In una riflessione alla luce del Vangelo su povertà e pace impressiona e sgomenta il misterioso parallelismo dei due valori. La pace è possibile unicamente se inquadrata in un progetto di povertà. Ed è in un apprezzamento chiaro, serio, libero di povertà che possono aprirsi e diventare promettenti, ipotesi di pace.
Logicamente è anche vero il contrario e cioè che la ricchezza (economica, culturale, di potere...) è l'equivalente della concorrenza, della conflittualità, della guerra. Come è ugualmente vero che la guerra nelle sue maledette radici, nelle cause che la provocano, è sempre stata e sarà scatenata dalla ragione economica, dalla ricchezza, dall'insaziabilità del potere.
Non è certamente vaneggiamento spiritualistico, misticheggiante, affermare che povertà sta alla pace come la ricchezza sta alla guerra. Equivalenza, povertà e pace, disgraziatamente per l'umanità, mai esperimentata nella storia, quella a livelli di rapporti individuali, collettivi, universali. Un'utopia palpitata nel cuore di Dio e resa progetto concreto da Gesù Cristo e da chi come lui è stato affascinato dal sogno di una umanità diversa.
Mentre invece tutta la violenza del convincimento dell'umanità, é stata giocata nell'equivalenza, ricchezza e guerra, con un'attualizzazione storica incessante, senza un attimo di respiro, nonostante che la narrazione storica sia racconto di oceani di sangue, di vastità smisurate di orrore, di cimiteri sterminati di morte.
Proporzione matematica, ricchezza e guerra, che non soltanto il cammino della civiltà umana non ha gradatamente, per l'orrenda esperienza, smentito e finalmente respinto, ma ormai condotto all'esasperazione più spietata e disumana, fino al punto che il connubio diabolico della ragione economica e della guerra, sta preparando e perpetrando l'annientamento dell'umanità.
La povertà cioè il non affidare e consegnare alla ricchezza, ai valori materiali, terreni, la dignità dell'essere umano, i criteri di convivenza sociale, è sempre più assurdità inconcepibile e inaccettabile. Quindi la pace cioè il non affidare e consegnare alla guerra, al potenziale militare, all'intrallazzo politico e all'affarismo economico, la serenità individuale, la fraternità collettiva, il rispetto vicendevole fra i popoli, è stupidità culturale, politica, ingenuità popolare inattendibile, immeritevole di qualsiasi attenzione e apprezzamento.
È realmente difficile capire e accettare, in questo nostro tempo nel quale la sopravvivenza della vita umana è appesa ad un filo che sembra assottigliarsi ad ogni giorno che passa, come e perché la pace sia un'impossibilità concreta, reale, storica.
Forse ad una maggiore, profonda comprensione di questa impossibilità non solo di pace ma anche semplicemente di non guerra e di non guerra nucleare, può soccorrere una serietà di analisi nei confronti della sconsiderazione, dello scadimento totale della povertà: deprezzamento fino alle misure dell'assurdità più assoluta.
Questo vuoto religioso, culturale, sociale, determinato dalla respinta della povertà nella condizione di male di negatività, di non umanità, ottiene semplicemente un rimpiazzo, un riempitivo sovrabbondante, incontenibile, incontrollabile e cioè quello della ricchezza, dell'arricchimento, della capitalizzazione ecc.
La povertà è un male, la ricchezza è un bene e sempre più un bene assoluto, al di là e al di sopra di ogni e qualsiasi valutazione e importanza.
L'uomo è uomo proporzionalmente al valore e alla misura della sua entità economica.
Un popolo è un popolo al quale qualsiasi diritto appartiene, in base e in forza dei livelli di strapotenza della sua economia.
Ormai il nostro tempo ha finito di gettare le basi e d'innalzare, sul piedistallo del potere economico, il vitello d'oro. L'idolatria del denaro è un fatto compiuto e le liturgie sono tutte codificate e celebrate con straordinaria devozione.
Contemporaneamente il nostro tempo sta capitalizzando all'est e all'ovest l'oltre misura del potenziale già sovrabbondante per la distruzione dell'umanità.
La distruzione estrema appartiene all'assolutizzazione della ragione economica, della ricchezza. La corsa all'aggravarsi, ad ogni giorno che passa, dello scontro economico, del potere politico, rende inevitabile lo scontro nucleare.
E è tragicamente ridicola l'implorazione "ai reggitori dei destini dei popoli perché desistano dalla corsa agli armamenti specialmente nucleari" se insieme e prima ancora non si cerca con ogni mezzo di distogliere l'umanità dall'adorazione del vitello d'oro e cioè dall'impazzimento dell'assolutizzazione della ricchezza, della potenza economica, della volontà di asservimento al proprio egoismo, individuale e di popoli, di tutto quello che produce e può produrre denaro.
La salvezza della dignità dell'esistere umano prima di tutto e quindi ormai della sua stessa sopravvivenza, in un'analisi alla luce della Fede (e a quale luce noi credenti dobbiamo leggere i segni dei tempi?) risulta sempre più evidente che possa dipendere dalla evangelizzazione e cioè dalla seria, responsabile, autentica evangelizzazione della povertà.
L'annuncio delle Beatitudini, questa sintesi del messaggio di Gesù Cristo e della sua scelta di esistenza storica, dalla stalla di Betlem alla croce del Calvario, non è certamente per fare del devozionalismo. È la Parola che offre l'alternativa alla perdizione dell'umanità andata realizzandosi, di secolo in secolo, lungo la via del progredire della civiltà e cioè del potere economico, culturale, politico e ovviamente militare.
Ecco, siamo all'orlo dell'abisso: ci stiamo girando intorno e pare che il richiamo sia irresistibile. Forse é arrivato il tempo in cui la Parola di Gesù Cristo potrebbe e dovrebbe essere considerata seriamente.
Il terribile, lo sconcertante è che questa Parola è l'equivalente della povertà.
E della povertà (anche soltanto intesa come non accumulo della ricchezza, del potere, del dominio...) è assolutamente assurdo e quindi impossibile anche soltanto parlarne.
Perché parlarne dai troni del potere è svalutazione della pace, strumentalizzazione, merce di scambio. Compra-vendita. Propaganda-sfruttamento. Equivoco, menzogna. Fino a diventare ed essere la pace motivo di guerra o l'eterna orrenda giustificazione della guerra.
Perché ormai per parlare di pace bisogna essere degni. E cioè "non avere due tuniche, due calzari, né oro, né argento, né rame nella cintura". E insieme tutta l'inesauribile, immensa, splendida libertà, di alzarsi e di andarsene, di dove (e qual'è questo luogo, oggi?) la pace è impossibile che riposi. "Andarsene fino a scuotere la polvere dai sandali".
Questa evangelizzazione la Chiesa, la cristianità, non soltanto non la sta facendo, non la può fare, gliene manca la Fede e la libertà.
Anche la Chiesa non crede nella povertà e nella libertà esclusivamente legata, un tutt'uno, con la povertà. La Chiesa quindi parla e parla e parla di pace ma è come se non ne parlasse. Semplicemente perché le parole non sono la Parola.
E ormai è chiarissimo, come la luce del sole, che o la pace sarà la pace secondo la Parola, o pace non sarà. E adesso non pace vuol dire l'inimmaginabile.
La povertà dalla quale unicamente può fiorire la pace ("non si raccoglie l'uva dai rovi né i fichi dalle spine") è storicamente impossibile, è assurdità anche soltanto il sognarlo.
Ma sta avvenendo qualcosa di ancor più assurdo, pazzesco, il rovesciamento micidiale dei valori: ciò che più è povero, povertà assoluta è proprio la pace.
La pace è la bava che sbavano tutti. Lo straccio con cui si puliscono la bocca. Il ritrovato per l'imbonimento popolare. La parola da gettare in pasto alle folle per conquistarne la simpatia. Per convincere di un senso umano, di una missione apostolica, di una passione patriottica...
E nel frattempo la pace è il prezzo del terrore universale. La distruzione del mondo per poter sperare possibilità di pace.
E l'alternativa orrenda ha creato i signori, i padroni della pace e della guerra: è per via della pace, a causa, per amore della pace che le due centrali del potere economico, politico, militare, scientifico, ideologico ecc. decidono della sopravvivenza o dell'annientamento dell'umanità.
Fino al punto che della pace e perfino della sua speranza sono stati depredati i popoli: ugualmente quelli dell'est e quelli dell'ovest.
