LOTTA COME AMORE: LcA aprile 1985

Esperienze di fede

Con le nostre riflessioni noi arriviamo sempre in ritardo e cioè dopo che l'andare del tempo, l'accavallarsi delle vicende e la disinvolta cancellazione della memoria, ha reso cenere il fuoco che ha bruciato, l'acqua del fiume passata che non macina più.
Ma forse uno dei nostri minimi significati, l'umile servizio di queste paginette, non è il racconto della cronaca quanto l'interiorizzazione dei fatti e dei misfatti e più ancora il riflesso, il rimbalzo nell'anima della speranza o della disperazione che si respira nel mondo dove stiamo vivendo. È come raccogliere e ascoltare nel silenzio del proprio profondo, dei canti, del gridare, del chiamare appassionato, del sussurrare della speranza, dell'ansia dolcissima del cuore... l'eco misteriosa, a ripetersi nelle vallate del tempo, nella distesa spaziosità del cielo e della terra.
Anche e perché (ci si perdoni l'accostamento) è così del Mistero di Dio. Della brevità infinita del suo tempo. Della sua immensità raccolta in un punto. Del manifestarsi incessante e instancabile del suo Amore, immutabile e sempre adorabilmente nuovo. Della sua presenza, visibile in tutta la realtà, dalla sabbia del mare alle stelle e che appena un velo riesce a fatica a nascondere.
Così è e non può essere diversamente per chi vuol vivere la superficialità, l'apparenza della storia, ma vuole anche che tutto penetri nell'anima, affondi nella profondità del se stesso e scenda fin dove s'incontrano e s'intrecciano le ragioni profonde, cioè di dove viene e dove va lo scorrere in superficie dell'acqua del fiume della storia, che ora dilaga fino ad affogare perfino la speranza, poco dopo è deserto riarso che nemmeno un filo di ottimismo sembra che possa spuntare.
Una visione di Fede e tanto più un rapporto di Amore, se non ottengono queste intuizioni di conoscenza e queste accoglienze e condivisioni di coinvolgimento, sono indicazione di un Cristiane-simo che vola sopra le nuvole ma non vive e condivide la morte e la Risurrezione della storia.

Risurrezione di Cristo e di umanità

Anche la Pasqua e la sua celebrazione liturgica, risente dell'accentuazione di quella festosità popolare tendente (e è comprensibile in un mondo dominato, sopraffatto, schiacciato di fatti e avvenimenti di una tragicità insopportabile) a ritrovare e a vivere un'occasione di serenità, di sollievo, di consolazione e dunque di speranza.
La risurrezione è verità semplicemente confortante, esaltante. Conclude gloriosamente una storia di passione e di morte. Apre il sepolcro dove la malvagità, la crudeltà, la violenza, la prepotenza e cioè la cattiveria, la disumanità, ha sepolto e sigillato il bene, la bontà, l'amore, la pace, la proposta di novità, il progetto di altra umanità... L'orrendo mondo della violenza, della sopraffazione, del dominio della morte è finalmente sconfitto. Credeva, era sicuro di avere vinto, invece, ecco, è stato vinto.
Non è la morte a vincere, come si vorrebbe da sempre, ma è la vita. La violenza non vanifica l'Amore anche se così è sempre stato.
La vittima innocente non è annientata dal carnefice, dalla prepotenza dei prepotenti. Fra Dio e il demonio, nonostante la realtà della storia, è Dio, Dio.
Dunque la Pasqua è conclusione di una storia e inizio di altra storia. È autenticamente altra creazione come l'innesto di albero buono sul tronco dell' albero cattivo. Aurora splendida sul tenebrore orrendo di una lunghissima notte...
È giusto far festa ed esultare e colmarsi il cuore di gioia, come il rifiorire di primavera dopo il gelido inverno.
Ma questa novità non è avvenuta, il tempo nuovo non si è iniziato, la storia è sempre l'identica maledizione, racconto di violenza, di lacrime, di sangue, di sopraffazione, di sfruttamenti, di orrori di ogni genere, di guerre e corre la storia verso la guerra che può sterminare l'intera umanità...
Sì, è vero. La risurrezione non ha aperto il sepolcro della disumanità. Non ha concluso la storia della violenza, della strapotenza del male, dell'ingiustizia, dell'istinto di morte...
Eppure... (questo avverbio di diversificazione, di alternativa, di novità...). Eppure la risurrezione è realtà, è storia, è Fede, è speranza, è certezza, è desiderio, volontà, ricerca, scommessa, lotta ardente, appassionata. Come d'innamorati che non si arrendono nonostante le delusioni, come il sogno che non si rassegna alle smentite della realtà, come i fiori nascosti nelle gemme raggelati dal freddo dell' inverno aspettando il tepore della prima vera, come il bambino nell' attesa dei nove mesi per aprire gli occhi alla luce e respirare nell'universo...
Così è della Risurrezione di Cristo e della Risurrezione dell'ultimo giorno. Ma è Risurrezione ogni giorno, ad ogni battito d'occhi, ad ogni palpito di cuore.
Il tempo, i giorni, i mesi, gli anni, i secoli sono tempo di risurrezione. La vicenda della storia è sequenza monotona e soffocante di morte e di tutto l'orrore (sempre identico anche se sofisticato dalla civiltà e dal progresso) che la morte significa e che è concretamente, eppure, nello scorrere del fiume del tempo e della storia, dentro, nel suo profondo, è viva e vivente la Risurrezione.
Nel sorgere del sole e nel suo tramontare è il palpito della luce.
Nel volgere delle stagioni e nel loro rinnovarsi è il segno della vita. Nella pioggia sul campo è la fecondità. Nell'abbraccio e nell'abbandonarsi all'effusione è il miracolo dell'Amore. Nello stupore degli occhi del bambino è il richiamo dell'infinito... Così è della Risurrezione nello svolgersi della storia, nelle vicende umane che sembrano determinate e dominate da volontà di uomo.
Ugualmente così è nei fatti e nei misfatti che avvengono e imperversano, negli incontri e negli scontri, nelle speranze che appena affiorano e nelle delusioni, amarezze che puntualmente affliggono e scoraggiano... La Risurrezione è la via sulla quale la storia, comunque essa sia, cammina. È il vento che muove le onde del mare.
Le sponde che guidano l'immenso scorrere del fiume al suo oceano.
Così è del bene, della bontà, della fraternità, della libertà, dell'uguaglianza, dell'Amore, della pace... un'anima segreta, una spinta appassionata, un'ansia irresistibile, una forza instancabile... la presenza viva, vivente della Risurrezione.
Sepolcro e Risurrezione in antitesi, in contrapposizione, come uno scontro, una lotta irriducibile. Sepolcro, segno e realtà di progetto umano. La morte come orrendo e inesauribile profitto, quasi risorsa insostituibile di economia, di benessere, di crescita umana: fabbricazione e commercio di armi, necessità di mantenimento della fame e del sottosviluppo, di guerre micidiali, di dittature assurde, coltivazione e commercio della droga, inquinamento e depauperamento delle risorse naturali, dell'abitabilità dell'ambiente, dell'umanità dei rapporti economici, politici, militari, fino alla pace ormai appesa e dipendente dalla minaccia della morte universale.
Di contro al sepolcro, abisso dove imperversa la morte, è la Risurrezione. E Risurrezione non soltanto atto di Fede nel Mistero di Gesù Cristo, morto sulla croce e risorto dal sepolcro, ma come Fede nell'umanità, capace di vincere la morte, di uscire dal sepolcro e vivere finalmente la vita. Sì, certo, alla fine dei tempi ma proprio in forza di questa Fede anche oggi, qui nel tempo attuale e più ancora domani.
Perchè Risurrezione è l'uscita gloriosa dal sepolcro della disumanità, dove la violenza, la sopraffazione, la maledizione del profitto, la prepotenza del denaro e del potere, l'assurdità dell'egoismo individuale, collettivo, di popoli, di razze ecc. seppelliscono la speranza di una nuova umanità. E vi pongono a garanzia di seppellimento sicuro i sigilli della legge, della cultura, del progresso e a custodia gli eserciti armati della distruzione del mondo.
È in questo sepolcro sigillato e vorrebbero che fosse conclusivo, definitivo, che erompe ad ogni giorno che passa, la Risurrezione, questa nuova umanità di cui Gesù Cristo è segno e realtà, sogno e concretezza adorabile.
Quando la Risurrezione di Cristo sarà Risurrezione cosmica, come di lui così di ogni essere umano e dell'umanità tutta, allora apparirà quanto la passione e cioè la storia di dolore, di angoscia, di violenza, di crocifissione, di morte della storia dell'umanità, era un camminare verso la Risurrezione, come le ore della notte verso l'aurora, come il tempo del gelo invernale verso la fioritura della primavera, come il passo, passo, faticoso e doloroso, del pellegrino verso la gioia dell'incontro e dell'abbraccio. Credere nella Risurrezione di Cristo è credere in questa Risurrezione dell'umanità: è lotta per forzare il sepolcro, vivere novità di vita, creare e raccontare una storia diversa.

