Ci scusiamo con gli amici di arrivare con un certo ritardo ad iniziare insieme, in questa nostra comunità della diaspora, il nuovo anno. Fra le tante vicende che riempiono la vita e la determinano ve ne sono anche di quelle totalmente indipendenti dalla propria volontà e anche da quella degli altri: è chiaro che allora sono chiaramente provocate queste vicende da Chi vuole interferire nell'an-damento della nostra vita e incidervi qualcosa, come un segno misterioso, per un suo disegno, un suo progetto. E' più che giusto allora accogliere con una semplice risposta di adorazione. Adorazione che vuol dire molte cose ma specialmente: sì, va bene, d'accordo, ho capito, te ne ringrazio, ne sono felicissimo, sì, sì, cercherò di dare seguito, perché tutto fruttifichi secondo i tuoi desideri...
E' molto importante mantenere lo scorrere della nostra vita nei confronti del Mistero di Dio (e quindi in una profonda chiarezza di Fede) come se la nostra vita fosse un fiume che nel suo fluire accoglie ogni tanto un affluente: e il fiume si rallegra molto di questo entrare, vivace e fluttuante, di acqua nuova.
Può anche essere che la nostra vita rassomigli al torrente che scende giù dalla montagna e lungo le valli, ardito e fiero e poi si trova all'improvviso a sfociare nel gran fiume del Mistero di Dio e continua per un po' la sua irruenza nella vastità del fiume ma poi diventa fiume, distesa immensa e pace o tumultuosità violenta, minaccia di straripamento e di alluvione o forza motrice o irrigazione di campi...
L'importante è essere attenti e percepire, intuire il momento particolare e quel ruolo specifico che Dio, nei suoi interventi, ci vuole consegnare. Fare la volontà di Dio vuol dire certamente compiere questa cosa o quest'altra, ma vuol dire anche e forse ancora di più, accogliere e concretizzare una precisa qualificazione di esistenza, un volto, una fisionomia ben caratterizzata, inconfondibile, da non poter essere consentita una equivocazione, si vede bene che tu hai dell'idee chiare, con te le cose non possono che essere allo scoperto, le tue scelte sono inconfondibili, di questo mondo è evidente cosa ne pensi, il tuo vivere, eccolo lì, è te stesso...
Prima che delle azioni Dio sicuramente vuole degli uomini e delle donne che siano costruzione, realtà di vita. Non per deprezzare l'opera buona, ma per non cadere nell'inganno di quella carità che può far compiere molte cose buone e ispirare molti buoni pensieri, ma che poi è incapace d'investire la vita, rovesciare situazioni di compromesso, provocare novità stupende, dar gloria di Dio e crisi di stupore nel mondo: insomma quella conversione incessante, violenta, appas-sionata, implacabile da togliere la pace per ritrovarla unicamente dove è la verità, l'autenticità, la sincerità e cioè dove è l'Amore a Dio e il compromettersi totalmente nella vita, nella storia.
Questo sicuramente Dio vuole e si aspetta da ogni essere umano e tanto più dal credente e ancora di più dal cristiano.
E' chiaro che Lui non può essere con noi e per noi diversamente dal sole e dalla pioggia: si leva il sole e scende la pioggia per fecondare, germogliare, far crescere, fiorire e fruttificare «e ogni specie secondo la sua specie» dice la prima (ma è quella di sempre) pagina della Bibbia. Vi è una rispondenza sul piano della creazione e quindi del dono della vita che ci è stata data e finché ci viene mantenuta, che ci obbliga seriamente ad essere secondo il Pensiero: di Dio e non diversamente, nel modo e nella misura più totale, fino al capello. E' diversamente assurdo che ci domandiamo (e può darsi che ce lo poniamo questo problema) se quello che pensiamo, diciamo o le cose che facciamo siano o no secondo le attese di Dio. E può essere già molto direbbe il buon padre spirituale. E' invece poco e forse uno spirituale inganno se lasciamo cadere il grosso e terribile problema della nostra identità umana e quindi cristiana. Il nostro essere è il problema primario e fondamentale.