Perché per la pace i popoli dell'area del Patto di Varsavia non contano niente. E non possono fare nemmeno manifestazioni. Ugualmente i popoli dell'area della Nato per la pace non contano niente nonostante che facciano e appassionatamente manifestazioni per la pace.
Povertà suprema della pace: è totalmente proprietà dei signori della guerra.
Nel tempo della guerra nucleare è sempre più chiara la Parola: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace, non quella che dà il mondo...".
È vero: la sua è la pace di Dio.
L'altra è quella degli uomini... sembra proprio che unificazione della pace di Dio e della pace degli uomini sia ormai impossibile per l'impossibile conciliazione fra povertà e ricchezza.
Molti amici mi hanno parlato, telefonato, scritto ringraziandomi per la gioia che banno provato a leggere il mio libro "ANTICO SOGNO NUOVO": è chiaro che ne sono profondamente felice. Sono contento se questi miei 'sogni" possono essere di aiuto per chi cerca e a volte con penosa, sudata fatica, una sincerità di vita umana e tanto più cristiana, in questo nostro tempo nel quale anche un semplice tentativo di fedeltà richiede pagamento di prezzi spesso pesanti. E per questo coraggio e rischio anche il sognare può essere motivo, spinta, provocazione, aiuto...
Molti amici mi hanno scritto o telefonato che non trovano il libro nelle librerie della loro città... Me ne dispiace e giro il lamento all'Editore. Io, è chiaro, non ho un deposito.
L'indirizzo dell'Editore è: Piero Gribaudi - Corso Galileo Ferraris, 67 - 10128 TORINO.
Chiediamo scusa agli amici di Arturo del ritardo in cui leggeranno le sue lettere: non sempre è
possibile avere pronto il letto del fiume nel quale fare scorrere le acque di sorgente che sgorgano dal cuore di Arturo: acque che spesso sono fiumana incontenibile...
Il ritardo poi pensiamo che non abbia particolare importanza: le lettere di Arturo, pur essendo estremamente concrete, sono oltre il tempo, colgono veramente momenti e problemi, valori e progetti senza tempo: hanno soltanto bisogno di accoglienza, nella Fede e nell'Amore, a cuore aperto.
Settembre '83
Carissimi Amici,
ho trascorso l'ultimo settembre nell'altra America, l'America opulenta. Dirò fra parentesi che ho goduto New York come mai mi era capitato: l'ho sentita come percorsa da un'aria latina; mentre la stampa stillava odio contro i russi banditi che avevano abbattuto l'aereo coreano, io scoprivo la speranza nella Washington Square dove si parla spagnolo, arabo, indiano, cinese, e dove la gioventù fa a pezzi il puritanismo di una società che decide di condannare un giocatore di golf che colpisce una cicogna che sorvola il campo, e decide di preparare armi chimiche per lo sterminio dell'umanità. Mi decise ad accettare il ripetuto invito di un'organizzazione canadese i cui dirigenti sono miei amici, un po' la convinzione che, per conoscere bene la propria casa, bisogna fare ogni tanto un giro all'e-sterno e guardarla dal di fuori; un po' il desiderio di rivedere amici argentini cui mi sento fortemente legato. Il liberalismo borghese della società americana ha indubbiamente degli aspetti piacevoli: ve-nendo dall'America latina dove si deve esibire la cedola d'identità per salire su un bus e,fra poco, per entrare in un bar, lo scoprire che le minoranze etniche hanno diritto di esprimere la loro identità nelle feste, nel linguaggio, nei costumi, è molto piacevole. Ma quando uno scopre la emarginazione economica e sociale di queste minoranze si rende conto che il liberalismo che fu la conquista delle generazioni passate, si è congelato nel simbolo della statua della libertà.
In una famiglia argentina che condivise con noi le fatiche, gli affanni e le speranze della fraternità, rivissi una volta di più l'esperienza di come la gioia dell'amicizia può rinverdire il deserto dell'esilio.
Sul partire l'amica argentina chiede alla figlia di sette anni di darmi un ricordo. Laura si ritira nella sua cameretta e dopo un po' torna con un disegno che prelude la sua carriera di pittrice. Questo talento infantile, mi fa celare nella mia assoluta incapacità artistica; colpa della nostra formazione astratta a una sola dimensione. Il disegno rappresenta due soldati forniti di una mitragliatrice dalla cui bocca escono parecchi bang bang bang di un rosso vivo. l due sparano su un bersaglio comune che sta nel mezzo, il mondo. Sotto gli stivali dei due personaggi sta scritto rispettivamente USA e URSS. Probabilmente Laura deve alla sua trascultura questa imparzialità strategico-politica. Sul mondo volteggia un angelo che porta la striscia tradizionale come su tutti i presepi, con le parole peace no war. Mi pare curioso e un po' fuori tema un altro piccolo mondo alla destra in basso del foglio: pare una palla abbandonata in un angolo dopo il gioco. Sarà la speranza di un nuovo mondo di ricambio finito il gioco dei due tiratori?
Nel barrio di Caracas (ormai sapete che barrio è quartiere popolare povero) un maestro ha assegnato come compito ai bambini di rappresentare il loro ambiente. Ventinove disegni su trentacinque rappresentano la polizia che invade il barrio e spara sulla gente. Scendendo dalla fraternità per il centro di Caracas, in un taxi collettivo mi alzo trepidante per difendere la testa di un bambino che sta per sbattere contro una traversa di ferro. Il sorriso ironico della mia vicina di posto mi fa rinvenire che si tratta di una testa di plastica. Forse in quel momento riflettevo sull'aria di violenza che entra per tutti i pori, e quel bambino al naturale mi parve l'apparizione di un fantasma. Mi trasmise l'immagine di un mondo svuotato di vita che continua ad esistere come una casa abbandonata che custodisce appese alle pareti le immagini degli antichi abitanti. Ho ripensato alle bambole antiche le puppattole come le chiamava il nostro popolo toscano che volevano ricordare i bambini veri quelli che piangono respirano poppano e fanno il resto e nello stesso tempo ne marcavano la differenza, mostrando che la vita è vita ed è inimitabile. Questa imitazione perfetta del bambino iperalimentato e di apparenza felice, senza vita, mi apparve come il segno della nostra insensibilità pedagogica e una rinunzia a quella riverenza che gli antichi ci raccomandavano di conservare verso i bambini. Siamo incapaci di trasmettere ai bambini il senso reale della vita nella quale radica finalmente la gioia di vivere e l'entusiasmo di proiettarsi nel futuro. Il neonato di plastica simboleggia la nostra rassegnata accettazione della morte travestita da bambino, il demonio travestito da angelo di luce. È uno dei tanti segni che la società consumistica ha sradicato la capacità di critica e ci ha rapito per sempre il tempo e la possibilità di valutare da un punto di vista pedagogico e politico, gli oggetti che scegliamo. Ci vengono messi fra le braccia come questo mostruoso bebè, tanto più mostruoso quanto più perfetto nella imitazione del vero bebè. Non ci resta nessun spazio per riflettere su quello che conviene per formare una generazione meno distruttiva di quella che oggi ha in mano il potere di decidere. Sarebbe possibile sopportare quest'ora di angosciosa incertezza se fossimo capaci di semina re la speranza là dove può dare i suoi frutti.
In questo tempo ho lasciato Caracas per un tempo di meditazione che ho iniziato nel sud del Brasile con due amici sacerdoti con cui mi propongo di ripensare il nostro cammino in America latina. Cerco di difendere per lo meno fino a Natale questo tempo di stabilità, dopo tanto viaggiare. Il pessimismo che forse avete colto nelle mie osservazioni precedenti non mi porta a ritirarmi dalla scena e a prendere la decisione di mettermi fuori del tiro di una possibile esplosione atomica. La mia decisione é altra ed é stimolata dalle parole di Paolo: - guai a me se non evangelizzo - Il Signore sa che non voglio abbandonare il suo progetto cui ho legato la mia vita e in cui continuo a credere fortemente, di riconciliare gli uomini e le cose. Ma sento il bisogno di silenzio e di preghiere per aumentare il potenziale di speranza che é il contenuto della evangelizzazione. Siamo in una comunità contadina che offre il vantaggio di esigere tradizionalmente una predicazione in dialetto tedesco che tutti comprendono e che io non imparerò certamente, così l'ufficio pastorale é riservato a Sergio uno dei tre, e noi possiamo dedicarci ai "pensieri contemplativi". Spero per Natale potervi inviare ancora le mie riflessioni; sarete contenti di sapere che nel silenzio e nella calma si ripensano più facilmente le antiche amicizie e si ripensano con una intensità che il ritmo di lavoro a volte diluisce e disperde. E con questo rinnovato affetto vi abbraccio.
