma realtà da toccare con mano, perché mura di monastero che chiudono, in clausure perdute nel Mistero di Dio e aprono le porte all'accoglienza del Ministero dell'umanità.
Vastità di silenzio che ascolta Dio e proclama la Parola con la profezia della "parola non legata". Uomini e donne, carne e sangue e anima e destino di umanità, in continua ascesa e discesa dal "terzo cielo" sulla terra e viceversa.
Forse se qualcuno, mosso da interesse o da semplice curiosità, mi domandasse l'indirizzo di questo monastero, potrei indicarglielo: una grande città, appena lasciata la tangenziale bisogna salire fino al termine della strada, sulla cima di una collina. Ma a suonare al portone, di fianco alla chiesa (c'è ancora la campanella sostituita logicamente dal pulsante elettrico) si scoprirebbe che il monastero esiste; ma che però non è il mio monastero. È però il monastero: eccolo lì il muro di cinta, logorato dai secoli, oltre s'intravedono le celle degli eremi nella spianata, circondata dalle chiome scure di grossi lecci, che apre sulla città, ecco, questa è la chiesa, solenne come due mani giunte in preghiera e si avverte quello strano clima di mistero che trasparisce sempre dagli antichi monasteri..
Ho respirato a lungo questo mistero che per me e la comunità di queste pagine, è vita vissuta, in un sogno più reale della realtà e in una realtà meravigliosa come un sogno.
Dal mio eremo
Ferragosto - S. Maria 1982

Sirio Politi

Nuovi segni di speranza

Ci sono momenti in cui sembra di camminare avvolti nella luce tanta è la sicurezza con cui avanziamo nella vita, ma ci sono giorni in cui muovere passi concreti e decisi è fatica terribile per un accavallarsi di angosciosi dubbi e timori. Credo che ognuno, più o meno, abbia esperienza di ciò che può significare l'improvviso restringersi di prospettive e il senso di soffocamento che ne deriva quando sembrano chiuse le vie di fuga. Non avere alternative se non quella di subire la violenza delle situazioni senza spazi dove poter riflettere, riposare, prendere decisioni.
Eppure credo che questa fatica del vivere quotidiano abbia una grande influenza su una misura di sincerità capace di rinnovare i rapporti tra le persone. Non solo penso perché ci si scopre vicendevolmente segnati dalla stessa debolezza e fragilità, ma anche e soprattutto per l'umiltà che segna il volto di chi cerca con pazienza il senso delle cose e della vita. Mi sembra di capire che quando si ha caro il filo che lega l'avvicendarsi delle stagioni della propria vita, allora si é più facilmente disposti all'incontro, all'accoglienza, non importa se decorata da spirito dolce e buono o increspata di silenziosa severità. Ciò che si fa è spesso solo piccola, povera cosa nascosta nella pieghe degli avvenimenti che fanno cronaca. Ma un semplice gesto può accogliere spessori di significato tali da incidere profondamente nella storia. Per questo mi sembra importante cercare di capire quali energie giocano al fondo della vita, non tanto nei momenti programmati dell'impegno, quanto nel quotidiano, là dove il nostro essere non risulta impostato su determinati risultati, ma si esprime con maggiore immediatezza come l'acqua che sgorga da una sorgente o il fiore che spunta sull'argine di un fossato. Oggi facciamo constatazioni amare e dispiaciute sulla difficoltà di prospettare ipotesi di cambiamento a livello collettivo. Non avvertiamo possibilità di aggregazioni di massa se si eccettuano fenomeni vistosi, gonfiati dalla persuasione dei mezzi di comunicazione, presi d'assalto dai professionisti della strumentalizzazione per il mantenimento delle poltrone che contano. Avvertiamo di vivere in un mondo stanco. A me sembra che l'energia vitale repressa negli schemi vivaci degli anni passati, oggi si esprima in tanti piccoli rivoli generati dalla voglia di vivere, di capire, di ritrovare una coerenza non condita da slogan, bandiere di vecchie anche se onorate battaglie. E credo sia importante coltivare in me e intorno a me la ricerca del senso di ciò che stiamo facendo anche a costo di sofferenze profonde nel rilevare possibili dislivelli di direzione tra ciò che affermiamo essere la nostra vita e quello che realmente viviamo. E quindi non vado cercando gente che faccia il mio stesso cammino: è viottolo forse troppo tortuoso per poterne trovare altri che vi si sovrappongono. Vado piuttosto cercando gente che esprime sotto aspetti e circostanze diverse le stesse ansie, le medesime attese, la voglia di interrogarsi di fronte a tutto ciò che accade. Voglia non più urlata nelle piazze, ma cercata con ferma ostinazione negli spazi dove è possibile prendere le cose in mano e non essere comparse in progetti meravigliosi, ma già confezionati, in indirizzi indiscutibilmente giusti e validi ma dove i ruoli sono già stati assegnati. È in questo "movimento" slegato e debole fino a sfiorare il ridicolo, che non ha bandiere né parole d'ordine ed é espressione di individui e di gruppi molto diversi tra loro; é in questo movimento che mi sento muovere da interessi vitali. E prima di tutto da un profondo desiderio di confronto, di verifica. E se volto le spalle a tutto ciò che esprime azione contrapposta o da contrapporre secondo le regole del gioco del potere, se facendo violenza a me stesso, volto lo sguardo a tutta la constatazione di fatti, avvenimenti, personaggi che cercano di imporsi a tutto il resto del mondo, vedo sorgere qua e là le piccole luci di una coscienza che lievita nuovi segni di speranza e di lotta.