La posta di Fratel Arturo Paoli

Febbraio 1985
Carissimi amici [d'Italia],
vi scrivo da Monte Carmelo dove attendo il miracolo annuale dette orchidee. Degli alberi altissimi che qui chiamano "bucares" preparano l'apparire di queste regine di bellezza, vestendosi di rosso e preparando tappeti fantastici per il cammino dette principesse; e i bucares sono in festa.
Questa introduzione vi dice che ho goduto profondamente lo spazio contemplativo che mi ha concesso Monte Carme/o. Non lo avrei goduto senza l'accoglienza particolarmente affettuosa dei fratelli e di tutta la comunità. Questo affetto di famiglia che mi circonda mi farà sentire più vivo quello che fratel Carlo chiamava ''il mio vero grande dolore, la separazione". Vivo continuamente l'esperienza di questo grande dolore e di questa grande gioia.
Ma le lettere che mi arrivano dall'Italia vogliono saper qualcosa del viaggio del Papa.
Devo dirvi subito che qui si stanno lentamente spegnendo i ricordi "audio" ma non quelli visivi che dureranno anni, come i manifesti elettorali che rimangono da una elezione all'altra.
C'è uno spreco festoso dette immagini del Papa, che ha un pallido riscontro nelle immagini dei leaders in periodo elettorale, i quali vi dicono con un bel sorriso di affidare loro il vostro destino e le vostre speranze.
Ci sono molte valutazioni della visita del Papa; alcune, come potete immaginare, freneticamente entusiaste che chiudono tutte le fessure ad una possibile critica, e altre che cercano di introdurne qualcuna, passando per la porta dell'umorismo.
Cercherò di darvi un'impressione di questa visita, guardandola dal punto di vista del popolo, dei poveri, di quelli che hanno assistito senza poter manifestare la loro opinione, guardandola dal punto di vista di coloro che non hanno potere; inoltre vorrei dirvi qualcosa del contenuto degli indirizzi di omaggio al Papa, che, secondo me, manifestano un aspetto positivo del sostrato religioso e politico della società venezuelana. Il popolo, come avete visto alla TV, si è riversato nelle strade per vedere il Papa, ha passato delle notti all'addiaccio, come altrove, per non perdere questa occasione unica nella vita. Ho cercato di cogliere le motivazioni che li ha guidati a farlo. La prima è che il Papa li ha fatti sentire "interessanti". Evidentemente non sono state solamente le sue parole e il suo aspetto fisico che senza dubbio conquista; hanno concorso tutta la propaganda, la preparazione, il commento che ha accompagnato il Papa nel suo percorso.
Il popolo è abituato a scoprire che per l'avvocato cui ricorre per essere difeso nei suoi diritti, per il medico cui ricorre per la sua salute, per il politico a cui chiede una protezione necessaria in quel momento, lui non significa nulla, meno che zero. Sono convinto che più che la penuria, la mancanza dei mezzi materiali, pesa sul povero questa quotidiana svalutazione della persona. E questo si sente particolarmente nel popolo venezuelano che definirei un popolo adolescente, non allenato a sopportare questo oltraggio alla sua sensibilità. E questo spiega le sue reazioni aggressive.
Il popolo ha sentito che il Papa era venuto per lui: un signore così importante che si scomoda tanto - Roma è molto lontana, non è vero? - mi chiedono spesso gli abitanti di Monte Carmelo che sanno dell'esistenza di una Roma e della sua favolosa distanza, più lontana della Colombia.
La seconda motivazione si deve ricercare nella dimensione "magica" del Papa. Il Papa non è un presidente della repubblica, né un leader politico, e allora rientra nella categoria di quelli che possono guarire o procurare un impiego o sciogliere un nodo amoroso.
Fortunati quelli che possono raggiungerlo o toccare la sua veste o la sua mano. Forse il solo vederlo, "l'ombra della sua persona" come si pensava dell'altro Pietro, mi otterrà la grazia. Non oserei assolutamente criticare queste intenzioni popolari molto serie e nella verità.
Il "potere", e metto insieme uomini e categorie di potere, ha manipolato disonestamente questa visita del Papa; mi riferisco unicamente a prove oggettive; quello che muove il cuore dell'uomo, Dio solo lo sa in modo esauriente. C'è stata una manipolazione consumistica, una politica e anche una certa manipolazione ecclesiastica. Quella consumistica ha raggiunto livelli osceni e addirittura sacrileghi come la propaganda dela Pepsicola: 'chi riceve voi riceve me, Pepsi", ripetendo la frase del Vangelo trasportata di peso al Papa e alla Pepsi. Un prodotto si faceva propaganda con queste parole: "anche questo viene dall'Italia" (come il Papa), più raccomandabile di così! Queste "profanazioni"fanno meno impressione qui dove delle bettole si gloriano spesso dell'insegna "Bodega del Sagrado Corazon de Jesus", "Farmacia de la Virgen del Valle" e gli almanacchi omaggio riportano spesso delle immagini sacre. Mi hanno spiegato che si fa così perché non finiscano subito nel cestino. La visita del Papa ha offerto un'occasione per aggravare questo tipo di propaganda religioso-commerciale. Politicamente si è cercato di recuperare il discorso del Papa, spesso abbastanza critico e scopertamente a favore delle classi oppresse, come appoggio allo statu quo. Un esempio tipico è il titolo con cui un giornale molto autorevole presenta il discorso del Papa agli operai: "Il Papa ha proposto un accordo fra impresari e lavoratori". E il Papa parlò esplicitamente della priorità del lavoro.
I giornali sono stati concordi nel celebrare il Papa come "il più grande leader dell'umanità". Un giornalista ha scritto 156 frasi adulatorie fra le quali una che merita di essere citata: "È il figlio di Dio fatto uomo".
Raccogliere le frasi di elogio dirette al Papa sarebbe ricostruire qualcosa di simile agli omaggi che accompagnavano gl'imperatori romani nei loro trionfi. Con la differenza che i soldati che li avevano accompagnati nelle loro campagne, avevano il diritto di mettere i "panni sporchi al sole". Come contropartita si cercava di mettere in cattiva luce la "diabolica" teologia della liberazione, evitando un confronto fra le frasi del Papa e il contenuto della teologia della liberazione. Un canale televisivo diretto dai cubani in esilio alternava frasi celebrative del Papa con espressione di orrore dirette al Nicaragua, che "è la vera croce del Papa, la vera causa della sua sofferenza. Dobbiamo far dimenticare al Papa i figli cattivi con la nostra bontà". Il Papa ha detto senza dubbio molte cose a favore dei poveri e di condanna dell'ingiustizia imperante nell'America latina, ma qui in Venezuela quelli che hanno nelle loro mani il potere politico ed economico, le usano a loro vantaggio. È molto facile ancora oggi leggere nei giornali: "il Papa ha detto..., il Papa dice..." in difesa di tesi scopertamente capitalistiche.
Questa visita ha offerto l'occasione di esprimersi a un cristianesimo sotterraneo che si è fatto parola negli indirizzi di omaggio al Papa. Particolarmente notevole il saluto dei sacerdoti e religiosi e quello dei giovani. Cercherò di riassumere i sette punti in cui i giovani hanno raccolto le loro critiche e le loro esigenze.
Primo: siamo stati formati in un'epoca di benessere economico che ha creato un ambiente nazionale di facilismo, spreco e corruzione.
Secondo: ci vengono presentati idoli che invece di costituirsi come modelli di vita fomentano in noi atteggiamenti distruttivi che tendono a mantenere le attuali situazioni sociali ed economiche prevalenti e a deteriorare i nostri valori familiari ed etici.
Terzo: alcuni gruppi economici e politici sistematicamente ci nascondono la realtà nazionale per spegnere in noi il desiderio di cambiamento e le possibilità di organizzazione e partecipazione.
Quarto: ci bombardano di messaggi alienanti: "costruire la nuova Venezuela col lavoro e sforzo", però nascondono le vere cause della crisi.
Quinto: nella società venezuelana si vive continuamente l'oltraggio alla dignità della persona umana, evidente in situazioni di estrema povertà, nelle disoccupazione, negli studenti senza possibilità di accedere ai corsi superiori, nei lavoratori mal retribuiti e in altre numerose situazioni.
Sesto: ci viene detto che siamo speranza e futuro, però dobbiamo denunciare che non ci hanno preparato né ci preparano.
Settimo: crediamo che il Paese è in crisi perché è in crisi la struttura sociale. Infine dobbiamo dire che viviamo in un modello di società che è inconciliabile con i valori evangelici.
Eccellente è la sintesi teologica nella quale i giovani presentano Cristo e la Chiesa; credo che nessun teologo della liberazione avrebbe da toglierei o da aggiungerci una virgola. Questo è il paradosso ecclesiale di oggi: si condanna la teologia della liberazione e ce la troviamo recitata continuamente a cominciare dal Papa.
I sacerdoti e i religiosi hanno messo in evidenza nel loro indirizzo molte deficienze della Chiesa venezuelana, fra cui la mancanza di una pianificazione pastorale, di un inserimento negli ambienti popolari, di un coinvolgimento dei laici.
Nel Venezuela è presente in gran quantità un tipo di laico che definirei "bigotto", più clericale dei chierici, disposto ad obbedire, ma scarseggia il tipo di laico creativo, responsabile, autonomo.
Meno male che quelli che lavorano nella base ne hanno coscienza.
La manipolazione ecclesiastica, che conosco perfettamente dall'epoca romana, si può riassumere nel proposito di "consolare il cuore del Papa, di non dargli dispiacere", il che mi è sempre sembrato un proposito di disprezzo profondo per il Papa. Il Papa sarebbe un vegliardo decadente cui bisogna nascondere la verità e dargli costantemente l'ossigeno consolatorio che lo aiuti a tirare avanti.
E così il potere ecclesiastico si trova d'accordo con il potere politico che cerca di occultare le crisi profonde che travagliano la società. Un altro aspetto di manipolazione è quello di dare alle parole del Papa un'interpretazione che attacchi il meno possibile i nervi dei vari "caudillos". Così mi risulta che l'insistenza del Papa sulla scelta preferenziale dei poveri è stata tradotta in una riunione ad alto livello come la raccomandazione a "fare la carità". Attribuire al papa una frase così grossolana è davvero fargli torto. Il Papa non ha certamente detto questo né ha avuto l'intenzione di dirlo.
Voi mi direte che gli elementi che vi ho dato non vi aiutano a farvi un'opinione esatta sulla visita del Papa. Penso che questa visita è, come tutte le nostre cose, ambigua; né tutto bene né tutto male; e in fondo è giusto che giudichiamo la prassi della Chiesa da adulti. Viviamo un'epoca in cui dobbiamo cercare urgentemente la verità e non dobbiamo trastullarci in apparenze illusorie.
Ci ha dato una soddisfazione immensa l'iniziativa che hanno spontaneamente preso i giovani di Monte Carmelo di dedicarsi alle rappresentazioni teatrali. Erano trascorsi diversi mesi da quando avevano lasciato questa attività che ci pareva molto indicata per sviluppare in loro dimensioni restate atrofizzate per mancanza di studio. La cosa che ci ha sorpreso è stato il contenuto di questa opera teatrale, consistente in cinque sketchs nei quali hanno messo a nudo il maschilismo della loro cultura e l'oppressione della donna nel loro ambiente, a cominciare dall'infanzia. Se uno di noi avesse composto i testi che rappresentavano, si sarebbe potuto dire che era l'occhio europeo che si posava su fenomeni culturali diversi. Non avremmo pensato, né io né i miei fratelli che coloro che vivono questa situazione apparentemente rassegnati e addirittura contenti, ne avessero una coscienza così chiara. Ne hanno rappresentato una satira così acuta e intelligente con poche parole, con pochi gesti, da destare l'ammirazione del pubblico. Le donne avevano un'aria particolarmente soddisfatta perché si sentivano interpretate: finalmente qualcuno che riesce a tirar fuori quello che sentiamo tutte e che non possiamo esprimere.
Mi piacerebbe discutere il sesto punto del documento dei giovani perché, più che preoccuparci di "formare", cosa assai pericolosa, dovremmo dare spazio alla gioventù perché possa esprimersi e "formarsi". Sono molto diffidente verso il proposito di formare perché questo significa spesso costringere ad entrare in un modello prefabbricato. Credo che la funzione degli adulti è molto più semplice e più difficile nello stesso tempo. C'è una frase del Vangelo che considero una meraviglia - e non so quale è più meravigliosa delle altre. Mi piace perché contiene serietà profonda e umorismo: - Guardatevi dal lievito dei farisei - che erano i "formatori" del tempo. Guardatevene, perché vi fanno come loro, preoccupati più dell'apparire che dell'essere. Sono cambiati molto i tempi? Chi volesse scrivermi sappia che il mio indirizzo fino a tutto settembre è: Cx P. 324 - 93.000 Sao Leopoldo R.S. Brasil.
Vi abbraccio con tutto l'affetto approfondito nel recente incontro, dolorante del recente distacco.

