LOTTA COME AMORE: LcA gennaio 1980

Paginette di fiducia

Discutendo fra noi, ma siamo quasi nessuno a trattare di queste cose. è venuto fuori il problema se continuare o no la pubblicazione di questa lettera agli amici. stampata a giornalino ed inviata con abbonamento postale.
I motivi di questa perplessità sono tanti. E' molto difficile giudicare dell'utilità o meno di una pubblicazione come la nostra. Queste paginette non sono ricerca culturale di alcun genere. nemmeno teologica. di spiritualità, di problemi pastorali ecc. Non vi si agitano problemi di politica o almeno di politica ad alti livelli. nemmeno sindacali o di etica individuale o collettiva.
Riflettono forse e con semplicità ed umiltà anche se appassionatamente, la fatica di uno scavare fra le sabbie, le rocce e la terra buona del nostro tempo, le vene d'acqua nascoste, quelle misteriose, dalle quale può scaturire il filo cristallino di un po' di Speranza. E può darsi che raccontino non molto di più del bruciore delle dita consunte per lo scavare a vuoto, della fatica dell'inutile, della stanchezza perfino del cuore. Ma possono forse anche significare queste paginette, l'ostinazione di una Fede che s'indurisce nel credere, nello sperare, nell'aprire, spalancare l'anima a TUTTO quello che pure sta venendo e non sembrerebbe, al farsi di tutto ciò che sembra irrimediabilmente in disfacimento. al recupero di tutto quello che, senza dubbi è essenzialità e che pare proprio condannato allo svanire nell'inutile.
Perché l'attesa vigile e trepidante, in questo nostro tempo, può essere dono fatto ai fratelli più prezioso di qualsiasi altro dono. La fedeltà è valore per la sopravvivenza dell'essenziale umano assai più dell'aria che si respira.
Perché si può fare a meno anche della Fede, come sembra, ma non si può rinunciare alla Fiducia, pena il suicidio individuale e collettivo dell'esistere umano.
Guardare al futuro e lottare per la sua salvezza - cioè che possa esistere il futuro, che ci possa essere un futuro - è non soltanto lottare contro il nucleare e la sua onnipotenza distruttiva da fine del mondo, ma è anche lottare per la sopravvivenza del cuore dell'uomo, del cuore di carne e d'anima, perché non diventi di pietra.
Che queste paginette siano un segno o un ombra di contributo per questa lotta apocalittica - l'Apocalisse è Parola da rileggere con immaginazione attualizzata - è alquanto presuntuoso. Ma è il tempo in cui niente è saggio rispettare: anche sui francobolli si legge la storia. E anche un asino un giorno parlò al profeta, dato che il profeta aveva perduto la capacità di vedere i segni di Dio.
Forse è questa coscienza d'insignificanza e di inutilità che ci giustifica ad esistere.
Potremmo anche essere una razza di gente in estinzione, come certa specie di animali e di vegetali. Quindi può essere giusto e doveroso cercare di sopravvivere, fino a quando anche il nostro tempo non si sarà concluso e Dio allora provvederà...
Non ha importanza che la barca non tracci che una scia che subito si richiude e cancella anche il passaggio: ciò che conta è indicare, testimoniare, si direbbe, che il fiume è attraversabile anche senza attraversarlo sui ponti, che il lago e anche il mare è navigabile...
Non siamo assolutamente nulla di più di questo «gozzo» - si chiama così, da noi a Viareggio, quella povera barca a remi per non di più che per tre o quattro persone. - Non vi possiamo nemmeno offrire d'imbarcarvi con noi quindi, ma vi possiamo dire però che il mare è navigabile e si può non avere paura a prendere il largo. Non possiamo molto di più. Ma in questi tempi anche questa testimonianza, a ripensarci, può avere il suo valore.
Rimane il grosso problema e suscita in noi tanta perplessità, della grossa somma di denaro che è inevitabile spendere per stampare e spedire queste paginette. Che gli amici ci aiutano nella quasi totalità della spesa, non è che ci mette l'animo in pace. Anche se è vero che ormai tutto si paga a milioni, a miliardi. E crescerà più ancora - è impossibile sapere fino a quale misura - il prezzo che sarà richiesto per salvarsi dal naufragio universale e dall'appiattimento, dalla banalizzazione personale. Anche chi non è disposto al "cambio" in moneta sonante di lotta, vi è costretto se non altro dal fatto che la vita stessa non conta più niente. Una macchina te la porta via sulla strada. Un proiettile, sparato da chi sa chi, te la stronca. Il nucleare la incenerisce a umanità intera fino a poterne cancellare l'esistenza. Se si conta e si vale qualcosa è perché e in quanto si può servire allo sfruttamento.
Solo nella valutazione di Dio ci ostiniamo a credere che ogni essere umano vale quanto vale il Figlio di Dio. Ma è un "cambio" che soltanto la Fede e di quella purissima, può riuscire ad apprezzare.
Intanto rimane vero che queste paginette stampate costano ad ogni numero oltre 300.000 lire.
E' giusto spendere questi soldi per queste paginette e continuare a chiedere agli amici qualcosa della loro generosità?
Da mettere in conto anche il servizio postale che - è esperienza - seppellisce sicuramente o più verosimilmente brucia o vende gran parte dei giornaletti e pubblicazioni "senza padrone". Per ragioni politiche o per insufficienza di servizio che sia. L'abbaiare dei cani randagi, bastardi, "senza collare", è un fastidio per tutti, compresi gli accalappiacani: è consigliabile assai rendere loro difficile il sopravvivere.
Tutto considerato, per il momento, specialmente se gli amici ci danno una mano, affrontiamo 1'80 con l'intenzione di tirare avanti per la nostra rotta, cioè di continuare "la navigazione" con gli occhi alle stelle e le vele sottovento. E se si scatenerà "il fortunale" la preoccupazione non è per noi, ma è soltanto per la paura che sia ancora una volta il diluvio, tanto più che nemmeno sul filo dell'orizzonte, sembra che si stia costruendo un'arca di Noè per la salvezza del seme della vita.