Luigi

Fontana di paese

Nel solito paesino di cui ho già parlato una volta su queste pagine a proposito di un "monumento ai caduti", c'è anche un monumento diverso, molto più bello e che parla di vita e di speranza. È una fontana d'acqua freschissima che sgorga da sotto la roccia e scorre incessante. Giorno e notte la fontana è come una vena aperta a far fluire la vita e il rumore dell'acqua è parola che rinfranca e invita alla fiducia.
Quasi sempre, quando vi passo davanti per salire fino alla chiesa, mi fermo a bere qualche sorsata e mi pare di compiere come un umile ma profondo gesto sacro: desiderio di poter accogliere il misterioso flusso della vita e della storia umana con infinito rispetto e amore ed insieme impegno a vivere a cuore aperto, allargato, disponibile non al possesso ma al dono.
Quella fontana di paese è per me come una parabola evangelica: segno e indicazione precisa del mistero del regno di Dio, dei valori umani dell'amicizia e della condivisione. "Chi vuol possedere la propria vita la perderà: chi perde la sua vita la ritroverà": l'acqua chiara che scorre senza sosta mi riporta subito alla memoria l'eco di parole lontane, la rivelazione del senso profondo della vita, il significato dello stare insieme in cammino sulle stesse strade.
Questo "monumento alla vita", curato e arricchito anche con una simpatica architettura e una specie di, bassorilievo, è però molto più indicativo e importante dell'altro - pur molto più in vista e "glorioso" - perché nella fontana è nascosto un segreto molto più prezioso dell'acqua che da essa ognuno può liberamente attingere con abbondanza.
"La Chiesa è come la fontana del villaggio": un'espressione di papa Giovanni, che esprime con grande semplicità e profondità evangelica il senso della vita della comunità cristiana nel dipanarsi della storia degli uomini. La Chiesa dell'alta finanza vaticana, delle grandi adunate nelle piazze, della raffinata diplomazia e dei concordati, degli intrallazzi politici e dei compromessi col potere non ha niente da spartire con l'umile e chiara "fontana del villaggio" che di essa invece è precisa indicazione ed immagine. La Chiesa di Gesù Cristo altro non è chiamata ad essere se non questa realtà povera, semplice, chiara come acqua di sorgente, che non ha bisogno di difese o di protezioni, ma che si abbandona con coraggio alle incessanti richieste della vita. E che annuncia la Parola di Dio senza camuffarla sotto mille ornamenti dotti e raffinati che finiscono col farle perdere il sapore e il significato.
I due monumenti del paese - la fontana sempre aperta e il soldato di bronzo - raccolgono come in un riassunto simbolico una lotta secolare: l'illusione, da una parte, di poter mettere d'accordo l'amore con l'odio, la vita con la morte, la pace con la guerra, il mitra con l'aratro; la speranza, dall'altra, che sia possibile vivere insieme la vita come una realtà di fraterna condivisione, di offerta gli uni agli altri, di apertura e di accoglienza senza limitazioni, "di lance distrutte per farne delle falci, di spade trasformate in aratri".
Il soldato di bronzo della piazza mi ricorda il fiume di sangue che accompagna il destino umano e insieme l'incapacità cristiana di rompere i lacci e gli inganni del potere.
La fontana, quasi nascosta lungo la stradina che porta alla chiesa parrocchiale, mi ridà ogni volta il coraggio della fede e la speranza che la limpidezza e il profumo dell'acqua viva di sorgente riesca a lavare tutte le pagine della storia macchiate di sangue.

don Beppe

Lettera a un monaco

Carissimo Padre,
avevo in mente di scriverti per comunicare a voi monaci, un'idea che ormai mi porto nell'anima. In questo momento storico mi sembra che sia in gioco uno di quei richiami da parte dello Spirito, che a non raccoglierlo è gravissima responsabilità: "ho timore di Dio che passa" diceva S. Agostino.
La pace attualmente è valore essenziale davanti a Dio e agli uomini, per le condizioni di una assoluta necessità e urgenza, di essere finalmente scoperto, conosciuto, accolto e risolutamente vissuto, da chi vuole seriamente interessarsi al Mistero di Dio e alle speranze degli uomini di buona volontà. I segni dei tempi sono chiarissimi per un risvegliarsi di coscienza popolare in via di progressiva dilatazione e responsabilizzazione e per un miracoloso raccogliere di questo momento di grazia da parte della Chiesa.
E in modo particolare mi riferisco al documento dell'episcopato degli Stati Uniti "La sfida della pace" che sta scuotendo il secolare torpore e l'equivoco assurdo della cultura cattolica tradizionale.
Ormai s'impone la ricerca di "una teologia della pace", come dicono i vescovi americani, "che dovrebbe fornire un solido fondamento all'impegno per la costruzione della pace in una visione biblica del regno di Dio e dovrebbe collocarlo al centro del ministero della Chiesa".
Mi sembrerebbe giusto e doveroso che la realtà monastica, in tutta la sua altezza, larghezza e profondità, assumesse questo impegno di pace specificandolo, in una profonda visione di Fede, dal punto di vista mistico, contemplativo e quindi con una particolare attenzione, ricerca e conoscenza attraverso e nella preghiera.
Assumere la pace come conoscenza, adorazione, contemplazione, visione di Dio, è certamente penetrare nel Mistero di Dio che è Amore.
Va bene la pace in mano ai movimenti pacifisti che sempre più hanno il merito di coscientizzare le realtà popolari e di provocare pressioni e urgenze alle centrali del potere politico. Va bene anche la pace e la sua evangelizzazione affidata e consegnata alle saggezze ed equilibri diplomatici dei discorsi e dei viaggi del Papa... ma ormai la pace e cioè la salvezza richiede e implora che si "aprano i Cieli e germogli dalla Terra" fiorisca e fruttifichi cioè dall'incontro, come il Redentore, dello Spirito e dell'uomo, del Mistero e della Storia. E forse questo è il momento del compiersi dei tempi.
La visione purissima della Fede ritrovabile nella contemplazione può e deve dare alla pace quella "liberazione" per la conoscenza della pace in Dio e di Dio nella pace, di cui la non-guerra (tutto ciò che non-guerra significa: disarmo, antimilitarismo, blocchi ecc.) è realtà terminale, logica, ma che antepone con antecedenze assolute, la pacificazione dello spirito umano e la purificazione da tutta una cultura anche vetero testamentaria e storico cristiana, dal quarto secolo in poi, inquinata di conflittualità.
Penso che il monachesimo nei confronti della pace dovrebbe assumersi questa missione di purificazione (di penitenza) e di affermazione, di testimonianza. E quindi di Fede, unicamente Fede.
Non vedo (specialmente da noi) altra realtà ecclesiale capace di questa chiarezza e di questo coraggio. Cioè di questa Fede.
Il nostro episcopato sta dolorosamente "dormendo" in attesa di esser risvegliato da Roma, ma a Roma "la purificazione non è ancora cominciata dal T empio". L'America centrolatina di questi giorni attesta che il Mar Rosso non è stato attraversato ancora verso la Terra Promessa "dove scorre il latte e il miele" della pace.
Perché i monaci non si fanno promotori come le comunità monastiche benedettine di clausura degli Stati Uniti di un ministero davanti a Dio e agli uomini (e a tutta la realtà ecclesiale) di un coinvolgimento "contemplativo" nel Ministero della Pace?
Una settimana (come un segno, ovviamente, di tutta una scelta di spiritualità, di preghiera, di ricerca teologica, contemplativa, mistica) di raccolta di comunità monastiche, maschili e femminili - compresa la clausura chiamata ad aprirsi per guardare il cielo e la terra e scoprire dove sta la "Benedizione" e responsabilizzarsene pagando qualsiasi prezzo, in totale dedizione alla Gloria di Dio e all'Amore all'umanità, una settimana vissuta nell'adorazione della Pace che è Dio, Trinità e Unità, che è Gesù Cristo, unità e pace di Dio e di Uomo?
Un messaggio sorprendente e stupendo che concluda una cultura certamente ammirevole e rispettabile di santificazione, ma da tradursi finalmente in un coinvolgimento d'incarnazione in un progetto di storicizzazione di "Cristo nostra pace, lui che ha vinto, distrutto l'inimicizia e ha fatto dei due popoli un solo popolo... riconciliando in se stesso tutte le cose, quelle del Cielo e quelle della Terra"...
So bene che io sono l'ultimo in ogni cosa, ma non posso lasciar cadere tutto "ciò che lo Spirito mi detta dentro... " e "lo Spirito è come il vento non sai di dove viene e dove va". È parola che il nostro tempo attesta che è Verità.
Ho fiducia che tu stia bene di salute e che la pace totale, quella che "Lui solo può dare" sia con te e con i tuoi monaci. Anch'io sto bene assai e continuo a vivere le mie giornate nel mio povero lavoro artigianale e a sognare la "nuove Gerusalemme dove ecc. ecc."
Un abbraccio affettuosissimo
Viareggio 9-3-83

