LOTTA COME AMORE: LcA dicembre 1985

Il peccato dell'intenzionalismo

Sembra parola difficile, complicata come del resto tutte le parole che finiscono in "ismo". Può essere, eppure riesce a significare tutto quell'inquinamento, quella perversione di cui sta traboccando il vivere e tanto più il convivere dell'uomo attuale.
Fondamentalmente è buona cosa, come tutte le cose della vita e del mondo. Diceva S.Tommaso d'Aquino che niente viene compiuto dall'uomo senza una motivazione, senza una precisa intenzione "nemmeno l'accarezzarsi la barba".
Non è possibile che nell'uomo avvenga una scissione nel suo essere spirito e materia una separazione che possa comportare un giudizio di pura spiritualità o materialità. Tutto in noi è espressione di una realtà unitaria.
Il motivo e la finalizzazione non possono mancare mai, dunque, c'è sempre un filo, prezioso o banale che sia, a tessere la trama del tessuto del nostro vivere.
Niente è senza un'intenzione e tutto, dalla minima frammentaria, sbriciolata quotidianità, alla vastità totalizzante di un progetto capace di determinare e coinvolgere tutta una vita e chissà quanta esistenza, tutto, palesemente o nascostamente ha una spiegazione, una motivazione più o meno cosciente.
È dalla ricerca di questa spiegazione, è tentando di mettere in piena luce ciò che è segreto, tenuto gelosamente nascosto, spesso perfino a se stesso, che, per intuizione o per l'imporsi inequivocabile della realtà dei fatti, può essere conosciuta l'intenzione. E quando il fine, la mèta, il traguardo si assolutizza, diventa cioè la ragion d'essere del se stessi e di ogni cosa, cielo e terra, allora l'intenzionalismo prende il sopravvento e guida, determina, costruisce, demolisce, diventa cioè capace di tutto. Fino alla giustificazione dell'assurdo, della disumanità, della più incredibile follia. Entrano in gioco le forzature culturali, i convincimenti religiosi, le giustificazioni sociali, economiche, politiche. Entra in gioco l'ideologia, la copertura cioè dei personalismi, degli interessi collettivi, dei nazionalismi, dei razzismi.
È l'umanizzazione della disumanità, la santificazione dell'aberrazione, la razionalizzazione della follia.
E l'intenzionalismo, questa assolutizzazione, cioè il blocco di ogni e qualsiasi valore centrato in una finalizzazione a costo di tutto, è il peccato che domina il mondo, l'umanità, la sua storia.
È pura incoscienza non esserne terrorizzati. È irresponsabilità non smascherarlo indicandone la perfidia subdola, l'infiltrazione capillare, la manifestazione contrabbandata di pace, libertà, sicurezza, giustizia, diritto, dovere... e anche regno di Dio, ricerca del cosiddetto bene comune, la salvezza del privato e del pubblico, della terra e del cielo. Dall'offrirci sollievo dal raffreddore alla sicurezza delle guerre stellari.
Appena qualche indicazione:
l) L'intenzionalismo ossia l'assolutizzazione delle proprie idee e cioè del se stesso. Una specie di tentativo di divinizzazione, l'io che assomma in se ogni valore, compresa la speranza. L'idolatria non è più una pietra, un pezzo di legno scolpito, un serpente: è un uomo, una multinazionale, la banca, l'ideologia, il partito, la potenza militare, la scienza, la religione ecc. (si sbriciola l'assolutizzazione fino a infestare le case, le fabbriche, la cultura, le relazioni interpersonali, lo sport, il mangiare, il bere, il lavoro, il tempo libero, il fare all'amore...)
2) L'intenzionalismo e cioè la genialità, la furbizia, il potere d'introdurre, d'infiltrare, d'imporre l'assolutizzazione di un'idea, di un progetto, di un interesse come essenzialità, unica speranza, la sola salvezza: la capacità cioè di suscitare e ottenere convergenza, provocare interessi, rendere indispensabile, realizzare la piramide dei valori... Cioè il saper contrabbandare la falsità, gestire l'illusione, rovesciare i valori...
3) L'assolutizzazione ossia l'utilizzo della propaganda spregiudicatamente. Sempre ma particolarmente in questo nostro tempo dominato dalla sopraffazione dei mezzi di comunicazione ("mass-media", così non si percepisce bene di che si tratta) la propaganda è spaventosa, demoniaca realtà di peccato. Se non altro perché è la radice determinante, il principio, la spiegazione, il fine ultimo, di tutto, assolutamente di tutto, decisamente niente escluso.
E non serve proprio tentare un elenco delle realtà del mondo e della vita nelle quali la propaganda è il respiro vitale, l'anima segreta, la spinta determinante, il bene supremo...
C'è da sorprendersi come e perché la morale cattolica pur così attenta e vigile nel giudicare i comportamenti di questo nostro tempo, non inquadri e condanni la inequivocabile immoralità di un propagandismo che sta inquinando le coscienze, per una ricerca affannosa, spasmodica di normalizzazione della falsità, dell'imbroglio, fino ad opprimere e soffocare e violentemente, ogni possibilità di libertà di pensiero, di giudizio e quindi di scelta per il comportamento individuale, collettivo, di popoli. Ma forse la morale della Chiesa tace perché anche la Chiesa e la sua morale e pastorale non è immune dal peccato dell'intenzionalismo e quindi del propagandismo.
4) È chiaro che l'intenzionalismo esige e spietatamente comporta, l'utilizzazione del micidiale principio il "fine giustifica i mezzi". Ne consegue una mentalità e quindi una coscienza totalmente bloccata nei propri assunti, rassicurata da ogni giustificazione. Una vera e propria e delittuosa trasposizione del soggettivo nell'oggettivo, fino all'ottenimento dell'identità del reale, del concreto, con il proprio io.
Di qui la giustificazione a diventare ed essere "criterio di moralità". È l'arrogarsi il potere di decidere del bene e del male e in conseguenza della scelta dei mezzi da utilizzare.
Siamo all' aberrazione dell' umano. Al peccato totale.
E oggi a livelli internazionali al pericolo estremo: l'uomo in forza e a seguito dei suoi criteri morali può annientare la sopravvivenza sulla terra. E quando lo farà, Dio non voglia, lo farà con la coscienza convinta di obbedire a un duro ma necessario dovere.
È vero tutto e se non ti sgomenta questo peccato è unicamente perché non conosci te stesso e tutto il groviglio dei tuoi intenzionalismi. E di quelli intorno a te. Tanto meno quando guardi la televisione o leggi i giornali e i rotocalchi: non ti avvedi di non contare altro che d'essere oggetto di spietato sfruttamento da parte d'interessi di altri. E spesso (sempre?) interessi fondati sull'oppressione della persona, sulla cancellazione di ogni dignità umana, sulla strumentalizzazione più o meno criminale degli egoismi più segreti e raffinati.
5) Spesso non appare, da quanto tutto è accuratamente camuffato e contraffatto, ma questo intenzionalismo comporta e legittima l'annullamento di ogni dignità della persona umana: contano e valgono esclusivamente e a costo di tutto, gli obiettivi stabiliti e scelti con preferenza assoluta. E tutto, di se stesso e dei mezzi e possibilità a disposizione, viene spietatamente ordinato, organizzato al raggiungimento dell'obiettivo, alla concretizzazione dell'intenzione. E tutto diventa strumento: da Dio al demonio, dal trono all'altare, dalla cultura alla schiavizzazione, dalla vita alla morte, dal nazionalismo alla rivoluzione, dalla politica al terrorismo, dal capitalismo al marxismo, dall'opulenza alla fame, dalle guerre stellari alla pistola, dallo sport alla droga ecc.
In tutto l'orrore che sgomenta questo vivere umano in ogni angolo della terra, nella impossibilità della pace, della libertà, della dignità umana, dell'uguaglianza... è la radice maledetta dell'intenzionalismo che tutto determina, forzando il bene e il male, a servire il realizzarsi, il compiersi di tutto ciò che è stato concepito, nutrito, allevato nell'utero orrendo dell'egoismo, della vanità, dell'orgoglio, dell'assolutizzazione. E tutto ciò che è nato e cresciuto nella storia, da questa disumanità, è stata sempre e soltanto disperazione.
"È scritto: non commettere adulterio: ma io vi dico: se uno guarda la donna di un altro perché la vuole, nel suo cuore egli ha già commesso adulterio". (Mt, 5,28)
"Attenti a non fare il bene in pubblico per il desiderio di essere ammirati dalla gente... non fare come gli ipocriti, non farlo sapere a tutti: essi fanno così perché cercano l'ammirazione dalla gente"... (Mt, 6,1-2)
...È ciò che viene dal cuore dall'uomo che rende l'uomo impuro. Perché è dal cuore che vengono tutti i pensieri malvagi che portano al male... " (Mt. 15,16)
"Un albero buono non fa frutti cattivi e un albero cattivo non fa frutti buoni. Si conosce la qualità di un albero dai suoi frutti: difatti non si raccolgono fichi dalle spine e non si vendemmia uva dai rovi. L'uomo buono tira fuori il bene dal suo cuore come da un tesoro prezioso, l'uomo cattivo invece tira fuori il male dal suo cuore come da uno scrigno cattivo: ciascuno infatti esprime con la bocca ciò che ha nel cuore" (Lc. 6,43)
"Allora il Signore gli disse: Voi, farisei, vi preoccupate di pulire l'esterno del bicchiere e del piatto, ma all'interno siete pieni di furti e di violenze" (Lc. 11,39)


