LOTTA COME AMORE: LcA gennaio 1987

Liberare la libertà

C'è un rapporto vitale, essenziale fra il se stessi e la libertà.
Esattamente come il cuore che palpita, il sangue nelle vene, l'aria che si respira...
Il diritto alla libertà è dello stesso ordine di valori del diritto alla vita.
Il dovere di difendere e affermare la libertà è sulla stesso piano della difesa, della custodia gelosissima della propria ragione di vita. Quindi la libertà non è dono (all'infuori di Dio) di nessuno, non è una concessione. Ci appartiene come il respiro, come la luce degli occhi.
E data questa essenzialità assoluta, per l'autenticità dell'essere umano, della libertà, ogni attentato alla limitazione dei suoi spazi assolutamente senza limiti, è una criminalità, la cui gravità è proporzionale alla violenza di oppressione e di coercizione e limitazione, esercitata.

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È sconcertante la costatazione della limitata, confusa, contrastata valutazione della libertà lungo la storia dell'umanità. Anzi la libertà è il valore umano più oppresso, annientato e all'opposto più disperatamente idolatrato. Sicuramente alla radice di tutta la tragedia che sconvolge fino ai limiti estremi della disumanità, la storia umana, è il problema della libertà: la sua oppressione e la sua liberazione. Assai più forse della pazzia del potere, della disperazione della fame, della spietatezza delle ragioni economiche, degli orrori delle guerre. Degli sconvolgimenti tesi a travolgere e rovesciare i valori essenziali, costitutivi dell' essere umano, individuo e popolo, è praticamente impossibile individuare, precisare, le causali decisive, le motivazioni determinanti, le segrete, maledette intenzioni. Tanto più è impossibile rendersi ragione o anche semplicemente intuire i perché, un valore come la libertà, così decisivo perché uomo sia uomo, così affascinante nella sua meravigliosità, così convincente della sua preziosità, possa ritrovarsi. tanto inapprezzato, sconsiderato, gettato via, possa essere calpestato, oppresso annientato. Quasi spesso da provare l'impressione che la libertà sia un nemico, un ostacolo da spazzar via ad ogni costo, da cancellarne perfino la memoria, per spianare la realizzazione, l'affermarsi di progetti di umanità più autentica, più vera, più umanità, in proporzione a quanto la libertà è stata oppressa, annullata. Sono le pazzie, le criminalità, raccontate dalla storia universale dell'esistere dell'uomo. Sono le miserie, le assurdità che ogni individuo può riscontrare in se stesso, nella propria coscienza e nel proprio comportamento, Così in ogni famiglia. In ogni convivenza, comunità. In ogni popolo e razza.

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Non esiste potere che non comporti oppressione di libertà. L'autorità (e tanto più l'inevitabile autoritarismo) è a ovvie spese della libertà. Comandare vuol dire umiliare la libertà. La legge che dovrebbe essere garanzia di libertà è spesso irrisione della libertà. Il vivere sociale, questa libertà potenziata dalla comunità, è segmentazione della libertà e affannosa ricerca di impossessarsi del proprio pezzo, allargato più che sia possibile, a scapito della libertà degli altri. Anche la Fede, questa dilatazione della libertà fino alle sue misure equivalenti a quelle di Dio, spesso è oppressione dogmatizzata, è incasellamento moralistico, è coartazione clericale, cartello stradale di senso unico obbligatorio. Forse nella teologia morale non è nemmeno preso in considerazione il peccato contro la libertà: l'oppressione, la limitazione, lo sfruttamento, l'abuso di autorità, la violenza spirituale, psicologica, fisica nei confronti della libertà. Eppure è un uccidere, un ferire, un sacrilegio, la negazione dell'Amore del prossimo, assai più dell' odio, di qualsiasi offesa. E lascia amaramente perplessi l'invenzione della virtù dell'obbedienza, dell'umiltà, della sottomissione... equivalenze spesso a lasciarsi spogliare, defraudare dalla libertà, cioè di questo adorabile dono di Dio, di questa essenzialità costitutiva dell'uomo.
È anche vero che niente è venduto così disinvoltamente, spesso senza nemmeno senso di colpa o ombra di rammarico, questo bene supremo, questa essenzialità del se stesso, questa fondamentale dignità costituiva della libertà. È data via, così, sacrificata, come niente, qualcosa tranquillamente da buttare, come un ingombro, una complicazione inutile, quasi una liberazione.
Ogni proprietà, anche l'ombra di un diritto, è custodito gelosamente, tenuto sotto chiave, protetto attraverso i codici, la forza pubblica, le istituzioni, i sindacati, la politica, la morale, la religione... La libertà può essere rubata liberamente, oppressa avvilita, coartata, annullata e così via, fino alle misure estreme dell'oppressione, del soffocamento: dalla cultura, dalla scienza, dalla legge, dalla passività imperante, dall' indifferenza, dalla paura, dagli interessi economici, da una volontà di arrivismo, dal bisogno del successo, dalla stupidità della vanità. Spesso il vivere è prostituzione e sempre, immancabilmente, il prezzo pagato è la libertà.

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La libertà: il valore costitutivo dell'Essere di Dio. La libertà: il luogo dove più è la Presenza di Dio.
La libertà: l'immagine più somigliante a Dio dell'uomo.
La libertà: la definizione più esauriente dell'umanità dell'uomo. La libertà: l'atto di dichiarazione della vera dignità umana.
La libertà: l'unico vero valore nel quale gli uomini possono riconoscersi e riconoscere di essere uguali. La libertà: l'unica terra nella quale è possibile incontrarsi e vivere la uomini.
La libertà: cioè l'assurdità della guerra e l'assoluta sacralità della pace.
La libertà: là dove può unicamente palpitare Amore.

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La liberazione della libertà è dare spazio, spaziosità alla libertà liberandola dalla negazione della libertà che è il male, l'egoismo, l'assolutizzazione del se stesso, la grettezza dei propri ideali, la stupidità della vanità, la miserabilità dei propri interessi a costo di tutto, la prepotenza, ogni e qualsiasi violenza, lo sfruttamento, l'oppressione, l'indurimento del cuore, la paralisi della coscienza... questo precipitare là dove gli occhi non vedono, l'orecchio non ascolta, il cuore è di pietra e l'anima non respira più umanità. Liberare la libertà è donare all'uomo di essere uomo e a Dio di essere Dio.
È nella liberazione della libertà che la Fede riconosce e afferma che l'uomo è Figlio di Dio. La Carità proclama e lotta perché tutto nell'umanità sia Amore.
E la Speranza non è utopia ma è il cammino della storia verso la vera umanità.