Arturo

Preghiera del tempo inutile

Un cielo coperto da una coltre di nuvole a chiudere questa giornata in una morsa di pioggia gelida. Oggi, 21 marzo, primo giorno di primavera. Le luci dei lampioni si accendono e annunciano il buio imminente della notte. Una delle sere - non molte in verità - in cui mi fermo a sedere vicino alla finestra e guardo le macchine, la gente che passa sulla strada, di là dal canale che separa la chiesetta di Sirio dalla città. E i vetri della finestra mi sembrano le pareti trasparenti di un acquario. I miei occhi si perdono dietro il lento serpente delle auto in movimento, strisce di rosso, giallo, bianco mi attirano a poco a poco come in un sonno ipnotico. Mi sento leggero come una piuma, una piccola foglia portata dal vento, una piccola scintilla del grande fuoco dell'umanità che vedo scivolar via sull' asfalto bagnato nel silenzio delle cose. Lo so, mi sto semplicemente addormentando e la stanchezza affiora in tutto il corpo, anche nel cuore. Questo mio intorpidimento si affolla di volti conosciuti, amati. Quanti, a cui voglio un bene dell' anima, nella gioia e nel dolore. Una nostalgia struggente di stringere mani, di sorridere ad occhi che mi ricordano la vita. Cedo -senza difendermene - al sentimento e di gente sconosciuta si popola il mio sogno e mi sembra di averla conosciuta da sempre sotto il colore della pelle, oltre la distanza dello spazio e del tempo. Riaffiora il senso delle cose; come in un lungo racconto si ricompongono i frammenti di un mosaico che abbraccia tutta la storia e la mia - quella piccola insignificante mia storia personale. Dolce serata, piccola Emmaus di un'anima ispessita, ruvida scorza: questi cinque minuti, forse dieci, appena in tempo prima del buio della notte che, al pari della luce del giorno riaccende la lotta quotidiana, la croce di questo nostro esistere.
Rimani chiarezza interiore, serenità che avvolge corpo ed anima, coraggio che deriva dalla giusta misura delle cose, amore che finalmente è libero perché nulla chiede. Rimani perché si fa notte nella vita sbriciolata in una infinità di frammenti. Dio mio, dona un semaforo rosso, un passaggio a livello chiuso, una fila all'ufficio postale, ritagli insignificanti, scarti inutilizzati, attimi sfilacciati a questo tuo sfattino, piccolo rottamaio del tempo.