La posta di fratel Arturo

Carissimi amici d'Italia,
nell'ultima lettera vi annunziavo la mia conversione dal nomadismo alla vita sedentaria. Speriamo che l'altra, quella che propriamente chiamiamo conversione, non sia della stessa qualità, perché sarei perduto. Nel tempo intermedio fra le due lettere ho passato una quarantina di giorni in Argentina, viaggiando dalla Patagonia a Mendoza - la Mendoza de "Dagli Appennini alle Ande" -, a Resistencia, a Buenos Aires; poi ho viaggiato per lo stato di Rio Grande. Una trovata per farmi accettare ritiri, incontri e cose simili dentro lo stato è che "sono in casa" e non si può parlare di veri viaggi. Ma pensate che lo stato di Rio Grande ha la stessa superficie dell'Italia meno le due isole. Per andare da una città all'altra devo fare un viaggetto come Milano-Roma. Questa settimana, per esempio, per stare un giorno con gli amici della Fraternità sacerdotale che si riunivano "vicino a casa mia", ho fatto trecentocinquanta chilometri di andata e altrettanti di ritorno.
Ora siamo già alla metà di settembre e devo prepararmi a un viaggio di tre mesi che ha come meta Canadà-Nicaragua-Colombia. Perchè vi scrivo questo? Per farmi compatire o ammirare? La ragione vera che ho trovato è quella di protestare vibratamente e davanti a testimoni, la mia volontà di fermarmi e di mettere finalmente radice in un posto. Mentre scrivo una voce interna mi dice - devo registrare tutto per essere veramente aperto e leale con voi - "E se Dio non lo volesse?". Così chino la testa e avanti. Non pensatemi triste e rassegnato: ogni mattina mi alzo salutando la vita e assumendo con gioia quello che devo fare oggi.
Con i miei tre compagni siamo stati fedeli all'adorazione dalle 22 alle 23 nella nostra cappellina che è davvero accogliente e invita molto alla preghiera; cerchiamo di mettere tutti i mezzi per essere una vera fraternità. Dopo tante esperienze di comunità religiose, sono arrivato ad una convinzione che mi accompagna in questa ricerca costante. Mi pare che la vita religiosa attuale sia stata formata da esigenze che sono risultate dal Concilio di Trento: esigenza che chiamerei missionaria o di conquista, esigenza di istruzione che chiamerei dottrinale, per raggiungere efficacia; di qui viene la necessità di una disciplina, e di fare dell'obbedienza il centro della vita religiosa. Mi pare che le due grandi correnti religiose pretridentine, la monastica e la francescana, rispondessero alla intenzione di lodare Dio, riconoscendo la sua bontà nella creazione e quella di vivere nel mondo in mezzo agli altri e con gli altri, soprattutto i poveri, quell'amore che Gesù è venuto a portare sulla terra. Penso che la richiesta dell'uomo di oggi sia quella di poter dire: "Guardate come si amano" piuttosto che quella che potrebbe nascere dall'assistere a una parata militare: "Guardate come sono ordinati e come sono bravi". Sento che la vita religiosa non può aiutare veramente la Chiesa e il mondo, se pensa a riformarsi dall'interno; deve rispondere al tempo, a quelli che il Concilio chiama i segni del tempo. Sento che è molto più esigente una comunità che vive cercando la comunione che una comunità che è orientata alla ricerca della efficacia, anche se si tratta di una efficacia pastorale. Non so se riusciremo a costruire qualcosa, se non siamo capaci noi, altri gruppi raccoglieranno il nostro messaggio. Non mi sgomenta per nulla il fatto di essere sempre al principio. In questo mese ho piantato delle mute di alberi che io non vedrò crescere, gli ulivi della nostra terra, che amici mi hanno mandato, cipressi e altre cose. Non sento la tristezza di non arrivare a vederli, sento piuttosto la gioia che proveranno gli altri nello scoprirli un giorno. Penso che il dono grande dello Spirito Santo è proprio quello di motivare a seminare nelle lacrime, vedendo quelli che mieteranno con gioia. Il momento oscuro della seminagione è già illuminato dalla gioia della speranza che è una forma di amore verso gli altri, quelli che verranno. Penso di non lasciare nulla, perché quello che si mette da parte per gli altri, quando gli altri lo ricevono, è "andato a male" come diciamo noi toscani, e quindi non serve più.
Vorrei lasciare questa disposizione a ricominciare sempre, fino all'ultimo giorno della vita e ricominciare è sperare. Lasciare agli altri la speranza è trasmettere la migliore eredità, perché con la speranza tutto è possibile, senza speranza i piani più efficaci sono svuotati di efficacia.
Sono convinto che un vero rinnovamento della vita religiosa sarà reale quando i gruppi religiosi e congregazioni, senza perdere la loro identità, si lasceranno interpellare seriamente dal popolo e saranno capaci di comprendere le esigenze del popolo e di dare una risposta soddisfacente. Finché tutti i rinnovamenti sono orientati ad una applicazione sempre più esatta delle regole e delle costituzioni non possiamo attendere un vero rinnovamento. La condizione che pone lo Spirito Santo per compiere la sua opera di rinnovatore, è sempre quella di avere il coraggio di perdere la sicurezza che ci viene dalla dipendenza dalla legge. So che questo non è facile, ma non possiamo inventare un altro metodo. Mi scuserete se vi ho trattenuto su un argomento che forse interesserà a pochi, ma non potevo non aprirvi il mio cuore che è costantemente rivolto agli interessi di quella grande comunione che ci comprende tutti, e che si chiama Chiesa.
Vi abbraccio e vi porto con me,