Pensieri forgiati

Nel precedente numero di "Lotta come Amore" che mi è stato spedito in Etiopia, ho letto la simpatica e affettuosa lettera scrittami da Sirio a nome degli amici dell'A.R.C.A. (cioé dalla gente che lavora nel capannone di via Virgilio a Viareggio). Ho risposto al richiamo e sono rientrato in Italia da poco più di un mese.
Riporto qui di seguito un articoletto che ho scritto per un bollettino missionario. Offro agli amici queste semplici considerazioni che però rispecchiano bene ciò che ho vissuto in questi mesi. Sono poche cose, me ne rendo conto, ma con poco bagaglio sono partito e con meno ancora sono tornato... avendo lasciato in Africa anche il mio lavoro artigiano, quello vissuto in questi ultimi dieci anni e che tanto ha voluto dire per me. L'ho affidato nella mani di ragazzotti che rispondono agli strani nomi di Gazahign, Hailu e Ghirum, dotati di occhi attenti e di un colpo di martello secco e sicuro.
Nel capannone di via Virgilio mi sembra di raccogliere altre esigenze cui vorrei poter dar seguito e allora manca il tempo per lavorare' il ferro scaldato dalla fiamma. Con abbondante presunzione (ne ho sempre avuta una buona scorta...) potrei dire di aver sentito bisbigliare:
"Ehi, forgiatore di ferro, molla tutto e vieni: sarai forgiatore di uomini... ". Ma non ne sono troppo sicuro. Oltretutto questa storia mi sembra di averla già letta da qualche parte ed era, probabilmente, tutta un'altra cosa!

Sono dieci anni che in Italia, a Viareggio, faccio il fabbro: un lavoro ormai dimenticato nelle mani di pochi anziani, avvilito nel rustico più banale o comunque relegato ai margini dell'artigianato artistico. A me piace il ferro, materiale povero eppure consegnato alla dignità delle semplici forme di attrezzi da lavoro, di manufatti di uso comune quasi a sottolineare l'umano arrugginirsi nel consueto trascorrere delle ore e dei giorni ed insieme il temprarsi a lucido acciaio nella fedeltà quotidiana attiva e silenziosa.
E piace il bagliore del fuoco alimentato dall' aria che soffia invisibile tra i carboni ardenti, l'odore acre dei gas ancora imprigionati, il ravvivarsi del ferro attraverso un arcobaleno di colori: dall'azzurro intenso di acque profonde alla madreperla purissima, quando il pezzo acquista una insospettata leggerezza e si torce, si piega, si raffina, prende vita e colore insieme fino a chiudere nella forma voluta una vigorosa e profonda energia. Ora mi trovo in Etiopia, ad Assella, "inviato" da un gruppo di 'Amici del Terzo Mondo' della mia città per avviare una piccola lavorazione del ferro con alcuni dei quasi 200 ragazzi che vivono nella Missione dei Padri della Consolata.
Dal piccolo porto di Viareggio, conca serena e familiare, stretta tra il mare e la chiostra delle Alpi Apuane, poche ore di volo mi hanno portato in un mondo completamente diverso. L'occhio si perde nell'immensa piatta della Rift Valley e, là dove questa si increspa, le ondulazioni si susseguono incessanti come le grandi, quiete e possenti ondate oceaniche, respiro profondo della vastità della terra.
È proprio questo ampliarsi quasi all'infinito di nuove prospettive nelle cui pieghe paiono nascondersi città e villaggi che mi ha allargato il cuore oltre le soffocate e convulse angustie di tanto nostro vivere. E mentre il sangue si attrezzava lentamente alle diverse condizioni degli oltre 2500 metri di quota, lo spirito accoglieva questo dilatarsi di orizzonti nel chiaro e limpido sgorgare della fede: "veramente la terra è di Dio!".
E poi la gente, popolo fatto di tante etnie e lingue e storie che intrecciano, nel tentativo continuo di sopravvivere, tradizioni antichissime e spicchi di modernità. Un popolo in continuo pellegrinare lungo i bordi delle strade solcate da poche e spesso traballanti automobili. Gente spinta da bisogni elementari che noi del mondo progredito abbiamo archiviato come pagine di un libro che non vorremmo né sapremmo più decifrare. Occhi giovani ti fissano dappertutto, avidi di ogni piccola novità. È gioia istintiva, tipica ricchezza dell' adolescenza, meraviglia del sole, dell'acqua, del cibo, del serrarsi insieme come gioco che distoglie dalle ombre inquietanti che posseggono da sempre il cuore dell'uomo. E fame e malattia e guerra debbono essere davvero presidi di mostri implacabili per arginare e violentare questa dirompente, tangibile gioia di vivere.
In questa realtà operano i missionari. In un tempo che sembra a volte pietrificato di secolare immobilità mentre lo spazio ha la misura di lunghe giornate passate su Toyota e Land Rover a ricucire pazientemente lungo itinerari spesso accidentati il tessuto della sopravvivenza. Una sensazione simile a chi si arrampica sulla roccia e volge il campo al di sotto: quando ci si accorge di essere terribilmente piccoli e tutto ciò che si può fare appare come voler scolmare il mare con l'incavo delle proprie mani.
Ed anche se le loro opere, sostenute dalla Carità solidale di tanta nostra gente, rivelano miracoli di sagacia, di ostinazione, di operosità umana, la Fede si innalza esile e scarnificata, vera ed autentica opera di Dio. L'annuncio è piccolo seme affidato al vento dello Spirito. E' seme che deve morire, sepolto nel cuore di una cultura e di un popolo, custodito e livellato dall'Amore crocifisso, per rinascere secondo i tempi che solo il Padre conosce. Rimane, testimonianza visibile, questo piccolo, semplice, povero ordito di dedizione e di offerta di uomini e donne che si impreziosisce solo quando viene sfiorato dal mistero della Luce Trasfigurata.
Così la Missione di Assella con la piccola folla di ragazzi (piccoli sui quattro, cinque anni fino giovani sui venti), i laboratori, l'ambulatorio per la gente nel quale lavora una figlia di S. Francesco e la casa delle suore con due figlie di S. Anna che hanno aperto il lavoro anche alle ragazze. E per tutti la animazione e la direzione sapiente, rispettosa e costante di Padre Silvio già da oltre 14 anni . missionario in Etiopia.
Sto veramente bene con loro, con questa famiglia ricca di figli, vivacissima eppure attenta a produrre uno sforzo comune perché ciascuno si senta partecipe, accolto, responsabile secondo la misura della propria capacità.
Con una ventina di ragazzi tra 14 e 18 anni e con l'aiuto di uno dei più grandi che si sta assumendo la responsabilità di tirare avanti il lavoro dopo il mio ritorno in Italia, ho messo in piedi una piccola officina in grado di produrre piccoli manufatti in ferro, da semplici capriate ad infissi leggeri, ad attrezzi ricavati da fogli di balestra forgiati.
Non è stato facile per me, cittadino abituato a rivolgermi al fornitissimo negozio d'angolo, rendermi conto di una condizione di mercato di lavoro, di vita economica così diversa. Mi ha aiutato a non rimanere bloccato la mia esperienza di lavoro "povero", realizzato spesso con scarti ricavati dopo lunghi giri dai rottamai. E il senso di un lavoro collegato al prodotto finito prima che al computo orario del tempo impiegato. Così, dopo alcuni inevitabili imbarazzi iniziali, tutto è filato liscio con un grande impegno da parte dei miei giovani apprendisti divisi disciplinatamente in squadre e turni.
Giorno dopo giorno è maturata una amicizia semplice e simpatica; un rispetto reciproco serio che mi ha impressionato proprio perché privo di rigonfiamenti a seguito di interessi, artificiosi entusiasmi, accondiscendenza verso paternalismi tutti paste e gelato. Mi verrebbe da dire che a volte mi sono sembrati degli uomini se non sapessi di far torto alla loro gioventù, al diritto della loro età di assaporare l'esperienza senza garantire la continuità e soprattutto se, per fortuna loro e mia, molte volte non si fossero rivelati inguaribilmente ragazzi...
A me, uomo per età e già un poco stagionato, hanno dato fiducia e coraggio interiore per affrontare la complessità di risolvere moltissimi dei problemi che oggi il mondo pone.
Una sorta di saggezza che non nasce dalla rassegnazione, ma dal futuro come tempo reale che ci chiama alla vita, oggi, forse più che mai, non da solo, ma nella condizione e nella condivisione di questa umanità.