Arturo
Dicembre '83
Miei cari Amici d'Italia:
Spero di arrivare in tempo per augurarvi un buon Natale; ma sapete che, anche se non lo esplicito, sono con voi sempre nella preghiera e nel ricordo, specialmente quando le ricorrenze festive ci riportano alle persone cui siamo legati per sempre. Nell'anno 1983 ho sentito in me un invito irresistibile di inviarvi un regalo, un piccolo libro in cui ho cercato di rifare il mio cammino di fede. Perdonatemi se ho la presunzione di definirlo regalo; ma se giudico dalla sofferenza che mi è costato e dalla passione che vi ho messo, non posso non sentirlo come un dono. Ho trovato il coraggio di andare in fondo pensando a voi che avete il diritto di sapere a che punto è la mia fede, perché vivendo avvenimenti drammatici, che sfidano continuamente la nostra speranza, dobbiamo chiederci se ancora stiamo in piedi decisi ad andare incontro al tempo che viene, con coraggio.
Forse questo libro conterrà passaggi oscuri perché confesso che è il meno elaborato dei miei libri, che non peccano di eccessivi ritocchi. La ragione non va ricercata tanto nella mancanza di tempo, quanto nella difficoltà che trovo nel ritornare a freddo sul momento di grazia e di entusiasmo che mi ha spinto ad aprirmi senza pudore. Non so quale sarà il titolo del libro perché lascio all'editore la libertà di scelta e tutte le operazioni maquillage che faranno apparire le pagine meno selvagge.
Questo dono che vi ho inviato sul finire dell'anno è per me motivo di gioia perché "un uomo é nato" come dice il Vangelo, anche se è un uomo destinato ad essere povero e un po' marginalizza-to. Ma in questo anno che muore sono più numerosi e profondi i motivi di tristezza che tutti condividiamo, e che il rumore di tutti i sacerdoti del consumismo non riescono a ricoprire. Pesa sull'umanità la minaccia di un terribile diluvio ardente, non mandato da Dio: forse mai Dio ha pensato di castigare l'umanità, siamo noi che lo abbiamo incolpato delle nostre decisioni deliranti, e oggi non siamo meno irresponsabili di ieri. La mia grande sofferenza si concentra sul Nicaragua, non solo perché mi sento latino-americano di adozione, ma anche perché vedo in Nicaragua come lo svelarsi del dramma storico che stiamo vivendo. La Chiesa vi giuoca un ruolo tristissimo ed è fatale questa cecità della Gerarchia che favorisce, senza lasciare ombra di dubbio, l'aggressione americana che arriverà a spegnere nel sangue tutte le speranze di questo popolo coraggioso che stava entrando in una epoca veramente nuova della sua storia . Certo i semi che i suoi martiri hanno affidato alla terra non moriranno, ma a noi tocca vedere questa stagione di morte. Un segno chiaro è l'opposizione della Chiesa alla coscrizione militare obbligatoria. Nei paesi capitalisti la Chiesa che io sappia, mai si é schierata chiaramente dalla parte della disobbedienza civile.
Lo fa solo contro un piccolo popolo aggredito da un gigante, e questo è immensamente triste. La scelta del Nicaragua mostra chiaramente la Chiesa dalla parte del capitalismo e dell'imperialismo americano. Non può riscoprire questa scelta col pretesto abusato di difendere la dottrina, perché questo popolo che si presenta a tutti quelli che lo conoscono nella sua semplicità affascinante, sa solamente "ciò che la Parola ha incorporato alla sua esperienza di fede, cioè che non bisogna temere quello che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima, e che nessuno ha amore più grande di chi da la propria vita per i suoi amici" come scrive Raniero La Valle.
La vera grande sofferenza di noi che viviamo con i poveri e che scopriamo i loro valori, è costatare giorno per giorno che non sono ascoltati nella Chiesa come non sono ascoltati nella società politica, senza differenza alcuna. Sono oggetto di beneficenza, non soggetto della storia. Il Papa ha indicato nella solidarietà con loro il cammino per "fare la Chiesa dei poveri"; ma se questa solidarietà si trasforma in elemosina, in assistenza, in beneficenza imputridisce e invece di essere quel valore umano e divino che salva la storia, si unisce a tutti gli antivalori che minacciano le nostre speranze. La Chiesa ha fatto sua questa parola solidarietà; ma forse molti sono impreparati a questo vero consorzio al compagnerismo con quelli che hanno solo le mani per vivere e per fare esperienza del mondo. Chi come me è vissuto molti anni confidando solo nella ragione e nel prodotto della ragione, osserva che il lavoro delle mani dà frutti più sani e più saporiti dei prodotti del pensiero. Finché non saremo capaci di assimilare l'esperienza di coloro che affondano le mani nella terra, e toccano continuamente la materia avremo un mondo con questi paurosi squilibri fra un progresso affascinante e una cultura che disumanizza e dissecca la speranza dell'uomo. La Chiesa dovrebbe essere l'organo di trasmissione di questa esperienza dei poveri. L'enciclica "Laborem exercens" lo fa sperare; ma la prassi della chiesa spesso ci delude, e dobbiamo affermarlo senza false diplomazie in un momento in cui la menzogna è particolarmente grave perché le scadenze fissate dalle relazioni aggressive fra i popoli, si fanno sempre più imminenti. Dobbiamo chiudere i nostri salotti come facemmo nella ultima guerra, sopprimere i minuetti religiosi e politici a cominciare ad essere seri e a guardare in faccia la nostra realtà. Vi scrivo dopo una lunga preghiera; avevo bisogno di calmarmi e ho sentito che se vivo l'oggi con speranza, cercando di non lasciarmi sfuggire nessuna occasione di amare, nessuna occasione di uscire dal mio egoismo, avrò infuso nella storia una piccola particella di amore. In fondo, pensavo, i funghi nucleari che minacciano il mondo vengono dall'atomo e perché un atomo di amore non riuscirebbe a respingere la morte che ci minaccia?
Vi lascio, ma il dialogo fra noi in questo '84 continuerà arricchito di amore e di speranza.
Brasile dicembre '83
Arturo
Ricordo la leggenda di San Cristoforo cantata da Lanza del Vasto, i capelli bianchi, l'abito azzurro dei compagni dell'Arca, le dita ancora agili ad accompagnare il canto con il tamburello. Un cerchio di persone su un poggio di Ontignano dietro la casa di Giannozzo, sulla sera. Quest'uomo che, in un mondo di contese e di lotte, vuol servire sotto la bandiera del padrone più potente. Dopo aver combattuto con molti cavalieri si trova con uno che per avere la vittoria vende l'anima del diavolo. E Cristoforo (ma non si chiamava ancora così), fedele alle sue decisioni, si arruola nell'esercito del male. Davanti al diavolo che arretra di fronte alla croce ed evita le cappelle disseminate sulle strade, Cristoforo comprende che c'è un padrone ancora più forte e si mette alla ricerca del Signore della Croce. Incontra i suoi servi, ma non lui.
E Cristoforo è un uomo tutto di un pezzo: non esegue ordini se non li ha direttamente dal padrone che si è scelto. Nella sua ricerca giunge sulla riva di un fiume: il ponte è stato spazzato via da una piena. Cristoforo sfruttando l'alta statura e la forza straordinaria si mette al servizio della gente che vuole attraversare il fiume.
Una notte, mentre infuria il temporale, una voce di fanciullo lo chiama fuori della capanna.
Un bambino vuole traversare il fiume gonfio per le piogge. Cristoforo si carica del modesto peso del bambino e inizia a traversare il guado. Man mano che avanza aumenta non solo la forza della corrente, ma anche il peso sulle spalle fino a vincere la sua eccezionale resistenza. Capisce allo-ra Cristoforo di avere sulle spalle il Signore che stava invano cercando nelle parvenze dei signori della terra. Il peso diviene allora leggero, si placa la violenza delle acque e il "portatore di Cristo" (Cristoforo) arriva con gioia sull'altra sponda. Mi accade di ascoltare nei ricordi questa leggenda e di leggervi uno dei fili della mia vita. Più di vent'anni fa esser partito dietro ad un progetto dopo l'altro man mano che scoprivo nuove frontiere nella complessità della vita e dei rapporti umani. Il senso della lotta, gli obiettivi e le strategie, il "che fare?", il "nemico". Non per desiderio di vittoria, di successo, ma per desiderio di conoscere il perché dello scorrere della vita e del tempo, i meccanismi delicatissimi della ragione di essere.