Se ci mettiamo a giudicare, onestamente, la nostra esistenza cristiana (esistenza non come comportamento, ma come mentalità, sensibilità ecc. cioè così come ci ritroviamo nel nostro vero essere) troveremo controsensi paurosi, lontananze vertiginose, qualcosa che può convincerci a concludere: ma io non sono un cristiano. Faccio qualcosa che può essere etichettato come cristiano, ma la mia esistenza non è cristiana. Forse ad essere molto pignoli e cioè letteralmente spietati, potremmo tentare di sottoporci allo stesso giudizio usando criteri umani e non cristiani e può anche succedere che ci scopriremmo anche poco umani, poco uomini e donne, poco o anche niente a guardare bene a fondo e quindi potremmo anche concludere, se siamo disponibili ad una certa spregiudicatezza, che in fondo siamo più disumani che umani.
Tutte queste riflessioni (certamente non molto allegre, anche eccessive, se volete) sono però importanti se le inquadriamo nel mondo in cui viviamo e le consideriamo in questi nostri tempi scopertamente contrassegnati dalla disumanità piuttosto che dalla umanità, dalla devozione piuttosto che dall'autenticità del messaggio cristiano, dalla banalizzazione dei valori assai più che dalla loro liberazione.
E questi riferimenti, del resto appena accennati, non sono determinati per via del terrorismo, della criminalità ecc. colpevolizzazione ormai tanto facile ma anche disonesta copertura di umanità e umanitarismo non esistente. E nemmeno sono riferimenti sollecitati dai livelli individualistici ormai davvero paurosi, dall'impossibilità di convergenze, aggregazioni, movimenti di lotta o comunque alternativi sempre più in difficoltà e in ripiegamenti deprimenti. E nemmeno per via e a seguito di una cristianità sempre più paurosamente trionfalistica perché fondata non tanto sul devozionalismo e le cariche emotive religiose quanto sull'appropriazione, di dignità ecc. in una strumentalizzazione che ha tutto l'acido sapore di un oppio antico ma ripreso da una raffineria estremamente rammodernizzata.
No, il discorso sulla sincerità non di cose, ma di vita, non di azioni ma di esistenza, non di opere ma di Fede, nasce dall'attesa di Dio nei confronti di ciascuno di noi. La creazione di Dio è realizzazione dell'essere umano, immagine e somiglianza di Dio: quindi con dei segni e valori estremamente caratterizzanti.
La redenzione attuata da Gesù Cristo è per ridonare quella specificazione e degenerazione e ne faccia la «nuova» creatura, cioè quella creata al «principio».
Il nostro dovere di fedeltà ad una scelta di Fede vuol dire fare in modo che abiti nelle case, cammini per le strade, lavori, conviva con gli altri, agisca nell'attuale, lotti nella storia ecc. questa «nuova creatura» che è diversa non tanto perché fa qualcosa che altri non fanno, ma che è essenzialmente, costitutivamente diversa, è carne e sangue e anima e quindi vita diversa. Da suscitare ammirazione o scontro, Amore o detestazione e con piena ragione perché spiega la vita rifacendosi ad altri valori, quelli che non si trovano nei soliti mercati dove si vende e si compra a suon di quattrini, di appoggi, di potere, d'intrallazzi ecc.