Luigi

Riconciliazione

Viareggio, 10/2/,85
Carissimo don Tonino, vescovo di Molfetta,
ho letto su ''ADISTA " del 11 Febbraio '85 la sua bellissima e provocatoria lettera a Massimo, il giovane nomade di 22 anni ucciso la notte dell'8 Gennaio in un conflitto a fuoco con un metronot-te. Le sue parole colme di tenerezza evangelica ed insieme di evangelica denuncia detta terribile indifferenza in cui viviamo nei confronti di coloro che nascono, vivono e muoiono - come Massimo - ai margini dette nostre pigrizie, mi è penetrata come un coltello nell'intimo dell'anima. Prima di tutto perché da diversi anni mi sono trovato coinvolto personalmente in situazioni di emarginazione e di abbandono e ho toccato con mano quanto sia difficile e faticoso condividere il cammino dei poveri e degli sventurati. In secondo luogo perché è motivo di speranza e di coraggio una lettera come la sua, nata del suo cuore di cristiano e di vescovo, che testimonia con chiarezza la responsabilità comune di fronte all'ingiustizia e all'emarginazione dei più deboli e ci spinge a sentire "carne della nostra carne" ogni creatura colpita dalla sventura. Le sue parole dolcissime ed insieme amare come il fiele sono un pungolo per tutti, perché non ci laviamo tranquillamente le mani - come Pilato - di fronte alla violenza e alla sopraffazione della nostra vita sociale dicendo: "io non c'entro!"
C'è una cosa, però, netta sua lettera che mi ha riproposto violentemente una domanda che da tanti anni mi porto nell'anima e che si ripresenta puntualmente ogni volta che succedono fatti come quello di Massimo. Ho sentito il desiderio, leggendo e rileggendo le sue parole, di proporle questa mia domanda e di farla diventare - se possibile - occasione di dialogo e magari di profonda conversione all'interno della comunità cristiana. Prima di formularla, però, voglio precisare che non mi riferisco affatto al metronotte di Molfetta, rimasto ferito e al quale auguro di cuore di poter ritornare sano e salvo nella sua famiglia, a vivere in pace con la sua sposa e i suoi dieci figli. Al quale vorrei anche poter augurare altrettanto di cuore di riuscire a trovare un altro lavoro, per guadagnarsi il pane per sé e per i suoi senza una pistola in mano. Perché la mia domanda nasce proprio da questo particolare e vorrebbe interpellare la coscienza cristiana perché venga fuori una risposta che sia capace di metterei tutti su una strada di cambiamento e di conversione evangelica. PUÒ UN CRISTIANO GUADAGNARSI DA VIVERE CON LE ARMI IN PUGNO? Anche nella mia città ci sono i metronotte, i vigili urbani, i poliziotti, i carabinieri, le guardie delle banche; ne incontro sempre qualcuno andando ogni mattina al lavoro nella zona del porto. Ed anche nella mia città - come in tutte le città del mondo - sono accaduti fatti dolorosi e angoscianti come quello di Molfetta.
La nostra coscienza cristiana rifiuta giustamente la violenza armata dei rapinatori, dei banditi, dei ladri di ogni genere. Ma accetta come giusta e "doverosa" la violenza armata di chi "difende" la legge, la proprietà, la vita. La nostra coscienza cristiana - nella maggioranza credo - consideri "onesto" il lavoro di chi a rischio detta propria vita difende l'ordine e la legalità. Credo che nessun buon cristiano e neppure nessun vescovo si "scandalizzi" di veder partecipare all'Eucarestia una guardia bancaria o carceraria, un poliziotto o un carabiniere, che magari poco dopo - perché questo è il suo lavoro e il suo dovere - si può trovare costretto a sparare e ad uccidere.
Da tanti anni leggo il Vangelo di Gesù e lo confronto con questa nostra secolare "coscienza cristiana" riguardo atta violenza legalizzata e rispettata e sempre più mi cresce la convinzione - e anche l'angoscia - che di "cristiano" in questa nostra coscienza non ci sia proprio niente.
Ma che, anzi, da questo punto di vista, siamo rimasti all'antica legge del "occhio per occhio, dente per dente", come fu sempre detto ed insegnato dai tempi dei tempi. Non è forse giunto il tempo di rileggere col cuore aperto il Vangelo di Gesù e lasciarci toccare il cuore, perché non sia più un cuore di pietra, ma un cuore di carne? Non è forse giunto il tempo, in questi nostri amari anni di piombo, di proclamare con chiarezza la Parola di Gesù, perché almeno le mani dei credenti nel Cristo crocefisso non si sporchino più di sangue fraterno, come le mani dei soldati romani sotto la croce del Signore? Loro furono perdonati "perché non sapevano quello che facevano"; potrà essere altrettanto per noi, dopo quasi 2000 anni di convivenza con il Vangelo di Gesù?
La morte di Massimo e la sua bruciante lettera mi hanno riconfermato dolorosamente, ma anche con tanta chiarezza, nella risposta che io sono sicuro di avere già trovato per me. Vorrei però che essa potesse diventare anche la risposta e l'annuncio dell'intera comunità della Chiesa di Gesù Cristo.
Con affetto fraterno e riconoscenza
don Beppe
Ho pensato di offrire agli amici alcune riflessioni nate dalla lettura di una lettera pubblicata da "ADISTA" di mons. Tonino Bello, vescovo di Molfetta, al quale ho voluto scrivere perché mi sembrava importante riuscire ad allargare "nella Chiesa" l'accoglienza dello spirito di amore, di nonviolenza, di rifiuto della "giustizia vendicativa" che sono senza dubbio la base della Riconciliazione cristiana. La lettera del vescovo di Molfetta riguarda la morte violenta di un nomade di 22 anni sorpreso "con una spregevole refurtiva fra le mani" ucciso in una sparatoria con un metronotte: è una lettera piena di amore, di tenerezza per una creatura travolta dalla miseria; ed insieme è un atto di accusa all'indifferenza nella quale vivono e muoiono tutti gli "emarginati" della terra. "Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte, ti aveva ingiustamente ucciso tutta la città. Questa città splendida e altera, generosa e contraddittoria. Che discrimina, che rifiuta, che non si scompone. Questa città dalla delega facile. Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte, ti avevamo ingiustamente ucciso le nostre comunità cristiane. Che portano pacchi, ma non cingono di tenerezza gli infelici come te. Che promuovono assistenza, ma non promuovono una cultura di vita. Che celebrano belle liturgie, ma faticano a scorgere l'icona di Cristo nel cuore di ogni uomo".
A me, questa lettera ha riproposto ancora una volta un "vecchio interrogativo" al quale credo sarebbe urgente trovare una risposta proprio in questo tempo in cui la Chiesa italiana si propone di affrontare il problema della Riconciliazione. La nostra epoca è senza dubbio segnata dalla crescita spaventosa dei mezzi di violenza e di morte; la "filosofia" della difesa armata a tutti i livelli appare come sempre più dominante: non potrebbe essere un segno di "riconciliazione" con la chiara parola del Vangelo la rottura di tutti i legami religiosi col mondo della violenza armata, anche di quella legalizzata e benedetta? Riconciliazione quindi come dichiarazione della fine di una "coscienza morale" durata parecchi secoli a sostegno di un vivere sociale fondato sulla ragione del più forte; ed allo stesso tempo come accoglienza coraggiosa e limpida del messaggio evangelico che chiede ai discepoli del Signore Gesù di "fare due miglia di strada con chi pretende di farne uno".
Come esempio concreto e "fresco" della necessità e dell'urgenza di affrontare nella Chiesa una seria "riconciliazione" con la Parola di Gesù, ho trovato sempre su "ADISTA" del 20 Marzo '85 la notizia di una recentissima dichiarazione di mons. Bonicelli attuale vescovo ordinario militare per !'Italia riguardo al commercio delle armi. In sostanza il vescovo di tutte le caserme dell'esercito italiano dichiara che il diritto alla difesa giustifica il commercio delle armi: "Se ho il diritto - dovere di difendermi, avrò anche quello di fornirmi degli strumenti. necessari. "Mons, Bonicelli prosegue poi su questa linea molto "possibilistica'' a proposito del ruolo dell'Italia nella vendita di armi (abbiamo solo il quarto posto tra i paesi esportatori) mentre "Usa e Urss si dividono quasi in toto la torta".
Ricordando poi (giustamente) che la nostra Costituzione rifiuta la guerra come strumento per risolvere le controversie, il vescovo afferma che "bisogna smettere di pensare e di dire che i militari sono per la guerra e gli obiettori per la pace".
Non è che mi sia meravigliato di questo modo disinvolto di tentare di liquidare un problema così tragico e angosciante che viene rovesciato sulle spalle dell'umanità in termini di paura, di distruzione, di fiumi di sangue, l anche se sentirlo così esplicito dalla bocca di un vescovo cristiano non può lasciare indifferenti. le affermazioni di mons. Bonicelli sembrano piuttosto sicura propaganda di uno zelante commesso viaggiatore dell'industria militare: come dire ai "mercanti di cannoni" di stare tranquilli perché le esigenze della "difesa" richiedono un mercato ben attrezzato.
Ancora una volta, mi pare chiaro che sia urgente allargare la riflessione e l'impegno perché la Chiesa del Signore Gesù sia liberata a tutti i livelli dalla falsa "cultura di pace" di cui anche mons. Bonicelli dimostra di essere un valido "portatore sano".