Uomo, donna

E' molto tempo, lungo di anni, che non affrontiamo su queste pagine il problema del rapporto uomo-donna. Eppure questo è stato uno dei primi segni di ricerca della nostra esperienza comunitaria non determinata da una realtà di coppia né da una separazione del ramo maschile da quello femminile. Ma forse la «novità» dell'esperienza già anteriore al '68 ha finito quasi per bloccare una continuità di riflessione e di ricerca come se un traguardo fosse stato raggiunto e non occorresse più la fatica dell'aratura per preparare nuovi raccolti. La storia di questi ultimi quindici anni ci ha raggiunti e travolti in questa marea di difficoltà e di problemi, di rapporti in conflitto quasi insanabile, di esistenze divise e frantumate.
Non posso richiamarmi ad un'ideale continuità senza avvertire lo sconfinamento nel campo di una fantasia fine a se stessa, irreale e sterile. Ma non mi sento neppure onesto pretendendo di calpestare, in nome di nuovi miti, un'esperienza contraddittoria, ma sofferta nel corpo e nell'animo. Non sto quindi qui a raccontare una storia personale né di comunità. Ho inteso ritrovare questo vecchio problema alla conclusione di una serie di brevi articoletti scritti durante questo anno. Dalla riflessione sulla solitudine, alla serena coscienza del valore dell'amicizia, dalle difficoltà dell'esperienza comunitaria al nodo dell'incontro uomodonna.
Mi sembra che si stia aprendo un tempo nuovo che supera la contraddizione pubblico-privato che rappresentava fin ora uno dei problemi emergenti. Non che sul piano del pubblico-privato si sia risolto qualcosa di valido. ma questa ricerca, già regredita per il rapido consumarsi dello spazio politico, è oscurata dalle nubi che la storia e la cronaca internazionale solleva all'orizzonte. Un tempo in cui si riparla di guerra. un tempo in cui la violenza sembra riproporre il suo volto storico. Tutte le altre forme di violenza (e tra queste la violenza che si è raccolta nel rapporto uomo-donna) sembrano di nuovo scatenarsi come espressione del potere che vuole schiacciare per regnare. uccidere per vivere. opprimere per fare della propria libertà una legge.
Quando è in gioco la sopravvivenza, tutto il resto sembra perdere contorni definiti. Quando i problemi allargano e dilatano le loro dimensioni, con progressioni pazzesche, tolgono il respiro al quotidiano, al personale...
D'altra parte quando gli eventi accelerano vorticosamente l'evoluzione della storia, le prospettive non possono che risultare compresse e deformate. Occorre mantenere la calma e non farsi trascinare via dal provvisorio, o almeno resistergli.
Perché se lo specifico di ogni problema appare svilito dall'emergere di situazioni che sembrano assorbire il tutto, è altrettanto vero che ogni nodo della realtà umana può diventare il punto di partenza di una resistenza, di una lotta per la ricerca di una nuova esistenza e di nuovi rapporti.
E questo vale anche per il rapporto uomo-donna. Non vi può essere ricerca e novità in questo rapporto che non sia al tempo stesso ricerca e novità in tutto l'arco della vita. E non vi può essere vera ed autentica ricerca e novità di vita che non rinnovi e vivifichi al tempo stesso il rapporto uomo-donna.
Occorre trovare la chiave di atteggiamenti profondi che aprano strade di autentica liberazione.
Questo il problema di sempre, dei momenti importanti. decisivi. Questa la fatica da cui non può esimersi chiunque ama la vita e la propria umanità.
Credo che uno di questi atteggiamenti fondamentali sia la povertà. Se n'è parlato molto di povertà al punto da dare l'impressione di tirar fuori qualcosa di consunto ed esaurito. Ma al di là delle strumentalizzazioni che gravano su questa parola. vi sono pochi valori che, come la povertà, attingono alla radice dell'umanità.
Povertà, non miseria, non il boccone strappato di mano, non gli abissi della disumanità, non l'oppressione dell'ingiustizia e della violenza per avvelenare il mondo di desideri di potere e di ricchezza. Povertà e cioè la consapevolezza di una assenza e il senso di una attesa. Un desiderio che non divora, ma cresce il rispetto e la capacità di accoglienza. Perché nella povertà il soffrire non è assurdo né insopportabile, ma è come il risvolto dell'amore che non si acquieta, non si distrae, ma coltiva il suo sogno al di là di ogni difficoltà.
Nel rapporto uomo-donna la povertà è elemento indispensabile ed esprime uno stile inconfondibile. Le difficoltà di questo rapporto emergono oggi a tutti i livelli della sfera affettiva, sessuale, ideologica, economica. Occorre essere poveri di spirito per tentare di ricomporre le tensioni con la violenza del ricatto affettivo o di quello ideologico disegnando di nuovo ruoli ben definiti. Occorre d'altra parte una grande povertà interiore per resistere alla violenza e camminare in ricerca senza farsi avvelenare l'animo della rivalsa. E appare opportuna anche una autentica povertà di vita per non correre il rischio di trovare facili compensazioni.
Ma oltre il risvolto ascetico, la povertà entra nel cuore del rapporto uomo-donna e suggerisce oggi il senso dell'assenza dell'uomo alla donna e della donna all'uomo. Assenza che non vuol dire necessariamente rinuncia, separazione, ma certamente lo spazio per una attesa nei confronti di un rapporto nuovo da costruire in modo autentico, desiderato nei tempi lunghi di un'accoglienza dolce e paziente. Ci vuole molta fiducia: non è più il tempo in cui basta che uno dei due rinunci perché il rapporto uomo-donna ritrovi il suo equilibrio. E' una ferita da non cicatrizzare ad ogni costo, ma da tenere aperta perché possa rinnovare i tessuti dell'incontro.
Ciò a cui bisogna rinunciare sono i fantasmi delle convenzioni, le maschere di inutili sofferenze, le comode gerarchie, gli spazi di reciproco potere.
Perché un rapporto nuovo coinvolga tutta la realtà della vita che deve cambiare e questo sforzo di rivoluzione profonda non può essere portato avanti impostandosi in sottili giuochi psicologici. E' certo motivo di riflessione e di esperienza nuova l'andare a lavorare fuori casa o al contrario prendere il cencio in mano o cucire un bottone. Ma questo non può rappresentare né un traguardo, né tantomeno una ricattatoria affermazione di disponibilità. E' un possibile punto di partenza, o come tale va ritenuto, ma è anche ormai una sorta di lungo guinzaglio che anche il costume sociale ormai ha fatto suo. Guai però andare più oltre: la crescita delle strutture sociali offre queste possibilità nello spazio del «tempo libero»: è un «gioco», non di più. Eppure è necessario proseguire oltre, rompere tutta una serie di difese, acquisire il diritto ad una piena umanità, ad una vita vera non canalizzata e oppressa in un ruolo che ci deforma in maschera. Quello che è da «uomo» e quello che è da «donna» perché l'uno possa servire l'altro e la gerarchia continui a servire chi sta al vertice della piramide.
E' lotta che vuole uno stile inconfondibilmente povero, segnato dalla assenza più che da comode e acquietanti presenze.
Il povero tiene la porta aperta perché non ha niente da difendere: è la vita che trova spazio ed entra a colmare l'attesa, a rendere presente l'assente perché il pane sia spezzato a sostenere il cammino verso una nuova realtà dove non c'è più chi porta il grano e chi lo cuoce, chi apparecchia e chi è servito, chi genera i figli e chi ne porta il peso, chi possiede una moglie e chi si costruisce un marito. Non c'è più né «uomo», né «donna».