Arturo

Per non dimenticare

Queste semplici righe scritte come sempre in maniera quasi improvvisata, ma profondamente sincera, e offerte alla lettura degli amici sparsi un po' dovunque, sono come il risultato di una lunga permanenza nel fondo della mia anima di una storia che mi è penetrata dentro e non ha più voluto abbandonarmi. Ogni tanto essa si riaffaccia alla mente, come nascosta dietro il sipario della memoria e pare quasi che esprima il bisogno di non essere cancellata dalla normale dimenticanza con cui tutti noi riusciamo ad allontanare i brutti ricordi, le ferite e le lacerazioni passate. La pagina di giornale sulla quale mi è capitato di leggerla è ormai carta da buttare (anche se l'ho conservata gelosamente), la storia è fresca dentro di me e la sua ferita rimane tranquillamente aperta. Così ho pensato che era giusto parlarne con gli amici, a distanza, come a continuarne ad allargarne la memoria: una memoria che sia motivo di una "lotta come Amore" che in qualche modo ci impegni seriamente nella nostra vita.
È la storia di Randa Amar, una bambina libanese di 10 anni, che il 17 Agosto di quest' anno ha tentato per due volte di togliersi la vita perché stanca della guerra. È stata ricoverata nell'ospedale di Tiro dopo che aveva ingoiato parecchie pasticche di barbiturici. Quando si è svegliata, dopo la lavanda gastrica, ha tentato per una seconda volta di uccidersi buttandosi da una finestra: dopo un volo di 8 metri, è finita per caso sul tetto di un'ambulanza. Così si è rotta le ossa in varie parti del corpo, ma è rimasta viva. Al giornalista del "Corriere" che ha parlato con lei, questa bambina libanese ha detto parole che sembrano inconcepibili per una ragazzina della sua età: "L'ho fatto perché ho capito che la guerra non permette ad un bambino di vivere. L'ho fatto perché ero stanca: perché non ho visto mai nient'altro che fucili e carri armati."
Queste parole sono certamente una delle condanne più chiare e terribili che siano mai state pronunciate contro la guerra e contro tutti coloro che la preparano, la sostengono, la guidano, la realizzano. E al di là delle parole, il fatto angoscioso che questa bambina abbia cercato nella morte quella pace che la vita non le ha mai saputo offrire nella sua tormentata vicenda in un quartiere islamico di Beirut Ovest, esprime un giudizio indiscutibile su una delle realtà più disumane della nostra storia.
Letta e accolta alla luce del Vangelo, la storia di Randa è una amara e lucidissima "parabola" che mette a nudo tutta una serie di concezioni, idee, modi di vivere e risolvere i rapporti umani che stanno dietro - come alla radice - di ogni guerra, di ogni modo violento e sanguinario per affrontare i problemi. Essa è come uno specchio della verità dove ognuno di noi può guardare la propria immagine e trarne le necessarie conclusioni. Personalmente sono molto riconoscente al giornalista che ha voluto raccogliere questa storia, perché essa fa parte di quel Vangelo vivente del nostro tempo, attraverso il quale passa di sicuro il messaggio di amore che Dio - senza stancarsi -continua a farci arrivare. Se è vero, come scriveva il poeta indiano Tagore, che "ogni volta che nasce un bambino, è segno che Dio non si è ancora stancato degli uomini", è altrettanto tragicamente vero che ogni volta che un bambino tenta di morire, è segno che Dio si sta stancando di tutti noi.
Certamente la storia di Randa Amar è solo un piccolissimo punto della fiumana di dolore e di sofferenza che tutte le guerre hanno generato: essa però racchiude un misterioso messaggio, un appello urgente e pressante per chi ha orecchi per intendere, anima e cuore per accogliere e comprendere. Per i mercanti di cannoni, i grandi generali, i capi degli stati, gli scaltri diplomatici, i tecnici e gli scienziati militari, fino agli operai delle fabbriche di armi, ai militari di leva delle caserme, ai cappellani militari... quello di Randa non può essere altro che un "incidente" di infinitesima importanza, un granello di polvere nell'immenso turbinio delle vicende umane, una goccia quasi invisibile nell'oceano dei problemi. Un niente. Per comprendere tutta la portata di questa piccola e terribile storia, penso bisognerebbe prendere sul serio le parole di Gesù: "Guai a chi dà scandalo ad uno di questi piccoli." L'eco di questo scandalo la possiamo trovare molto chiara nelle parole di questa misteriosa bambina libanese: "Mi sono ricordata due cose prima di tentare di farla finita: l'esplosione di un'autobotte a Beirut, circa 4 mesi fa; poi il fidanzato di un'amica più grande ucciso in strada con un colpo di fucile". Nelle sue parole, ma molto più nel suo gesto, c'è come il riassunto di tutta la tragedia del Libano, del popolo palestinese, dello scontro durissimo fra cristiani, musulmani, drusi, sciiti; della folle strategia che ha sostenuto tutta l'operazione passata alla storia come "operazione pace in Galilea" di parte israeliana; di tutto il commercio d'armi che fa i suoi grossi profitti nella terra bruciata del Medio Oriente. Questo intreccio di cose, alla cui base sta indubbiamente l'assurda e cieca volontà di dominio, di sopraffazione, di sfruttamento economico, di supremazia politica, di rivalsa razziale, è diventato come un cappio mortale stretto intorno al cuore e all'anima di questa bambina fino a farle desiderare intensamente la pace della morte. E Randa non è la sola ad aver subito questo atroce richiamo. Il dottore che l'ha curata nell'ospedale Jaral Amel di Tiro, dichiara: "Ci sono stati molti suicidi, soprattutto fra i giovani. Qui la gente ha conosciuto soltanto una realtà, quella della guerra. I ragazzi che in Libano hanno vent'anni non sanno che c'è un mondo dove non si spara tutti i giorni".
Non so quello che ognuno di noi può e deve fare perché la storia non cammini più sul filo della guerra, della distruzione e della morte; ma una cosa è certa: almeno possiamo non perdere la "memoria" di questi fatti, conservarli come un fuoco acceso nel fondo dell'anima perché ci costringano ogni giorno a forzare le porte della pace.