Perché affronta la storia non lasciandosi andare a compiacenze o consensi, rese a discrezione e allegri tentativi di approfitto, ma scontrandosi, con impegni di lotta senza pazienza e rassegnazione. Perché non assolutizza il se stesso, ma semmai lo relativizza in un servizio a dedizione totale; non crede nel potere e nei suoi strumenti, qualsiasi possano essere, ma piuttosto nella liberazione, nella crescita di una coscienza popolare. Non accetta il personaggio più o meno a gran-dezze provvidenziali o per crismi di ordine politico, culturale o religioso, al quale delegare la promozione dei valori umani, la soluzione dei problemi, l'avanzamento della giustizia, della dignità umana ecc. ma crede nel popolo, anche se disorientato e smarrito e anzi tanto più ne ha «pietà e ci si compromette quando lo vede come un gregge senza pastore» e vi si confonde nel popolo, vi smarrisce la propria identità, goccia nella fiumana e onda nell'oceano.
E' sempre più il momento di raccogliere la propria nullità e considerarla quel nulla sul quale Dio può pronunciare la sua Parola di creazione di universi, di «cieli nuovi e terre nuove», iniziare la manifestazione del suo essere Amore e ottenere la sua Gloria. Perché lo Spirito di Dio è ancora e forse sempre più, nonostante le apparenze ad aleggiare sulla storia per compiervi i suoi progetti lungo le sue vie e rifacendosi alla sua potenza.
Beati gli occhi che nella caligine che rabbuia la storia, sanno vedere o almeno intuire la presenza di Dio. Vi si affidano con piena fiducia consegnandogli tutta la speranza ma specialmente il compromettersi giorno per giorno, nelle piccole o grandi cose, nel fare ma specialmente nell'essere: fino al punto da risultare una mano tesa per stringere altre mani, un cartello stradale che indica una direzione, un mare sul quale navigare, una terra da abitare, ma specialmente una sincerità e verità di vita da suscitare invidia e stupore, come qualcosa di estremamente semplice e bellissimo da costringere a pensare di aver avuto conoscenza ed esperienza di un miracolo di Dio.
E' il nostro augurio per tutti voi, cari amici, ma è anche il nostro impegno di fedeltà ad un progetto di vita che porta in sé, come segno carismatico, la dolcissima presunzione di poter offrire qualcosa e non qualcosa di poco conto ma questo adorabile sacramento: un nulla abitato da Dio.
Di questo miracolo anche queste poche e povere pagine vorrebbero essere testimonianza.
A quel piccolo ormeggio che è la mia botteguccia sull'angolo del piazzale tra la darsena Toscana e la darsena Italia, attraccano personaggi dal passato misterioso che evocano vagabondaggi per i cinque continenti, avventure le più straordinarie, condizioni di vita e rapporti oltre ogni stupefacente fantasia. E sono ondate che si frangono con supremo disprezzo sugli scogli assetati ed ormai immobili dei pensionati che durante il giorno mi fanno corona.
Io continuo il lavoro, ma seguo questo magico rito che suscita fantasmi. della navigazione a vela, dell'inferno delle macchine a carbone, di porti esotici e di avventure, di lavori improvvisati con quell'enorme risorsa ingegneristica che è l'arrangiarsi comunque e dovunque.
E' un ricordare che mi rende triste e mi appassisce di dentro perché è come se esalasse un acre profumo di solitudine. Quanta solitudine. Le vite umane sono come barchette sballottate dal vento e confuse nel mare dai bagliori del sole che tramonta.
Eppure quanta solitudine non dovrebbe esserci nemica, ma sorella in questo nostro vivere. Perché affrontare con coraggio e con scelta del rischio la vita, è affrontare la solitudine. Non quella amara che è frutto di isolamento, di rapporti troncati e vizzi senza speranza di gemme primaverili, ma quella dolce e serena che è la prima condizione dell'amore perché sa di non pretendere nulla dall'altro che non sia una compagnia (di pochi passi o di una vita, non importa) sulla strada che si apre dinanzi.
Solitudine non come isolamento e sconfitta, ma come frutto della povertà poiché comporta strade diverse dall'attività di potere, dalla voglia incessante di trovare gratificazioni nelle cose e nelle persone, per il riscontro di incidenze e risultati. .