Luigi

Vi raccomando fantasia

Cari amici,
queste paginette vi arrivano nell'anno 80 ma vorrebbero essere le ultime dell'anno scorso. La puntualità spesso non è possibile e per diversi motivi. A volte manca letteralmente il tempo e anche le forze. dopo una giornata di lavoro in officina, si ritrovano alquanto ridotte e dal martello alla penna, non sempre il passaggio è agevole e possibile. E i sabati e le domeniche troppo spesso ormai rimangono giorni risucchiati da incontri, manifestazioni, impegni di partecipazione e di lotta, nella realtà del momento di storia che attraversiamo. Sappiamo bene che tutto può essere inutilità, tempo e forze buttate al vento, ma pensiamo che non sia onesto rifugiarci nell'indifferenza, ripiegare elegantemente nel personale, indurendo il cuore e l'anima nella difesa e nell'affermazione del privato. Una volta si diceva ed era affermazione coraggiosa, avanzatissima, che tutto era politica, compreso il soffiarsi il naso. Attualmente forse è più giusto dire che tutto ormai è pazzia, il problema non sta più fra pazzia e saggezza, ma soltanto quale pazzia, quale tipo o realtà di pazzia, scegliere per affrontare il vivere, la realtà del quotidiano e tanto più un progetto nel quale giocare la propria vita e il rapporto d'esistenza con il mondo nel quale stiamo vivendo.
Perché ad una logica di cultura, di civiltà, di religione, di morale, di politica ecc. così come normalmente s'intendeva ai bei tempi dei sillogismi e cioè dei filosofi, teologi, pensatori e così via, è semplicemente ridicolo il rifarsi e riferirsi. Tutto si è andato logorando come vestito vecchio e improvvisamente ci siamo trovati fra mano degli stracci. I tentativi di ricucitura e di rammendo non sono serviti ad altro che a dimostrare l'assoluta inservibilità. In fondo la logica economica del consumismo è venuta applicandosi anche alla cultura, ai valori di rapporto, alla mentalità e alla realtà di vita individuale e collettiva. Prendere e gettare via non è più nemmeno una novità. La novità semmai sta tutta nello scoprire una spaventosa realtà di vuoto, di senso dell'inutile, del non sapere a che santo rifarsi per trovare un motivo d'interesse, una ragione di vita.
Perché è assai faticoso vivere senza sapere perché. Ma non il perché filosofico o teologico, roba ormai da raffinati fuori tempo. Il perché pratico che comporti il coraggio di tirare avanti il quotidiano, la normalità della vita e quindi la sua sterminata monotonia, senza una precisa convinzione e cioè senza entusiasmo, dato che il senso del dovere nei confronti della vita è un non senso.
Il vuoto del motivo interiore, del convincimento personale, è irrimediabile. E' decisamente senza sostituzione. L'universo non basta a riempire il vuoto di cuore. E il sole in mano non serve a far vedere un cieco. Già Gesù. e la sua Parola è tanto più per il nostro tempo, diceva che non valeva nulla per l'uomo guadagnare e possedere il mondo intero se nel frattempo perdeva l'anima sua. E anima è anche l'intima ragione, motivazione del proprio vivere, è il se stesso più profondo, essenzializzato, l'insostituibile nascosto nel midollo dell'esistenza.
Avvicinare persone, parlare e spesso è più che sufficiente l'intuizione, quell'impressione a seguito della quale ci accorgiamo di comunicare sull'orlo dell'abisso, non è più comunicare, offrire e accogliere, è guardare nel vuoto, stringere la mano a fantasmi, è precipitare. Tant'è vero che spesso viene istintivamente da cercare di aggrapparsi a qualcosa, da precisare immediatamente un qualche motivo capace di reggere, nonostante tutto.
Una volta, ma sono due, cinque anni, situazioni difficili, momenti di difficoltà, si chiamavano col dolcissimo nome di crisi, una musica di speranza e di poesia come un uccello che canta solitario sul ramo dell'albero o sui tegoli del tetto. Ora è il niente, il vuoto, l'irrimediabile, la fine. Chiuso per lutto.
Pessimismo? Sarebbe sempre una gran cosa. E' molto peggio, perché è assenza di volontà di lotta. E' passività, resa senza condizioni. A volte viene l'impressione che non rimanga altro da fare che assistere allo spettacolo. Soffrendo l'angoscia di non poter muovere nemmeno un dito: perché fare qualcosa è rischiare il ridicolo, esattamente come tentare di fare qualcosa davanti ad uno spettacolo.
Queste riflessioni puoi, caro amico, giudicarle racconto eccessivo, ma tu sai che ogni affermazione potrebbe essere comprovata da citazioni di cronaca quotidiana. Con pezzi di giornale, ma forse sarebbe meglio dire con giornali, riviste e libri interi, dalla prima all'ultima pagina. E con nomi e nomi, come sull'elenco telefonico.
Oppure basterebbe mettere un po' più di attenzione alle conversazioni, parlare con più Amore con coloro con i quali si parla e cercare di ascoltare un po' di più e a cuore aperto, chi ha voglia di parlare e anche chi non ne ha voglia perché non crede più alla parola e tanto meno all'amicizia.
Verrebbe da pensare che alla base di tanta violenza ci sia questa conflittualità cioè impossibilità di rapporti e quindi ricerca di soluzione nel non parlare più, nemmeno con se stesso, se non attraverso l'evasione, lo sfuggirsi e il distruggersi o comunicare con gli altri, con l'esistenza, non parlando ma sparando. Non si vede come sia possibile sorprendersi che le parole, in questo nostro tempo, siano diventate droga o proiettili. Quando l'uso comune della parola, sia pure metaforicamente, ma fino ad un certo punto, è per drogare e sopraffare il prossimo, è per la menzogna e lo sfruttamento e l'oppressione.
D'altra parte la conflittualità spicciola e la violenza quotidiana, non è possibile giudicarla se non come normalità di rapporti, quando è realtà storica mondiale.
La pace e la sopravvivenza del mondo riposa nell'armamento nucleare e sull'equilibrio degli interessi dei due imperialismi. Questa realtà di conflitto sbriciola, psicologicamente e concretamente, la spaventosa ostilità fino alla rivoltella nelle tasche della gente e nella diffidenza tra persona e persona. E in maniera irrimediabile, perché mai, come forse nel nostro tempo è successo - ma succederà sempre più - che l'universale determini, costruisca il particolare, che quello che succede dentro le pareti di casa o ciò che avviene fra due persone sia segno, immagine e realtà di quello che avviene a livelli mondiali. Perché il privato. il personale non può esistere più: anche quando ci sembra di no o cerchiamo che non succeda, siamo immagine e somiglianza di questo mondo.
Forse perché e non può non venirmi in mente, ci siamo cancellati un po' troppo di sulla fronte e dall'anima, l'immagine e somiglianza di Dio.
Rimane la pazzia di tentare una liberazione e cioè una diversificazione che non vuol dire. Evidentemente, estraniarsi, disincarnarsi, astoricizzarsi. Anzi, tutt'altro.
Non siamo diversi quando non si battono le mani quando tutti applaudono. né quando non si fischia quando tutti fischiano. Siamo diversi quando non si va a teatro, si rifiuta di guardare il mondo come uno spettacolo, ma si diventa in un modo o in un altro, spettacolo noi stessi per il tentativo onesto di rappresentare qualcosa. Qualunque cosa, purché sia senza trucchi, travestimenti, canovacci imparati a memoria. Qualunque cosa pur di non fare teatro, cinema, giocare con le ombre e con le controfigure.
So bene che cercare la propria identità, è fare opera di autentica stranezza, come tentare di volare agitando le braccia. Pensare di averla trovata e crederci e costruirvi sopra la propria casa, è roba da pazzi. Ma ormai il bivio, il crocevia della storia, non permette altre soluzioni. O la pazzia della creatività. ricercata dal profondo della propria immaginazione e rafforzata da un coraggio inesauribile (va bene anche il coraggio che non si ha) o la strada asfaltata, l'autostrada della razionalità, dell'allineamento, dell'andare avanti a corpo morto portato verso il gran mare del fiume del nostro tempo. Penso che la passività sia il più grosso peccato contro se stessi, è la non accettazione del rischio, della fatica e della meravigliosità dell'essere vivi. E' impoverimento di vita e quindi pesante responsabilità verso gli altri, verso la storia.
La creatività è il riconoscersi creature di Dio e accettare e dare respiro a quella presenza di volontà creativa che Dio ha nascosto in ciascun essere vivente. In noi esseri umani la particolarità è la coscienza di questa potenza creativa e l'invito al suo completamento (perfezionamento): la vita ci è stata donata per essere creata da ciascuno di noi.
La Fede cristiana ne dà di questo Mistero un'indicazione adorabile e un racconto storico in Gesù Cristo: Lui che crediamo vero Dio e vero Uomo in unica Persona.
Cari amici. pensieri di fine d'anno. ma non sono di stanchezza e tanto meno di paura: forse esprimono uno stato d'animo di trepidazione per le sorti del mondo, per la possibilità ormai nelle mani di uomini della cancellazione del futuro, per un cambiamento di rotta storica che costi prezzi spaventosi, per un intristimento, ancora più banalizzato, disumanizzato, del vivere quotidiano.
So bene che la nostra, la mia proposta è goccia d'acqua nel deserto di sabbia o è tentare di prosciugare l'oceano col cavo della mano: ma che sia proposta di chi vive ormai da molti anni può essere riprova e argomento, che è valore capace di reggere anche sulla distanza...
Con gli auguri di ogni bene.