don Beppe

Proverbi

I proverbi, si sa, portano con sé la magia dello specchio. Riflettono le apparenze, le forme, gli stati d'animo di chi si presenta loro dinanzi. Non sfugge a questa regola un proverbio africano che mi è rimasto impresso in questi ultimi tempi:
"Fa più rumore un solo albero che cade di un'intera foresta che cresce". Non so perché mi ha colpito se non il fatto che da un pezzo in qua sto dando molta importanza a ciò che sta crescendo, oltre i rumori degli avvenimenti quotidiani, oltre i segnali consueti. In me forse prima di tutto, ma anche intorno a me nella realtà sociale. Devo dire che lo schianto di un albero che cade ha qualcosa di impressionante. Anche se sei a distanza di sicurezza non puoi sottrarti all' impressione che ti venga addosso. E quando sta cadendo un albero è davvero difficile ascoltare la foresta che cresce. La chioma che cade oscura il cielo compiendo un arco in tutta la sua imponenza e si abbatte al suolo con un rumore sordo facendo tremare il terreno. Così tutto quello che finisce, entra in crisi, si propone per cambiamenti radicali ed appartiene, nello stesso tempo, alla tua esperienza, alla tua storia, alla tua vita non può non impressionare e scuotere la speranza fin nelle sue fondamenta. È veramente difficile nell'arco di radicali cambiamenti, nel tremare sordo di ciò che si frantuma sotto la pressione di forze esterne, è veramente difficile prestare ascolto a ciò che sta crescendo. Si rimane presi da ciò che non è più. O scandalizzati, o trionfanti. Oppure se ci sei dentro fino al collo, con una paura da matti. Come una nudità improvvisa e irreparabile. Ci sarà la foresta o anche solo un fazzoletto d'erba che continua a crescere?
È storia di proverbi, storia antica quanto il mondo, quanto una foresta secolare che non teme il rinnovarsi dei suoi elementi. È storia di un albero innalzato a forma di croce nel cui spazio aperto si dice cresca una foresta invisibile. È storia anche personale che rinnova il timore, ma anche la speranza di vedere il grigio invernale colorarsi del verde delicatissimo delle gemme di primavera.

Luigi

Nella terra del libertador sconfitto

Domenica 14 aprile
Al mattino mentre Tarcisio Silvano e Umberto sono andati da una comunità "Ipitassito sul monte" per trattare il luogo e il modo della costruzione di un acquedotto mi sono fermato a Gutierrez, in meditazione. Ricordavo il pensiero di un missionario salesiano della Terra del fuoco: "gli atti di sevizie e di crudeltà che si compirono dacché gli uomini bianchi penetrarono nella Patagonia contribuendo così grandemente alla rapida estinzione di una razza innocua e vigorosa, passeranno ai posteri come una macchia vergognosa della civiltà. Esploratori, estancieros, militari non ebbero scrupolo di scaricare i loro fucili sui poveri indios, come se si trattasse di selvaggina, e di strappare dal fianco dei loro mariti e dei loro padri donne e ragazzi, di allontanarli dai loro focolari domestici per portarli in terre straniere ed esibirli al pubblico come gli esseri più degradati del genere umano". Simile copione - con variante di schiavitù in Africa - è avvenuto nell'America del Nord, Canadà compreso in tutta l'America Centrale e del Sud e in Australia. Alla fine del 1700 gli aborigeni erano 300.000, un secolo dopo lo sbarco di Cook gli aborigeni erano ridotti a meno di 60.000. Cacciati dalla loro terra tradizionale e spinti verso le terre inospitali dell'interno, fatti oggetto di massacri e decimati dalle malattie importate dai nuovi arrivati "i civilizzatori e gli evangelizzatori", furono considerati più o meno come animali: spedizioni e battute di caccia all'aborigeno conti-nuarono infatti per tutto il periodo della colonizzazione fino alle soglie del nostro secolo. Attual-mente sono 25.000, esercito di emarginati distrutti dalla miseria e dall'alcool: manodopera a buon mercato frutto dell'assimilazione forzata alla società bianca.
Presso la chiesa e la casa dell'amico francescano vi è una locanda (ora in disarmo) dove alcuni anni prima dell'inizio della guerriglia 1966 vi ha soggiornato sotto il nome di un mercante il Che Quevara: questa zona fu teatro dei suoi nascondimenti, delle battaglie, del tradimento e della morte. La Bolivia ha poco più di sei milioni di abitanti che vivono su un territorio di un milione di Kmq, la Bolivia esportatrice di materie prime soprattutto di metalli, è stata travolta dalla crisi economica internazionale. L'inflazione ha superato il 2.500%, il potere di acquisto dei salari è diminuito della metà negli ultimi cinque anni, la produzione interna è crollata. Le ripercussioni sono drammatiche: è aumentata la mortalità infantile, 213%, la più alta dell'America Latina. Il 70% dei bambini soffre la denutrizione, il 50% dei nati muore prima di aver compiuto i dieci anni. La media nazionale (di vita) è di 48 anni, ma nelle regioni minerarie di Potosì e Oruro arriva appena a 36 anni: (agli inizi del secolo le mamme preferivano uccidere i maschi appena nati piuttosto che vederli morire poi adolescenti nelle miniere). I ricchi della Bolivia sono tre volte più ricchi dei loro pari dei paesi più industrializzati del mondo.
Qui a Gutierrez presta la sua opera nell'ospedale un infermiera professionale tedesca Elisabet, fa parte del servizio volontario internazionale: una ragazza molto dolce, sicura di sé, attenta.
Ha viaggiato molto, è stata tre volte in Italia in bicicletta e la conosce benissimo particolarmente la Toscana, si difende discretamente con il castigliano e l'italiano. Nicolosa è la capo infermiera, con Vincenta e Salomè a nome di tutta la comunità hanno preparato un'amichevole accoglienza per noi: anche l'orto è ben rasato per evitare qualche non simpatico incontro con i serpenti a sonagli. Mentre attraversavo la piazza del paese ho guardato di nuovo la locanda e ricordavo le parole di quel vecchio frate (aveva dato la benedizione alla salma del Che) nativo di Camaiore p.Carlos Orsetti "quell'uomo era un santo" riferendosi al medico argentino.
Alle dieci abbiamo celebrato la Messa parrocchiale: molta gente semplice povera e attenta, un battesimo di un bambino meraviglioso come tutti i bambini, l'hanno chiamato Orlando "quando nasce un bambino vuoi dire che Dio si è stancato di noi" il mio cuore ha sobbalzato di gioia! La chiesa poverissima richiama l'austerità delle nostre pievi romaniche e ti obbliga a pregare o ad inchinarti ad una presenza di un mistero e di un disegno che sempre ha accompagnato la tua vita. Peccato che la parte di sinistra, per chi entra, è lesa da una crepa profonda: ferita grave che forse la sta destinando purtroppo alla demolizione. L'altare laterale di sinistra è tutto un programma ed illumina su di un certo tipo di evangelizzazione antica. È dedicato a S. Diego di Compostella, il san Diego matamoros della lotta spagnola contro i mussulmani.
Diego con una vistosa aureola è vestito come un cavaliere spagnolo, casacca, cappello a larghe tese con pennacchio, calzoni a bande larghe, spada sguainata e lui saldo su di un cavallo bianco e sotto le zampe a mordere la polvere un povero indio, un povero diavolo... nella casa del Padre di tutti, nell'ascolto della parola di Dio, nel ricevere i sacramenti l'indio deve sapere, deve credere... che l'indio non è gente.