Luigi

Ritorni

Settembre 1936 - 28 Novembre 1986
"Nessun uomo è un isola / completamente autosufficiente / ogni uomo è parte di un continente / una porzione del tutto / ...la morte di un qualunque uomo mi sminuisce / perché io ho a che fare con l'umanità intera". (J. Donne)
Uno sciame di ragazzetti e ragazzette uomini e donne in abiti da lavoro, il segretario del partito fascista, il pievano del paese ad attendere l'arrivo della diligenza di Adòne; il primo legionario reduce dalla terra d'africa stava per essere accolto con tutti gli onori e con il doppio festivo delle campane. Si era nel 1936, forse nel settembre, avevo dieci anni, cinquant'anni fa. Con fare dimesso dell' uomo abituato ai lavori semplici ed umili "Cacino di Mammoli" scese all'indietro poggiandosi sulla predella in ferro, un giovane piuttosto piccolo, la divisa kaki su cui brillava una crocettina, era sommerso da un cappellone che lo rendeva goffo e impacciato, il casco coloniale, segno della potenza e della vittoria. Riuscii ad essere in prima fila e in quel chiasso festoso dalla voce del segretario risuonarono tradotte in prosa riveduta dalla maestra elementare le strofe di "faccetta nera" una canzone allora in voga per celebrare la sporca guerra di Etiopia: civiltà-liberazione dalla schiavitù-luce di Roma-Duce-Impero-RePatria. Prima di iniziare il corteo di gloria ci voleva la benedizione con l'acqua santa impartita con devozione e con fede. Su Cacino, povero pastore di Mammoli reduce dalla grande avventura di Abissinia testimone del raggiunto "italico sogno di un posto al sole", su tutti noi ubriacati da una propaganda falsa e miserabile, dominava, lì all'incrocio di "Burone" una croce in ferro su di un solido basamento di marmo. A Cacino e a tutti noi "individui a cui è praticamente impossibile valutare i molteplici aspetti relativi alla moralità degli ordini che riceve" (come insegnava una vescovo ai suoi preti) l'impero veniva presentato come una gloria della patria. La gloria della patria fu raggiunta con l'uso indiscriminato di gas asfissianti - primo uso antivigilia di Natale 1935 sul Tacazé - nella battaglia dello Sciaré contro l'armata di ras Immirù, sul massacro del lago Ascinghi e nella battaglia dell'Ogaden; per maggior sicurezza Mussolini diede ordine che Badoglio trasmise ai suoi soldati di mirare anche agli ospedali.

IL SANGUE DEI POVERI
"La tradizione di Roma che dopo aver vinto associava i popoli al suo destino... il popolo italiano ha creato col suo sangue l'impero. Lo feconderà col suo lavoro e lo difenderà contro chiunque con le sue armi". Ecco il sangue che ha creato l'impero: perdite italiane dal 2 Ottobre 1935 fino al 30 Aprile 1938 (lungo periodo delle operazioni di polizia coloniale) morti 1863 in combattimento e causa ferite 2977 causa servizio o malattie. Totale 4.840: truppe coloniali circa ventimila morti.
Etiopi (o abissini) 275.000 caduti in guerra 75.000 nella guerriglia 50.000 giustiziati dall'azione repressiva 35.000 in campi di concentramento 300.000 morti in seguito a privazioni e alla distruzione dei villaggi. Un milione di italiani sono stati in Africa orientale tra il 1935 e il 1941 quella fu per loro un bella lunga vacanza! Per questo genocidio don Milani chiama in causa la scuola: "saltavo di gioia per l'impero".
"I nostri maestri s'erano dimenticati di dirci che l'etiopi erano migliori di noi. Che andavamo a bruciare le loro capanne con dentro le loro donne e i loro bambini mentre loro non ci avevano fatto nulla... quella scuola vile, consciamente o inconsciamente non so, preparava gli orrori di tre anni dopo. Preparava milioni di soldati obbedienti. Obbedienti agli ordini di Mussolini. Anzi per essere più precisi obbedienti agli ordini di Hitler. Cinquanta milioni di morti." (don Milani)
Noi cristiani abbiamo il dovere per l'amore al regno di Dio di chiamare in causa la chiesa italiana non solo per il suo silenzio ma per l'avallo dato alla sporca guerra etiopica (deve essere sfatato il mito - caro a tanti di noi italiani - che il nostro colonialismo sia stato diverso, più umano, più illuminato, più tollerante del colonialismo inglese-francese-tedesco e sudafricano; il 1935 e il 1936 costituì il momento in cui i fascisti per la prima volta avevano conquistato l'appoggio della maggioranza del popolo!).

ITALIA E FEDE
Come illuminazione (giornale Italia e Fede per la diffusione della Fede anche in campo missionario) evangelica buona notizia esportata sulla punta delle baionette fasciste fu dato un fascicolo degli annuali della missione di E. Lucatello: ventidue anni in Etiopia, La Missione di Giustini De Jacobis con prefazione di P. Bargellini dedicato ai cappellani militari d'italia partenti per l'Etiopia. Questi valorosi cappellani della chiesa con le stellette partivano con i soldati italiani per "liberare milioni di anime dall'eresia monofisita e ricondurle nell' ovile di Gesù Cristo, nel seno della chiesa cattolica". I gas asfissianti e le forche usati da questi soldati "teologi" non tennero conto della natura umana degli abissini e furono un ovile sicuro per queste pecorelle smarrite: di fatti Graziani a Debrà Libanos, nel Goggiam, fece fucilare complessivamente quattrocentoventicinque preti e diaconi copti!
Il 2 ottobre 1935 il vescovo di Cremona, (Ma che zelo!) mentre ancora non era noto l'inizio delle ostilità, invitava i veri cristiani a pregare "per quel povero popolo di Etiopia perché si persuada di aprire le sue porte al progresso dell'umanità, e di concedere quella parte delle sue terre, che egli non può rendere fruttifere, alle braccia esuberanti di un altro popolo più numeroso e più avanzato nell'agricoltura e nell'industria". Eccoli i rappresentanti del progresso, eccole le braccia esuberanti "fu proprio a sud di Soddu (Etiopia) che il colonnello Molinero, con la sua colonna, per un tratto del suo cammino, ebbe l'ordine di trasformare in bracieri i villaggi di capanne che incontrava. Subito dopo Molinero ebbe anche l'ordine di raccogliere circa 200 abissini validi e di farli uccidere a raffiche di mitragliatrice, quell'eccidio non fu l'unico: ne avvennero in quell'anni in quasi tutte le regioni etiopiche".
Il 28 ottobre il cardinal Schuster, il mite studioso e quasi monaco benedettino, celebrando una funzione religiosa nel duomo di Milano, glorificava la marcia su Roma come la data "che ha aperto un nuovo capitolo nella storia della penisola, anzi nella storia della chiesa cattolica in Italia" ed affermava, il piissimo monaco, senza perifrasi che "sui campi d'Etiopia il vessillo d'Italia reca in trionfo la croce di Cristo, spezza le catene agli schiavi, spiana le strade ai missionari del Vangelo".