don Sirio

C.A.V. Centro Artigiano Viareggio

Sono già più di tre mesi che lavoriamo regolarmente nel nostro capannone con un buon ritmo indispensabile, se non altro, per difendersi dal freddo. Un gelo, quello di tante mattine, stemperato appena dal calore del ferro passato nella forgia e portato qua e là come uno scaldino tanto perché non si inchiodino le mani. Per i piedi invece la soluzione è affidata al legno. Dopo avermi preso in giro per un sacco di tempo. perché li usavo, Sirio si è appena convertito agli zoccoli valdostani comprati anni fa a Saint Jaques e appesi a un chiodo come inutile curiosità. Rolando ha anche lui da tempo un paio di 'scroi' locali con una robusta suola di legno. Beppino invece è affezionato ad un paio di scarponi ormai leggendari per le loro dimensioni tanto che da lontano prima vedi gli scarponi poi lui che c'è dentro. Credo che avrete capito quali sono gli argomenti della nostra conversazione quotidiana in questo rigido inizio del nuovo anno.
Nel frattempo, grazie anche al sostegno della generosità e della fiducia di amici, ci stiamo avvicinando senza grossi timori alla scadenza della penultima rata del pagamento del capannone (dopo inizierà il discorso della restituzione dei prestiti).
Sta prendendo consistenza (ma è anche una consistenza di... carta nel senso che per ora siamo ai manifesti) la possibilità che prenda avvio un corso di formazione professionale per ceramisti con un gruppo di una quindicina di persone con la presenza di tre handicappati. Questo corso su finanziamento regionale ed iniziativa del consorzio socio-sanitario della zona dovrebbe appoggiarsi a noi sia come locale (uno spazio del nostro capannone) sia per quanto riguarda l'orientamento del corso verso la formazione di una cooperativa per la lavorazione della ceramica. Ci siamo resi disponibili perché questa iniziativa rientra nell'ambito del nostro progetto. Pur essendo una iniziativa pubblica, non intacca minimamente la nostra natura di iniziativa privata, cioè a dire di iniziativa di lavoro uguale in tutto e per tutto a qualsiasi ditta artigiana. D'altra parte per come stanno le cose adesso fare un discorso di apprendistato che parta direttamente da noi è impossibile. Ne parliamo abbastanza tra di noi ed anche volentieri con altri per uno scambio di informazioni e di esperienze. ma certo è che uno dei limiti invalicabili pena lo snaturarsi del nostro lavoro è il ritmo lento perché non industrializzato. E questo porta con sé una conseguenza immediata che spiega l'agonia e la morte di tanto artigianato: il lavoro artigianale tipico normalmente non può sopportare il costo dell'apprendistato. Ognuno guadagna per quanto produce, non utilizzando macchine o livelli di organizzazione tali da moltiplicare la produzione. L'apprendista non produce, anzi inizialmente rallenta il lavoro perché possa realmente imparare e conquistare un propria autonomia di lavoro. A questo punto il problema a cose normali si chiude con due possibilità: l'artigiano, o resta solo, o industrializza il proprio lavoro con la conseguenza conosciuta e cioè che l'impresa artigianale è ormai sinonimo di sfruttamento, di insicurezza sul lavoro, di scarsa presenza sindacale. E' la piccola industria a dimensione domestica dove sono presenti tutti i guai dell'organizzazione industriale, ma dove è praticamente inesistente ogni forma di resistenza collegata alla lotta del movimento operaio e alla storia di solidarietà dei lavoratori dell'industria. E questo perché i dieci o quindici lavoranti della piccola impresa sono come un granello di polvere nell'immensa distesa del popolo sottoccupato, disoccupato o comunque alla ricerca di un altro lavoro: una realtà che lascia ancora un facile mercato nelle mani degli "artigiani" padroni.
Noi non vogliamo imboccare questa strada. Per ora siamo soli. Lottiamo perché questa soluzione non sia definitiva. Ma non è una lotta di un giorno. E non è neppure una lotta che possiamo presumere di poter combattere da soli. Abbiamo chiara coscienza che la ostinazione nel voler rimanere fedeli al nostro progetto ci comporterà un impegno sempre più chiaro nella ricerca di una diversa qualità della vita e dei rapporti sociali.
Luigi


Pubblichiamo volentieri una lettera di amici di S. Maria degli Angeli (Assisi) che lavorano in cooperativa.
Cari amici di Viareggio,
la nostra importanza è nel renderci utili creando queste manifatture che per la maggior parte non si fanno più ed anche nella gioia di stare insieme, volerei bene ed aiutarci l'un l'altro.
Siamo un gruppo di diciotto artigiani: lavoriamo cinque ore il giorno. Il laboratorio del tessuto lavora lana, canapa, sughero. Il laboratorio del cuoio lavora pelle e cuoio per cose utili alla casa, specchiere, lampadari, portacarte. Cerchiamo anche di fare lavori abbinando cuoio e tessuto.
Facciamo anche delle mostre e bancarelle per dividere un po' più di soldi alla fine del mese quando prendiamo lo stipendio. La prima diecina di dicembre faremo una mostra sotto il loggiato del Comune di S. Maria degli Angeli. Ci farà piacere se venite a trovarci. Ci farebbe piacere venire a trovarvi. Chissà se un giorno ci riusciremo? Abbiamo letto con piacere il vostro bollettino e auguriamo prosperità, cose belle e tanti saluti.
Gruppo Artigiano via Salvo d'Acquisto, 12

Luigi

Lettera a Giovanni Paolo II

Questa lettera l'ho scritta perché richiesto dagli amici del M.I.R. (Movimento Internazionale Riconciliazione) nella fiducia che arrivi sul tavolo del Papa.
Sono rimasto incerto per diverso tempo ma poi mi hanno persuaso a superare l'impressione di assurdità di scrivere una lettera al Papa, alcune riflessioni.
Queste, per esempio: la gravità del pericolo che pende sulla sopravvivenza del mondo, il desiderio di fare qualcosa (e che cos'è che si può lasciare d'intentato quando la casa sta per essere divorata dall'incendio?), perché la Chiesa, la Cristianità tutta si assumano l'angoscia di questa disperazione (perché di disperazione ormai si tratta dato che la distruzione totale è in mano di uomini) e perché il popolo aiuti e costringa (certo, ci vuol altro che una lettera!) l'autorità qualunque essa sia e tanto più quella del Padre universale che è il Papa a prendere coscienza della sua spaventosa responsabilità.
Ho preso la penna e tutto d'un fiato ho lasciato che mi venisse scritto qualcosa di tutto quello che mi lacera l'anima per lo sgomento che il tempo presente e tanto più quello avvenire, comporta e per il desiderio che tutto abbia a muoversi, contrastare e lottare, perché ciò che può succedere in un batter d'occhio. non avvenga né ora né mai.
Perché poi sarebbe tardi e tardi per sempre.
La lettera è stata poi ciclostilata, pubblicizzata, spedita con lunghissime liste di firme e anche in busta chiusa, a centinaia e centinaia.
Un semplice, povero, accoratissimo grido di popolo ai piedi del Vicario di Cristo. Ha servito a qualcosa?
La Speranza è come un gabbiano che vola, vola, senza stancarsi mai, finché trova dove posarsi, fosse pure sul velo azzurro del mare.
Se non altro, spedire una lettera al Papa, può aver responsabilizzato molta gente, convincendo che non è Fede stare sempre ad aspettare passivamente o al massimo battere le mani perché lo spettacolo è bello e commovente: bisogna premere e anche provocare, perché lo Spirito non è ipotecato o in esclusiva, percorre liberamente tutte le vie e manifesta i suoi segni ovunque. Chi sta in alto ha bisogno, assai più di ogni altro, che la voce del popolo non gridi, come se non ne conoscesse altre, che una sola parola: «viva» ma anche «Signore. salvaci perché siamo perduti».
Alla fine della lettera riporto un brano del discorso del Papa per il primo dell'anno, giornata dedicata alla pace.
Non è per dire a chi ha spedito la lettera: avete visto che ci ha risposto!
Anche perché noi del popolo non siamo quegli «scienziati» che hanno inviato al Papa quel rapporto (del resto nemmeno troppo scientifico perché riduttivo assai e alquanto generico) e al quale il Papa si riferisce per garantire la gravità della situazione.
In ogni modo è importante quello che il Papa ha detto se non altro per far correre nella schiena incurvata dalle devozioni, un brividetto di paura alla beata cristianità borghesemente preoccupata del proprio benessere materiale e spirituale, tranquilla nel lasciare che il mondo se lo divorino liberamente gli imperialismi di destra e di sinistra, a forza di terrore per le strade e di rampe missilistiche disseminate sempre più in Europa e nel mondo.
La risposta alla lettera e alla paura alle quali il Papa accenna, disgraziatamente è venuta per tutti, con quello che sta succedendo e Dio non voglia scatenandosi, nell'Iran e nell' Afganistan.
Come voleva dimostrarsi non sono parole la profezia, ma un evento, un fatto nuovo che sta per venire, pare quasi che stia bussando alla porta.
E' questa profezia che la Chiesa non ha trovato ancora il coraggio e la libertà di annunciare al mondo.