Fino a ritrovarmi di fronte a questa fiumana del nostro vivere oggi, là dove ogni progetto legato all'umanità sembra essere spazzato via dalla violenza delle tensioni, dalla complessità angosciante dei problemi, dal rapido susseguirsi degli scenari della tecnica e della scienza sui quali si disegna il nostro quotidiano.
I ponti del confronto e del rapporto spazzati via dalla assurda necessità di sopravvivenza e quindi di sopraffazione per la supremazia.
Sì, la nostalgia del combattere con avversari con il nome e il cognome, la nostalgia del "nemico" per poter servire il progetto più "umano". Ma anche adesso la constatazione di essere al servizio dell"umanità" così com'è nell'incessante tentativo di guadare il fiume dell'avvicendarsi storico. Questa "umanità" che non cerca più il "nemico" da combattere, ma l"amico" da amare e sulle cui spalle Dio affida il peso lievissimo del suo amore. E leggo la storia di Gesù quasi che il morire di Cristo sulla croce sia perché possa nascere Dio nella carne, nel sangue, nella storia dell'uomo approdato all'altra sponda.
Con questo titolo assai significativo e provocante si è svolto ad Assisi dal 27 al 31 dicembre '83 un convegno giovanile sul tema della pace.
Sono state delle giornate di studio e di riflessione molto appassionata, di scambio di esperienze concrete e di progetti umili ma tenaci per giungere alla realizzazione in termini storici, quotidiani del grande sogno che Dio ci ha lasciato attraverso la parola del profeta Isaia: "Cambieranno le loro spade in falci, le loro lance in vomeri e non impareranno più a fare la guerra". Un popolo fatto di un migliaio di giovani venuti da ogni parte d'Italia a confrontare le proprie esperienze e a trovare insieme le ragioni culturali, religiose, materiali e spirituali per un cammino autentico di pace.
"Per smilitarizzare il mondo allontanando la minaccia dell'olocausto nucleare o di guerre sempre più distruttive, allentando le ingiustizie e frenando le ingenti spese militari che affamano la maggior parte dell'umanità, occorre smilitarizzare l'uomo, occorre convertire il cuore, il cuore dei singoli come il cuore dei popoli, liberandolo dall'odio e dalla violenza, dall'avidità e dall'egoismo, dalla prepotenza e dalla vendetta. È un cammino di pace che tocca ogni uomo...".
(Luigi Bettazzi, vescovo d'Ivrea).
Fra i molti argomenti affrontati in questi giorni dedicati a studiare la via della pace ce n'era uno riguardante lo spinoso problema della "presenza della Chiesa tra i militari" con riferimento preciso alla "figura" del cappellano militare.
Il gruppo di studio al quale anch'io ho partecipato era guidato da un cappellano militare della scuola del Genio della Cecchignola (Roma): la sua esposizione è stata estremamente lineare, per niente incrinata dal minimo dubbio, fondata sulla sicurezza della validità pastorale di questo modo di presenza della Chiesa dentro la struttura dell'esercito e della vita dei soldati nelle caserme. Praticamente tutto il suo ragionamento si riassumeva in questa chiarissima conclusione: "La Chiesa tra i militari si fa militare con i militari, entrando nella struttura e nell'ambiente, vivendo giorno per giorno in essi, per coglierne sino in fondo il significato. Solo in questo modo si pone in grado di portare un annuncio efficace, veramente calato nella realtà alla quale si rivolge".
I partecipanti a questo gruppo di studio non hanno assolutamente condiviso né l'impostazio-ne né i contenuti dell'esposizione del cappellano militare ed hanno praticamente ribaltato e rimesso in discussione il modo e il senso della presenza della Chiesa nella realtà militare. La maturità e la serietà dei giovani che partecipavano alla discussione si é dimostrata veramente straordinaria, motivo di speranza per la crescita di una Chiesa nuova, diversa, veramente testimone del vangelo di Gesù Cristo. Ricucendo i vari interventi, obiezioni, domande e riflessioni è venuto fuori una specie di MANIFESTO ANTIMILITARISTA che esprime molto bene la sostanza del "vangelo di pace" annunciato e vissuto da Gesù e del quale tutta la Chiesa deve essere fedele testimone nella storia.
Storicamente i cristiani sono andati ad ammazzare con coscienza tranquilla. Ci sentiamo responsabili di non aver annunciato l'unica cosa che abbiamo il dovere di dire: tu non uccidere! L'Evangelo deve essere a volte elemento di distruzione delle strutture ingiuste, affrnché possa nascere qualcosa di nuovo.
L'annuncio di Cristo è qualcosa di più che entrare nella struttura. Cosa diciamo ai soldati? "Dio è con noi" oppure "Non uccidere?"
Il messaggio cristiano è un messaggio di pace e di amore. La Chiesa deve combattere tutte le forme di violenza compresa quella militare. Altrimenti cosa vuol dire "amare il prossimo"?
Il modo di agire della Chiesa deve essere il modo di Cristo, che è la semplicità e la povertà (kénosis). Dobbiamo interrogarci sul Vangelo per capire se le nostre modalità di presenza sono in linea con il messaggio di Cristo oppure sono frutto di incrostazioni storiche da superare.
Cristo ha scelto ed ha proposto di morire piuttosto che uccidere. Il cappellano militare stando nell'esercito, che é una struttura di violenza e di morte potenziale, rende la Chiesa complice di questa macchina che per difesa deve uccidere il nemico ("Tu sei il sacerdote dell'olocausto nucleare!")
La collaborazione con il bene è per il cristiano eguale dovere che la non collaborazione con il male. Non si giustifica quindi in nessun modo la presenza del cappellano militare in una struttura che è scuola di morte (Se tu davvero parlassi il linguaggio del Vangelo saresti buttato fuori!). Come si può conciliare tutta la cultura del mondo militare che é preordinata alla distruzione del nemico con l'insegnamento di Cristo?
La Chiesa dovrebbe impegnarsi molto di più a sostenere l'obiezione di coscienza, le varie forme di servizio civile; e ritirare i preti dalla struttura militare, costruendo una cultura di difesa popolare nonviolenta, che è una difesa civile, alternativa a quella militare.
E' necessario recuperare come comunità ecclesiale il senso collettivo della responsabilità nei confronti della violenza strutturale espressa storicamente negli eserciti.
Il "non uccidere" non è un semplice "consiglio evangelico", ma comandamento divino scritto su tavole di pietra e che impegna ogni credente. Non si riesce a cogliere le categorie morali che hanno consentito e consentono di passare dal "non uccidere" evangelico e biblico all'uso del fucile.
Un interrogativo finale: perché voi sacerdoti non potete usare le armi (codice di diritto canonico) e noi semplici cristiani, sì? Perché io posso uccidere (in guerra) e tu no?
don Beppe
Mi permetto offrire agli amici di Lotta come Amore questi due momenti di Lotta e di Amore per la pace, vissuti a gran cuore in occasione della Marcia per la pace a Roma del 22 ottobre scorso.
Nella notte fra il 21 e 22 nella Basilica dell'Ara Coeli mi è stato chiesto di tenere io l'Omelia alla liturgia della concelebrazione eucaristica per la pace. La lettura della pagina evangelica era quella delle Beatitudini.
Mi ha profondamente colpito la correlazione fra povertà e pace.
Ho cercato di esprimere la misteriosa identità nella realtà di preghiera e di fede che traboccava in quella notte nella grande assemblea raccolta nell'implorazione del miracolo della pace.
L'altro momento di questa Lotta e Amore per la pace l'ho vissuto nei giorni di preparazione alla marcia e nel suo sterminato svolgersi per le strade di Roma. Una fiumana incontenibile (la ridicola stupidità di chi ha decretato la sua strumentalizzazione) un'immensa volontà di pace espressa alla maniera popolare e cioè a folla, disordinatamente e in maniera stupenda e commovente, unitariamente.
Durante lo sfociare della fiumana nel mare di Piazza S. Giovanni mi è stato chiesto di parlare a nome del M.I.R. dei movimenti pacifisti, non violenti, dei religiosi e delle religiose che e in misura notevole, hanno partecipato alla marcia.