don Beppe

Questi trent'anni di preteoperaio

È impegno già particolarmente difficile scrivere (e quindi anche parlare e tanto più essere nella vita) come preti. Sto accorgendomi sempre di più, e ormai sono passati i trent'anni, di una specie di stranezza, mi vien quasi da dire, di assurdità a ritrovarmi prete nella situazione storica attuale. A volte non riesco a percepire bene i termini precisi, le valenze umane, le motivazioni giustificanti. Non è perché sono in crisi di Fede o di sacerdozio. Anzi è esattamente vero il contrario: ho chiarezze interiori e profondità di convinzioni religiose e cristiane, limpide, trasparenti. Quasi mi ritrovo a condizioni infantili (ho fiducia che la parola sia ben compresa in tutta la sua pienezza e maturità) nella percezione di Dio, nell'intuizione di Gesù Cristo e provo spesso ancora, nei momenti di particolare interiorità, il dilatarsi nel mio spirito della dolcezza di un'innocenza di Fede, assolutamente non contaminata dalla mia già lunga avventura esistenziale - religiosa evidentemente vissuta in periodi tremendi quali quelli del fascismo, della guerra, della resistenza e di questo trentennio, responsabile, fra le tante cose di un implacabile e impietoso appiattimento di troppi valori, compresa, a parte alcune ma brevissime accensioni di speranza, la banalizzazione così sconcertante, dei valori religiosi, da parte di una Chiesa istituzionalizzata e conservatrice, assai più propensa e pronta a spengere che ad accedere ravvivamenti e rinnovamenti di Fede. A volte ho perfino la sensazione di miracolo quando mi avvedo di tutta una luce rimasta accesa e forse chiarita ancora di più, nel segreto del mio cuore.
È la fedeltà di un raggio di sole che un giorno (è ormai così lontano) mi ha investito con la sua luce, abbacinandomi violentemente. E non so, non credo che sia possibile dimostrarlo, anche se in una visione di Fede è assai facile l'intuirlo, non so se poi questo raggio di luce che mi ha investito mi ha seguito con ostinata fedeltà nel mio avventurarmi dentro l'intrico della vita, perché il mio pellegrinare rimanesse sempre nella luce, oppure se è stato questo raggio di luce a muoversi incessantemente e a propormi (forse a costringermi) ad un cammino, imprevedibile per me, ma già tutto pensato e tracciato.
Penso che sia vera l'una e l'altra ipotesi, perché credo profondamente che la nostra vita è il risultato di una costruzione in cui ha posto mano veramente "e cielo e terra".
Siamo, in tutto quello che siamo, il risultato d'infinite combinazioni per questo gioco bellissimo e adorabile che è la vita.
È fruttificazione il nostro essere e specialmente nelle nostre interiorità che sono le motivazioni, le ragioni più qualificanti del nostro esistere. Fruttificazione che viene su risucchiando ogni valore diffuso, ogni forza dispersa, ogni realtà anche la più imprevista a dichiarazione scoperta e vivente che la novità, nell'esistenza del mondo, nel divenire della storia e nella realtà di ciascun essere umano, è non soltanto possibile, ma essenziale, decisiva per la pienezza e la verità della vita.
È questa novità, che a volte può sembrare anche voglia o bisogno del diverso, ma che invece è semplicemente impulso vitale, accoglienza di una spinta universale e obbedienza alla legge della vita, è questa novità che é ricerca e attualizzazione di "cieli nuovi e di terre nuove" che costringe ad un uscire incessante e pressante da se stessi e a fare quindi della ricerca la condizione fondamentale e determinante della vita.
Perché la propria verità non è mai quello che si è ma soltanto in quello che si cerca di essere. E quindi in un muoversi, in un camminare, in un pellegrinare instancabile.
Potrei trovare e indicare motivazioni di Fede religiosa e cristiana a giustificazione e a sostegno di questo prospettarmi di fronte alla vita e alla storia. Penso però che ve ne siano necessità: è estremamente ovvio che la motivazione causante e costruente della mia vita è, all'origine, unicamente religiosa, come pure fedelmente nella sua continuità, anche se arricchita e potenziata per una sempre crescente realtà di convincimento e di consenso, dall' apporto - e chi può misurarne la portata? - dei valori umani, culturali sociali, politici ecc. incontrati e accolti, a cuore aperto, cammin facendo. D'altra parte sono anche convinto dell'impossibilità di distinzioni intese come separazioni, fra valori considerati seriamente religiosi e valori sentiti e vissuti profondamente umani.
Gesù Cristo è risoluzione chiara e inequivocabile dell'assurdità di queste separazioni e di queste contrapposizioni dialettiche: se e quando il Cristianesimo viene considerato e cercato con sguardo "di fanciullo" in Gesù Cristo e non soltanto attraverso criteri di cultura teologica più o meno condizionata ai tempi o peggio ancora attraverso i filtri d'interessi culturali, economici e politici di una Chiesa istituzionalizzata sempre tesa a cercare nella Fede appoggi e giustificazioni, si direbbe, santificazioni, per la sua temporalità.
Con Gesù Cristo - Dio che si fa Uomo, Dio che viene a rizzare la sua tenda fra le tende degli uomini - ha inizio e chiede continuità fedelissima e presenza storica incessante in ogni momento della storia e in ogni angolo del mondo - ha inizio un Mistero (penso che sia comprensibile questo termine di estrema chiarezza e forse anche l'unico capace di indicazione esatta di tutta una complessità di valori, di realtà) un Mistero di collaborazione, d'integrazione profonda, di completamento vicendevole fra tutto quello che è Dio e tutto quello che è Uomo, nel costruirsi di una storia di umanità da viversi nello splendido scenario che è questa nostra terra con tutti i suoi valori,meravigliosi e adorabili, fino all'infinità dello spazio e di tutto l'universo.
Sono cristiano perché mi ha affascinato e conquistato questa visione, quest'estasi contemplativa della vita.
Mi rendo conto che questa scelta di visione cristiana dell'esistenza porta in se anche affermazioni di bisogni fondamentali e di ricerche irrimediabili: come la possibilità di una soluzione del problema della trascendenza di Dio e quindi della lontananza e cioè della paura di Dio. Il trovarlo e il sentirlo Dio a coesistere con me, con te, con ogni essere umano è idea esaltante di Dio e di estrema valutazione per l'uomo. È vero che nel frattempo succede anche il pericolo di una possibilità di alienazione, di costruzione, dell'uomo non a risorsa interiore all'essere umano ma a componenza dall'esterno e nientemeno di valore che si chiama Dio e quindi di una presenza enorme misurabile dalla chiarezza del convincimento di chi è Dio è e non può non essere nell'ipotesi del suo esistere e di un suo rapporto con resistenza umana.
È chiaro che non sto tracciando elementi catechetici per indurre una riflessione o anche semplicemente accennarla, teologica. Sto semplicemente raccontando appena qualcosa di tutta quell'immensità che è la problematica religiosa, inizialmente intravista ma però sempre con estrema coscienza fino alla provocazione d'incontri-scontri, di avvicinamenti-respinte, di Amore-odio, e poi calatasi e accettata consapevolmente e responsabilmente nella mia vita.