NATALE DI PACE
Il 25 dicembre il vescovo di Ariano Irpino, pronunziando l'omelia natalizia, diceva: "il santo Natale è la festa della pace. Ma, ahimè, il natale di quest' anno non trova in pace la patria nostra" - poveri no, cosa sarà successo? sentite! - "non intendo alludere al conflitto coloniale, che ha lo scopo di aprire le porte dell'Etiopia alla fede cattolica e alla civiltà di Roma" - di fatti furono aperte con i baci perugina e con il profumo dell'incenso - "alludo alla guerra ingiusta, incivile, insensata che ci viene fatta con le cosiddette sanzioni". Come osservare la vigilia del venerdì senza il baccalà inglese? Poveri italiani! Ma non basta: alle soglie del 1936 il vescovo di Bergamo, invocando l'aiuto divino sulla patria in armi osservava: "se restasse soccombente, l'Italia sarebbe diminuita nella sua grandezza e si vedrebbe arrestato il compiersi della sua missione nel mondo".
Rispose un giorno il dotto Schweitzer a chi gli domandava "dottore, se Cristo ritornasse di nuovo nel mondo lei cosa farebbe?" il vecchio lottatore dell'amore e della giustizia rispose: "abbasserei gli occhi dalla vergogna". Tutti noi dovremmo sprofondare per la vergogna per avere ascoltato tali maestri della "missione".

BEA TI I COSTRUTTORI DI PACE
Nella sala di attesa dell'areoporto di Fiumicino ricordai il ragazzino di dieci anni, Cacino di Mammoli imbambolato, la gente che applaudiva, le bandiere tricolori sulla carta geografica dell'Etiopia che avanzavano ogni giorno pulite pulite senza sangue e senza orrori manovrate dalle mani ben curate della maestra: Adua, Gondar, Maicallé, Ambalagi, Neghelli!..
Rumori di aerei, folla che si allestisce all'uscita, un uomo solo dal passo lento e forte, vestito dimessamente con un cappellino lacero in testa, due scarse valige... l'abbraccio con il cuore colmo di gioia e di ringraziamento... Il ragazzino ora è vecchio di sessant'anni che stringe riconoscente le mani di Luigi per questi cinque mesi meravigliosi di "campagna etiopica" per fedeltà agli affetti, le amicizie, la piccola condivisione ad una storia di sofferenza e di speranza. Le sue mani callose nelle mie sono le mani dei nostri ragazzi del capannone, di tutti gli amici del terzo mondo le scure mani dei centosessantacinque ragazzi di Asella, mani di Sirio di Beppe di padre Silvio temperate dal ferro e dall'amore.

(vedi: Enzo Santonelli "Storia del movimento e del Regime fascista" Vol. Il)

Rolando

Seguendo il fiume

Una delle immagini più popolari per indicare il passare del tempo, lo svolgimento dei giorni e quelli della vita, che fin da bambino mi è rimasta impressa nella memoria è quella del fiume: il suo incessante andare, lo scorrere senza posa delle sue acque, le grandi piene d'autunno e di primavera. Per diversi anni sono vissuto in mezzo a due fiumi, non molto grandi ma abbondanti d'acqua, che avevo imparato a conoscere molto bene per un buon tratto. Ed è su quella striscia di terra fertile fra i due fiumi che ho praticamente iniziato la mia scoperta del mondo, degli altri, della storia umana. I miei primi ricordi sono legati alla memoria lucidissima di avvenimenti di guerra: bombardamenti, passaggio di truppe, incursioni tedesche, fuga in massa verso i rifugi sulle colline. Paura e avventura incomprensibile per un ragazzo di pochi anni: poi tutto si è come disciolto (per riaffiorare con prepotenza molto dopo) e nella mia vita ha ripreso sempre più spazio il fiume, che rimane perciò come l'immagine più indicativa ed espressiva di quello che può essere la vita. "La vita è come un fiume": seguendo questo inarrestabile fluire mi sono trovato coinvolto in un cammino dove la Fede in Dio e l'Amore per Gesù Cristo hanno costituito sempre più la ragione fondamentale e la motiva-zione profonda di tutta una ricerca. Ed insieme la spinta a cercare di legarmi alla storia concreta delle persone che ho incontrato nel misterioso intreccio delle vicende: è stato uno scorrere ed un andare continuo, come dietro ad un sogno di cui all'inizio era difficile decifrare tutto il possibile significato.
Lentamente il fiume ha percorso un buon tratto del suo viaggio, trascinando nella corrente - a volte tranquilla e appena increspata dal vento, a volte tumultuosa - tutta una serie di briciole di storia quotidiana, di persone carissime e tanto amate, di delusioni, di sconfitte, di visioni, di sogni... Nell'acqua di questo fiume che è la mia vita, come la vita di tutti, è trascorsa una vicenda fatta di mille piccoli fili tessuti giorno dopo giorno; di mille briciole per un pane a volte dal sapore dolcissimo a volte amaro; di tante gocce d'amore e di dolore che hanno sempre accompagnato il cammino.
Ora il fiume, dopo un largo giro, mi ha ricondotto nell' angolo della darsena, fra le piccole mura della Chiesetta del porto. Sono ritornato insieme - sotto lo stesso tetto - ai miei compagni dell'inizio del viaggio, nella casa che assomiglia piuttosto ad una tenda oppure ad una barca che galleggia al punto di confluenza fra il mare e l'acqua di deflusso del padule circostante.
Sono contento di essere riapprodato a questo angolo di terra che per me rappresenta un punto di riferimento interiore, uno spazio non solo materiale e geografico, ma anche uno spazio del cuore, dello spirito. Un'ansa del fiume dove ho avuto la grazia di scoprire il tesoro da tempo cercato, la perla preziosa, la terra intravista nel sogno: un angolo di mondo in cui, passo dopo passo, si è dipanato il filo della Fede, dell'Amore, della Speranza.
So che il fiume continuerà senza soste la sua corsa: non so fin dove, né fino a quando, né attraverso quali percorsi. Mi abbandono senza riserve alla corrente di questa avventura portando dentro di me la certezza che essa è segnata essenzialmente dalla Bontà di Dio, dall' amore e dall'amicizia di tante persone, dal soffio dello Spirito che ha sempre sostenuto e alimentato la ricerca di nuovi orizzonti e nuove sponde. Tanto più che - in questo angolo di mondo che è l'isoletta della darsena - il fiume acquista contemporaneamente le dimensioni del mare.

don Beppe

Dialogo fra Dio e l'uomo

"Tra due esseri, la partecipazione totale è impossibile e quando si crede di aver raggiunto una tale partecipazione, ci si accorge che si tratta di un accordo che, o in uno dei due partner, o in tutti e due, frustra la possibilità di un pieno sviluppo.
Ma quando si è preso coscienza della distanza infinita che sempre resterà tra due esseri umani, chiunque essi siano, una meravigliosa vita "fianco a fianco" diventa possibile. Bisognerà che i due partner arrivino ad amare la distanza che li separa e che permette all'uno di percepire l'altro intero, stagliato sul cielo".
Rainer Maria Rilke