Ne viene - sempre più me ne rendo conto - un'accoglienza della solitudine non come un dramma, ma come condizione di lotta per una fedeltà più chiara all'Assoluto e l'abbattimento degli idoli. Una condizione forse approssimabile a quella di un moderno monachesimo, di gente cioè per niente estraniata dalla storia, ma con un preciso senso di custodia e di amore verso ideali anche utopici, ma verificati quotidianamente nella lotta contro il mondo degli idoli che stravolge il volto dell'uomo.
La solitudine può essere come un bulbo di tulipano all'apparenza guasto e inaridito che attende solo di essere accolto nel caldo seno della terra per trionfare di vita e di colore. A chi è dato di farsene carico (e non importa se in cima ad una montagna o nel cuore di una comunità) apparirà stupefacente la possibilità di costruzione di rapporti innumerevoli e diversi non alimentati da inquietudini di ritorni o interessi di qualsiasi tipo. Ci si sente più uomini in mezzo agli altri uomini accogliendo, con simpatia, chiunque cammina sulla stessa strada (sia religioso o ateo questo non ha importanza) perché è bello ricondurre questa esperienza a quella degli uomini antichi fino a Gesù Cristo per i quali non esiste il credente e il non credente, ma colui che crede nell'Unico Assoluto e colui che è idolatra. Chi, nonostante gli inciampi e le cadute, rifiuta di costruirsi idoli e accetta di percorrere l'avventura umana senza esigere che altri gli siano stampella è profondamente fratello dell'uomo, di ogni uomo.
La solitudine vista con la lente della demitizzazione non appare più vuota, ma capace di contenere grande libertà poiché vivere rapporti con gli altri non è chiudere gli anelli di una catena, ma comunicare un sogno, non è evadere verso un mondo costruito a misura, ma assumere il peso della ricerca quotidiana.
II deluso, la persona schifata da questa umanità non può capire e tantomeno accettare. Allora Dio non può essere un comodo rifugio per la propria solitudine e c'è bisogno quindi di sentirlo e di renderlo presente con dei sogni. Chi accetta di giocare il proprio destino in questa umanità non può essere spaventato dalla solitudine e dal silenzio perché sa che il Signore è nel cuore dell'uomo che «ama il prossimo suo come se stesso».
Luigi
Dal tuo eterno infinito
un attimo ancora si è diviso
è sceso a farsi tempo
Non è diverso dall'eternità
Anche se attimo fuggente
Perché non è senza Te
Ti contiene
tu l'abiti
e lo vivi
e se me lo offri
è perché in quest'attimo
io ti incontri
Un battito d'occhi
un attimo di tempo
destino d'infinito
oppure ultimo passo
sull'orlo dell'abisso
il vuoto del nulla
Di nuovo il nulla
che tu hai annullato
colmandolo di universo
Ricreano il nulla
le vicende umane
nascono vivono svaniscono
lasciano solo memoria
di disumanità
Velato di nero
è il cielo del cuore
amaro e triste
il sorriso degli occhi
fatta di cenere è l'anima
rabbuiata l'alba del giorno
come morte il tramonto la sera
Dove eri tu
quando l'attimo camminava
scorrendo come goccia
che cade
a straripare il mondo d'orrore?