Poiché poi è a seguito di questa accoglienza e quindi di questa disponibilità alla collaborazione (o forse sarebbe meglio che definissi questo rapporto fra me e Dio, non tanto collaborazione quanto piuttosto assunzione di Dio nella mia vita e assunzione della mia vita da parte di Dio, precisando bene i ruoli d'importanza nella costruzione di me e del mio rapporto con la vita, facilmente intuibili tenendo presente la portata della valenza-Dio nei confronti della mia) è a seguito di questa imposizione religiosa e cristiana della mia vita che diventa spiegabile e comprensibile il concretizzarsi e lo svolgersi della mia avventura di uomo, di cristiano, di prete. E queste tre indicazioni non significano affatto distinzioni, né tappe successive o conquiste progressive perché in questo caso potrebbero anche essere disinvoltamente rovesciate e nulla cambierebbe nell' autenticità della storia, se di autenticità si può trattare. Non credo che sia possibile diventare veri a tappe successive, ma tutto è un avvicendarsi, tutto nella vita ribolle insieme, anche se possono risaltare emergenze particolari, destinate poi sempre ad essere riassorbite e nuovamente coinvolte: è da questo rivoluzionarsi incessante e implacabile che può nascere l'uomo e l'umanità. Anche il cristiano .E tanto più il prete, ammesso e non concesso che il prete in quanto tale, corrie è ritrovabile per esempio nel nostro tempo, abbia diritto all'esistenza storica. La scelta per me d'essere prete nella vita cristiana e nella realtà del vivere umano e della sua storia, ha avuto semplicemente il significato di un modo di rapporto ma specialmente di misura, fra me e Dio, fra me e l'uomo, l'umanità dal momento in cui ho capito e accettato che il mio destino non era nei valori che nascevano e si concludevano in me (del resto estremamente chiari e terribilmente voluti e pretesi) ma era in una realtà di rapporti: l'altro e cioè Dio e l'uomo erano la ragion d'essere del mio esistere. E qui era assolutamente doveroso (per capire è necessario aver avuto l'esperienza del "dovere" diventato l'unico ed esclusivo "diritto" nella vita e nella convivenza umana) assolutamente doveroso trovare gli spazi e i termini più rispondenti alla propria risposta a quel destino di rapporto.
Non credo che sia stato per un gioco fortuito di occasioni o di circostanze, sicuramente non per rispondere, anzi tutt'altro, a tendenze personali, ma forse perché la scelta aveva dello strano, dell'assurdo, del pazzesco. Come gettarsi a capofitto dove uno sa che vi è soltanto l'abisso. Una vera e propria perdizione.
Dove avverrà sicuramente di essere mangiato come un pezzo di pane e bevuto come un bicchiere di vino. Perché è vero che il rischio ha la sua potenza di convincimento che, dove la sua misura è più totale , lì può essere di più verità, giustizia, libertà, cioè la possibilità di essere sinceri, cioè semplicemente se stessi.
E poi credo che è Dio che mi ha guidato su questa strada. Forse per vincere di più nella mia vita, sicuramente per essere Lui l'unico, l'assoluto nella costruzione della mia storia. E, può anche darsi, per agitare delle acque stagnanti, realizzare motivi di scontro, tirar su un segno di contraddizione, una realtà di lotta combattuta unicamente a forza di Amore.
Da questo rapporto fra Dio e me non è nata e tanto meno si è sviluppata una religione, una religiosità. Cioè un insieme di culti, di ritualità rivolti all'accentuazione della trascendenza di Dio e al polarizzarsi dei valori umani in una mitizzazione destinata a verificare, mistificandole, responsabilità d'impegno umano, storico.
Dio mi è diventato, dopo alcuni anni di comprensibile decantazione, una terribile provocazione nell'interiorità della mia Fede in richiesta incessante e spietata di un dovere di rischio, senza prudenze e . saggezze e anche senza una logica. È certo che si sono precisate prospettive in cui anche semplicemente l'ombra di una possibilità di ritorno o anche semplicemente di affermazione di me, dei miei valori e delle mie scelte, non potevano che rimanerne assolutamente escluse. Non era più possibile mettere in conto nemmeno problemi di salvezza né mia, né di Dio e tanto meno di Dio in me.
È il momento in cui la perdizione di cui parla il Vangelo diventa programma unicamente capace di assolutizzare una vita in scelte inequivocabili che non perdonano e non lasciano spazio e possibilità a ripensamenti. Si para davanti un'unica strada sulla quale camminare. Un gioco ormai a carte scoperte sul quale puntare a occhi chiusi l'intera posta della vita.
È allora che stranamente, in questo diventar prigionieri, carcerati di una scelta, maturano le più adorabili condizioni di libertà. Quanto più si rafforzano le convinzioni fino a diventare ed essere vere e proprie fissazioni, tanto più la liberazione interiore costruisce capacità formidabili d'impegno e forti possibilità di attualizzazione.
Perché la libertà non è il vuoto a distanza, perdita d'occhio di orizzonti, nel quale vagare dietro la spinta dell'istintività, razionale o fisica o sentimentale che sia: la libertà è essere presi e portati via, immersi nel divenire della storia (e quindi inevitabilmente coinvolti) e giocati senza riguardo e senza risparmio, nel gran gioco dell'uomo diverso, nel realizzarsi dell'umanità nuova.
Per l'ottenersi di questa libertà - la libertà significante uomo - ognuno deve incontrare il suo rapitore e la realtà, il progetto, o se si vuole il sogno, che lo strappi dalla propria individualità e lo butti là allo sbaraglio, succeda quel che vuoi succedere. Ognuno deve trovare il suo abisso nel quale gettarsi a capofitto e nel quale perdersi. Cioè la provocazione che strappi via l'ostrica dallo scoglio e lo spazio nel quale vivere quella libertà imprigionata, che perché proprio imprigionata, ha bisogno del senza limiti o, con un'intuizione di Fede, dell'infinito. Infinito, ovviamente, che esiste soltanto quando e in proporzione in cui la libertà ci ha liberati.
La fede mi ha maturato nell'anima, nella mia interiorità, questa libertà o forse è molto più onesto dire, qualcosa di questa libertà, perché non ho lasciato mai, disgraziatamente, che questa Fede cristiana mi facesse impazzire del tutto.
E mi ha strappato via, a violenze che non perdonano, dalla quiete, pacifismo assurdo e sacrilegio, di tutta una religiosità, che compra e vende una cosiddetta pace, a prezzo di alienazione e disincarnazioni. Costringendomi a uscire fuori, all' aperto e a mescolarmi fra la folla, specialmente quella senza volto e senza nome, perché anch'io diventassi anonimo, non più me stesso, ma l'altro, gli altri, tutti.
Lo spazio e è spaziosità vasta quanto il mondo e si dilata a tutta l'ampiezza sterminata della storia dell'umanità, ho trovato questo spazio nella condizione dell'uomo che lavora col sudore della fronte e con la fatica delle braccia: cioè complesso muscolare valido soltanto in proporzione e finche produce. L'uomo ridotto a calcolo economico. Guardato nella dentatura per misurare l'età, tastato con gli occhi e con la mano per costatarne l'efficienza, la promessa. Come sul mercato.
Ricordo bene quando mi sono messo in giro a cercare lavoro. E poi sempre finché è durato questo sacro tempo della mia verità perché uomo schiavo e libero.
Perché la condizione operaia, in questo nostro tempo che raccoglie le fruttificazioni del farsi di una coscienza operaia e di un maturarsi a seguito e a forza di lotte sempre duramente pagate con prezzi di sangue, di fame, di disperazione, questa condizione operaia vuol dire classe operaia. E la parola bisogna che abbia tutta l'ampiezza della sua significa zio ne storica, per raccogliere la gloria di un passato, la sua forza attuale, le possibilità di essere l'unico soggetto storico per la trasformazione dell'attuale sistemazione della nostra società umana.
Qui lo spazio di presenza è senza confini, ovviamente. E una libertà che ha annullato e vanificato qualsiasi confine, è libertà.