Con alquanta commozione ho letto le mie parole di pace ma più che parole erano preghiera, implorazione di tutto un popolo per una speranza di pace.
Le Beatitudini e la Pace
Queste parole risuonano al nostro cuore come poesia stupenda e fanno palpitare lo spirito come per un sogno meraviglioso. E in una notte come questa, raccolti nella trepidazione della preghiera a implorare che sia conclusa una notte di storia, rabbuiata dalle ombre del terrore, che pare che impediscano, rendano impossibile, lo splendore dell'aurora di un giorno nuovo, di un 'epoca nuova di storia, in una notte come questa nella quale uomini e donne, uniti nella Fede e nella speranza, sono segno e realtà di questa nuova storia, la parole adorabili del discorso della montagna, non sono poesia, non sono armonia dolce a incantare e commuovere anime e cuori. Sono ancora e dopo millenni, l'infinita provocazione dell'Amore di Dio.
Le ascoltiamo come quando il nulla, la non esistenza, ascoltò le prime parole che risuonarono per la creazione dell'universo: sia fatta la luce, la terra, gli alberi, gli animali, l'uomo e la donna ...
E il vuoto del nulla, ascoltò e palpitò l'esistenza dell'universo.
Perché le parole delle beatitudini sono la nuova creazione.
All'inizio vide che tutto era buono, molto buono. Ma l'Amore è incontentabile e cerca sempre, non é possibile diversamente, di essere sempre più Amore.
Allora nella pienezza dei tempi, quando si compie il tempo dell'Amore, Dio è venuto a farsi creatura. Perché fra creatore e creazione fosse identità, perché cioè tutto fosse e sia unicamente Amore.
Le beatitudini sono il Cantico dei cantici che canta la gioia di Dio perché si é compiuto l'Amore. Perché tutta la grazia, la gloria, la felicità, la pienezza dell'Amore è quando l'Amore è cambiamento, è novità, è nuova creazione.
Chi conosce l'amore dell'uomo e della donna, l'amore di un grillo che chiama fra l'erba sotto la luna, della terra e del sole all'alba di ogni mattino... sa molto bene e intuisce nello stupore della contemplazione, quanto l'infinito Amore di Dio aneli e voglia incessantemente, la novità, la nuova creazione, perché avvenga e sia il compimento dell'Amore. Il compimento dell'Amore del Cuore di Dio. Il compimento dell'Amore dell'Essere di Dio.
Le beatitudini sono la rivelazione di questa continuità, di questa fedeltà, dell'Amore di Dio in ricerca incessante di dichiararsi, di offrirsi.
Perché "beatitudine" è l'accoglienza dell'Amore. È offrire il seno del proprio niente perché la potenza dello Spirito vi incarni il proprio sogno, vi susciti la nuova carne, la nuova esistenza, cioè la compiutezza dell'incontro, l'unicamente Amore.
"Ecco la serva del Signore, sia fatto di me secondo la tua Parola". E l'Amore si è fatto carne, creazione, storia. Perché il suo nome é Gesù e cioè ogni cristiano, ogni credente, ogni essere umano, ogni, creatura, da un filo d'erba alle stelle del cielo.
Ma come al primo giorno, al principio dei tempi, così anche nel giorno sulla montagna delle beatitudini. E così è ogni giorno della storia.
Perché si compia il sogno dell'Amore, è condizione essenziale il vuoto, il niente...
E qui nella Parola delle Beatitudini il vuoto, il niente è chiamato con parole sconcertanti eppure adorabili se chiamano e ottengono l'Amore di Dio. Povertà. Tristezza. Debolezza. Ansia e desiderio ardente. Fiducia nell'attesa. Pietà e patire insieme, uniti. Ingenuità trasparente. Dono inesauribile di pace. Persecuzione. Fedeltà...
Ma forse questo vuoto, questo niente per la nuova creazione non è svuotato, reso vuoto assoluto, niente totale, come esige l'Amore per creare la nuova umanità.
La storia umana pur tanto orrenda e spaventosa non ha svuotato il cuore dell'uomo delle consistenze dello sperare e confidare nell'uomo per realizzare la sua verità.
Anche la Chiesa, la comunità dei credenti, non é un vuoto, un niente, perché la purificazione e la liberazione non è ancora iniziata dal Tempio: i cambiatori di valuta e i mercanti di colombe vi hanno subito ristabilito dimora e non sembrano disposti a che nella tenda del convegno vi siano unicamente le tavole di pietra, il bastone di Mosè in un vaso colmato di manna: il cammino della Chiesa non è esodo lungo il deserto, ma possesso, proprietà di terra e cioè di potere, di autorità, di valenze terrene...
L'Amore di Dio è però insistente, pressante, urgente. La sua fedeltà non si stanca e tanto meno si arrende anche di fronte a ciò che può sembrare impossibilità.
E impossibilità di Amore ha tutta l'apparenza e non solo apparenza ma sembra concretezza storica, di essere questo nostro tempo che ha radunato tutto l'orrore della violenza di ogni tempo, in ordigni e sono nelle mani di uomini capaci di annientare l'umanità intera e di distruggere ogni possibilità di vita.
Noi siamo qui stasera a sperare e a credere che la violenza degli uomini non impedirà che l'Amore di Dio non sia più Amore, che la potenza di uomini non possa che Dio non sia più Dio. Questa è la nostra Fede e è la Verità, che Dio è Dio e il suo Amore è Amore anche e sempre più in ogni giorno di questi nostri terribili giorni.
È vero, non sappiamo (ma è forse perché i nostri occhi sono miopi e il nostro cuore è oppresso dalla paura) come l'Amore possa essere sempre più Amore, nella disumanità dilagante che sembra tutto affogare nella perdizione di ogni valore e perfino della sopravvivenza, ma noi affermiamo e è grido della creazione che geme e si angoscia nelle doglie del parto, che il cammino della storia è verso la nuova creazione, i cieli nuovi e la terra nuova. Come è possibile questa Fede?
Forse è dall'assurdità della Speranza, dal vuoto, dal niente che è la disperazione, che può e deve nascere la Speranza. Come dalla tristezza la beatitudine. Forse è dalla condizione, ormai fino alle misure estreme, del non-Amore, è dal vuoto della povertà assoluta che è l'incubo della morte universale, che può illuminarsi la beatitudine della consolazione. È dal vuoto, dall'annullamento totale provocato dalla persecuzione fino alle misure dell'annientamento, che si affaccerà all'orizzonte la beatitudine del Regno di Dio.
Perché realtà e misure estreme di orrore impongono realtà e misure estreme di Amore.
La storia ha maturato la pienezza dei tempi - come al tempo della venuta del Figlio di Dio - pienezza dei tempi in cui è la scelta fra la totalità dell'Amore o il ritorno alla totalità del niente.
I cinquantamila missili a testata nucleare sono realtà di annientamento, possono anche significare l'estrema spinta all'Amore.
Se così non è o non riusciamo con le nostre lotte, con tutta la nostra Fede e il nostro Amore a che così sia, vuol dire che non siamo entrati ancora nella logica delle Beatitudini e cioè del Mistero di Amore di Dio e della sua creazione. Nella realtà storica della venuta di Gesù Cristo, nella realtà della sua parola, del legno della sua crocifissione, nella pietra ribaltata della sua risurrezione. E non viviamo la storia insieme allo Spirito Santo, condividendo il suo progetto e i suoi sogni di Regno di Dio nel mondo degli uomini.
La nostra lotta non è provocata dalla paura, anche se la condivisione del destino umano intendiamo viverlo coscientemente e responsabilmente.
Non intendiamo, nemmeno simbolicamente, rifugiarci nell'Arca mentre tutto affoga il diluvio. Né fuggire da Sodoma e Gomorra se cadrà fuoco e zolfo dal cielo.
Eppure la nostra lotta non è per l'incombenza del terrore, dell'annientamento. Respingiamo sdegnosamente questa violenza del potere di dominare il mondo con la paura e il terrore.
La nostra lotta è Amore, ostinata fedeltà all'Amore. È vivere, più che sia possibile in sintonia con l'Amore di Dio, il perfezionarsi della creazione in Gesù Cristo, nella potenza dello Spirito, anche in questi nostri giorni, nonostante il loro sorgere e tramontare come se fossero gli ultimi giorni.