In una visione di Fede, seria, profonda, capace di abbracciare il Mistero di Dio e il Mistero dell'uomo, dell'umanità, nell'intuizione del rapporto, della comunione, intercorrente fra Dio e l'uomo, quasi come una vincolazione vicendevole di dono e di accoglienza e quindi di Amore, quando si schiarisce nel profondo dell' anima questa visione, come la luce all'alba di ogni mattino, non è possibile non avvertire una sensazione di smarrimento. S'impone l'avvertenza di una misteriosità inspiegabile e nel frattempo la profonda, appassionata necessità di capire. Nella Fede vi sono attrazioni, richiami, coinvolgimenti come quando ci si trova sull'orlo di una voragine e si prova come essere attratti, chiamati dalla profondità dell' abisso.
Guardare a Dio è guardare dove non è soggetto, dove la sguardo (quello interiore) non trova orizzonte e dolcemente e ineffabilmente si perde, non nel vuoto come il vuoto, che può essere in noi o intorno a noi, ma nel vuoto perché tutto è "oltre", senza terminazione, al di là, al di là, sempre e sempre più. È in questa perdizione del limite, dell'esigenza del limite, della pretesa di oggettività, precisata e precisabile, che è possibile, concesso, donato, trovare la conoscenza, l'intuizione, la percezione. Dio è oltre un velo tessuto d'infinito.

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Non è facile (così sembra) per noi esseri umani la conoscenza di chi abita nell'infinito e più ancora avvertiamo l'impossibilità di rapporto, di comunione con Dio. Si tratta (così sembra) di realtà abissalmente diverse, come è diversità, assolutamente altra cosa, l'infinito e il concreto, il non luogo e i dieci centimetri quadrati dove posano i piedi, l'eternità e il ticchettio dell'orologio che segna il fluire dei secondi, l'assoluto, l'unicamente bene e l'incessante intrecciarsi e sopraffarsi del bene e del male. È veramente difficile, quasi impossibile, immaginare come possa esistere una Realtà al di fuori e al di sopra di questa fiumana, spesso tanto orrenda, che spietatamente tutto e tutti coinvolge e travolge, della storia dell'umanità. E è altrettanto impossibile accettare che possa esistere e che senso possa avere, questa drammaticità di storia umana, al di fuori di una spaziosità che la contenga, di una ragion d'essere che la spieghi.

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Due piani diversi e infinitamente lontani, separati. E sembrerebbero inconciliabili. Perché assolutamente l'uno e l'altro di natura, di essenza diversa.
Dio, la totalità dell'Essere, compiutezza assoluta, convergenza perfetta di Unità ed espansione a raggio di Se stesso e intorno a Sé. Un Punto, eppure presenza totalizzante di ogni esistenza. Niente è Lui eppure tutto è Lui, fino al punto che l'esistenza è esclusivamente di Dio. Così tanto che ogni esistenza, quella di una foglia all' alitar del vento, il palpitare del cuore, il tremolare della stella del firmamento, è la percezione più avvertibile di quella esistenza, l'esistenza di Dio.
Il piano sottostante o meglio la realtà che sta dentro (una goccia dentro l'oceano?) l'immensità della esistenzialità di Dio, è il mondo nel quale viviamo. L'infinito materiale dello spazio stellare, l'infinito microcosmico dal quale nasce e nel quale palpita la vita, la misteriosità del materiale elevato alla spiritualità del pensiero, dell' intelligenza, della Volontà, questo elevarsi così in alto della materia fino ad attingere le altitudini dello Spirito.
Due mondi diversi e lontanissimi eppure chiamati da una forza di attrazione irresistibile (il magnetismo cosmico, siderale, la forza gravitazionale... ne è appena un segno, un'immagine) a incontrarsi, ad offrirsi vicendevolmente, a penetrarsi in una ricerca appassionata di Unità. Perché il Mistero che domina l'esistenza, quella di Dio e quella del mondo, è l'Amore. L'essere di Dio, Unità e Trinità fino all'atomo, unità e trinità... Come lungo una misteriosa scala dove lo scendere e il salire è identico movimento per ottenere l'incontro e cioè l'Amore, la compiutezza.
La Fede è la percezione vissuta dell'universo in Dio e l'adorazione contemplativa di Dio nell'universo. La Fede cristiana è credere e amare perdutamente che l'universo-Dio e l'universo uomo si sono incontrati in quell'amplesso di unità perfetta che ha nome Gesù Cristo.

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È chiaro che il venire di Dio a vivere e condividere l'esistenza, la realtà della creazione e quindi pienamente e totalmente la condizione dell'uomo, dell'umanità e della sua storia, comporta e realizza una Presenza completamente identica e infinitamente diversa dalla realtà dell'essere umano. Anche per noi cristiani, pur illuminati dalla Fede, è assai difficile percepire l'identità di questa Presenza di Dio con la nostra natura umana e coglierne nel frattempo tutta la diversità. È quasi inevitabile non riuscire ad andare oltre l'avvertire che la venuta di Dio, assomiglia a non molto di più ad una persona che ci è molto cara, a cui vogliamo un grandissimo bene, che stimiamo all' infinito, venuta in casa nostra e che accogliamo come ospite graditissimo.
È con noi eppure non è con noi.
Anche la più chiara, trasparente, affettuosa amicizia non riesce a superare i limiti estremi, anche se spesso sottilissimi, dell' estraneità. Anzi vi sono diversità da salvaguardare con intelligenza e attenzione, proprio per amore del mantenimento dell'amicizia.
Perfino al matrimonio più felice è spesso impossibile dilatarsi vicendevolmente fino non soltanto all'unità, ma oltre ancora e cioè fino all'essere uno totalmente l'altro, in una accoglienza e in una donazione vicendevole da ottenere che "due sono uno".
Perché è vero che noi esseri umani (e cristiani) non conosciamo cosa è l'Amore. Chi lo conosce, perché è Amore, è unicamente Dio.
E chi ha vissuto, fino alle misure estreme, con l'umanità, l'Amore, è Gesù, il figlio di Dio e di Maria.

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I due piani diversi e lontanissimi si sono unificati in una trasfusione adorabile. Dio è tutt'uno con l'universo-uomo, l'universo-uomo è tutt'uno con Dio in un vincolazione unitaria come è quella stabilita dall'unità della persona. In Gesù è il riversarsi dell'umanità in Dio.
Tutto quello che è Dio è dell'uomo, dell'umanità.
Tutto quello che è dell'uomo, dell'umanità è di Dio.
Sembrano semplici parole come quelle di una predica natalizia. Ma il loro significato deve, avrebbe dovuto, dovrebbe cambiare la realtà dell'uomo, la storia dell'umanità.
Ma forse è avvenuto storicamente un solo cambiamento: quello di Dio. Perché in Gesù tutto quello che è dell'uomo è stato accolto da Dio, da Dio vissuto, subìto, fino alla totalità: niente è dell'uomo che non sia di Dio, appartenenza personale di Dio. La narrazione della storia Gesù, dall'Annunciazione al "tutto è compiuto" sulla croce, è racconto minuzioso di questo raccogliere da parte di Dio attentamente tutto (questa parola "totalità" non è facile ad essere capita!) dell'uomo perché diventi e sia realtà, esistenza, vita di Dio.
In momenti di trasparente lucentezza di Fede, è possibile avvertire anche fisicamente questo essere attratti, risucchiati, portati via da questa potenza onnipotente dell' Amore di Dio che "attira a Sé ogni cosa" per tutto coinvolgere nel suo Mistero.