La lotta di classe vuol dire questo cercare incessantemente, a costo di tutto, lo sconfinare, l'andare al di là, un superare e un superarsi appassionato per realizzare un livellamento cioè un'uguaglianza, una fraternità questo essere tutti "compagni", il mangiare cioè tutti lo stesso pane, che conduca e forzi gli uomini all'unità, cioè ogni uomo ad essere uomo, ogni uomo ad essere umanità.
C'è quindi la rivelazione, in una profondità di visione, d'intuizione anche attraverso un'analisi, seriamente e rigorosamente, religiosa e cristiana, di uno spazio, di una latitudine di valori, nella classe operaia, misurabile unicamente con l'unità di misura che è l'uomo. E l'uomo nella sua totalità individuale, collettiva, sociale, politica, in tutti i suoi valori storici, culturali, spirituali, religiosi. L'uomo alla ricerca della propria verità e identità più totalizzante e diventato autenticamente soggetto storico di una rivoluzione universale perché tutta l'umanità sia umanità.
Condizione e classe operaia mi hanno offerto lo spazio per la concretizzazione della scelta di Dio. Cioè, per raccontare secondo le immagini del Vangelo, mi si è aperta, davanti al progetto cristiano della mia vita, una terra sulla quale gettare a piene mani, senza nemmeno guardare dove, il sacco di grano della mia vita, con l'unica prospettiva di un disperdermi inutile o di fruttificare qualcosa, trovando terra che mi accoglie, a condizione di un morirvi sotterrato, come succede per il chicco di grano per realizzare promesse di mietitura.
E qui è la profondità di tutta una lotta, cioè l'animazione dal di dentro di una vera e propria forza rivoluzionaria. E ne ho sempre avuto e ne ho ancora, nonostante tutto, una coscienza estremamente chiara.
Mi sono assunto nella mia vita e non è stata iniziativa mia ma uscita, almeno così credo, dalla misteriosa volontà di Dio e da lui imposta prepotentemente al destino della mia vita, di portare dentro la storia umana e quindi, nel mio tempo, nella classe operaia che sento vero ed unico soggetto della totalità della liberazione umana, la potenza rivoluzionaria dell'idea di Dio dentro la fatica e la lotta dell'uomo e dell'umanità in ricerca di attualizzare, a costo di tutto, una umanità nuova. Perché porto in me la convinzione che sarà Dio e l'uomo l'umanità. Ed è questa convinzione che mi dà di essere e di sentirmi profondamente cristiano ancora. Anche se so molto bene, proprio per una limpida chiarezza di Fede, che anche Dio, come l'uomo, dev'essere ancora liberato perché possa essere nella condizione di esplodere nella storia dell'umanità la sua potenza rivoluzionaria.
E qui la lotta vuol dire liberare Dio da millenni e millenni di religione. Ritrovare e anche qui l'opera di liberazione è impresa terribile, ritrovare la libertà di Dio apparsa chiarissima e vissuta e offerta alla storia da Gesù Cristo, e offrire un Cristianesimo che non sia una religione, ma un costruire umanità, opera di Dio e dell'uomo.
So bene e ormai ne ho lunga esperienza e dolorosissima ma anche esaltante, che assumersi motivi di lotta (hanno in se tutta una Fede e tutto un Amore e proprio per questi tremendi valori questa lotta acquista dimensioni a volte paurose, richiede capacità di strategie attentissime e specialmente di un implacabilità pazzesca e di una dedizione - mi verrebbe da dire "consacrazione" - appassionata) assumersi motivi di lotta scoperti nella chiarezza della Fede in Dio e nell'Amore all'uomo, vuol dire rischiare tutto ma specialmente andare incontro a contrasti, respinte, incomprensioni, tentativi di oppressione...
Vi sono roghi che stanno ancora bruciando anche se non alimentati da cataste di legna secca e spettacolarmente, in mezzo alle piazze.
Mi riferisco alla mia Chiesa e non credo che occorra raccontare episodi di grosse, pesanti, angosciose difficoltà. Perché non è semplice ottenere spazi alla propria Fede, non vengono assolutamente concessi se non quelli ben delimitati e stabiliti, dove è assai difficile il potersi muovere, certamente impossibile realizzare una piena e totale libertà di Fede, pur nell'accoglienza di tutta la Verità rivelata e dal Magistero fedelmente trasmessa.
L'unica condizione che può essere avanzata per questa accoglienza è che sia veramente tutta la Verità, non sezionata, selezionata e tanto meno temporalizzata,
Perché ancora non sono arrivati i tempi per la Chiesa, ma arriveranno, in cui si accetti e si consenta che la Fede in Dio, in Gesù Cristo ecc. può nascere e splendere e impegnarsi in tutta la sua potenzialità a costruire, insieme a tutti gli altri valori umani, umanità, unicamente e soltanto nelle condizioni di libertà totale.
Ho chiesto sempre e soltanto e non solo per me, questa libertà accettando nel frattempo di essere continuamente giudicato sulla Fede e sulle mie scelte concrete. Non mi sorprende però e tanto meno mi induce alla resa, che questa libertà debba essere conquistata. In fondo è la legge della libertà. E quindi i rapporti con la mia Chiesa che non possono che essere rapporti di Amore diventano irrimediabilmente di Lotta.
Diversamente, nella condizione operaia ho sempre trovato larghi spazi alla mia Fede. Ho scoperto immense possibilità d'incontro, di partecipazione, di condivisione. E è bellissimo ritrovarci insieme a camminare sull'identica strada anche se da provenienze diverse. Dev'essere pur possibile una costruzione di umanità anche attraverso una pluralità di motivazioni, anzi questa diversità può costruire un arricchimento indispensabile e insostituibile. L'assolutizzazione, dovunque avvenga e per qualsiasi motivo intenda e cerchi d'imporsi, sarà sempre una disumanizzazione di valori e un cedimento a ipotesi destinate all'oppressione, non alla liberazione dell'uomo e alla costruzione di umanità nuova. Ecco e mi sto avviando alla conclusione di questi accenni alla mia interiorità di prete operaio assai più impegnata e importante della mia esperienza concreta. La mia storia vissuta può anche avere tutta una validità anche se estremamente limitata perché non più che episodica. ma preferisco continuare a raccontarla a me stesso più che agli altri per verificarvi continuamente quella fedeltà, quella linearità alle mie scelte interiori, alle motivazioni che stanno alla radice della mia vita e del mio destino di uomo, di cristiano e di prete.
Possono essere utopie, vaneggiamenti o se si vuole poesia o addirittura sogni. Non ha importanza: spesso penso che si è veri, cioè se stessi, soltanto quando si sogna e non potrà mai succedere, se l'umanità è destinata a sopravvivere, che la realtà vinca o impedisca la poesia. Quello che è vero è che si tratta di onestà di vita perché, in definitiva, io sono un assumermi, senza misurare ampiezza di un compromettermi, di un giocare totalmente me stesso e in questo me stesso vi è anche la mia Fede cristiana con tutto quello che significa e comporta per me credente, in una condizione di lotta nella quale non può che essere richiesta totalità d'impegno, fino a rischiarvi perfino la speranza.
Mi è stato dato di non poter restare a guardare lo scorrere del fiume seduto comodamente fra i fiori e l'erba dell' argine. Sono stato preso e gettato nel turbinio della corrente e ne sono stato travolto. Non voglio essere tratto in salvo. Ma semplicemente fare qualcosa per logorare gli argini e sfondarli nella fiducia che la fiumana abbia a straripare a inondare e dilagare deserti assetati. Se questo sogno - ma dai quattro venti del mondo stanno già arrivando indicazioni di tempi nuovi - non dovesse farsi realtà nella storia del mio tempo, allora preferisco rimanere travolto dai flutti e perdermi insieme a tutti, perché vorrebbe dire che l'umanità ha ancora bisogno di morte per la sua risurrezione, per il tempo nuovo della sua storia.