Tu eri alla fatica
di farne eternità
di quest'attimo di vuoto
lo so che sei qui
con me, con noi
La tua mano
è sotto il peso del mondo
e il battito del tuo cuore
a palpitare il tempo
ma ci sgomenta
questo nostro attimo
a diventare tua eternità
Eppure ci esalta
questa salvezza
dall'essere nulla
Ti adoro
nel tempo di mistero
che mi hai donato
Ti adoro
come un'ombra
Anche per chi ti adora
ti adoro e ti amo
così è stato
siamo ancora esistenza
anche se forse
per un attimo ancora
Ti sei opposto
e la mia Fede
appena ha intuito
quanto tu hai energicamente
impedito
che dall'attimo di tempo
e dell'esistenza del mondo
ne decidono volontà d'uomo
Non ti ho visto lottare
ma ho sentito
che sei ancora tu
a decidere
sul correre del tempo
le impronte digitali
sono le tue
nella storia
ma più ancora
le ferite
sono ferite d'Amore
come quelle nelle tue mani,
nei tuoi piedi
nel cuore
Sento quando sono con te
e mi raccolgo nel tuo silenzio
ad ascoltare
l'ansia del tuo Amore
che tu avverti
avvicinarsi
l'attimo del tempo
quando avverrà
lo scontro
di due volontà
la tua e quella dell'uomo
La tua volontà di creazione
dell'uomo quella di distruzione
di esistenza di Dio
del nulla l'uomo
Perché ora è il tempo
in cui possiamo
noi della terra
segnare la Fine
al tuo Principio
La tua creazione
pronunciata dalla Parola
modellata dalle tue dita
noi possiamo ridurla
nella cenere del nulla
Tu no
non possiamo annientare
perché tu sei
prima del Principio
ma se la terra
è tua immagine
e somiglianza di te è l'uomo
ti specchierai nelle tenebre
di vetro nero di morte
Tu vedi tutto
e vedi che volontà d'uomo
ha questo potere
E il peccato supremo
mai apparso sotto il cielo
da quando angeli
assaltarono il tuo infinito
e li lasciasti cadere
nel fuoco che avevano acceso
Dio Dio Dio
ti chiamo ti adoro ti amo
sia fatta la tua volontà
negli infiniti cieli
su questa polvere di terra
Non sia fatta la mia volontà
di nessun uomo
del potere o della disperazione
della pace o della guerra
dell'economia o della scienza
dell'ateismo o della religione
del ricco o del povero
del vecchio o del giovane
Forse va bene
quella del bambino
dell'onda del mare
del ruscello di montagna
del sole del mattino
del fiore a primavera
degli occhi puri che ti vedono
del cuore libero che ama
di chi giunge le mani e prega
di chi le apre e dona
In questo nuovo
attimo di tempo
che ci doni e si chiama
millenovecentosettantanove
nessuna volontà di uomo
si compia, o Padre
ma unicamente la tua
come fu al Principio
Così sia adesso
e nei secoli dei secoli
Amen
Sirio
Monte Carmelo 30/12/78 Venezuela
Carissimo Sirio,
trovo questo piccolo spazio per scriverti. Ti devo una risposta da moltissimo tempo e anche una parola di ringraziamento, per il tuo candelabro che mi mandasti per i fratelli Pacini e che fa buona mostra di sé nella piccola cappella che mi sta vicino. Si vede che per me il tempo ha davvero poca importanza. Abbiamo avuto una vicenda dolorosa che si è risolta in una vicenda gloriosa, perché ci hanno cacciato di casa. Sempre la solita storia: tutti ci aprono le loro case all'arrivo perché dei religiosi devono essere della gente mansueta e maneggiabile, poi si accorgono che non è così e avviene la selezione naturale. Non è necessario essere demagoghi né discriminatori perché la discriminazione avviene spontaneamente.
Così la famiglia che ci prestava la casa, era un po' più ricca delle altre ed ha preso la palla al balzo per cacciarci fuori. Tutta la comunità si è alzata e abbiamo avuto l'imbarazzo di scegliere la casa. A me hanno confezionato un rancho di fango che è una meraviglia: degno delle stanze vaticane. Non si direbbe di fango perché è tutto ben scialbato e bianchissimo: mi ci sento dentro come un re e piango di dover partire per due mesi e lasciarlo appena inaugurato. L'amore della gente che ci si è davvero stretta intorno e non sapeva come fare per non farci sentire quella che per loro, ospitalissimi per cultura e per tradizione, è una vera vergogna. Per noi si è risolto tutto con un piccolo disturbo e un po' di vita gitana che ora è rientrata nello schema borghese...