* * *

1 Novembre 1979
Beatissimo Padre,
è un vivo, profondo motivo di Fede che ci spinge a implorare, nel giorno della pace del primo gennaio 1980, l'inizio di un epoca nuova per la Chiesa, per tutta l'umanità.
Lo chiediamo a Dio questo inizio di tempi nuovi. quasi come una creazione di storia nuova che concluda quella passata e prepari e realizzi una storia secondo il Cuore di Dio.
La imploriamo questa fruttificazione di pace dall'albero prezioso della Redenzione. La speriamo confidando nella potenza dello Spirito Santo. Lui che rinnova la faccia della terra.
Crediamo fermamente che i tempi della storia abbiano condotto l'umanità ad una svolta che potrebbe essere decisiva. La coscienza dei popoli percepisce l'assoluta necessità e l'immediata urgenza che il camminare della storia umana imbocchi una strada diversa, totalmente nuova.
Costringe a questa rottura col passato, a questo inizio del nuovo, la consapevolezza che una storia come quella vissuta dall'umanità fino a questi nostri tempi, è arrivata alla sua conclusione.
Una storia di guerre, con tutti i loro orrori, è realmente conclusa perché il futuro può non esistere più: sovrasta ormai e domina l'esistenza dell'umanità e del mondo intero, la Distruzione.
La nostra Fede in Dio. creatore dell'universo, prova lo sgomento di sapere che l'uomo può attentare alla creazione e distruggerla.
Siamo forse al punto in cui volontà di Dio che è Creazione si scontra con volontà di uomo che è Distruzione.
Forse è vero che opera diabolica e non di dottrina perversa. ma di potenza spaventosa, in questi nostri tempi sta tentando (ne ha concretamente i mezzi) la famosa scalata al trono dell'Altissimo per distruggere l'opera delle sue mani.
In una chiarezza di coscienza illuminata dalla Fede, pensiamo che questo sia il peccato supremo, il sacrilegio orrendo, la somma di ogni malvagità. Inquadrando questa possibilità di distruzione perfino della sopravvivenza nelle mani di uomini, secondo un semplice criterio morale, il giudizio non può essere che di condanna totale.
Per una coscienza cristiana illuminata e retta, giudichiamo già responsabilità gravissima davanti a Dio e davanti agli uomini, non prendere chiara e scoperta posizione contro l'enormità di questo peccato. misurabile sulla concretezza di possibilità della distruzione totale.
L'Amore all'uomo richiede prima di ogni altro intervento, l'impegno per la sua sopravvivenza, la dichiarazione netta e precisa di quelle responsabilità che hanno esposto l'umanità al pericolo della distruzione, abbandonandone il destino nelle mani di pochi uomini. E' urgente dichiarare pubblicamente la responsabilità di uomini di governo e di precisi regimi di potere, di tutta una economia impegnata nel nucleare, di una civiltà consumistica necessariamente rivolta allo sfruttamento più impazzito, di una spartizione dell'umanità in privilegiati ed oppressi, di una ricerca scientifica disumanizzata a valore assoluto ed esposta e a servizio della strumentalizzazione del potere...
E a questo punto, Beatissimo Padre, ci permettiamo considerare anche le responsabilità della Chiesa, del suo Magistero e quindi della Cristianità tutta.
Pensiamo che anche per la Chiesa e la sua tradizione d'intervento e di presenza nella storia umana, si siano conclusi i tempi passati. Davanti all'aberrazione di una guerra e quindi alla possibilità del delitto supremo ipotizzato dal potenziale nucleare, è assurdità disquisire sulla giusta o ingiusta, guerra difensiva o offensiva ecc.
E' venuto il tempo in cui la guerra scopre senza possibilità di interessate giustificazioni e di assurde mistificazioni il suo volto macabro di sempre: la liceità a uccidere. Adesso dovremmo affidarle la giustificazione alla distruzione dell'umanità.
Tacere è responsabilità di non suscitare la paura e lo sgomento nel cuore degli uomini e non provocare quindi l'opinione pubblica a prendere nelle proprie mani la salvezza di se stessi e più ancora dei propri figli.
Non annunciare che l'umanità vive nella realtà dell'autodistruzione perché la potenza distruttiva è in atto, è pronta all'uso...
Non dichiarare che la Fede religiosa è particolarmente chiamata a salvare la creazione di Dio, strappandola al potere dell'uomo, impedendo il sacrilegio di una padronanza assoluta di pochi uomini sulla sopravvivenza o la distruzione di tutta l'umanità...
Non giudicare e non condannare l'immoralità di chiunque costruisce e istalla arsenali nucleari nel mondo e dei popoli e dei loro governi che non respingono ma accettano le istallazioni di rampe missilistiche, dei militari e di tutti gli addetti ordinati all'uso degli armamenti nucleari...
Non illuminare, non fare opera di evangelizzazione e di catechesi nei confronti delle popolazioni cristiane per una formazione all'obiezione di coscienza, alla ricerca coscienziosa, impegnando le forze politiche e sindacali, per una riconversione a produzione di beni civili, di tutte le fabbriche di armi, per promuovere una progressiva respinta di ogni esercito affidando la difesa della patria e della convivenza civile alla Difesa Popolare Non Violenta...
Non adempiendo fedelmente a tutti questi doveri di fedeltà alla Parola di Dio, particolarmente dichiarata attraverso i segni di questo nostro tempo, sentiamo nell'anima nostra la sofferenza di essere Chiesa non totalmente impegnata nella realtà del mondo secondo la misura e i modi richiesti da questo tempo in cui viviamo e che avvertiamo così profondamente decisivo per l'esistenza del futuro.
L'Amore fraterno ci costringe all'angoscia di essere noi, questo nostro presente, a costruire e quindi poi a non impedire ma piuttosto a favorire con la reticenza e la passività, che l'opera delle nostre mani diventi l'assassinio dei nostri figli e delle generazioni future.
E' a seguito di questa coscienza che ci carica di insopportabili pesi di responsabilità che ci rivolgiamo alla Santità Vostra perché nel messaggio di pace del primo dell'anno 1980, la Chiesa segni l'inizio di un Magistero dalla Parola "Sì, sì, no, no" nei confronti di una condanna inequivocabile di qualsiasi guerra anche difensiva, di tutto quello che può significare preparazione alla guerra e quindi di qualsiasi esercito, la condanna di ogni fabbrica di armi e del loro commercio a qualsiasi livello, la condanna delle armi atomiche e l'assoluta urgenza della distruzione dei loro arsenali nel mondo.
A seguito di questo insegnamento della Parola di Dio, del suo Mistero di Amore, della sua Volontà di salvezza, della fraternità umana, la Chiesa si assume il ministero della affermazione, della difesa e della promozione dell'obiezione di coscienza alla guerra. si impegna a promuovere una vera e propria evangelizzazione sul disarmo e per la cessazione della fabbricazione di armi.
Dal primo dell'anno 1980 l'annuncio di pace significhi, Beatissimo Padre, la promessa della potenza dello Spirito: "ecco, ora, faccio nuove tutte le cose".
Ecco. si fa per dire, la risposta. Ma sono parole pesanti anche se rammorbidite e diluite nella proclamazione di un anno giubilare dedicato a S. Benedetto. Oltre che le parole, le dichiarazioni che, come afferma il Papa, non bastano, "la fiducia bisogna meritarla con gesti e fatti concreti". Ci permettiamo ora aspettare anche dal Papa gesti e fatti concreti che meritino quella fiducia di cui l'umanità ha bisogno per credere nella propria salvezza.
Da "Avvenire" del 2 gennaio 1980