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L'altro cambiamento, quello dell' uomo, dell'umanità nel suo cammino storico (se è di costruzione e non di distruzione come sempre più sembra che sia) doveva avvenire e sarebbe avvenuto, se l'uomo e l'umanità avessero realizzato quella condizione decisiva che è l'accoglienza.
L'accoglienza, cioè il riconoscimento del vuoto e il suo aprirsi, spalancarsi: "apri la tua bocca e io la riempirò" è scritto.
Perché Dio è colui che pazientemente, insistentemente bussa alla porta della storia perché lo si lasci entrare e lo si accolga "ad abitare fra noi".
Diversamente nella casa dell'uomo non vi sarà luce accesa, mancherà il pane sulla tavola, non si respirerà il dolce tepore di Famiglia...
Perché l'Amore, la Bontà, la Giustizia, l'Uguaglianza, la Fraternità, la Libertà, la Pace... (tutto quello insomma che è creativo di uomo e di umanità) è Dio.
Il sogno di Dio, concretizzato nella creazione, "fatto carne" in Gesù, è lo scambio: il donarsi vicendevole.
La sua mano è aperta avendo donato tutto. La nostra mano, chissà perché, si ostina a rimanere chiusa, strinta, Forse ci interessa di più l'assurdità.

don Sirio

Elogio del disertore

Vorrei avere parole chiare e precise per tessere l'elogio di chi, dopo aver indossato l'uniforme militare di tutti gli eserciti che stanno insanguinando il mondo, si fermasse - per un attimo - a guardare il "nemico" annientato, ucciso, frantumato come pietra sotto i colpi del martello...
Penso ai soldati russi che marciano da anni sulla terra afgana; ai migliaia di soldati che nella terra da cui partì il padre Abramo - l'Iran e l'Irak - stanno affogando di morte e di sangue ogni spazio; ai "miliziani" di ogni tipo (e fede!) che hanno fatto di Beirut e dello splendore del Libano un enorme cimitero abitato di morti; a Gerusalemme. "città di pace" e "morte del Signore", diventata capitale di guerra, con i suoi soldati (uomini e donne) che per portare "pace in Galilea" han fatto strage dei "ribelli" palestinesi dopo averli scacciati dalla patria comune...
E l'elenco potrebbe allungarsi all'infinito, troppo lungo sarebbe per non rischiare di lasciar fuori qualcuno dalla lista: battaglioni, brigate, corpi d'armata dell'Est e dell'Ovest, del Nord e del Sud, delle Americhe o dell'Asia, dell'Africa o dell'Europa... Uomini fieri di indossare la divisa, di manovrare con maestria strumenti perfezionati per dare con più precisione la morte...
Dicevo all'inizio: mi piacerebbe tessere l'elogio di chi - fra questi - si fermasse (anche solo un momento) a guardare il frutto del proprio "lavoro" e si accorgesse che l'unica cosa da fare per rimanere degno d'essere uomo sarebbe abbandonare per sempre gli abiti della morte e DISERTARE.
Lasciare il campo di battaglia per far ritorno a casa, magari a seminare nel campo del buon seme di grano (o di riso)...
Fare deserto intorno ai generali, lasciarli soli a meditare in mezzo ai cumuli delle macerie e ai morti... Tornare indietro, cambiare strada, non calpestare più la terra col passo di Caino...
Gloria sì di aver finalmente ridato un sapore nuovo e nuova dignità a una parola da sempre giudicata simbolo dal più bieco disprezzo: DISERTARE!
Forse ti meriteresti di avere appuntata sul petto la medaglia più bella.

don Beppe

Un minuto per la pace

"Appello per un milione di minuti di Pace!" "Prendi il mondo nelle tue mani per un MINUTO!..."
Si tratta di un volantino, un semplice foglio di carta bianca stampata, allora perché questa profonda emozione di riconoscenza al trovarlo una mattina su una panchina di Roma, nel giardino delle "Tre Fontane"?
Alle "Tre Fontane", sulla Laurentina, fu decapitato l'apostolo Paolo, e la leggenda racconta che nel luogo ove cadde lo sua testa, apparvero all'istante 3 sorgenti di acqua benefica... Qualcosa di magico, di inspiegabile, di imprevedibile dunque, ma a quei tempi era comune vivere a stretto contatto quotidiano con il numinoso - quelli erano i tempi nuovi della speranza, ben diversi dai tempi nostri, a tal punto che ora, quando si incontra il miracolo della speranza, si rischia perfino di non riconoscerlo.
Ma cos'ha poi di così miracoloso il volantino in questione?
L'iniziativa che viene a proporci è molto semplice: è quella di "costruire" ogni giorno un minuto di Pace.
Come? concentrandoci sull'idea di Pace, e dedicandole ogni giorno un minuto del nostro preziosissimo tempo.
Dove? ovunque ci troviamo: "al lavoro, a casa, o, perché no, un momento prima di iniziare una riunione d'affari".
Perché? questo, il volantino lo spiega solo in parte, affermando semplicemente: "i tuoi pensieri contano!".
Eccome se contano!
È facilissimo dimostrare la forza del pensiero sul piano concreto: cos'é stato a fare della nostra storia un lungo e penoso susseguirsi di guerre, se non il pensiero distorto ed esaltato di chi per secoli si è nutrito ed ha nutrito i popoli di "immagini di nemico" contro le quali catalizzare le proprie paure e frustrazioni - di fronte agli ambienti ostili, dall'oscuro funzionamento chiamati prima "Natura" (più spesso "matrigna" che madre) e poi "Società"?
Oggi però, la forza del pensiero viene presa in considerazione ed analizzata anche in ben più ampie accettazioni, che prima venivano scartate come totalmente esoteriche, e, per così dire "fumose".
Basti dire che la facoltà di Ingegneria e Scienze Applicate dell'Università di Princeton, una delle più importanti degli U.S.A. (vi insegnarono, fra gli altri, Einstein, Pauli e Jung... ) sta svolgendo già da alcuni anni un ampio programma di ricerche ed esperimenti che dimostrano come il pensiero influisca addirittura direttamente sulla materia! Avviene lo stesso nell'Unione Sovietica, che ha istituito vari centri di studio per occuparsi dei fenomeni di psicocinesi, con la collaborazione d sensitivi. (E il cosiddetto "sensitivo" non è certo un "marziano", bensì semplicemente una persona che con una intensità ed una frequenza più elevate, produce fenomeni appartenenti alla natura stessa dell'uomo...).
Ecco. il "piccolo miracolo", lo vedo proprio nel fatto che venga ora proposto a livello di iniziativa popolare.
A Roma, è il Comune stesso a patrocinare l'iniziativa, una iniziativa alla quale hanno aderito ben 40 paesi del mondo, compresi USA ed URSS, nell'ambito dell'''Anno della Pace" indetto dalle Nazioni Unite. Ogni paese, dalla Polonia allo Zambia, dalla Guyana allo Zimbawe, si è impegnato a realizzare almeno un milione di minuti, ma basteranno le 34 mila scuole britanniche che hanno aderito all'iniziativa, ad alzare notevolmente la media. In Belgio è previsto, poi, che il traffico si blocchi per un minuto e ad Hong Kong la borsa osserverà un minuto di silenzio.
"se... un milione di persone in ognuno dei paesi partecipanti dessero un minuto di Pace all'appello, il mondo avrebbe 76 anni, 37 giorni, 18 ore e 40 minuti di Pace!".
Comunque, il metodo segnalato per "donare" questo minuto, come dice il volantino, è soprattutto un metodo individuale che, in quanto tale, non lascia spazio né ad alibi "logistici", né deleghe di sorta: si tratta della meditazione.
"SEDENDOMI IN UNA POSIZIONE COMODA
MI CONCENTRO SULLA PARTE
PIÙ PROFONDA DI ME STESSO
SONO CONSCIO DEI PENSIERI CHE
ATTRAVERSANO LA MIA MENTE
LA VELOCITÀ DEI MIEI PENSIERI SI
ATTENUA
CONCENTRO LA MIA ATTENZIONE SU
UNA STELLA CHE IRRADIA LUCE NELLA
MIA MENTE, E CREO PENSIERI DI PACE
PIANO PIANO LA MIA MENTE DIVENTA
COME LA SUPERFICIE DI UN LAGO,
COMPLETAMENTE CALMA
E
TOTALMENTE TRANQUILLA,
SPERIMENTO UN SILENZIO PROFONDO
APPENA DIVENTO CONSCIO CHE IO
SONO LA PACE,
E SPARGO IL POTERE DI QUELLA LUCE
E DI QUELLA PACE NEL MONDO INTERO..."