Ho cominciato un libro sull'asilo di cui ho steso la quarta parte più o meno.
Devo interromperlo per riprenderlo - come spero - a marzo se Dio mi concede di portare qua le mie ossa: ora vado in Canadà Brasile e Messico. Se guardi la carta geografica, ti rendi conto che la successione è bislacca, ma non sono riuscito a coordinare le date. Ricorderai che non sono un buon organizzatore e i difetti si accentuano col passare degli anni. Non so che pensare del papa: sotto certi aspetti mi pare eccellente, certe ventate che ci arrivano qui paiono fredde. Vedremo. In tutti i modi devo accettare fino alla morte la mia posizione di sindacalista nella chiesa e non aspettarmi rivalutazioni ufficiali. Chiedo a Dio di farmi morire nella fede, e nella fede romana per dirla con una parola tradizionale. Una volta capito che la chiesa sarà sempre una tensione dialettica fra l'istituzione e la profezia, e che le due vengono da Dio e dallo Spirito Santo, si trova una pace profonda. Non si può dire se siamo migliori di quelli che militano in una linea o nell'altra, perché è lo stesso Spirito che sceglie e sceglie prescindendo dalla santità e dai meriti. Arrivato all'epilogo (o quasi) della vita mi viene spontanea questa riflessione: che poco potere di decisione abbiamo noi sulla nostra vita.
Non dico che sia male, anzi penso che il nostro Creatore è veramente saggio lasciando a noi il minimo di possibilità di disporre, perché faremmo dei pasticci ancora più grandi di quelli che facciamo: e non sono davvero piccoli.
Buon anno mio carissimo e un grande abbraccio tuo
Arturo Paoli
Saluti ai tuoi compagni.
fratel Arturo
Carissimo
il tono così intimo del tuo foglio sollecita le confessioni; né io voglio sottrarmi al tuo invito che era anche a una testimonianza in prima persona; benché questo termine, di cui si fa oggi grande abuso, mi sembri da lasciare, secondo l'etimologia, ai martiri; e noi accontentarci di parole più modeste. Diciamo «resoconto» di alcuni stati d'animo e situazioni di vita che può essere utile e fraterno comunicare.
Comincerò col dirti la perplessità e il netto rifiuto che ho provato di fronte alla prima parte del tuo articolo «Il quotidiano e la fede», dove si affermava che «come tutto anche la Fede ha bisogno dell'eccezionalità, lo straordinario la provoca e l'accende, ... mentre rimane esposta al logoramento quando il silenzio l'avvolge... ». E seguitavi a lamentare «La materialità del quotidiano con l'oppressione del suo grigiore ...il tritume della banalità quotidiana...» e così via. E per fortuna che, alla fine, ti «converti», ammetti che «la banalità non è misurabile dal vuoto di cose importanti, ma dal vuoto di valori dello spirito umano» e che bisogna «riconoscere, a questa sbriciolatura del quotidiano, i suoi precisi valori... e allora anche il quotidiano, qualsiasi quotidiano, è adorabile». A questo punto, vorrei riprenderlo e raccontarti come sia giunta a infastidirmi, di fronte all'eccezionalità, e ad amare, con grande trasporto, il quotidiano.
Uno dei miei primi libri - un romanzo - aveva il titolo, già di per sé, significante: «Giorni feriali». Era la storia di un parroco che, dopo avere rincorso l'impossibile impegnando una folle battaglia contro il limite, alla fine si accorge che proprio nel limite l'infinito si colloca (e non è questo il senso dell'Incamazione?) e nel feriale (evidente sinonimo del quotidiano) si esprime la straordinaria festa dello spirito. L'eccezionalità si fa tutta interiore e il libro termina in «uno di quei tanti giorni in cui non c'è niente da narrare e tutta la vita da dire».
Quel parroco mi ricalcava, e la sua storia era un po' la mia storia.