Sirio

Il cappellano militare della bomba atomica

Pensiamo che sia giusta e doverosa la diffusione di questa intervista pubblicata dal periodico del M.I.R. (Movimento internazionale Riconciliazione) nel numero di aprile. Si tratta di una testimonianza terribile, sconcertante, dell'"orrore religioso" che la guerra e la Chiesa, unite in una collaborazione dissacrante e disumana, possono realizzare. E' un tremendo chiarimento di responsabilità, al di là di ogni sopportazione, che la Chiesa gerarchica ancora non ha trovato come assolvere. E' un pressante, angoscioso invito, uno scongiurare appassionato e tormentatissimo, ad una liberazione di Dio, di Gesù Cristo, del sacerdozio, dei sacramenti... dall'inferno della guerra, dove non può essere Amore ma dove è esclusivamente ed inesorabilmente dannazione.
Ci auguriamo che questa pagina ma più ancora l'angoscia inconsolabile di questo Cappellano Militare, bussi alla porta e nonostante la sentinella, entri nella caserma, Salita del Grillo - Roma, dove ha la sua sede l'Ordinariato Militare e cioè il Vescovo delle Forze Armate e il suo Stato Maggiore.
L'intervista è del teologo americano C. Mac Carthy al Padre Zabelka, cappellano militare degli squadroni di bombardieri che sganciarono la bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki il 6 e 9 agosto 1945.
Padre Zabelka partecipa ad un pellegrinaggio partito dall'America alla volta di Betlemme. Dal 6 luglio al 14 settembre il gruppo dei marciatori per la pace passerà dall'Italia: Aosta, Ivrea, Vercelli, Milano, Bologna, Firenze, Siena, Roma, Frosinone, Campobasso, Foggia, Bari di dove il gruppo passerà in Grecia alla volta della Palestina.
- Padre Zabelka, in che relazione siete con i bombardamenti di Hiroshima e Nahasaki dell'agosto 1945?
- Nel/' estate 1945 ero Cappellano militare del 509° gruppo sull'isola di Tiniam, quello che ebbe l'incarico di portare la bomba atomica.
- Quali erano i vostri doveri verso quegli uomini?
- Quelli soliti. Dicevo la messa la domenica e durante la settimana. Confessavo e parlavo ai giovani, ecc. Niente di diverso da quello che facevano gli altri cappellani durante la guerra.
- Sapevate che il 509° avrebbe dovuto sganciare la bomba atomica?
- No. Sapevamo solo che si doveva sganciare una bomba più potente e molto diversa dalle altre, anche da quelle superbombe che erano state usate in Europa; ma prima del 6 agosto 1945 non l'abbiamo mai chiamata bomba atomica e non sapevamo bene di che si trattava. Prima ne parlavamo come della "cosa".
- Quindi non sapevate che bisognava sganciare una bomba atomica; perciò non avevate ragione per dare consigli particolari agli uomini; o di predicare in pubblico il problema morale di questa bomba.
- Questo è vero, certo. Non parlai mai contro il bombardamento perché ignoravo, come gran parte della gente sull'isola, che cosa si stava preparando; perciò non l'avrei potuto fare. Spero che questa possa essere la mia difesa davanti a Dio. Ma il giorno del Giudizio, credo che avrò bisogno soprattutto di misericordia piuttosto che di giustizia.
- Perché? Certamente Dio non poteva volere che voi agiste secondo idee che non vi erano nemmeno venute in testa.
- Come prete cattolico, il mio dovere era di curare il mio popolo o chiunque altro affinché fosse vicino allo spirito e al cuore di Cristo. Come cappellano militare, dovevo far sì che i giovani si comportassero secondo l'insegnamento della Chiesa cattolica e di Cristo riguardo alla guerra. Quando penso al passato, non mi pare di aver assolto a questi doveri. .
- Perché dite questo?
- Non dico che ho trascurato i doveri di competenza come cappellano. Ho fatto del mio meglio per mettere a disposizione di tutti la messa e i sacramenti, ho anche guadagnato il brevetto di paracadutista per fare meglio il mio lavoro. Né ho mancato di predicare e insegnare quello che la Chiesa si aspettava che io facessi. Tantomeno mi sono contentato di parlare ai giovani della loro vita sessuale. E come la gran parte dei cappellani militari ero categorico su problemi come l'uccisione o la tortura dei prigionieri. Ma c'erano altri problemi sui quali non si dicevano cose altrettanto chiare.
- Per esempio?
- La Chiesa ha sempre proibito la distruzione dei civili; e se un soldato mi fosse venuto a chiedere se poteva tirare una pistolettata in testa ad un ragazzo glielo avrei proibito formalmente. Sarebbe stato un peccato mortale. Ma nel 1945 l'isola di Tiniam era il campo d'aviazione più grande del mondo. 24 ore su 24 potevano decollare da lì tre aerei al minuto. Molti di questi aerei partivano per il Giappone con lo scopo preciso di uccidere non un ragazzo o un civile, ma di massacrare centinaia, migliaia e decine di migliaia di ragazzi e di civili. E io non ho detto niente.
- Perché? Lo sapevate bene che questi bombardamenti uccidevano civili a migliaia? o no?
- Sì, certo che lo sapevo e lo sapevo con una chiarezza che nessun altro poteva avere.
- Che volete dire?