Lunedì 15 aprile
Alle sei del mattino abbiamo salutato il vescovo di Camiri padre Pellegrini: era venuto gentil-mente a trovarci in Viareggio dalla sua Pescia (convento di Colleviti) durante il periodo di riposo in Italia. Era di passaggio da Gutierrez per S. Cruz dove l'attende la conferenza episcopale di Bolivia. Nel pomeriggio un viaggio fra le boscaglie ai pozzi di petrolio - attualmente in via di esaurimento - furono causa di tre anni di lotta spaventosa fra la Bolivia e il Paraguay (spinte dalle compagnie multinazionali del petrolio) una guerra che dissanguò in modo particolare la Bolivia sia in creature umane sia nella sua economia nel suo territorio (la Bolivia nelle sue guerra ha perduto la metà del suo territorio e il suo sbocco al mare).
In questi boschi quasi inaccessibili di un verde intenso costellati da piccole lagune e da minacciosi torrenti vi domina il quebracho, la pianta che fa rimbalzare l'accetta, ha operato il Che coi suoi compagni nel tentativo d'insurrezione armata di questa parte orientale della Bolivia: si presentarono come guerriglieri e sbalordisce il fatto che abbiano agito per un anno in località impervie, infestate dalla malaria con scarsità di mezzi e di nutrimento, circondati dall'esercito boliviano e dai rangers argentini, paraguaiani e americani sorretti unicamente da un amore incondizionato all'ideale della libertà. Qui il Che fu venduto per un pugno di denari e dopo un'imboscata e l'uccisione di undici suoi compagni fu catturato ed ucciso vigliaccamente. Un boliviano sopravvissuto Inti Peredo racconta che dopo la sua morte gli furono tagliate le mani e man-date in un vaso di formalina al dipartimento di stato USA come prova della morte del Che: ma le mani non provavano nulla, una prova più convincente: il cadavere!
La Higuera 9 ottobre 1967. Vicino alla scuola atterrò un aereo boliviano con il cadavere del comandante legato ad una barella, teneva gli occhi aperti e la mandibola inferiore cadente sul mento. Dei bambini boliviani di quella scuola elementare coprirono quegli occhi spalancati con un fazzoletto e dei soldati con un cinturone chiusero quella bocca. Poco lontano atterrò un aereo americano, scesero degli ufficiali statunitensi, ridendo fecero un giro intorno al cadavere: da quell'aereo il Che sparì nelle fauci del dipartimento di stato. Chi raccoglierà quello sguardo e quel grido soffocati dalla violenza?

Il bisogno del "nemico"