È in questa Fedeltà all'Amore di Dio che si compie la fedeltà all'Amore dei nostri fratelli e sorelle. Avvertiamo e raccogliamo questa sacralità di mediazione sacerdotale, sempre, ma particolarmente in questa veglia di Fede e di Amore.
Mediazione fra cielo e terra, Dio e l'umanità, Gesù Cristo e la storia, Spirito Santo e Regno di Dio nel mondo... perché dal vuoto, dalla nullità, dal potere di annientamento di cui le armi nucleari sono segno e realtà, sopravvenga e inondi il cuore di ogni essere umano e di tutta l'umanità, la Beatitudine che Gesù proclamò con la dolcezza e la forza della Parola di Dio, seduto sulla montagna e lo ascoltava il piccolo gruppo dei discepoli.
Ecco stanotte, su questa montagna dell'Ara Coeli, un piccolo gruppo ancora una volta, ascolta quelle parole e si abbandona alla Fede e alla gioia delle Beatitudini.
Non siamo saliti quassù spinti dalla paura perché sentiamo che è l'ora della notte della violenza. Nemmeno per pregare per la salvezza anche perché non sappiamo ormai cosa sia la salvezza. Siamo qui per chiedere perdono a Dio e agli uomini come credenti e come Chiesa, di non aver creduto e vissuto, il progetto, il sogno di Dio che è l'Amore.
Siamo qui a riconoscere e ad accettare la nostra povertà e nullità perché sia in noi, e attraverso noi, nel mondo, il Regno di Dio, il suo Amore, la sua pace.
E siamo qui perché se il compiersi dell'Amore di Dio nella storia degli uomini, chiede la crocifissione: "eccoci, o Signore, sia fatta, o Padre, la tua volontà, non la nostra". Perché sappiamo e crediamo che la tua volontà è Amore.
Domani scendiamo sulla strada, nelle piazze, a perderci nella folla segno di tutta l'umanità.
La preghiera di stanotte ci ricolmi di quella Beatitudine che sicuramente trabocca dal Cuore di Dio e che nient'altro vuole che il mondo sia incendiato e arda, del fuoco del suo Amore a dilatare fino agli ultimi confini della terra, la sua Pace.
don Sirio
Fratelli e sorelle, compagni, compagne, amici... noi cristiani, movimenti non violenti, credenti di ogni fede religiosa, salutiamo quest'immensa assemblea di popolo radunata da una volontà di pace e dichiariamo, con profonda Fede, che con noi, popolo segno e realtà di tutti i popoli dell'umanità intera, è Dio. Dio, creatore del cielo e della terra, nella cui mano di Padre è l'universo intero.
"Io sono con voi ogni giorno" ha promesso Gesù Cristo e sicuramente anche oggi, ha camminato in mezzo a noi, sulle nostre strade, presenza adorabile di pace, di Amore, di fraternità, di giustizia, di libertà...
In quanto uomini e credenti, con tutta la forza della nostra Fede, gridiamo davanti a Dio e all'umanità, che le armi, tutte ma particolarmente le armi nucleari, sono il crimine supremo, il delitto cosmico, il sacrilegio estremo. Come credenti denunciamo come male assoluto, come peccato supremo, il potere dell'uomo sull'uomo. Come rapina intollerabile, l'appropriarsi da parte della violenza e prepotenza militare, della nostra terra da Comiso alle montagne del Friuli, dalla Sicilia alla Sardegna. Terra, proprietà di popolo per il pane e il convivere, destinata ad essere terra di morte per il nostro popolo e altri popoli, che non ci sono nemici, ma messi gli uni contro gli altri unicamente dalla violenza demoniaca del potere.
Il popolo dei credenti non può non denunciare al Sinodo dei Vescovi riunito in Vaticano, il peccato che si sta perpetrando sia pure camuffandolo di libertà, di democrazia, di difesa, di pace, il peccato orrendo della costruzione, dell'installazione, dell'accumulo di missili, maledetti strumenti e veicoli di annientamento e di morte.
Questo è il peccato, venerabili Padri della Chiesa, che fa tremare il cielo e la terra.
Questo è il peccato che già uccide da 30 a 50 milioni di esseri umani, ogni anno, perché ogni missile destinato alla distruzione di città intere e di popoli, è pagato dalla fame che uccide nel mondo.
Davanti a questa disumanità, noi credenti in Dio proclamiamo che la pace è possibile. Perché Dio è Dio e l'idolo e l'idolatria del potere e del denaro sono le forze del male che non prevarranno.
Non intendiamo strumentalizzare Dio, ma proclamiamo che il popolo è la voce di Dio. E questa voce che si eleva da questa piazza e da tutte le piazze del mondo, grida: No, alla guerra, in nome di Dio, no, ai missili in Italia, in Europa, nel mondo. In nome di Cristo: Sì, alla pace, fraternità, giustizia, Amore, dignità umana...
I movimenti per la pace, i movimenti non violenti, il MIR, le comunità religiose, i cristiani tutti, i credenti di ogni fede religiosa, davanti a questa immensa assemblea di popolo, rinnovano il loro impegno non violento, lavorando appassionatamente a favorire la realizzazione della difesa popolare non violenta, l'incremento dell'obiezione fiscale, dell'obiezione al servizio militare, al lavoro nelle fabbriche di armi.
E chiedono con ostinata insistenza che la Chiesa si separi dall'esercito, congedando il Vescovo castrense e i cappellani militari.
Pace, forza e gioia in ciascuno di voi, nelle vostre case, nelle città, su tutta la terra.
Fino a quando dite: pace, pace, pace... e pace non c'è? "Per questo gli annunziatoti di pace piangevano amaramente" (ls. 33,7) dicendo: "Signore, chi ha creduto al nostro annunzio?" (ls. 53,1)
(dalla Liturgia del Natale)
Sul Calvario ai piedi della Croce fu stracciata in pezzi e divisa la veste di Gesù e il Suo mantello fu tirato a sorte. Nella crocifissione della pace (vi è forse diversità tra pace e Gesù?) ugualmente avviene il farla a pezzi e ognuno se ne prende il suo pezzo e spera di vincere il sorteggio e accaparrarsene il tutto.
Sta scatenandosi sempre più la guerra per conquistarsi il possesso della pace? E quanto più la pace risulterà appartenere a qualcuno tanto più sarà in pericolo.
L "est e l'ovest" e cioè l'America e la Russia, si stanno strappando di mano la pace, brandelli di pace dopo averla stracciata in mille pezzi, a forza di interventi di guerra, di accumulo e di piazzamento di ordigni di morte universale, di propagande macabre, sogghignanti tentativi di incastrare l'altro in illusioni gettate sui popoli, a colmare la misura della delusione, della disperazione. E la pace non è e non sarà né di un blocco né dell'altro, se pace sarà nel mondo. L'equivoco orrendo (e quando mai è successo che non sia stato così nella storia?) che la pace sarà possibile unicamente se sarà un blocco o l'altro ad assicurarla attraverso la sopraffazione del suo potenzia le di guerra, comporta semplicemente di essere in guerra, di credere e di sperare nella guerra, che la guerra si identifichi con la pace e la pace con la guerra. guerra.
"Può forse il rovo fruttificare fichi e si può raccogliere uva dalle spine?".
Anche la Chiesa non vede o non vuole vedere l'equivoco sacrilego e sembra attendersi, nonostante le parole che ancora però non sono la Parola, che dall'inferno del nucleare possa spun tare e fiorire il paradiso della pace.
Ma non soltanto stanno stracciandosi di mano la pace le potenze della guerra, anche i movimenti della pace, le manifestazioni per la pace si stanno vergognosamente strappando gli uni gli altri questa povera pace, dilaniandola fino al punto da renderla valore d'acquisto, copertura ideologica, ricerca di potere, occasione da sfruttare... tutto, impudicamente tutto, può essere ed è la pace, meno che la pace e cioè il sole che sorge al mattino, la pioggia che feconda la terra, l'aria che si respira... la fraternità, l'uguaglianza, la libertà, il pane, la casa, il lavoro, le condizioni di esistenza che assicurino la dignità umana per ogni essere umano in qualsiasi angolo della terra.
Sempre più la pace è impossibile, la dolcissima, adorabile utopia della pace è ormai, sembrerebbe, nella impossibilità impossibile perfino all'onnipotenza di Dio.