Cristina Graetz

Un libro racconta...

Io posso darne concreta testimonianza.
C'era una volta un tipo un po' strano, uno di quelli che camminano per strada e non si sa cosa vedono, cosa pensano. Gente innocua certamente ma anche pericolosa e non perché è possibile che covino dentro di sé chissà quali macchinazioni, ma unicamente perché sono capaci, se gliene viene l'estro, di scocciare la gente, turbare il quieto vivere, sovvertire il menefreghismo generale. Fra questa gente una volta erano annoverati i santi, gli eretici e nella progressiva laicizzazione della società, i filosofi e più ancora i letterati, i poeti ecc.
In questi ultimi tempi (cioè 20-30 anni) anche qualche prete ha fatto parlare di sé.
Tipi strani davvero. Già allora quando tutto il clero camminava, strinto e devoto, nella talare, si sono tolti l'abito benedetto e sono apparsi uomini come tutti. Dalla parte di Dio certamente, anche se a volte con una Fede, così intensa e vissuta, da risultare quasi fuori dal mondo ecclesiastico, ma anche e scopertamente dalla parte degli uomini, specialmente degli ultimi, dei poveri, che una volta erano conosciuti come proletariato, classe operaia ecc.
Uno di questi cosiddetti pretioperai (forse il primo a stare alle statistiche) molti anni fa, oltre a lavorare in un cantiere navale, poi fra gli scaricatori del porto, poi come artigiano ecc. ogni tanto si metteva anche a scrivere (lo fa ancora dato che il lupo perde il pelo ma non il vizio). Uno scrivere che era (e è) come dire: io mangio questo pane, se hai fame, ecco, prendine pure e anche un bicchiere di quello buono (ci puoi contare non è al metanolo) se hai sete... E così, tutto è andato avanti come per chi cammina e si trova sempre in luoghi nuovi, paesaggi sconosciuti, una continua scoperta sorprendente, sconcertante e affascinante.
Gente che è la stessa, eppure cambiamenti sono avvenuti. Problemi inaspettati a scavalcare quelli vecchi. Un superarsi di avvenimenti, un sopravvenire di nuovi incontri, un coinvolgersi in vicende improvvise, l'apparire di chiarezze mai intraviste, lo sciogliersi di dipendenze, condizionamenti, l'aprirsi, lo spalancarsi di spaziosità per respirazioni infinite...
Certo; tutto è avvenuto nel cuore, nell'anima, in quella interiorità che è più che l'universo cosmico, ma poi ogni cosa (o quasi) è fluito fino alla punta della penna, sui tasti della macchina da scrivere. E ai primi tempi (La voce dei poveri) stampavano cogliendo nei casellari le lettere tipografiche, una, a una, per comporre la riga. Poi arrivò trionfante quel macchinismo che trasformava il piombo liquido in righe tipografiche, la linotype. Ma quando sono venuto io Lotta come Amore allora siamo passati gloriosamente all'elettronica, alla memoria computerizzata, alla foto stampa ecc, ecc.
Forse non avete ancora capito, ma io sono un libro. Una bella fodera rossa, gli angoli dorati, sul dorso, a lettere d'oro, impresso il mio nome e cognome: Lotta come Amore.
Una mano gentile è andata a raccogliere i numeri sparsi fra le rimanenze della diffusione. E un'altra mano, con affetto e bravura, ha rilegato i fascicoli (forse sono tutti) ed eccomi fatto libro. E chiaro che ritrovarmi libro, tutto riunito, mi ha dato la sensazione di una certa importanza. Perché così, tutto insieme, mi sento realmente una storia, uno svolgersi, un'attualizzazione progressiva, un tutt'uno di una frammentarietà, che essendo staccata, monografica, come si dice, ma unitaria, si ritrova tutt'intera a manifestare la sua complessità in una linearità precisa, inconfondibile.
Mi sento quasi una testimonianza di fedeltà: di fedeltà agli inizi e di fedeltà alla continuità.
Ho avvertito fortemente l'emozione di chi mi sfogliava di pagina in pagina, di argomento in argomento, come un profondo ravvivarsi di quella passione, di quei sogni, ansie, sgomenti, esaltazioni, angosce, speranze senza fine... Voltando una pagina dopo l'altra è non ricominciare a leggere una storia, ma rivivere intensamente il passato, con la commozione come di quel momento e forse più ancora, quando la penna scorreva sulla pagina bianca. È proprio vero: non esiste passato quando tutto è sempre totalmente presente. È cioè quel noi stessi vissuto e giocato interamente allora come ora. Ma non con monotonia e con distacco, giornalisticamente cioè o come spettatori, parte viva e vivente invece, come carne e sangue e anima di se stessi, in quella vastità che abbraccia cielo e terra. Spaziosità infinita nella quale Dio illumina il mondo, comprese le sue tenebre, per vedere con chiarezza, in evidente risalto, il Mistero della vita, dell'umanità, della Chiesa e la storia, questo fluire del tempo nel quale tutto va avanti.
Dentro di me, fra le due copertine di tela rossa, mi rendo conto che domina un'enorme confusione di tematiche, di argomenti, di stili, di convincimenti, di sensazioni, di giudizi a volte anche presuntuosi. Mi scorre tra le pagine acqua di sorgente, un rigagnolo fra i sassi, ma anche torrentelli e qualche fiumana più o meno straripante. Niente però è stagnante, acqua di cisterna. Un'improvvisazione spesso, certamente, anzi sempre forse, ma è perché le mie pagine, assolutamente senza intenzionalismi, sono scritte, carta e penna in mano, camminando sulla strada di ogni giorno, ascoltando il vento, il frangere delle mareggiate, riverberati di luce di sole, avventurandosi nella notte condotti per mano dal brividìo delle stelle...
Ed ecco che le mie pagine sono visioni di Fede ad accendere Speranze, a suscitare, provocare Amore. Angosce sgomente per l'intuizione di mali estremi.
Per la voglia indicibile di una Chiesa vivente, per una traduzione di Vangelo e di umanità nel tessuto del quotidiano e della storia. Sono pagine come un gridare, pagine di passione incontenibile, traduzioni di realtà vissute, racconti fatti di cuore e d'anima. Confluenze di amici lontani. Convergenza di vita, di lavoro, di avventure comunitarie. E sussurri di poesie sognate per raccontare l'indicibile. Stranezze, assurdità, illusioni, utopie, sogni. E anche tanta Lotta, risoluta, tenace, impenitente, ma è chiaro, unicamente perché Amore, questo impietoso e appassionato Amore.
Forse, ahimè, sono un libro fatto dalla raccolta di un giornaletto inutile e quindi anch'io sono un libro inutile (non per nulla ne esiste solo una copia!).
Ma non me ne dolgo eccessivamente: mi sono accorto che quando mi sfogliava, gli si gonfiava il cuore di commozione e gli pareva proprio che, nonostante tutto, lo scrivere, lo stampare e spedire queste paginette, a qualcuno, qua e là per l'Italia e oltre, poteva succedere che gli sorridesse un po' di speranza e di fiducia, leggendo che l'inutilità può non essere giudicata inutile: può essere invece serenità di Fede e gioia d'Amore.