Pare che l'umanità abbia assoluto, vitale bisogno del "nemico". Di un bersaglio contro cui sparare, qualcosa contro cui accanirsi, una vittima contro la quale sfogarsi. Certamente è per una belluinità congenita, per la mania della distruzione, la voglia della sopraffazione, l'esaltazione della vittoria, la follia dell'eroismo, la fede nella soluzione finale che è la morte... E chissà cos'altro ancora, nel fondo dell'abisso del cuore umano e nei fondali dei popoli, si agita e imperversa a determinare la continuità della storia sempre tesa a cercare, nella violenza, la dignità, la grandezza, la gloria.
Sta il fatto che questa istintività alla violenza che pare assolutamente irrimediabile, epidemia cronica inguaribile, conduce e costringe l'umanità ad aver bisogno del nemico. Fino al punto che se non esiste bisogna assolutamente a costo di tutto inventarlo. Se ne esiste un accenno, una possibilità, tutto viene organizzato per provocarlo. Se è nascosto bisogna assolutamente stanarlo. Se ruggisce e mostra le unghie, benissimo, allora è il momento di costringerlo a venire allo scoperto. E se il nemico si decide alla lotta, allo scontro, per disperazione o a seguito di altrettanta voglia di violenza, allora è necessario e doveroso annientarlo con ogni e qualsiasi mezzo. E qui è la gloria.
Questo misterioso bisogno del nemico.
Da sempre, da quando è la storia dell'umanità. Fino al punto che diversamente pare che non possa esistere storia. Perché "storia" non è che la storia di nemici eternamente "gli uni contro gli altri armati".
A leggere la storia cosiddetta "sacra", la Bibbia, alla luce di questa riflessione, c'è di che rabbrividire, specialmente laddove anche Dio con tutta la sua onnipotenza è contro il nemico. Quasi come se anche lui avesse bisogno del nemico per manifestare predilezione e misericordia per il suo popolo eletto. Come dire che senza il nemico nemmeno la fedeltà, la bontà, l'amore, perfino anche di Dio, può essere manifestato. Anche la Fede e una visione di Fede, cioè del rapporto fra Dio e l'umanità, non può fare a mano del nemico. Serpente o chissà cosa, sta il fatto che nella pace del paradiso terrestre, si è affacciato e con tutta l'efficacia di una politica raffinata, il nemico. E un nemico che ha immediatamente vinto la prima battaglia iniziando lo scatenamento di una guerra che ha travolto in orrori senza fine la storia dell'umanità costringendola a svolgersi sempre sull'orlo e spesso negli abissi della perdizione.
E la presenza di quel nemico si è radicata così profondamente da stabilire in ogni essere umano e nell'umanità intera, il bisogno, la necessità assoluta, l'urgenza vitale, del nemico. Che quando, ma capita così raramente, di non averne uno a disposizione, va scovato in ogni modo o se non altro bisogna inventarselo. Così è nella dogmatica, nella morale, nell'ascetica, nel diritto canonico...
"Anche Gesù Cristo, il figlio di Dio, nel suo essere uomo è stato inevitabile vederlo a confronto, in lotta, contro il nemico, per dimostrare che è veramente uomo e che lui la battaglia l'ha vinta contro il nemico. E la teologia (o almeno una certa teologia che realmente è la dottrina della Dogmatica cattolica, dell'ascetica e della mistica) insegna che la sua passione e morte sulla croce, tutto il suo sangue è stato a causa del nemico, per strappare al nemico l'umanità intera, ottenerne "la salvezza", sempre insegnata, come liberazione della perdizione eterna, questo sogno di vittoria del nemico.
Verrebbe da concludere che se non ci fosse il nemico non ci sarebbe nemmeno la salvezza. E forse il Figlio di Dio non si sarebbe incarnato...
Il manicheismo è stato respinto fin dai primi secoli della Chiesa, ma totalmente la dottrina cattolica e tanto più la protestante, non se n'è mai seriamente purificata. Il nemico non è l'alternativa a Dio, ma l'antagonista sì, la simulazione di Dio, l'idolo, lo spadroneggiatore del mondo, la perversione dell'umanità, il destino della perdizione. È sempre lì, pronto "a fauci spalancate a circuire come un leone cercando chi divorare" (I Pt. 5,8-9) individui, famiglia, società, cultura, popoli, razze, raccogliendo dovunque alleanze, stringendo patti micidiali, traboccando la povera umanità di illusioni, di menzogna, di stupidità, di odio, di violenza, di morte.
Tutto questo, è appena un accenno, per comprovare l'indispensabilità del nemico. Perfino la Fede ne ha bisogno, la morale, la pastorale: quasi che verrebbe da congetturare che la religiosità è più alimentata dalla paura del nemico e da quello che il nemico può comportare, che dall'Amore di Dio, dalla Fede in Gesù Cristo, dal fascino della Bontà, dal richiamo del Paradiso.
La storia della Chiesa, quella scritta sui libri, fondamentalmente è la storia quasi più del nemico che della Chiesa di Cristo. Da quanto è profondamente determinata e dominata dal nemico. la sua individuazione, la strategia di lotta, i mezzi adatti per vincere la guerra contro questo implacabile e sempre ostinatamente risorgente nemico.
Al tempo della Chiesa clandestina il nemico era il tentativo di soffocazione, dell'annientamento della Chiesa nascente. La lotta era la resistenza per la sopravvivenza. Dopo Costantino si rovesciano le parti e la lotta, lo scontro contro il nemico sarà sempre la volontà del suo annientamento o almeno del suo contenimento, attraverso la repressione e ricorrendo a qualsiasi mezzo possibile, compresa la repressione anche violenta. Il nemico: i Saraceni delle crociate. Poi gli scismatici. Gli eretici. l tentativi di indipendenza dei regnanti. La riforma protestante. L'illuminismo. Il modernismo. Il marxismo... Guerre fin che è stato possibile e quindi concili, anatemi, scomuniche, inquisizione, roghi, condanne, emarginazione, crisi di coscienza, minacce di perdizione... Vuoto di Amore cristiano, di sensibilità umana, autoritarismo, assolutizzazione di potere, mania di dominio ecc? Assolutamente no. È per via del nemico, è per lottare e schiacciare il nemico, forse è obbedienza al subdolo, micidiale, bisogno del nemico.
Perché è certo che ogni eretico, ogni novatore, contestatore, ogni non obbedienza, ogni non sottomissione, ogni incrinatura, ogni non uniformità e linearità ecc. è il nemico.
E non è possibile venire a patti, a compromessi, cedere al nemico. E quindi quanto più il nemico si manifesta agguerrito e forte tanto più è dovere radunare ogni capacità di lotta, tutte le risorse disponibili.
Di qui la importanza preziosa del nemico: costringe a stare all'erta e ad essere pronti. "Al nemico è possibile resistere con la saldezza della Fede" (dice ancora S. Pietro, il primo papa). E saldezza, fermezza, comporta durezza inflessibile, spietatezza senza cedimenti, tanto più trattandosi della Fede, deposito della Verità, affidato e consegnato alla Chiesa per essere conservato intatto nella fedeltà più assoluta.
Ne viene inevitabilmente un circolo chiuso di lotta serrata, violenta, implacabile fra il nemico e la Chiesa. Logicamente il campo di battaglia è il popolo e il popolo cristiano, religioso ecclesiastico in particolare.
Meriterebbe un attento studio lo svolgersi progressivo di questa lotta, di questa guerra. Dagli antichi tempi (ne raccontano gli Atti degli Apostoli e specialmente le lettere di Paolo) e via, via nei secoli, rilevando e precisando le cause dei conflitti, dottrinali, sociali, politici, temporalistici e poi di nuovo dottrinali, culturali, filosofici, teologici, mettendo particolarmente in risalto l'adeguamento delle cause e la scelta dei mezzi di lotta, ai tempi, che a poco a poco sono sopravvenuti e che hanno obbligato il nemico a mutare strategie e armamenti: mutamenti che hanno costretto la Chiesa ad aggiornare continuamente la sua enorme fatica, di respinta, di contenimento e per quanto è possibile di esorcizzazione del nemico. Verrebbe, a ben riflettere sulla storia della Chiesa, della teologia, della pastorale, della cultura del mondo ecclesiastico, da concludere che più che il Vangelo, la luminosità della Rivelazione, la presenza dello Spirito Santo, ad una visione più ampia e ad una rispondenza più profonda del Regno di Dio nella sua progressiva attuazione nella storia, abbia contribuito di più assai il nemico e la sua necessità d'inventare e la sua capacità di realizzare filoni di pensiero nuovi, movimenti popolari incontenibili, sconvolgimenti culturali, sociali, politici e così irreversibili, e così pericolosi per "il deposito della Fede" da costringere la Chiesa a muoversi per scontrarsi col nemico sul suo terreno e tentare di batterlo. E la Chiesa, forse suo malgrado, si è venuta a trovare su nuove posizioni, esattamente quelle del nemico: e operare l'evangelizzazione su quel nuovo terreno è giocoforza fare i conti con la novità, subirla prima e gestirla poi.
È il nemico che ha fatto dunque "progredire", aggiornandola cioè ai tempi sempre nuovi, la Chiesa? Può essere: la libertà dello Spirito di Dio, che fondamentalmente guida il misterioso cammino della Chiesa, non è contenibile dentro gli schemi, spesso penosamente gretti, degli uomini, compresi gli uomini di Chiesa.
E del resto l'esemplificazione di questo "miracolo" (solo Dio fa i miracoli) del nemico che nella sua lotta implacabile contro la Chiesa in definitiva la favorisce, quasi a renderla sempre più segno e realtà del Regno di Dio, è molto semplice e facile, basta leggerla alla chiara luce di una serena visione di Fede, questa misteriosa storia della Chiesa. Senza timori e paure anche se apparirà una storia non esattamente quella scritta ad uso dei seminari e per le scuole di religione.
Dunque la necessità di trovarsi sempre davanti il nemico.
Un nemico, uno qualsiasi. Non possiamo farne a meno, pena l'affievolirsi del fervore, il placarsi delle spinte interiori, il non guardarsi intorno con cipiglio, il degradarsi della dignità, lo svanire dei sogni di grandezza, di gloria. Cosa ne sarebbe degli eroi e degli eroismi senza il nemico? Dove trovare le grandi provocazioni dell' amor patrio, la forza rivoluzionaria delle ideologie? Cosa ne avverrebbe della libertà e della liberazione senza il nemico? Liberarsi da chi e da che cosa senza un nemico che abbia nome e cognome e disposto e deciso a non mollare di un millimetro?
Riflettevo a questa storia del nemico e logicamente le prime e più angosciose considerazioni mi sono venute nei confronti del "nemico" classico, biblico, ecclesiastico, chiamato con tutti quei nomi che in definitiva non so che importanza abbiano, dato che ciò che conta è il nemico e cioè l'opposto, il pericolo, la rovina, la perdizione, la menzogna, il male, la cattiveria fino alle misure più orrende. Che il male, il nemico sia personalizzato, sia un'entità precisa, si manifesti e operi concretamente ecc. è di secondaria importanza nella riflessione storica della vicenda umana.
Ma la riflessione sul nemico e la sua necessità assoluta mi si è imposta a seguito dei recenti avvenimenti e quindi dall'approfondimento, fino a intuire le radici, della conflittualità che imperversa attualmente nel mondo.
Palestinesi e Israeliani. Bianchi e neri in Sudafrica. Americani e Latinoamericani. Vietnamiti e Cambogiani. Russi e Afganistani. Le spietate fazioni nel Libano. Iraniani e Irakeni... E al fondo, dove il magma ribolle in potenzialità spaventose, l'Urss e l'Usa. La Nato e il Patto di Varsavia. Qui il nemico raccoglie e convoglia tutta l'orrenda storia dell' inimicizia in una sintesi di possibilità di scontro capace di annientare l'umanità e la vita sulla terra.
Ma chi è questo "nemico"?
Può anche essere che sia "qualcuno" di fuori, che agisce dall' esterno della storia, capace di tutto muovere e organizzare per lo scontro e l'olocausto finale. A questo estremo di orrore può essere che fin dal principio l'umanità sia spinta ad arrivare. Come se col passare dei secoli si vada esaurendo la "salvezza" e cresca e cresca fino a tutto annientare, la "perdizione".
Perché è vero che nella storia di ogni individuo, di ogni popolo, dell'umanità, la lotta, lo scontro, la guerra è fra la salvezza e la perdizione (e ovviamente non mi riferisco al paradiso e all'inferno). È troppo facile e confortante, perché solleva da tremende responsabilità, individuare questo nemico nel "demonio" in una realtà che non appartiene all'umanità, che non è realtà di uomo. Certo anche questo "nemico" fa il suo mestiere e soffia sul fuoco o raggela fino al brivido, secondo i suoi disegni.
Ma il nemico di cui si sta ragionando è concreto, reale, storico. Inventato, provocato, costretto, inevitabilmente, anche contro la sua volontà ad essere il nemico.
E unicamente perché di un nemico si ha assoluto bisogno, non è possibile, farne a meno. È questione di affermazione, di successo, di potere, di grandezza, di intesa, di alleanze, di dominio culturale, economico, politico, religioso ecc. che ci sia un nemico. Diversamente tutto si scolorirebbe, perderebbe l'interesse, si affloscerebbe. Diversamente sarebbe "la pace" e cioè il disastro, la rovina, il vanificarsi di ogni progetto.
Tanto per fare qualche esempio. Supposizioni certamente.
- Potrebbe affermarsi come dominio assoluto nel mondo occidentale e quindi nell'universo fino appena sotto le stelle, l'americanismo degli Stati Uniti, se non ci fosse e minacciosissimo, il nemico che è la Russia e il suo impero? E naturalmente è vero il viceversa. Senza il nemico USA forse l'Urss e la sua alternativa di socialismo si sbiadirebbe da rosso in rosa.
- Il regime Iraniano ha bisogno della guerra con l'Irak per sopravvivere. Esattamente così è per il regime Irakeno.
- Israele - è opinione frequente anche fra gli israeliani - perderebbe ogni suo significato e la forza che l'unisce e la "gloria militare" che lo rafforza, se non avesse un nemico, i Palestinesi. La pace e cioè non avere più nemico, potrebbe essere un pesante pericolo, forse assai più della guerra. La disperazione palestinese è assolutamente indispensabile.
- La ribellione della popolazione di colore in Sudafrica è necessaria all' assolutismo dei bianchi. E quanto più il movimento di liberazione diventa un nemico perché scivola nella violenza e nella guerriglia, tanto più si rafforza la dittatura con tutti i suoi privilegi e interessi.
- Gli Stati Uniti hanno bisogno, non possono farne a meno di avere un nemico nell'America Latina: è questo nemico (Cuba, Nicaragua e tutta la guerriglia un po' dovunque) che giustifica e rafforza quell'immagine di libertà e favorisce la ragione economica e l'impero politico e militare degli U.S.A.
- La guerra nell' Afghanistan sembrerebbe preziosa per favorire il nazionalismo, l'unità popolare, tenere in esercizio l'esercito, esperimentare i mezzi bellici e chissà quali altri motivi d'interesse per la Russia che continua ad alimentarla.
E l'esemplificazione potrebbe continuare a lungo perché dovunque e sempre la ricerca, lo scoprire e quindi la lotta contro il nemico è ragione, strano a dirsi, ma è la verità in tutta l'ampiezza del suo significato, è ragione di vita o di morte.
Come potrebbe tirare avanti tanta gente (ma tutti, un po' più o un po' meno) anche nella vicenda quotidiana della vita, senza un nemico?
Potrebbero reggere i rapporti sociali, il confronto politico, gli affarismi piccoli e grandi, il politicantismo dei partiti, senza l'occhio vigile al nemico e la strategia di lotta sempre pronta e adeguata alla bisogna?
C'è chi considera nemica la macchina che supera in curva o al semaforo quando scatta il verde. E è certamente un nemico chi scavalca di un posto in graduatoria per via delle raccomandazioni o altro... E è per via del nemico sempre in agguato che ormai è imprudente uscire la sera, non avere quattro chiusure alla porta e le inferiate alle finestre...
E non occorre mettere in risalto l'importanza vitale del nemico nella camorra, nella mafia, nei terrorismi: questo micidiale istinto del nemico che obbliga, insieme al fazzoletto da naso, avere in tasca la pistola.
E per concludere certamente non favorisce la liberazione, la purificazione dell' istintività del bisogno del nemico, la diversità di giudizio e di rapporto con il Concilio Vaticano 2°. Perché ancora, e tanta acqua è passata sotto il ponte della storia, il nemico nella Chiesa è determinante di tanta teologia, pastorale, di tantissimo autoritarismo, di posizioni dure, di scelte assolutizzate. E tutto trova e ottiene la sua giustificazione, come sempre, per questa eterna paura del nemico contro il quale in nome della Fede e per la salvezza del suo deposito, è sacrosanto dovere lottare con ogni mezzo atto alla sua repressione.