E questa impossibilità di pace non è perché ormai i padroni della guerra sono pronti per la guerra e vogliono la guerra (il problema che li trattiene è soltanto il perfezionamento fino all'infallibilità del così detto "primo colpo" l'annientamento senza speranza del nemico e il nemico è l'altra metà del mondo) e scateneranno inevitabilmente la guerra strategica o di teatro che sia.
L'impossibilità della pace è anche perché ormai sono venuti fuori i padroni della pace. E logicamente come tutti i padroni sono semplicemente dei ladri. Perché se la proprietà è un furto l'appropriarsi della pace e assolutizzarne il possesso fino all'esclusività, è criminalità, è sacrilegio imperdonabile. È cronaca angosciosamente sino a provocare la nausea, di fine ottobre e inizio di novembre; ma ormai è realtà che anche in seguito avrà rigurgiti nauseanti, da volta stomaco. Il 22 ottobre marcia della pace. Paura e orrore della strumentalizzazione. Quindi la pace, è chiaro, conta niente di fronte al puntiglio politico. Ed è spazzatura una marea di popolo, incontenibile, stupendamente incontrollabile - perché il popolo non può essere il popolo, semplicemente senza inquadramenti e programmazioni, almeno quando il popolo implora di non essere incenerito e di non accettare di diventare campo di battaglia?
Ma nella marea di popolo c'era il P.C.I. C'era un modo molto semplice per ovviare questo "pericolo": che vi fosse e massicciamente la D.C., il P.S.I. (con il Governo al completo) e gli altri della coalizione governativa e tutto il Parlamento e tutta la Curia, gli Ordini religiosi, le organizzazioni Cattoliche, le Parrocchie, le Croci e gli stendardi, i Santi e le Madonne... E cosa ne sarebbe stato del P.C.I. e della tanto temuta strumentalizzazione?
Le folle interessano soltanto quando traboccano Piazza S. Pietro.
Forse perché in quei casi, come nella P. di S. Pietro del mondo, la coscienza è tranquilla nei confronti del problema della strumentalizzazione.
Invece il Vicariato si è dissociato, l'Osservatore Romano, ha dignitosamente disprezzato e minimizzato, i religiosi che hanno partecipato diffidati, il G.R.2 ha esortato a non partecipare...
Però la pace è la pace. E bisogna pur fare qualcosa, se non altro, come si addice ad un intelligente criterio collettivo, per concorrenza.
E a Milano, guarda caso, è stata scoperta "l'altra faccia della pace".
Anticamente era bifronte il dio della guerra Giano.
A Milano, per i padroni milanesi della pace, la pace ha una doppia faccia. Una faccia della pace è Romana l'altra faccia è Milanese. La "pax Romana" e la "Pax mediolanensis" era scritto su per i giornali.
Viene in mente la luna con le sue due facce, quella luminosa e quella al buio, quella bianca e quella nera.
Per il mondo cattolico milanese non vi sono dubbi: la faccia della pace milanese è la pace. Anche per l'Osservatore Romano, a stare alle sue dichiarazioni. Così per buona parte del mondo della cultura. E logicamente per i Partiti della coalizione Governativa.
E per una fetta è chiaro, del Sindacato...
E così una faccia della pace contro l'altra faccia. Un'alternativa con tutta l'apparenza di concorrenza e quindi di conflittualità all'interno della pace.
È semplicemente sconvolgente, nauseante. E per un Cristiano Cattolico Apostolico Romano, disorienta e sgomenta che siano i movimenti cattolici, realtà di Chiesa, a provocare, promuovere, incoraggiare questo stracciare la pace nel tentativo di risultarne i padroni.
Davanti agli S.S. 20 e ai Pershing 2 e ai Cruise questa pace della doppia faccia è un invito all'installazione, un'esortazione a moltiplicarne l'orrore. Perché è una pace che è guerra.
Davanti al popolo, al popolo popolo, questa pace dei padroni della pace è l'ultima, macabra irrisione prima della soluzione finale dei padroni della guerra.
È angoscia senza fine, è assurdità incomprensibile, che la Chiesa non scelga fra i padroni della guerra e della pace, la povertà della pace. Perché è questa povertà della pace, la pace che Gesù dichiara di essere "la sua pace".
Sirio
Sentiamo il parere di Angelo Rizzo, che è da dieci anni vescovo di Ragusa e di Comiso. Il vescovo mi riceve nella sede della curia vescovile. "Alle marce per la pace, i comisani in genere non partecipano. Come mai? La gente non scende in piazza perché è convinta che non c'è niente da fare: comunque vada i missili arriveranno. Poi i comisani temono di essere strumentalizzati dai partiti. Ecco perché alle manifestazioni per la pace, sinora, hanno preso parte soprattutto i forestieri. Si tratta di marce su Comiso, e non dei comisani".
Come mai, ai comisani piacciono i missili? "Anche i comisani - risponde il vescovo - vogliono la pace, e sono contro i missili. Tutti i missili, sia quelli dell'Est che dell'Ovest. La gente diffida del pacifismo unilaterale, a senso unico, propagandato dai pacifisti che calano dal Nord. Certo la base NATO è un bubbone che si è venuto a collocare nel nostro corpo. Ma le marce, secondo noi, non servono a nulla. Sul problema dei missili, anche qui a Comiso è in atto uno scontro politico, ma la gente resta alla finestra. All'interno del clero ci sono state piccole frange che avrebbero voluto manifestare contro la base. Io, come la maggior parte dei vescovi italiani, ritengo che, come punto di passaggio sulla strada del disarmo, la deterrenza sia legittima. È una posizione vicina a quella dei vescovi francesi e tedeschi, che si sono già espressi nello stesso senso. Anche l'episcopato americano, che in un primo momento sembrava favorevole al disarmo unilaterale, è pervenuto alle stesse conclusioni". Quindi i missili sono necessari, per preservare la pace? "Noi non diciamo che è necessario convivere coi missili, ma di fatto ci sono. Se li togliessimo solo da una parte, daremmo spazio alla parte avversa, all'avversario, e questo non sarebbe giusto".
Corriere della sera - 4 dicembre 1983
In più di un'occasione ho sottolineato con altri l'utilità e la necessità che l'episcopato (italiano) dica una parola chiara sulla pace e su pace e disarmo. Evidentemente, quanti condividiamo questa opinione, finora non siamo stati convincenti sui modi e sui tempi di questa parola.
Mons. Bernini - Vescovo di Albano
Dal documento dei Vescovi francesi dei primi di novembre '83
"No, alla guerra! No, al disarmo unilaterale! La dissuasione nucleare come soluzione temporanea. Ma la dissuasione non è la pace! La non violenza, impegno per la persona, non può essere moralmente imposta ad uno Stato. I cristiani devono costruire la Pace!" "La chiesa non incoraggia affatto il pacifismo ad oltranza. La chiesa non ha mai patrocinato un disarmo unilaterale ben sapendo che esso può essere un premio alla violenza di un aggressivo complesso militare, politico e ideologico... ".
"In queste condizioni la condanna radicale di ogni guerra non getta forse i popoli pacifici alla mercé dei popoli animati da una ideologia di dominazione?...
Per sfuggire alla guerra questi popoli non rischiano di soccombere ad altre forme di violenza ed ingiustizia? Colonizzazione, alienazione, privazione delle loro libertà e della loro identità.
Al limite la pace ad ogni costo conduce una nazione ad ogni sorta di capitolazione! Un disarmo unilaterale può perfino provocare l'aggressività di certi vicini facendo loro nutrire la speranza di impadronirsi di una preda troppo facile...
...In un mondo dove l'uomo è ancora lupo all'uomo, trasformarsi in agnelli può anche provocare chi è lupo! Delle generosità male illuminate hanno talvolta provocato dei pericoli che esse credevano invece di esorcizzare. Una non violenza male impostata può scatenare delle reazioni a catena di violenze inspiegabili".
"La questione centrale è la seguente: nel contesto geopolitico attuale, un paese minacciato nella sua esistenza, libertà ed identità, ha moralmente il diritto di parare questa minaccia radicale con un 'altra "controminaccia" efficace, anche nucleare?
Fino ad oggi, pur sottolineando il carattere di limite di questo modo di parare e in più l'enorme rischio che contiene, la chiesa non ha ritenuto doverlo condannare. Si tratta di una logica di destrezza, certo, che non può nascondere la sua debolezza congenita. È per non voler far la guerra che si vuol mostrare la capacità di farla!
È ancora una volta un servizio alla pace lo scoraggiare l'aggressore costringendolo ad un inizio di saggezza grazie ad un timore appropriato.