Recentemente ho ricevuto da alcuni scienziati una previsione sintetica delle conseguenze im-mediate e terribili di una guerra nucleare. Ecco le principali:
- La morte per azione diretta o ritardata delle esplosioni, di una popolazione che potrebbe andare da 50 a 200 milioni di persone;
- Una drastica riduzione di risorse alimentari, causata dalla radioattività residuata in larga estensione di terre utilizzabili per l'agricoltura;
- Mutazioni genetiche pericolose, sopravvenienti negli esseri umani, nella fauna e nella flora;
.- Alterazioni considerevoli nella fascia di ozono dell'atmosfera, che esporrebbero l'uomo a incognite maggiori, pregiudizievoli per la sua vita:
- In una città investita da una esplosione nucleare la distruzione di tutti i servizi urbani e il terrore provocato dal disastro impedirebbero di offrire i minimi soccorsi agli abitanti, creando un incubo terribile.
Basterebbero solo duecento delle cinquantamila bombe nucleari, che si stima che già esistano. per distruggere la maggior parte delle più grandi città del mondo.
E' urgente, dicono quegli scienziati, che i popoli non chiudano gli occhi su ciò che una guerra atomica può rappresentare per l'umanità.
Bastano queste poche riflessioni per farsi una domanda: possiamo continuare su questa strada? La risposta è chiara.
Il Papa discute il tema del pericolo della guerra e della necessità di salvare la pace, con molti uomini e in diverse occasioni. La via per tutelare la pace passa attraverso colloqui e i negoziati, bilaterali o multilaterali. Tuttavia, alla loro base dobbiamo ritrovare e ricostruire un coefficiente principale, senza il quale essi da soli non daranno frutto e non assicureranno la pace. Bisogna ritrovare e ricostruire la fiducia reciproca! E questo è un problema difficile. La fiducia non si acquista per mezzo della forza. Neppure si ottiene con le sole dichiarazioni. La fiducia bisogna meritarla con gesti e fatti concreti.


don Sirio

La grande paura

Lotta di uomini nodo maledetto
i piedi sulla schiena uno dell'altro
e respirano affannando l'orrore

Mano posata sulla fine del mondo
per l'ultimo gesto contro il nemico
mano posata sulla fine del mondo

Il potere vince polverizzando l'altro potere
l'altro potere incenerendo l'altro potere
e la terra brucia fino all'ultima foglia

Appena il tempo per un attimo di stupore
cercando con gli occhi il perché
ma ogni cosa risponde un innocente stupore

Sul ramo si ferma atterrita la foglia
il passerotto richiude per il volo le ali
nubi bianche si oscurano in cielo

Il vento arresta il suo immenso respiro
l'onda del mare sospende il cullare lo scoglio
l'acqua del ruscello lo scivolare tra le pietre

La sterminata terrificante attesa del mondo
dondolante frutto ammarcito
per la mano di uomo a muovere un dito

Piccolo pulsante rotondo e rosso
potenza di far esplodere il mondo
rottame dell'odio a vagare per il cosmo

Senza piedi che camminano strade
non più occhi a guardare le stelle
un cuore a far sorridere attimi d'amore

Mille anni e cento mille e ora non più
perché al principio dei tempi fu Dio
e della fine ha voluto impadronirsene l'Uomo

Non domanda oppure domanda
un bambino agli anni ottanta
perché mi minacci di morte perché

Sono io la disperazione del mondo
io lo sto rotolando sull'orlo dell'abisso?
non è il mio dito sul rosso bottone

Una scadenza elettorale a presidente
petrolio fatto sangue nelle vene dell'uomo
urgenza di potere a giustificare violenza

Il fiore non sa se troverà primavera
il passero se potrà costruire il suo nido
il bambino giocare con l'onda del mare

Un sogno immaginoso di cosmico orrore
l'impossibile fumetto della storia
raccontato sul giornale di oggi

Sirio

Racconto di un processo

Il processo del 14 Novembre scorso di cui vi ho raccontato qualcosa nel giornalino di ottobre, è durato poco più di dieci minuti, Gli avvocati per ottenere al processo un momento politico più efficace nei confronti della lotta antinucleare, hanno chiesto la riunificazione in un'unica sessione dei diversi processi a seguito di autodenunce di amici a solidarizzare con i due imputati in questa lotta al nucleare. Il giudice del tribunale ha accordato la riunificazione e ha fissato la data del "processone" al 30 gennaio.
Riceverete il giornalino a cose fatte ormai. Ve ne darò notizia al prossimo numero, perché, comunque vada a finire, carta e penna l'avrò senza dubbio a disposizione.
Nella serata del 13 nov. fu celebrato sempre a Grosseto. un controprocesso. La sala era gremitissima. i componenti del tribunale persone di particolare rilievo e autorità, l'andamento processuale straordinariamente composto e responsabile.
Mi permetto far conoscere agli amici il mio intervento, da colpevolizzato ad accusatore nei confronti del nucleare e di questa nostra civiltà che ne è la causa e l'effetto in una concatenazione di tremenda responsabilità capace di portare l'umanità fino all'estremo della disumanità.