- Come cappellano dovevo spesso entrare nel mondo dei giovani che rischiavano di impazzire per azioni che avevano compiuto durante la guerra. Mi ricordo di un giovane che aveva partecipato a bombardamenti di città giapponesi. Era internato perché sull'orlo di un tracollo totale. Mi raccontò che era stato in missione a bombardare a bassa quota; volando lungo una via principale della città, apparve, dritto davanti a lui, un ragazzino che alzò gli occhi, meravigliato. Il soldato sapeva che qualche minuto più tardi quel ragazzo sarebbe stato bruciato dal napalm della bomba che stava sganciando. Sì, lo sapevo che si ammazzavano anche i civili. Tuttavia, non ho fatto nemmeno una predica agli uomini che massacravano i civili per condannare il massacro.
- Ancora una volta, perché?
- Perché avevo subito un "lavaggio del cervello". Non mi è venuto mai in testa di dover protestare pubblicamente contro le conseguenze dei bombardamenti. Mi avevano detto che erano necessari; apertamente i militari e implicitamente la mia Chiesa. Per quel che sapevo, non c'era un cardinale né un vescovo americano che si opponeva a questi bombardamenti massicci. In questo caso il silenzio, soprattutto il silenzio di un organismo pubblico quale è l'insieme dei vescovi americani, era equivalente alla approvazione. Tutta la struttura della società civile, religiosa e militare mi diceva che era giusto annientare i "gialli". Dio era con il mio paese, i giapponesi erano i nemici e io ero assolutamente convinto di quello che mi insegnava il mio paese e la Chiesa a proposito dei nemici. Non avevo bisogno di nessun testo teorico specialistico per esserne convinto. L'azione giornaliera dello stato e della Chiesa tra il 1940 e il 1945 dimostrava chiaramente quale doveva essere l'atteggiamento cristiano di fronte ai nemici e alla guerra più di quanto potevano dirlo S. Agostino o S. Tommaso. Io ero sicuro che quella distruzione di massa era giusta; ne ero talmente sicuro che non ho pensato mai a propormi il problema morale. Avevo subito un lavaggio del cervello, senza violenza o torture, ma semplicemente a causa del silenzio della mia Chiesa. Del silenzio e della cooperazione attiva in mille piccole cose con la macchina di guerra del mio paese. Ad esempio, dopo aver finito la scuola di cappellano ad Harvard, il vescovo di Boston del tempo, Mons. Cushing, ha benedetto il mio calice militare. Quale messaggio poteva essere più chiaro? C'è stato un "lavaggio del cervello" bello e buono.
- Allora, siccome non avete protestato contro la morale dei bombardamenti delle città e della loro popolazione civile, credete di essere moralmente responsabile di questi bombardamenti atomici?
- Infatti, un bombardamento al napalm, vicino Tokio, in una sera bruciarono 75.000 persone. centinaia di migliaia furono distrutte a Dresda, Amburgo e Coventry. La novità dei 145.000 esseri umani uccisi a Nagasaki stava solo nel fatto che là ci fu una sola bomba. Non aver parlato della deplorevole corruzione morale del massacrare dei civili, è stato, secondo me, un fallimento sia come cristiano che come prete. Hiroshima e Nagasaki sono capitati quando il mondo cristiano voleva proprio questo; tanto che poi ha preparato la coscienza a sfuggire alle responsabilità e a giustificare l'impensabile.
Sono sicuro che ci deve essere qualche documento che deplora la morte dei civili nella guerra moderna, e che quelli che hanno il potere nella Chiesa lo tireranno fuori per mostrare che la Chiesa aveva mantenuto una direzione morale chiara ai suoi fedeli durante la seconda guerra mondiale. Ma io l'ho vissuta e posso dirvi che nella Chiesa l'atteggiamento morale ed operativo era al massimo indifferente, silenzioso e connivente, se non sosteneva queste attività facendo leva sulla fede, benedicendo quelli che le facevano. Non dico questo per giudicare gli altri, perché non conosco la loro anima, né ora né allora. Lo dico come uno della gerarchia cristiana dell'epoca. Capite bene allora che il giorno del Giudizio finale io non cercherò tanto la giustizia. Solo la misericordia mi salverà.
- Voi dite che il bombardamento atomico di Nagasaki è capitato quando la Chiesa lo stava cercando? Che volete dire?
- Durante i primi tre secoli - i secoli più vicini ai tempi di Cristo la Chiesa era pacifista. Con Costantino, la Chiesa ha accettato l'etica romana della guerra giusta e ha cominciato a coinvolgere i suoi fedeli in nome dello stato; dopo in nome della fede. Cattolici, ortodossi e protestanti, per quante divergenze teoriche avessero, erano tutti d'accordo che l'insegnamento chiaro e senza equivoci di Gesù, sul rifiuto della violenza e sull'amore dei nemici, non bisognava prenderlo sul serio. Ogni confessione cristiana ha modificato, secondo giustificazioni teoriche diverse, l'insegnamento di Nostro Signore fino al punto di fare ciò che Gesù aveva condannato: rendere occhio per occhio, massacrare, storpiare, torturare. Mi sembra che fu inevitabile che diciassette secoli di terrore e di massacri cristiani ci abbiano condotti al 9 agosto 1945. Io ero l'erede, così come lo era il pilota cattolico dell'aereo di Nagasaki, di un cristianesimo che per diciassette secoli si è impegnato nella vendetta, l'assassinio, la tortura, la ricerca della potenza e della violenza; e tutto questo nel nome di Nostro Signore. Io prego affinché Dio ci perdoni per aver falsato l'insegnamento del Cristo e per aver distrutto il mondo che lui ci ha portato. Io sono stato cappellano militare là dove il processo storico, iniziato dal tempo di Costantino, ha raggiunto il suo livello più basso, quello attuale.