don Sirio

Benedizione di s. Francesco a Padre Leonardo Boff

Che direbbe mio compadre S. Francesco a suo figlio Leonardo in questa ora di prova?
Fratello Leonardo, teologo della grazia, che libera per disegno del Padre: anche se questa maniera vaticana di trattare i fratelli di fede non è molto conforme al Vangelo della libertà dei figli di Dio; tu, fratello Leonardo, ricordando e continuando ciò che ha fatto nostro Signore e liberatore Gesù Cristo, che si fece obbediente fino alla morte e morte di croce, obbedisci con spirito di fratello del Regno. Rimani per alcuni giorni in fecondo semenzaio, teologo del silenzio del Verbo. Condividi in profondità il mistero dei poveri, che non hanno voce né parte nella Chiesa.
Il tuo libro, tanto temuto, ora si è rivestito di motivazioni più chiare. Ascolta, in maggiore silenzio, il grido degli oppressi che sta germogliando da questo continente di morte e di speranza, e il canto nuovo che già irrompe dai villaggi, dai campi e dalle città. La madre, quando ha dato alla luce, dimentica i dolori che ha sofferto nel parto, felice per aver dato un nuovo figlio al popolo. La notte sta passando e il giorno si avvicina. Prepara, nella vigilia, le vesti della nuova luce. E il vento libero del mar di Tiberiade e i passeri, che annunciano il Vangelo dal monte delle Beatitudini, invaderanno, per l'allegria dei poveri, tutto lo spazio della Chiesa del nostro Salvatore Gesù.
Pace e bene, fratello Leonardo. Tutti i fratelli in comunione ti accompagnano nella preghiera della fede con le serenate impazienti di speranza e nella ribelle fedeltà di adulti responsabili per il Regno di Dio.
Profeta scelto di così grandi parole luminose, sii per un po' di tempo profezia silenziosa ... e il tuo cuore proverà la perfetta letizia.
Per la gloria del Padre, che ci creò liberi, nella Pasqua del Figlio che con il suo sangue ci liberò da qualsiasi schiavitù e nella consolazione dello Spirito Santo, che è il sigillo vivo della fede.