Sirio Politi

Dalla Tanzania

Anche se non ci conosciamo troppo (io però naturalmente mi ricordo bene di te!) ti voglio scrivere due righe prima di tutto per dirti grazie per la tua fedeltà a inviarmi il tuo "Lotta come Amore".
In effetti dopo aver passato tre anni nel Ruanda ('77-'80) sono venuto per gli studi in Europa a Friburgo e l'anno scorso in luglio sono rientrato in Africa ma all'estremo nord-ovest della Tanzania nella zona frontaliera con il Burundi e il Ruanda. Con grande sorpresa ho trovato passando a Kigali i numeri di "Lotta come Amore" che erano giunti durante i tre anni trascorsi in Europa (!!), il mio fratello ruandese me li aveva accuratamente messi da parte. Ti dico la verità che li leggo con grande gusto. Al rientro dagli studi leggendo le tue riflessioni mi sembra di trovarci più teologia e vita che in tanti volumi di esegeti (eppure amo anche l'esegesi ma non quella cavillosa).
Che dirti della nostra vita qui? Siamo in tre adesso: un francese (bretone!) io di Livorno e un giovane ruandese. La fraternità è una casa in un 'villaggio" di circa 50 famiglie sparse in una larga conca circondata da colline, tutte legate al lavoro dei campi. Anche noi perciò come gli altri lavoriamo un pezzo di terra per vivere e l'immancabile bananeto. La zappa è lo strumento vitale qui. Quest'anno la grande stagione delle piogge è mancata completamente ad Aprile-Maggio (la pioggia è la vita qui) e così le culture sono seccate e adesso si trovano difficilmente le semenze per ottobre (si semina due volte l'anno). In più la nostra regione (quasi frontaliera) è mal servita per i trasporti delle poche cose necessarie (sale, zucchero, fiammiferi, olio, sapone). Un altro grosso problema sono le bestie selvagge: cinghiali, porco spini e bufali soprattutto che distruggono una gran parte delle culture lasciando i resti agli uomini!
È incredibile anche i danni che provocano gli uccelli. la caccia da risultati assai scarsi (si caccia con lance arco e frecce).
Il "villaggio" è nato assai di recente (grazie alla politica di villaggizzazione suscitata dal saggio Nyerese, il Mwalimu) e così la vita sociale e anche i lavori nei campi comunitari lasciano ancora molto a desiderare.
Volevo dirti soprattutto che la vostra passione per la Pace e la Giustizia mi da coraggio, bisogna attaccare con la vita da tutte le parti: da voi in Europa in Italia come da noi "terzo mondo" come ci chiamano.
Noi qui con la gente con cui viviamo siamo in effetti nella impotenza la più totale, tutto quello che si può fare è cercare di sopravvivere con i nostri poveri mezzi, con quell'attaccamento e gusto alla vita però che è così straordinario qui. Eppoi mi sembra profondamente vero quello che scrivi: "La Pace è come la ricerca, il bisogno di Dio: insaziabile necessità assoluta... impossibilità di arrendersi" e così pure la giustizia.
Penso che il gusto che ho ritrovato nel leggere le tue pagine vive mi viene dal fatto che osservo sempre più (voglio dire in Europa) che la minuzia delle analisi 'scientifiche" economiche, sociali o politiche (e perché no anche religiose) rischia spesso di far perdere di vista e scordare la percezione universale dei grandi valori di fondo dell'"omo" (per dirla alla livornese!). Vorrei dirti ancora tante cose ma adesso non escono dalla penna e poi son tutte cose che sai già e meglio, sappi comunque che anche da lontano mi sento in comunione profonda con quello che vivete. Ciao fraternamente

Lorenzo


Preghiera a Nostra Signora del Terzo Mondo

Sorella pellegrina dei poveri Yahvé,
Profetessa dei poveri liberati,
Madre del terzo mondo,
Madre di tutti gli uomini di questo unico mondo
perché sei la Madre del Dio fatto uomo.
Con tutti quelli che credono in Cristo
e con tutti quelli che in qualche modo ne cercano il Regno,
Ti invochiamo, Madre,
perché tu gli parli di tutti noi.

Chiedi a Lui, che si è fatto povero
per comunicarci la ricchezza del suo amore,
che la sua Chiesa si spogli,
senza sotterfugi, di ogni altra ricchezza.

A Lui, che è morto in croce per salvare gli uomini,
chiedi che noi, suoi discepoli,
sappiamo vivere e morire
per la totale liberazione dei nostri fratelli.

Chiedigli che ci divori la fame e la sete di quella giustizia
che spoglia e redime.

A Lui, che ha abbattuto il muro della separazione,
chiedi che tutti noi che portiamo il sigillo del suo nome
cerchiamo sempre, al di sopra di tutto ciò che divide,
quella unità richiesta da Lui stesso nel testamento,
e che è possibile soltanto nella libertà dei figli di Dio;
chiedi a Lui, che vive risorto vicino al Padre,
che ci comunichi la forza gioiosa del suo Spirito
per vincere l'egoismo, l'abitudine, la paura.

Donna contadina e operaia,
nata in una colonia
martirizzata dal legalismo e dall'ipocrisia,
insegnaci a leggere sinceramente il Vangelo di Gesù
e a tradurlo nella vita
con tutte le conseguenze rivoluzionarie,
nello spirito radicale delle beatitudini
e nel rischio totale di quell'amore che sa dare la vita
per coloro che ama.
Per Gesù Cristo
tuo Figlio, il Figlio di Dio nostro fratello.

PEDRO CASALDALIGA
vescovo di Sao Félix de Araguaia
Mato Grosso, Brasile

Appello alla Chiesa per la Pace

40 anni dopo Hiroshima

A Sua Santità Giovanni Paolo II, Ai Vescovi
ed Ai Responsabili delle Chiese riformate:
Siamo convinti che un pericolo così grave ed impellente come la distruzione nucleare del mondo (che la provochi la follia umana o un errore tecnologico) non si possa risolvere anzitutto sul piano politico ma ben prima sul piano morale.
Per questo chiediamo a voi di mettere al bando le armi nucleari!
"L'unica differenza tra la vita dei popoli cristiani e quella di tutti gli altri è che nel mondo cristiano la legge dell'amore è stata espressa in modo così chiaro e preciso come in nessun'altra dottrina religiosa, e che gli uomini del mondo cristiano hanno accolto trionfalmente questa legge e, nello stesso tempo, si sono permessi la violenza e hanno costruito sulla violenza tutta la loro vita. Perciò, tutta la vita dei popoli cristiani è una lampante contraddizione fra ciò che professano e ciò su cui fondano la loro vita: la contraddizione fra l'amore, riconosciuto quale legge di vita, e la violenza, riconosciuta addirittura come necessità sotto aspetti come (...) l'esercito. Questa contraddizione è cresciuta continuamente insieme col progresso degli uomini del mondo cristiano e, in questi ultimi tempi è arrivata all'estremo". (dalla Lettera di Tolstoj a Gandhi - 7 Settembre 1910).
Nel 1985, la contraddizione estrema è, per la Chiesa, quella di stabilire leggi d'amore che proteggono la vita (perfino allo stato potenziale), ancor prima del concepimento e prima della nascita, pur continuando a permettere ai Cristiani di servire in un esercito dotato di armi nucleari, ove giurano di obbedire a qualsiasi ordine anche quello che causerà inevitabilmente la loro stessa distruzione, quella dei loro figli e quella della terra donataci da Dio - in nome della "Difesa"! (Tbomas Siemer - un Cattolico).
Noi supplichiamo quindi voi, Pastori del mondo cristiano, di ridare vita all'insegnamento nonviolento di Gesù Cristo in tutta la forza originale del Suo esempio e della Sua testimonianza pronunciando una parola chiara contro l'attuale sistema di minaccia reciproca di annientamento. Ma una parola di questo tipo può toccare la coscienza dell'umanità e perfino dei fedeli soltanto se Voi mostrate una via concreta alla Pace.
Vi chiediamo quindi:
- Di dichiarare incompatibile con il messaggio di Cristo qualunque intenzione di usare anni nucleari o altre armi di sterminio da basi a terra, in mare, o spaziali.
2. - Di ricordare a qualunque Capo di una Nazione si dichiari cristiano, il suo dovere di provocare immediatamente il congelamento della produzione di anni nucleari nel suo paese - indipendentemente dalla decisione di altre nazioni.
3. - Di chiedere una riconversione radicale, economica ed industriale, dell'industria bellica, a favore delle spese sociali nel mondo.
4. - Di esigere che gli aiuti ai paesi in via di sviluppo siano aiuti economici invece di armamenti.
5. - Di non riconoscere alcuno come nemico sulla sola base delle sue convinzioni politiche o ideologiche o il solo fatto di appartenere a paesi e movimenti che si ispirano al Socialismo o al Comunismo, e pertanto di rivolgere a tutti la propria proposta di riconciliazione senza discriminazione di persone o nazioni.
6. - Di mettere in guardia i cristiani dal trovarsi a far parte di qualsiasi organismo la cui politica preveda di usare le armi nucleari per primi (in risposta ad un attacco convenzionale).
7. - Di dichiarare che è immorale per un cristiano servire in una forza armata nucleare - o costruire, installare, confidare nelle armi atomiche.

Comunità P.A.C.E. Cas. Post. 6084
00100 Roma




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