- Che volete dire quando parlate del livello attuale?
- In poche parole, che l'atteggiamento generale rispetto alla guerra, nella Chiesa e fuori, è cambiato di ben poco dal 1945. Le massime autorità delle chiese cristiane insegnano qualcosa che il Cristo non ha mai insegnato e neanche suggerito, cioè il principio della guerra giusta; un principio che mi sembra del tutto screditato, sotto l' aspetto teorico, storico e psicologico.
Per me, se le Chiese cristiane non si pentono e non cominciano a proclamare con le parole e con le azioni quello che Gesù ha proclamato sulla violenza e sui nemici, sarà inevitabile che la violenza e la distruzione aumenteranno senza limiti. Fino a quando l'appartenenza alla Chiesa non vorrà dire che un cristiano sceglie di non impegnarsi nella violenza qualunque sia la sua giustificazione, ma al contrario sceglie di amare, di aiutare, di perdonare e di pregare per tutti i nemici; fino a quando l'appartenenza alla Chiesa non vorrà dire che il cristiano non può essere militare americano, polacco, russo, inglese, irlandese ecc.; fino a quando l'appartenenza alla Chiesa non vorrà dire che un cristiano non può pagare le tasse per uccidere altri e fino a quando la Chiesa non dirà tutto ciò in un modo chiaro anche per l'anima più semplice; fino ad allora l'umanità non può aspettarsi che delle notti tenebrose di massacro. In una dimensione ancora sconosciuta per la storia, a meno che la Chiesa non riprenda l'insegnamento di Gesù in una maniera inequivocabile e senza tentennamenti, non sarà il lievito celeste (divino) nella "massa umana", così come dovrebbe essere. "La scelta è tra la nonviolenza o la non esistenza" ha detto M. Luther King, e lui non parlava e non parla in maniera figurata. Per la Chiesa e per la gerarchia delle diverse Chiese cristiane è il momento di mettersi in ginocchio e di pentirsi per aver falsato la parola di Cristo. La comunione con il Cristo non ci può essere quando si disobbedisce al suo insegnamento più chiaro. Gesù non ha autorizzato nessuno dei suoi discepoli a sostituire la violenza all'amore, né me, né Jimmy Carter, né il Concilio Vaticano e nemmeno il Consiglio Ecumenico.
- Padre Zabelka, quali sono le azioni immediate che voi vi augurate affinché la Chiesa divenga "il lievito divino nella massa umana'?
- La prima è insegnare a tutti i cristiani che ci sono nel mondo che l'insegnamento del Cristo, che è l'amore dei nemici, non è facoltativo. Nella mia vita, ho frequentato molte parrocchie, ma non ne ho trovata nessuna nella quale si domandasse esplicitamente all'assemblea di pregare per i suoi nemici. Io credo che questo sia essenziale.
La seconda azione che propongo rischia di farmi apparire disperatamente fuori dalla realtà. Suggerirei la necessità immediata di convocare un Consiglio Ecumenico il cui scopo preciso sia di dichiarare che la guerra è totalmente incompatibile con l'insegnamento di Gesù e che i cristiani a partire da questo momento non possono né partecipare né finanziare la guerra. L'effetto sarebbe quello di avvertire tutte le nazioni del pianeta che a partire da ora esse dovranno scannarsi senza la partecipazione dei cristiani, senza la partecipazione né fisica, né finanziaria né spirituale. Certamente ci sarebbero tanti altri problemi dei quali i cattolici, gli ortodossi e i protestanti vorrebbero discutere durante un Consiglio Ecumenico senza affrontare il duro insegnamento di Cristo sui nemici e sulla violenza. Ma mi sembra che i problemi come il primato di Pietro sono di gran lunga meno urgenti e distruggono molto meno la credibilità della Chiesa e del mondo di Dio che il problema della partecipazione dei cristiani alla violenza e al massacro o della loro giustificazione. Io credo che il fatto che la Chiesa continui a non annunciare chiaramente gli insegnamenti di Gesù distrugga quotidianamente la sua credibilità e la sua autorità negli altri campi.
- Credete che ci sia un minimo di probabilità che le diverse confessioni del cristianesimo si uniscano in un Consiglio Ecumenico per dichiarare che la violenza e la guerra non sono accettabili dai cristiani in qualsiasi circostanza?
Ricordatevi che l'ho detto che rischio di apparire irrealista. Ma d'altra parte quello che è impossibile agli uomini e alle donne è tuttavia possibile a Dio, purché la gente impegni un po' della sua libertà per cooperare un poco. Chi può immaginare che succederebbe se il Papa, il Patriarca di Costantinopoli e il Presidente del Consiglio Mondiale delle Chiese chiedessero unanimemente questo Consiglio? D'una cosa sono sicuro, che il Signore Nostro sarebbe contento se la sua Chiesa insegnasse di nuovo, senza equivoci, quello che lui ha insegnato, senza equivoci.