La minaccia non è l'impiego!...".
Il Papa e la disobbedienza alla guerra
(da "Repubblica" del 17 novembre 1983
Il Papa ha invitato gli scienziati a non lavorare per la guerra e a rifiutarsi di dare il loro contributo a tutto ciò che serve alla fabbricazione di armi atomiche. Anche in ambiente laico questo invito ha suscitato consensi ed emozioni. Nel passato la chiesa ha benedetto bandiere e cannoni, ha proclamato guerre sante. Oggi, con un gesto rivoluzionario il pontefice non si limita a condannare gli eserciti e le guerre, ma invita gli scienziati all'obiezione di coscienza, ad abbandonare il posto di lavoro quando hanno il sospetto che ciò che fanno possa servire la causa della guerra anziché della pace. Li invita ad applicare quella che Max Weber chiamava l'etica della responsabilità. Essi non debbono farsi trarre in inganno dalle buone intenzioni, ma guardare ai risultati ultimi del loro lavoro, e sentirsi responsabili di questi.
Che cosa ne possiamo concludere? Che la chiesa cattolica si è portata sulle posizioni del pacifismo più radicale, di quelli che papa Wojtyla ha chiamato "i profeti disarmati'? Ho sentito che alcuni hanno interpretato le cose in questo senso. lo mi permetto di dubitarne e per diversi motivi.
Il primo è che il papa ha rivolto l'invito all'obiezione di coscienza agli scienziati, ma non a tutti coloro che sono, a qualunque titolo, in rapporto con la produzione e l'utilizzo di armi. Non ha chiamato in causa gli industriali che le producono, i loro operai. Non ha chiamato in causa i militari, gli stati maggiori, gli specialisti che fanno i giochi di guerra, i soldati che devono ubbidire, gli ausiliari. Non ha messo in discussione il servizio militare, non ha condannato i politici, i parlamentari che prendono le decisioni sul bilancio della difesa.
In realtà il papa non ha lanciato nessun appello alla disubbidienza civile. Non ha detto: voi cattolici che, a qualunque titolo, contribuite alla possibilità di una guerra atomica, dovete rifiutarvi di farlo, a costo di abbandonare il vostro posto di lavoro. Non ha nemmeno detto che collaborare, direttamente o indirettamente, alla possibilità di una guerra, è un grave peccato, per lo meno uguale ad altri peccati su cui recentemente si è soffermato, come l'aborto o l'uso di metodi contraccettivi chimici o meccanici.
In realtà la guerra non è un problema di scienza, ma di morale politica. La guerra finirà quando riuscirà ad imporsi un'altra morale, in cui verrà ritenuto colpevole quanto finora era considerato naturale. Il pacifismo e l'ecologismo sono i primi movimenti che tentano questo mutamento. E il tentativo, finora, è ancora maldestro, impregnato di vecchie ideologie, di pregiudizi paranoici. Però è in corso, ed i protagonisti sono questi movimenti nuovi. Né l'uno né l'altro hanno un'origine specificamente cattolica. Il discorso del papa significa che i valori portati da questi movimenti incominciano a farsi strada anche nel solenne edificio del cattolicesimo. Ed è anche di più: che il cattolicesimo dà via libera a forze che, finora, erano tenute a freno, Per questo è importante.
Francesco Alberoni
Questa è una lettera aperta che ho inviato al vescovo di Ragusa che ha benedetto la "prima pietra" della costruenda chiesa all'interno della base missilistica di Comiso. Con questa lettera intendo associarmi in modo concreto a tutti coloro che hanno preso una chiara posizione di dissenso di fronte a questo fatto; in modo particolare mi unisco alla valutazione espressa in merito da "una settantina di parroci e membri di vari ordini ecclesiastici della diocesi di Noto".
Carissimo vescovo di Ragusa,
la notizia della benedizione della prima pietra della chiesa che sorgerà nella base missilistica di Comiso è stata per me (come per molti altri credenti) motivo di tristezza. Il fatto è carico di gravi responsabilità ed è realmente un "avallo religioso" su cui si debbono esprimere serie riserve come giustamente fanno notare i sacerdoti e religiosi siciliani che hanno preso posizione in merito. Mentre da una parte (gli interventi del papa in primo luogo) la Chiesa parla di pace, di necessità di disarmo, di impegno degli scienziati in opere di vita e non di morte, di lode ed incoraggiamento per quei giovani cristiani che obiettano al servizio militare. un uomo della stessa Chiesa celebra con disinvoltura il rito sacro della consacrazione della prima pietra per una chiesa all'interno di un campo di morte. Perché la base missilistica che sta sorgendo a Comiso altro non può essere che un campo maledetto fondato sulla logica della distruzione e della morte, Com'è possibile allora che lei, uomo di Dio, successore del ministero di amore e di pace degli apostoli, testimone del regno di fraternità e di perdono di Gesù Cristo, abbia potuto compiere un simile gesto senza il minimo dubbio e la minima perplessità?
Mi piacerebbe sapere - e sarebbe suo preciso dovere di pastore spiegarmelo - quali sono le motivazioni evangeliche, teologiche, pastorali che lo hanno convinto a fare questo atto che per me è carico di enormi contraddizioni. Perché quella pietra da lei così tranquillamente benedetta è e rimarrà sempre una pietra di scandalo, un'offesa alla fede e alla preghiera, un insulto (da lei certamente non considerato tale) al mistero di amore, di pace, di amicizia, di comunione fra gli uomini - perfino fra i "nemici" - che ogni chiesa deve significare e per il quale è direttamente ed esclusivamente ordinata. Come si può accettare in questi nostri tempi - dopo tutta l'esperienza storica sovraccarica di distruzioni terribili a causa delle armi - che venga edificata la "casa di Dio" in un pezzo di terra diventato un luogo di deposito delle armi più micidiali che gli uomini abbiano finora inventato?
Quel campo militare è veramente il campo di Caino dove tutto viene sapientemente e accuratamente preparato per organizzare l'assassinio di Abele, cresciuto a misura di centinaia di migliaia di creature umane.
Certo lei mi dirà che il mio "scandalo" è eccessivo e esagerato; che è frutto di un modo esasperato di vedere le cose; che benedire le pietre di una chiesa non è reato e che comunque non vuol dire automaticamente benedire i missili a testata nucleare che saranno installati nello stesso perimetro del campo... Sono tutte considerazioni vecchie e ammuffite che non hanno il potere di mettermi l'animo in pace; sono giustificazioni che mi fanno venire in mente certi pensieri di Gesù (che anche per lei dovrebbe essere l'unico Maestro) riguardo al "lievito andato a male", al "sale che ha perso tutto il suo sapore", alla ''lampada messa sotto il tavolo" e che quindi non fa più luce per quelli che sono in casa.
Non era meglio, per lei e per tutti, "dare a Cesare quello che è di Cesare" e cioè lasciare quegli ordigni maledetti, che il potere politico e militare ci ha così generosamente confezionato e imposto, alla loro maledizione?
E non mescolare ancora una volta l'amore di Dio, la croce di Gesù Cristo, il suo messaggio di fraternità e il mistero della sua risurrezione, con la moneta sporca che non servirà ad altro che a fare della terra un campo di sangue.
Unito a lei nella fede nel Signore Gesù - principe della pace - ma in totale disaccordo con il suo operato, la saluto.
Giuseppe Socci, prete operaio
Lungo Canale Est, 37 - Viareggio (Lu)
I campi di vita e ricerca comunitaria per il 1984
1 - Dalla sera del 20/V al mattino del 27/V
2 - Dalla sera del 15/VII al mattino del 22/VII
3 - Dalla sera del 12/VIII al mattino del 19/VIII
4 - Dalla sera del 2/ IX al mattino del 9/IX
l temi saranno nell'ordine: La nonviolenza e nuovo modello di sviluppo - Lezioni di vita - L'Arca aveva per vela una vigna - Lezioni di vita - Vangelo e nonviolenza.
Un altro campo sul Canto Sacro è dal 8-15 aprile.
Attenzione: chi intende partecipare é pregato d'iscriversi versando tramite vaglia postale L. 5.000 a Graziella Giuganino: Masseria Monte S. Elia, 74016 Massafra (TA), a titolo d'impegno.
Durante il campo i partecipanti saranno invitati a contribuire ulteriormente alle spese di gestione del campo stesso con L. 30.000. La questione economica non deve però essere d'impedimento per nessuno.
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455