Dom Pedro Casaldaliga Vescovo di S. Feliz de Araguia


La civiltà della guerra

In tutto il mondo c'è un soldato ogni 43 abitanti,
mentre per 1030 persone esiste un solo medico
La Nato ha ricevuto in anteprima il rapporto annuale «spese militari e sociali nel mondo» compilato per conto di un gruppo di istituzioni occidentali, fra le quali la Rockeller Foundation e il Consiglio britannico delle Chiese.
Ogni anno le nazioni di tutto il mondo spendono 800 miliardi di dollari (circa un milione e mezzo di miliardi di lire) in armamenti.
Queste armi hanno una capacità distruttiva tale che possono uccidere un numero di abitanti dodici volte superiore a quelli che vivono sul pianeta Terra. Nel rapporto, si mette in risalto, che questo livello di spese militari si verifica mentre nel mondo una persona su tre è analfabeta e una su quattro soffre la fame.
Dalla fine della seconda guerra mondiale, gli Stati hanno investito in armamenti la domma astronomica di circa 4000 miliardi di dollari (ovvero 7 milioni di miliardi di lire) e hanno ora nei loro arsenali bombe atomiche con una potenza complessiva di 16 mila megatonnellate, quindici volte in più dell'esplosivo' convenzionale che ha ucciso 39 milioni di persone nella seconda guerra mondiale, in Corea e nel Vietnam
Dice il rapporto: «Il militarismo rampante influenza negativamente lo sviluppo politico e sociale». Anche le superpotenze soffrono economicamente e socialmente a causa della corsa mondiale agli armamenti della quale, si afferma, esse sono le maggiori responsabili.
Per esempio, gli Stati Uniti si trovano al quattordicesimo posto nella classifica della mortalità infantile e l'Unione Sovietica al 51° posto.
Quel che conta ancora di più, forse, è il fatto che a causa del riarmo continuo, la violenza nel mondo cresce e i meccanismi politici hanno perso in buona parte il controllo sul processo decisionale.
Il rapporto «World military and social expenditure» rivela che nel mondo c'è un soldato ogni 43 abitanti mentre c'è un medico per 1030 persone.
Il progresso tecnologico degli armamenti supera di gran lunga quello nei settori civili.
Una carica esplosiva di artiglieria è più efficace di 250 volte rispetto al 1945, un siluro viaggiava, allora, per dieci chilometri mentre ora un missile cruise lanciato dal mare percorre 400 chilometri.
Inoltre, la proliferazione degli armamenti tecnologicamente avanzati in Paesi politicamente instabili e nelle prime fasi di processo sociale costituisce un pericolo per i sistemi democratici di governo.
Si fa notare, per esempio, che nel 1960 tra i Paesi emergenti governati da una dittatura mili-tare erano ventidue mentre ora sono diventati cinquantasette.
Infine, il rapporto sostiene i sedici Paesi della Nato, nel loro assieme, spendono alcune centinaia di miliardi di lire in più in armamenti che i Paesi del Patto di Varsavia.

Libri da leggere

GIOVANNI VANNUCCI
Pellegrino dell'Assoluto
Ed. CENS
Negli ultimi anni, i confratelli lo chiamavano amabilmente "il patriarca", per la suggestione del suo linguaggio misurato, puntuale, penetrante e fascinoso. La sensibilità anticipatrice di p. Giovanni, la sua lucida analisi dei problemi ecclesiali ed ecumenici, il rigore morale e l'avversione innata per ogni forma di compromesso, furono forse all'origine di molte incomprensioni, che accettò con silenzioso riserbo, sovente interpretato da alcuni come orgoglioso isolamento.

PIETRO CRESPI
Prete operaio
Ed. Lavoro
Raccogliendo tante diverse esperienze di preti operai e lasciandole raccontare ai diretti protagonisti sotto forma di testimonianze autobiografiche, l'autore si è qui proposto di portare l'attenzione sulla tradizionale figura del prete cattolico nel suo impatto "dirompente" col mondo del lavoro di oggi.

ERNESTO BALDUCCI
L'uomo Planetario
Ed. Camunia
La cultura della guerra rischia di trasformare il Pianeta Terra in una grande Necropoli. Come realizzare il passaggio dalla civiltà che ha sacralizzato le aggressioni distruttive alla nuova civiltà di pace? Può nascere un'umanità planetaria, un'umanità dove ogni uomo viva come cittadino di una sola città, una civiltà in cui il cittadino del Villaggio Terra sia capace di affrontare contemporaneamente il problema della sopravvivenza del genere umano e quello della definizione di comportamenti che garantiscano una nuova creatività morale e sociale?

MEO ELIA
Cristo fuori le mura
Ed. Gribaudi
Questo libro è una risposta alle chiese italiane che, con il progetto pastorale degli anni '80, si propongono un profondo rinnovamento delle loro comunità. L'Italia è diventata terra di missione, bisogna convincersene. Ma cos'è la missione? Quali le condizioni e lo spirito? Ci sono strutture per favorirla? Che errori evitare?
Un libro che richiede da tutti una grande umiltà ma che dà, in cambio, un respiro realmente forte alle prospettive di rinascita della Chiesa italiana.

La parola ai muti e l'udito ai sordi
(Il problema della comunicazione nella chiesa)
Ed. Cittadella Editrice
La chiesa, soprattutto "verticistica", deve abbandonare di più il "temporale" e farsi "spirituale", capace di dare una risposta all'angoscia dell'uomo (angoscia che deriva dalla società ingiusta e sbagliata). E questo a tutti i livelli, locale e internazionale. La chiesa "deve" aiutare l'indifeso, condannando (e non a parole) il privilegio e smascherando la falsità di certi presunti cattolici.

ENZO TIEZZI
Tempi storici tempi biologici
Ed. Garzanti
La "nuova ecologia" è la somma di diverse discipline scientifiche (dalla chimica alla climatologia, dalla sociologia all'antropologia all'economia), ma è anche un modo di vedere il mondo, che trascende le scienze e ha risonanze lontane nella letteratura e nella poesia, o addirittura nelle leggende e nei miti.

Profezia

Ecco, gli occhi non vedono più
l'incomprensibile è la parola
il cuore si è fatto di pietra:
la profezia è l'ultima mano concava
per le poche gocce di lacrime vere.

Percorre la terra la profezia
pellegrina stanca avvilita
forse a morire insieme
alla speranza, a svanire
come i sogni di un mattino
illividito dalle ombre della notte.

Nemmeno la morte, Randa,
libanese tredicenne, ti appartiene:
la morte, per non vedere dovunque
la morte, nient'altro che la morte.

Più fortunato è stato tuo fratello
Diego all'angolo della strada
di Santiago del Cile, fulminato
dalla morte sfilata rabbiosa
dalla canna del fucile dittatore.
Così è per i tre ragazzi, ma il conto
lo conosce la follia disumana del potere,
del deserto cespugli di fiori falciati,
a colmare di sangue rosso
sgorgato dalla pelle nera, la nera
maledizione della pelle bianca.

Finché una forca ombra di croce
è stata rizzata, la morte a implorare
liberazione, la morte a sognare
il tempo della Risurrezione
perché è stato come per Gesù Cristo
diceva la Madonna Nera africana.

E' questo tempo, come sempre
ma più che sempre oggi
il tempo della fede nella morte
è il sangue che racconta e promette
dalla strage il nascere dell'Uomo.

Dalla breve canna della pistola
alla guerra estrema appena sotto le stelle,
speranza di umanità è cercata nella morte
macabra cultura coltivata
a giustificare il diritto alla violenza.

E 2500 kilometri vola la violenza
a saziare antica e nuova vendetta
e la sabbia del deserto si agita
è mare azzurro dove crociera
è la disperazione a bordo della nave.

Quattro giovani quattro pistole
e le alleanze sono irrisione
gli uni contro gli altri armati
di telefono e di stupido orgoglio
e i popoli a respirare paure di guerra.

Così nel Libano è ancora la strage
la dittatura è sangue nel Cile
nel Sud Africa pelle bianca è colore nero di morte
speranza disperata di popolo palestinese
morte dimenticata in Afganistan e Cambogia
guerra di follia in Iran e nell'Irak.

Perché civiltà è parola tradotta dal computer
scienza è per quanto più è possibile uccidere
la fame del Sud per saziare i satolli del Nord
il cielo e la terra dove scatenare potenza
e la pace parole parole a camuffare la guerra.

Cos'è che ancora è carne di uomo
e cuore spirito poesia amore?
E se ad uomo sia concesso d'essere Uomo
e a dio d'essere Dio
o è nostalgia o sogno di Uomo e di Dio?

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