Obiezione del Cappellano militare

Ho capito, dopo sedici secoli, ho capito
che la croce sui labari dell'esercito romano
issata da Costantino a benedire la guerra
fu dissacrazione sacrilega, blasfema
di Cristo Crocifisso.

Segno di Amore supremo, infinito, la Croce
diventata incitamento al furore guerriero,
progetto divino di fraternità umana
trasformata in spada a versare fiumi di sangue.

E fu proclamata e predicata la guerra
giusta, santa e diventò crociata.

Lacrime e sangue di Cristo e di povero popolo
tradita nella fede di Dio Padre di tutti
nell'Amore di umanità famiglia di fratelli
nella Speranza di un sogno di pace universale

Stato e Chiesa, Chiesa e Stato
per bramosia di potere, di sacro Impero,
incontro e alleanza che ha consacrato
benedetto e santificato la guerra
cioè il delitto, l'assassinio, la strage, lo sterminio.

Ho capito: io sacerdote di Cristo
parola di fraternità, Vangelo per tutti
gli uomini, sotto lo stesso sole, figli di Dio,
ho capito che insieme
pace e guerra, pane e distruzione
vita e morte, fratelli e nemici
Sacramenti ed esercito, croce e stellette,
insieme sono equivoco sacrilego
davanti a Dio e inganno per la povera gente.

Io ho finalmente capito, per grazia di Dio,
Vescovo pastore delle forze armate
sacro generale di corpo d'armata,
ho capito e restituisco a vostra Eccellenza
le stellette di cappellano militare.

Le strappo di sulla mia coscienza di prete
perché la croce di Cristo soltanto
segni la missione del mio sacerdozio
annuncio e sacramento di pace
di fraternità umana, di Amore universale.

(dal teatro "Le ombre di Hiroshima")

Questa lotta per la pace contro la guerra e particolarmente contro la guerra nucleare, è stata realizzata il 14 maggio a Viareggio. con ottimo successo.
Il gruppo teatrale A.R.C.A. dichiara la sua disponibilità. I gruppi pacifisti che desiderano utilizzare questa forma di lotta e di coscientizzazione popolare che è il teatro, possono mettersi in contatto con don Sirio.

Convegno Naz.le Nonviolenza e mondo del lavoro

Viareggio 13-16 maggio 1983

Con la partecipazione di circa 300 persone si é svolto a Viareggio il Convegno Nazionale promosso dal MIR e dal MN sul tema "Nonviolenza e mondo del lavoro", convegno preparatorio dell'assise Nazionale dell'Area Nonviolenta Italiana. Il Convegno, riuscito sotto tutti i punti di vista, é stato certamente un importante momento di riflessione collettiva sul senso della nonviolenza come programma politico e sociale, come scelta di vita quotidiana. È stato anche un momento di impegno e su proposte concrete, uscite dal dibattito espresse nel documento conclusivo. L'invito esplicito a dare indicazioni sia per l'impegno collettivo dei movimenti, sia per le scelte dei singoli è stato recepito: le commissioni, che hanno alacremente lavorato, hanno dimostrato una notevole convergenza e complementarietà. Spetta ora all'area nonviolenta, in particolare ai movimenti promotori del Convegno, di recepirne lo spirito e di renderlo operativo, dimostrando quella sensibilità, oramai diffusasi e resasi necessaria su questi temi. All'interno del Convegno, si é realizzata una mostra di prodotti artigianali (con pannelli illustrativi di esperienze come comunità, cooperative ecc.) che ha presentato, modestamente, alcune esperienze avviate negli ultimi tempi nell'area nonviolenta. Non é stato un momento "celebrativo" del prodotto artigianale contrapposto assolutisticamente al prodotto industriale ma, un modo di proporre concretamente un vero nuovo modello di sviluppo, cogliendo le implicazioni energetiche, occupazionali, politiche dei due diversi modi di produrre.
Infine grande successo ha ottenuto la rappresentazione teatrale del gruppo di Don Sirio Politi, incentrata sulle problematiche della pace, dell'Obiezione di coscienza, dell'Obiezione fiscale, del disarmo ecc. che ha animato la serata di sabato e ha stimolato il pubblico presente ad un vivace dibattito. Si ringrazia inoltre l'Amministrazione Comunale di Viareggio per il patrocinio e il sostegno dell'iniziativa.
Un passo importante é stato compiuto, anche grazie a questo convegno, per la costruzione di un programma politico nonviolento. Ora si tratta di continuare.
Il gruppo organizzatore MIR-MN