Chiesetta del porto Natale 1986
Il libro-raccolta
Lotta come Amore


Sud Africa

LETTERA PASTORALE ECUMENICA
17573. DURBAN-ADISTA. Sette leaders religiosi sudafricani, tra i quali l'arcivescovo di Durban, mons. Denis Hurley, hanno scritto insieme una Lettera pastorale ecumenica per il Natale nella quale denunciano la contraddizione che c'è tra lo stato di emergenza, che perdura nel paese e le festività natalizie. I leaders religiosi affermano di non poter dimenticare le centinaia di bambini che trascorreranno il Natale in carcere, le migliaia di persone detenute, gli uomini e le donne che sono stati torturati o uccisi, i milioni di disoccupati. "Come possiamo ignorare" chiedono "la presenza di migliaia di soldati nelle 'township', le restrizioni all'informazione, la limitazione del diritto a riunirsi e ad esprimere la propria opinione, il clima di paura che regna nel cuore di tanta gente. I capi religiosi chiedono che cessi il clima di terrore creato in tutto il paese dallo stato di emergenza, che vengano liberati i detenuti e i prigionieri politici (a cominciare dal leader del Congresso Nazionale Africano Nelson Mandela), che siano riconosciute le organizzazioni che oggi devono operare clandestinamente, in modo che si possano avviare negoziati per risolvere pacificamente i problemi del Sud Africa. La conferenza episcopale cattolica, da parte sua, ha protestato l'11 dicembre con una nota contro le limitazioni poste alla stampa dal governo di Pretoria; "la completa soppressione della cronaca sugli avvenimenti durante lo stato di emergenza conduce ad una situazione inaccettabile e pericolosa". "Il comportamento degli organi di sicurezza" continua la nota, "deve poter essere osservato da tutti per essere controllato, esso non deve avere nulla da nascondere".

DOCUMENTO DAL "SUNDAY STAR" - 7 Dicembre 1986 - Rapporto sui "detenuti-bambino".
Un terrificante documento sulla repressione dei bambini in Sud africa è stato divulgato la scorsa settimana, dando particolare urgenza alla campagna della Black Sash per ottenere il rilascio di tutti i bambini detenuti entro Natale. Il rapporto - pubblicato dal Comitato di Sostegno Genitori dei Detenuti (DPSC) - afferma che i bambini che crescono nei nostri sobborghi sono la parte di popolazione più brutalizzata dall'apartheid - economicamente, socialmente, educativamente, politicamente e psicologicamente. Secondo le più recenti cifre della Black Sash, ci sono fra i 1300 e i 1800 bambini attualmente in prigione, Il DPSC sostiene che 8800 bambini sono stati imprigionati negli scorsi cinque mesi. Il rapporto del DPSC si riferisce alle numerose dichiarazioni dei bambini detenuti che asserivano di essere stati picchiati e torturati mentre erano in prigione. Ex-detenuti si lamentavano anche circa le non igieniche e sovraffollate condizioni della detenzione. Gli autori del rapporto fanno notare che molti dei bambini esaminati erano stati in prigione per almeno tre settimane senza alcuna visita dei genitori o amici e avevano sperimentato qualche tipo di interrogatorio, tortura o isolamento. Il rapporto si riferisce a numerosi casi di ex-detenuti che provano un profondo senso di impotenza. Ex-detenuti riferivano che questi sintomi continuavano ad esistere dopo il loro rilascio nella forma di sentimenti di mancanza di speranza per il futuro e un senso di inutilità della vita. Bambini che avevano sperimentato l'interrogatorio spesso avevano un aspetto provato dopo il rilascio, aggiungeva il rapporto. "Un quindicenne descriveva la sua vita come insignificante per la polizia, i suoi genitori, i suoi amici, i suoi nemici, perfino per se stesso", Sebbene nessuno degli ex-detenuti che erano stati consultati dal DPSC avesse tentato il suicidio "non era insolito che un bambino parlasse di suicidio". "Abbiamo incontrato sintomi che esprimono quella totale alienazione della vita. Questa alienazione si manifesta così frequentemente che ha, in modo convincente, confermato che la detenzione interferisce sul normale funzionamento psicologico. La prospettiva di affrontare la vita diventa opprimente e questo crea un' angoscia dalla quale sembra non esserci altra fuga che l'immagine della morte"... I consigli del DPSC scoprirono anche che i bambini che erano stati detenuti sembravano aver perso la loro infanzia. "Così, spesso, giovani fra i l0 e i 14 anni sembravano avere la serietà e l'inflessibilità di un cinquantenne."...



Guy Jepson

Appello urgente

"Nella grande nazione leader
dell'Occidente (gli Stati Uniti),
una giovinetta negra sta per
salire il patibolo ed essere "giustiziata".

In un paese civile come il nostro
il fatto che la sedicenne Paula Kooper
stia per essere fulminata su una
sedia elettrica provoca orrore..

Dovrebbe levarsi dall'Italia un coro
di voci così possente da staccare
la corrente alla sedia elettrica
di Paula Kooper".

Proponiamo l'invio
di un TELEGRAMMA perché venga
revocata la sentenza di morte!

Al Presidente della Repubblica F. Cossiga - Quirinale - Roma

CHIEDO SUO URGENTE INTERVENTO
CONTRO SENTENZA DI MORTE
DI GIOVANE AMERICANA PAULA KOOPER


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