Atto di accusa contro il "nucleare" di Don Sirio Politi di Viareggio
incriminato per occupazione della linea ferroviaria presso la stazione di Capalbio Scalo, in occasione di una manifestazione del popolo della Maremma contro la costruzione di centrali nucleari a Capalbio e a Montalto di Castro.
Sono accusato di violazione del codice penale per aver occupato per alcune ore il sito ferroviario della Stazione di Capalbio, a seguito di una manifestazione popolare avvenuta nella piazza antistante la stazione.
Ho semplicemente capito, accolto e vissuto l'amarezza di tutta la popolazione contadina della Maremma, da Montalto di Castro a Capalbio, decisa a difendere la sua terra dalla costruzione di centrali nucleari.
Un popolo contadino che riponeva la sua ultima speranza di salvare la propria terra, in una manifestazione di massa, dopo amare delusioni sofferte per l'abbandono irresponsabile del tremendo problema, da parte delle amministrazioni comunali locali, provinciali, regionali, nazionali, da parte del sindacato e dei partiti politici.
La lotta è scesa allora in piazza e come sempre, quando è il popolo che lotta, ricorrendo a metodi non violenti, folcloristici, pacifici. L'occupazione della ferrovia è stato un momento, quello conclusivo, di questa lotta, tesa unicamente a muovere e a commuovere l'opinione pubblica come unica forza in mano al popolo per costringere l'apparato del potere politico ad una più maturata e responsabile riflessione nei confronti di un programma di ricorso al nucleare inteso come unica soluzione del problema energetico.
La mia partecipazione è stata attiva e promozionale in questa manifestazione. E la mia coscienza ha giudicato e giudica l'occupazione del sito ferroviario, azione non violenta. assolutamente non a danno di chicchessia: il ritardo. se c'è stato, del normale traffico dei treni, non è danno, ma semplicemente richiamo alla riflessione della stessa popolazione viaggiante, alla quale viene richiesta una solidarietà nei confronti di tutto un popolo oppresso nei suoi diritti al lavoro, pacifico e sicuro, nella propria terra, riscattata dopo secoli di maledizioni. Nella lotta all'istallazione di centrali nucleari non è in questione un bene privato, ma un bene pubblico. La lotta contro le centrali nucleari è lotta per la difesa della salute pubblica, per l'affermazione di un diverso e più umano modello di sviluppo economico, è lotta contro il «tutto nucleare» a scapito della ricerca e della utilizzazione di altre fonti energetiche, è lotta per impedire l'aggravarsi della militarizzazione del potere economico e politico, per ostacolare la proliferazione del potenziale distruttivo del nucleare, per non lasciare alle generazioni future inquinamenti micidiali e depositi di scorie, pericolo di morte per millenni. Questo bene pubblico alla cui difesa sono rivolto le lotti antinucleari è misurabile a livelli nazionali e internazionali, decisivo cioè per l'affermazione di una civiltà più umana nei confronti di una prospettiva tecnologica che antepone il profitto fino alle misure del rischio della disumanità.
Nella mia coscienza che dichiaro criterio di giudizio al di là di qualsiasi legge, l'interruzione temporanea e simbolica per il fatto di non essere intesa contro l'esercizio del traffico ferroviario, ma unicamente ordinata a richiamare l'attenzione pubblica e a provocarla nei confronti di un problema di assoluto interesse pubblico, qual'è il problema del nucleare, questa interruzione ottenuta senza recare danno fisico a persone e a cose, ma esponendo soltanto me stesso a qualsiasi rischio, nella mia coscienza questo intralcio al normale transito dei treni, non comporta assolutamente alcun termine di reato.
Se uno sciopero è legittimato a intralciare il traffico ferroviario fino al caos, fino alla pericolosità dei passaggi a livello incustoditi, è semplicemente assurdo che sia considerato crimine per un intero popolo contadino che intende conservare al suo lavoro la sua terra, interessare l'opinione pubblica e coinvolgerla nella propria lotta, occupando pacificamente due binari per uno spazio di tempo estremamente limitato.
Tutto questo accenno per dichiarare la mia serenità di coscienza, per affermare la giustezza dell'azione compiuta, e per respingere l'incriminazione a seguito del codice penale. Dichiaro però la piena disponibilità ad accettare il giudizio della legge e insieme la rivendicazione di una libertà di coscienza per la determinazione del proprio giudizio e comportamento concreto nei confronti del rapporto fra me e tutta la realtà storica di questo nostro tempo.
Mi sento quindi giustificato e autorizzato a trasferirmi dalla condizione di accusato in quella di accusatore perché a piena ragione mi sento di poter dichiarare che l'accusato in questa sede e nell'aula del tribunale e tanto più nei confronti del giudizio della storia, è il nucleare.
E sento con pieno diritto di puntare il dito contro il nucleare e di respingere radicalmente la proposta economica e scientifica per molte ragioni.
l) Come essere umano. Da Hiroshima fino ai Pershing 2 e agli S.S. 20, uno spaventoso potenziale di distruzione totale è in atto sull'umanità.
Calcolando il potenziale in atto dell'USA e dell'U RSS e diviso per ogni essere umano sulla faccia della terra, su ogni uomo, donna, bambino, sono sospese tre tonnellate di tritolo. Da questa energia nucleare che è già di morte è pazzia sperare benessere di vita. «Da un albero cattivo si raccolgono frutti cattivi, non è possibile cogliere fichi dai rovi e uva dalle spine». Tutto questo è scritto anche nella storia, se siamo disposti a leggerla seriamente.
Nel 1985 saranno oltre 45 le nazioni che a seguito delle istallazioni di centrali nucleari, potranno disporre della bomba atomica per le loro guerre. E non occorre mettere in evidenza la spaventosa realtà di un equilibrio di pace fondato su un potenziale nucleare dell'America e della Russia capace già in questo momento di distruggere 12 volte l'umanità intera. Come essere umano non posso che lottare perché sia concluso il tempo in cui la pace si fa preparando la guerra; la pace e la sopravvivenza è possibile sperarla soltanto dalla pace e dagli uomini e dalle opere di pace.
Come appartenente al Movimento Non Violento, al MIR, Movimento Internazionale di Riconciliazione, alla lega per il disarmo unilaterale dell'Italia, rivendico il mio diritto e affermo il mio dovere di lottare per la pace ricorrendo esclusivamente a tutte quelle risorse che possono essere suggerite dalla strategia della Difesa Popolare Non Violenta.
2) In quanto cittadino italiano punto il dito dell'accusa contro il programma energetico nucleare. La nostra terra nella quasi totalità è sismica, assolutamente esposta a incidenti catastrofici. data anche la densità della popolazione. E' assolutamente indegno che nel grande discorso della rivalutazione del Mezzogiorno d'Italia, la Calabria in particolare sia stata scelta per il seppellimento delle scorie radioattive. Così il Sud continua a servire l'opulenza del nord.
Della antieconomicità della costruzione di centrali nucleari altri parleranno con competenza. Così dei pericoli per la salute pubblica e per l'aggravarsi della militarizzazione e dei rischi dei ricatti e attentati terroristici. Sono convinto che il «tutto nucleare» ripeterà l'errore voluto dalle centrali del potere economico, del «tutto petrolio» degli anni '50 e determinerà dipendenze economiche e quindi politiche nei confronti dell'estero, sia ormai per le tecnologie che per l'uranio, consolidando quella moderna schiavizzazione della nostra sopravvivenza che sono le multinazionali. E saranno rimandati ancora una volta gli investimenti economici e scientifici per la ricerca e l'utilizzazione di tutte le fonti energetiche alternative di cui l'Italia è particolarmente favorita.
3) Ma la mia deposizione e accusa nei confronti del nucleare che inizia il suo processo distruttivo dalle centrali fino all'estremo della distruzione totale nella sua utilizzazione militare, si precisa e acquista misure di assoluta inaccettabilità nell'ascolto della mia coscienza cristiana. La mia Fede in Dio. creatore dell'universo, prova lo sgomento di sapere che l'uomo può attentare alla creazione e distruggerla. Siamo forse al punto della storia in cui la volontà di Dio che è creazione si scontra con la volontà dell'uomo che è distruzione. Sono parole di una lettera scritta al Papa per sollecitare una chiara e inequivocabile presa di posizione contro tutto il nucleare da parte della Chiesa. Fede Cristiana è adorazione di tutta l'esistenza umana. E' peccato supremo e sacrilegio contro Dio, la sua creazione e contro l'umanità, usare delle risorse naturali per sfruttamento senza il rispetto della natura, con sprechi immaginabili, facendo del mondo un'abitazione impossibile per le generazioni future. L'uomo del nostro tempo (l'uomo cosiddetto bianco) sta rendendo impossibile il futuro. Il benessere di un terzo dell'umanità sta dissanguando gli altri due terzi e assassina la creazione uccidendone il domani. L'Amore fraterno, valore fondante del messaggio cristiano, costringe ogni coscienza che vuole essere illuminata da Gesù Cristo, salvatore del mondo, ad una lotta, pagando qualsiasi prezzo, per impedire che questo nostro tempo con il suo impazzimento tecnologico, segni l'inizio della fine del mondo. Ogni reticenza, passività, è copertura e quindi connivenza e quindi diretta responsabilità. La mia coscienza che in nome di Cristo sogna fraternità, uguaglianza, dignità umana per tutta l'umanità sparsa sulla terra, si rifiuta davanti al saccheggio della creazione e davanti all'assassinio, in nome del benessere industrializzato, della sopravvivenza e perfino della speranza.
4) Altro e ancora più responsabilizzato atto di accusa al nucleare, per un mio particolare rapporto nei confronti di Dio e della scelta di Dio come unico e costruente motivo della mia vita e del mio qualificante rapporto con gli altri, con la gente, col popolo, mi proviene dal mio essere prete. La giustificazione più profonda di questo particolare impegno che coinvolge tutta la mia vita, più che un servizio di ministero sacerdotale, è vivere dentro la vita, l'esistenza umana, in tutta la sua problematica, un segno (uno dei tanti) della presenza di Dio, manifestata in Gesù Cristo. La parola di Dio ascoltata nel Vangelo e nei molteplici segni dei tempi e quindi nella luce della Fede, mi richiede un annuncio profetico che sia fedeltà a Dio e chiarimento nella cristianità, nel popolo cristiano. Per il momento il problema del nucleare non è tema di evangelizzazione e nemmeno è sentito a livelli pastorali e liturgici, nella Chiesa. La difesa della vita che pur impegna la Chiesa e giustamente, non si allarga però nella difesa della salute pubblica, nei confronti dell'inquinamento, della distruzione ecologica, del tremendo problema della sopravvivenza umana. La coscienza della cristianità manca ancora e siamo già in grave ritardo, di indicazioni di un giudizio morale nei confronti di tutto il problema del nucleare. E quindi il popolo cristiano non è stato coinvolto nelle responsabilità che gli competono di fronte a Dio e di fronte agli uomini.
Il mio atto di accusa contro il nucleare rivendica la mia obbedienza ad una scelta di fede e il mio servizio profetico in mezzo al popolo cristiano. E vorrebbe essere anche a nome delle centinaia di confratelli che mi hanno manifestato la loro solidarietà e a nome delle lunghe liste di firme di cristiani e di comunità cristiane, vorrebbe essere un segno di un responsabilizzarsi di tutto il popolo cristiano per una chiarezza di giudizio in nome della Fede, nei confronti del nucleare.
Concludo: in una coscienza che si apre senza nascondimenti e senza pregiudiziali, in uno spazio, sereno e chiaro, di libertà, c'è accoglienza e considerazione dei motivi che vorrebbero essere giustificanti per questa avventura che è il ricorso al nucleare come fonte energetica. Si impongono però le riflessioni determinate dal camminare, ormai disgraziatamente normalizzato, sull'orlo dell'abisso.
Non sono uno scienziato, è vero, sono un semplice uomo della strada e conosco bene soltanto il mio mestiere di metalmeccanico. Non credo che sia giusto che il decidere della sorte del mondo sia riservato agli scienziati. Non sono un politico, un economista e il mio potere è tutto nella fatica nelle scadenze elettorali, più o meno provocate dal gioco politico, di continuare a sperare nel significato democratico di una scheda. Non credo però che sia lecito. a me e al popolo, permettere che gli enormi interessi di potere politico ed economico di uomini e di regimi di governo, abbiano nelle mani e dispongano liberamente del destino di tutto un popolo e della sua civiltà.
Come cristiano e prete non è detto che la mia scelta di Fede e quella di tutta una cristianità, si risolva nell'accendere una candela, partecipare ad una liturgia, sospirare una preghiera, compiere un'opera di carità...
Non sono un eroe, non sono un simbolo, sono semplicemente una coscienza di uomo libero che si assume serenamente le sue responsabilità nei confronti di una lotta che considera sacrosanta e nei confronti di una legge e di un regime di potere che questa lotta vuole reprimere o almeno scoraggiare.