Documento conclusivo
- Esiste un modo di dire che circola nell'area alternativa americana: "Una visione senza azione ed una azione senza visione sono ugualmente impotenti, ma insieme possono fare miracoli". Con il Convegno Nazionale "Nonviolenza e mondo del lavoro", svoltosi a Viareggio il 13/14/15 Maggio 1983 e promosso dal MIR e dal Movimento nonviolento, in preparazione dell'Assise dell' Area nonviolenta italiana, si sono mossi i primi passi in questa direzione.
A) Da una parte abbiamo analizzato gli effetti del modo di produzione industriale, che nel mondo Occidentale si sostanziano nei rapporti di produzione capitalistici, nelle due dimensioni principali de:
- LA SOPRAVVIVENZA: Oggi la semplice sopravvivenza é messa in pericolo dalla corsa agli armamenti nucleari e convenzionali, generalizzatasi da una parte e dall'altra, dall'esaurimento delle risorse naturali e dall'inquinamento diffusosi ovunque.
- L'EQUILIBRIO: Se la vita di una collettività dovrebbe essere caratterizzata dall'equilibrio nei confronti dell'ambiente e delle altre collettività, oggi vediamo come la nostra ideologia e il nostro modo di produzione industriale, che abbiamo creduto risolutivi di tutti i problemi, hanno prodotto allucinanti fratture fra noi e il III° mondo e all'interno dei nostri stessi sistemi. Nei confronti del III° mondo vediamo che il nostro livello di vita, la nostra ricchezza é garanzia della loro povertà. Al nostro interno vediamo che questa ricchezza non ha portato ad un reale miglioramento della qualità della vita, se non in alcuni aspetti parziali. Ciò é reso evidente dalla presenza nella nostra società di "scarti" (secondo la mentalità comune) come:
- Anziani, handicappati, disoccupati, vecchi contadini e artigiani, emarginati...
- Terre abbandonate, materie naturali rifiutate e rifiuti non riutilizzati, beni abbandonati...
In questa situazione l'analisi della sinistra tradizionale ci sembra largamente insufficiente in quanto mette in discussione solo i rapporti di produzione capitalistici ma non il modo di produzione industriale in se. Per questi motivi ci sembra che una proposta di azione politica efficace, adeguata alla portata dell'attuale crisi, possa venire dalla convergenza degli specifici dei movimenti per la pace e nonviolenti, dei movimenti ecologici e dei movimenti di volontariato sia a livello locale che internazionale.
B) Dall'altra parte il convegno indica le maniere per trovare e praticare vie d'uscita fin da adesso, a livello personale e politico, partendo dalla dimensione del lavoro che ci lega al mantenimento di questa struttura sociale. per una sua globale riappropriazione.
- Primo strumento l'obiezione di coscienza, in quanto patrimonio storico dei nostri movimenti, intesa in senso generale e esistenziale, per una maggiore responsabilizzazione e conoscenza del fine del proprio lavoro e dei mezzi con cui lo si compie. La professionalità è da intendersi in questo senso e non come gerarchizzazione degli operai in fabbrica. Dobbiamo essere attenti alle persone in crisi che sono alla ricerca di alternative al proprio lavoro. In questo senso si propone all'assemblea degli obiettori l'utilizzo di parte dei fondi per il sostegno economico degli operai che obiettano almeno all'industria bellica e nucleare civile, militare. Inoltre si propone la costituzione di una banca di dati che raccolga tutte le esperienze in questo senso.
Dopo il momento dell'obiezione di coscienza vi é la necessità della sopravvivenza quotidiana e della proposta politica alternative. Il convegno individua nell'artigianato e nell'agricoltura i terreni preferenziali dove sviluppare possibili vie d'uscita.
- Nel campo artigianale sottolineiamo la necessità di modificare legislative soprattutto nel campo dell'apprendistato, che oggi è reso estremamente difficoltoso sia per chi vuole apprendere (limiti d'età per essere considerato apprendista, difficoltà a trovare persone disposte ad insegnare ecc.) sia per chi vuole insegnare (contratti di lavoro molto alti, soprattutto per i piccoli artigiani ecc.). Inoltre è necessario che si considerino artigianali attività produttive, non in base al numero degli addetti ma in base alla tecnologia impiegata, e che si educhino le persone all'utilizzo e al consumo del prodotto artigianale, cercando di limitare i costi, non solo come oggetto ornamentale ma anche nei bisogni primari. Si propone la creazione di centri sociali per l'insegnamento del lavoro artigianale che garantiscono la sopravvivenza economica di chi vuole apprendere.
- Nel campo agricolo é necessario facilitare l'impiego dei giovani modificando le leggi di affitto della terra e di compravendita. Rivalutare le terre abbandonate contrastando la tendenza attuale che vede nella terra in pianura l'unico luogo di utilizzabile e qualificare l'attività agricola almeno in senso biologico. Anche in questo caso vi è la necessità di educare le persone al consumo del prodotto naturale. Inoltre legare insieme l'attività agricola a quella artigianale inserendole in una scelta di vita più ampia; riallacciarsi alle conoscenze delle culture precedenti rinnovandole. Individuare i prodotti locali che possono essere prodotti e venduti sul posto.
Anche se alla luce di valide e giuste motivazioni, cominciare attività alternative all'interno delle attuali strutture economiche comporta, pur avendo accettato il principio della semplificazione dei bisogni, enormi difficoltà di sopravvivenza. È necessario che fra le esperienze alternative singole e di gruppo, esista un coordinamento pratico e un sostegno economico.
- Si é deciso di costituire a questo proposito un fondo di rotazione economico avente figura di Soc. di Mutuo Soccorso o Soc. Cooperativa. In via prioritaria è rivolto verso coloro che intendono obiettare al lavoro nell'industria bellica e nucleare, in generale intende promuovere e finanziare l'attuazione di progetti di obiezione e di alternativa al sistema nel suo insieme. Questa soc. viene promossa in area nonviolenta ma è aperta a tutti coloro che ne condividono i fini e le norme. Essa funzionerà come struttura economica di una più vasta area di cui: la RETE di AAM-Terra Nuova costituisce servizio di coordinamento e scambio, la Soc. Mutua per l'autogestione di Verona servizio iniziale di consulenza.


Digiuno per la vita

Il giorno 6 agosto 1983 avrà inizio in diverse città e luoghi del mondo un digiuno nonviolento gandhiano (di sola acqua) a durata indeterminata per ottenere l'effettivo congelamento degli armamenti nucleari, come da tempo richiesto da gruppi, esponenti e da milioni di persone del movimento internazionale per la pace.
Già nel 1980 Charles Gray (professore universitario statunitense che dagli anni del Vietnam ha abbandonato l'insegnamento per dedicarsi completamente alle attività pacifiste) avanza la proposta di un digiuno a "durata aperta" come strumento di lotta nonviolenta, per realizzare il primo passo verso il disarmo. Il 1983 è l'anno cruciale in cui si decide quale strada imboccare: l'escalation verso la guerra nucleare o l'inizio di un processo di disarmo.
I centri di digiuno saranno Parigi: partecipanti Solange Fernex (Movimento "Donne per la Pace"), Didier Mainguy (movimento ecologista e MIR di Francia), Michel Nodet (comunità dell'Arca), Jacky Guyon (nonviolento cristiano) e San Francisco: Charles Gray e sua moglie Dorothy Granada (Clergy & Laity Concerned), Kojima (monaco buddista giapponese), André Larivière (comunità dell'Arca, movimento per la pace canadese).
Il gruppo di San Francisco sarà ospite, dal 6 al 9 agosto, del Concilio Mondiale delle Chiese a Vancouver (Canada).
Questo che segue è il testo dell'appello redatto in un incontro fra i digiunatori tenutosi in Aprile alla comunità dell'Arca di Bonnecombe (Francia).
Bonnecombe, 24 aprile '83