don Sirio

Lavoro e armi

Odio l'ipocrisia delle feste in cui occorre fare una parentesi di bontà per mascherare l'ingiustizia e le violenze quotidiane.
Simili occasioni diventano paravento e copertura di qualcosa che non si ha né il coraggio né la volontà politica di abbattere.
Anche la festa del Natale di Gesù rischia sempre più di restare coperta da simili ipocrisie. Natale, nascita di un bambino, vita nuova che si apre alla storia, vita che grida la vita... Per noi credenti, manifestazione gioiosa dell'amore di Dio che non lascia gli uomini su un binario morto, senza alcuna speranza, ma al contrario diventa l'«Emanuele», nostro compagno di viaggio, giungendo a darci, con la sua vittoria sulla morte, la speranza che la vita non muore.
Un vento gelido spazza via le nuvole e permette di vedere le cime delle montagne bianche di neve. Guardo dalla mia finestra il lago e il bosco luminoso di un bel sole. E' anche questa vita, gridata con il linguaggio della natura, diverso ma non meno intenso di quello degli uomini. Domani è la festa del Natale di Gesù e la mia riflessione torna pesantemente a questa voglia di gridare la vita, sempre! Nella pratica quotidiana ma soprattutto in momenti storici, come questo, in cui la forza della distruzione sembra essere ciò che gli uomini abbiano deciso di produrre: armi!!!
Sento e mi sembra che mi schiacci, la responsabilità che come classe operaia non abbiamo ancora scelto chiaramente e fino in fondo il disarmo, continuando a cercare giustificazioni parziali e accomodate (ora politiche, ora economiche) e non intraprendendo la via della diversificazione produttiva sul civile e a servizio degli uomini.
La forza di una tale decisione val più forse di una rivoluzione, perché avvia l'umanità intera in un opera di ricostruzione civile, economica e politica post bellica: apre cioè idealità nuove per le quali ogni uomo e i giovani in particolare, trovano validi motivi per cui vivere e lottare.
Ma tutto ciò, confrontato con la situazione attuale, è scoraggiante. Gli operai delle fabbriche d'armi, ed io con essi, continuano a produrre strumenti di morte sempre più sofisticati.
Non si avverte alcuna crisi fra gli operai impegnati in tali produzioni. Non li sfiora nemmeno il più piccolo «disagio» morale.
Costruire sgancia bombe, perfezionare la dinamica offensiva di un missile, costruire interi apparati destinati esclusivamente alla distruzione e alla morte... è per la gran parte degli operai un lavoro come un altro.
La subalternità al capitale e al sistema ha portato ad accettare passivamente questi tipi di produzione.
Solo da qualche tempo si fa avanti nel movimento operaio il discorso del «cosa produrre e perché produrlo e dove produrlo», Ma tale discorso stenta a diventare impegno politico e militante.
Giorni fa è morto a Roma, vittima della violenza, un operaio che lavorava in una fabbrica del settore elettronico militare, una multinazionale a capitale svizzero.
L'assemblea dei lavoratori, convocata per manifestare chiara condanna della violenza e un impegno civile di democrazia. ha visto la partecipazione della totalità dei lavoratori «sorpresi» che esistesse la violenza e la morte per le strade di Roma, ma per nulla messi in questione del prodotto del loro lavoro che è destinato a seminare la morte per conto di governi tesi a «rafforzarsi» e a «difendersi» a spese della vita di interi popoli.
La situazione è tale per cui occorre lavorare con tempi lunghi, disgraziatamente, per «questo problema». Con la netta sensazione che un'opera capillare di coscientizzazione e di politicizzazione possa ottenere una forza di massa capace di spezzare tutte quelle assurde resistenze che favoriscono soltanto la disumanità del capitale e del sistema e schiacciano inesorabilmente l'umanità e la sua pace.
E' su questa linea che il direttivo provinciale dell'FLM di Roma si è assunto l'impegno della discussione sul disarmo e la riconversione produttiva. che vedrà impegnati i metalmeccanici nei prossimi mesi. contemporaneamente alla ripresa della contrattazione aziendale.

Baldassarre

Epifania del Signore

Poiché l'Epifania è la manifestazione del Signore, cioè l'irrompere dell'universalità della promessa di salvezza che Dio fa a tutti i popoli, la nostra comunità vuol rendere partecipi gli amici, che hanno avuto con noi un contatto di riflessione o di preghiera, del pensiero che ha illuminato la nostra giornata.
«Siamo convinte che dovremmo recuperare alcuni principi essenziali su cui la nostra mentalità tradizionale scorreva in modo insipiente.
Il primo è questo: l'annuncio di salvezza può venire da lontano. A portare a Gerusalemme - la città del tempio - l'annuncio che era nato Gesù, non furono i sacerdoti della città (né gli scribi) furono degli estranei. Sono molti, oggi, gli estranei incaricati di portare un messaggio. La salvezza passa per luoghi inediti e quindi richiede una capacità di ascolto singolare. La cronaca dei nostri tempi noi dovremmo viverla al di fuori delle interpretazioni, ormai consumate, della nostra malizia di scribi. Gli ultimi, i semplici, i reietti ci stanno giudicando. Questo è un fatto da tener presente.
Credere nel Vangelo vuol dire innanzi tutto ascoltare un messaggio che viene dal di fuori lungo strade che noi non conosciamo.
In tutte le parti della terra ci sono uomini che come i magi si muovono all'annuncio di una stella, camminano nella fede. I magi hanno distinto la stella fra tante stelle. Accogliamo la manifestazione del Signore, così come è: viva, imprevedibile, affidata ai gesti degli uomini, ai gemiti di quelli che soffrono, alla bellezza della vita, alla creatività di quelli che sono al di là del nostro piccolo cerchio.
Più andiamo avanti e più ci pensiamo: beati coloro che si dimenticano il sapere conquistato; che non si occupano più di ciò che è stato pensato; che non vanno a rintracciare la parola di Dio nella polvere dei Concili del passato.

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