APPELLO
Se la corsa agli armamenti nucleari non si arresterà prima del 6 agosto 1983 anniversario di Hiroshima, 8 o più persone di diverse nazionalità cominceranno un digiuno di durata indeterminata.
Più della metà della popolazione conosce l'oppressione, la miseria e la fame, dal momento che i paesi ricchi spendono somme enormi per una corsa agli armamenti nucleari sempre più pericolosa. Di fronte a questa situazione intollerabile:
- milioni di persone hanno manifestato per il disarmo nucleare e la pace nell'82 e nell'83.
- 90 milioni di firme sono state presentate il 9 giugno 1982 al segretario generale delle Nazioni Unite nel corso della seconda sessione speciale sul disarmo.
- il 13 dicembre 1982 all'ONU, 122 paesi su 159 hanno votato una risoluzione che chiede indistintamente a tutte le potenze di congelare sia il loro arsenale nucleare, sia la produzione di materiale fissile a destinazione militare.
- la dichiarazione finale del vertice dei 101 paesi non-allineati (Nuova Delhi, 12.3.'83) ha insistito sulla necessità urgente di un blocco della sperimentazione, produzione, accumulazione e installazione delle armi nucleari.
Con il digiuno, noi aggiungiamo la nostra voce alla richiesta urgente che la grande maggioranza dei cittadini e dei governi rivolge alle cinque potenze nucleari (USA. URSS, G.B., Francia, Cina) affinché congelino l'armamento nucleare. Noi rispondiamo alla più alta forma di violenza con il digiuno, che Gandhi definisce la più alta forma di nonviolenza.

APPELLO ALLE PERSONE
Noi abbiamo assistito allo scacco dei governi sui negoziati internazionali sul disarmo. Ora sta alle popolazioni di elevare una voce forte e unita per dire che non accetteranno nulla che non sia almeno un immediato blocco della corsa agli armamenti nucleari.
Noi chiamiamo ogni persona desiderosa di preservare la vita ad intraprendere azioni, le più forti e immediate di cui è capace, come manifestazioni, diffusione di petizioni, partecipazione ad azioni di disobbedienza civile e digiuni di sostegno.

APPELLO ALLE ISTITUZIONI
Noi chiamiamo anche tutte le Chiese, organizzazioni professionali, politiche, umanitarie e altre, a prendere una posizione chiara a favore di un congelamento nucleare e ad organizzare azioni per ottenerlo realmente.

APPELLO AI GOVERNANTI
Noi chiamiamo i governanti ad ascoltare l'appello dei popoli del mondo a non attendere più che gli altri facciano il primo passo verso l'arresto della corsa agli armamenti nucleari, ad accogliere positivamente le iniziative delle altre nazioni e a prendere le misure immediate e concrete che si impongono.
Noi consideriamo come assolutamente prioritarie le due misure seguenti:
1 - a) la non installazione da parte della NATO o degli USA dei Pershing e dei Cruise in Europa e altrove;
1 - b) il rifiuto o il riesame da parte degli stati non nucleari del loro accordo per l'installazione di questi missili sul loro territorio;
1 - c) lo smantellamento degli SS 20 sovietici.

2 - il blocco da parte di tutte le potenze nucleari delle sperimentazioni atomiche e la firma di un trattato di interdizione di tutte queste sperimentazioni e di veicoli mobili di lancio.
Noi consideriamo significative altre misure come:
1 - l'iniziativa da parte di tutti i governi di esigere dalle potenze nucleari l'applicazione delle risoluzioni dell'ONU che chiedono un congelamento multilaterale o bilaterale degli armamenti nucleari e dei loro sistemi mobili.
2 - una moratoria da parte delle cinque potenze nucleari che riguardi lo sviluppo, la sperimentazione, la produzione e l'installazione delle armi nucleari.
3 - l'abbandono da parte della Gran Bretagna del programma Trident.
4 - il voto da parte del Congresso Americano di una risoluzione in favore di un congelamento nucleare e della soppressione della spesa militare corrispondente.
I governi devono prendere queste o altre misure concrete e immediate che permettano di uscire dall'ingranaggio della corsa agli armamenti nucleari.
Tutti noi non possiamo sopravvivere a lungo sotto questa minaccia nucleare, se popolazioni, istituzioni e governi non agiranno, presto e in modo significativo, verso il blocco della nuova corsa agli armamenti. Quando si verificheranno tali avvenimenti, ne gioiremo e porremo fine al nostro digiuno.

Il digiuno per la vita in Italia
In Italia già alcune persone e organizzazioni hanno dato il loro sostegno. Fra queste hanno aderito il Campo Internazionale per la Pace di Comiso, l'Assemblea nazionale dei Comitati per la Pace e il CUDIP di Comiso; appoggiano l'iniziativa il Movimento Nonviolento, il MIR e la LDU. Si è già costituito un gruppo di digiunatori a tempo determinato: Lorenzo Porta (LOC), Tonino Drago (MIR), Enrico Euli (IPC), Stefano Benini (MN). Renato Pomari (MIR), Rita Sanvittore (Mov. Cristiano per la Pace), Giacomo Cagnes (CUDIP), e altre adesioni stanno arrivando.
Ti chiediamo di comunicarci che tipo di impegno tu stesso, il tuo gruppo, associazione, partito, intende assumersi: propaganda, sostegno finanziario, assistenza ai digiunatori (lettere, rapporti con la stampa, pubbliche relazioni), digiuni di sostegno. Vi invitiamo a mettervi in contatto con: Stefano Benini, c/o Centro per la Nonviolenza - via Milano 65 - 25128 Brescia - tel. 030/317474 o Antonino Drago, via Briganti 412 - 80141 Napoli- tel. 081/7803697 o Lorenzo Porta, c/o Campo Int. per la Pace - via G. Morso 29 - 97013 Comiso (RG) - tel. 0932/966319


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