Chi afferma che i libri son sempre autobiografici, ha ragione; solo bisogna, di volta in volta, intendere in che modo lo siano. Io, in quel libro, attraverso una vicenda che mi era cronisticamente estranea, esprimevo la storia interiore di una lotta, se vuoi, metafisica del limite, della ferialità, della quotidianità, del succedersi eguale e monotono dei giorni, contro il fiammeggiare eterno ed indicabile dell'infinito. Non accettavo che quell'ineffabilità, potesse frangersi nelle parole e tradursi nei tristi discorsi quotidiani del « buon giorno, buona sera,» quello che noi diciamo parlare «del più e del meno». Una battaglia di quel genere (che poi è l'eterna vicenda di Icaro, di Prometeo e di innumerevoli miti, a cominciare forse dal Genesi: «sarete come Dio») non può essere vinta da un uomo ma solamente da Dio stesso. E infatti è stata vinta dal Cristo e da noi solo in lui. Da una battaglia simile si può uscire sconfitti, disincantati, immiseriti, oppure si può uscire riconoscendo che proprio il limite, il tempo, i giorni (e tutti i giorni, e non solo quelli eccezionali) sono il luogo d'incarnazione dell'Eterno. E allora quell'Eterno lo si incontra proprio nella quotidianità.
Scusami, forse ho teologizzato un poco una vicenda esistenziale di una grande drammaticità e che non sempre necessariamente ha chiari i sotto fondi teologici del problema ma che incontra veramente Dio, a livello esistenziale, e sperimentale, nella propria vicenda quotidiana. E allora il mito dell'eccezionalità, dello straordinario «che provoca ed accende», come dici tu, le sembra un mito romantico, che è necessario attraversare ma che è necessario superare.
Attraversare, sì; perché non si nasce nel quotidiano ricco: si nasce nel quotidiano povero e grigio; e occorre romperlo, talora con violenza, entrando in quel mito dei grandi gesti e delle eccezionali avventure. L'agiografia è piena di gesti eccezionali e traumatici: sono la rottura di un quotidiano grigio e povero per la conquista di un quotidiano denso e pieno. Chi non conosce questo passaggio rimane a stadi elementari di esperienza interiore; chi non lo supera rimane in una tappa adolescenziale e romantica, diciamo pure immatura. Si può vivere intensamente anche questa tappa intermedia; e noi conosciamo dei santi che vi si sono arrestati; ma i più - quelli la cui santità si è compiuta con un arco di vita e di esperienza più vasta - alla fine recuperano un tono e un ritmo di dolcissima, colma densa quotidianità. Scompaiono perfino quelle somatizzazioni contemplative note sotto la denominazione di fenomeni mistici straordinari. Scompare lo straordinario, a tutti i livelli e resta la quotidianità.
Ora mi sembra di averti fatto una brutta e sommaria teologia e una non meno brutta e schematica agiologia di un problema che per me è una grande passione esistenziale. Perché oggi io amo il quotidiano, con un amore di predilezione somma; e so e sento che è in esso che sopratutto abita Dio; e non vorrei che avesse un'altra casa. Né io vorrei altri gesti, nelle mie mani, che non fossero quelli di tutta la gente: gesti semplici e che pure coinvolgono la vita alle radici, perché noi ci coinvolgiamo in essi pienamente.
E questo è il solo straordinario che cerco: compiere, con eccezionale intensità, i gesti di tutti, sperando che tutti raggiungano questa densificazione del quotidiano, sicché, nemmeno a questo livello soggettivo, vi sia nulla d'insolito.
Anche se il mio genere di vita non è frequente, cerco di viverlo nello stile più ordinario possibile, senza differenziarmi dagli altri e senza che nessuno abbia a voltarsi e a indicarmi col dito. Il santo che io amo è un poveruomo che svolta, cheto cheto, sulla strada e nessuno se n'accorge. Poi forse tutti si accorgono che è passato, per un di più d'amore c di stupore che ha lasciato loro dentro.
Anche di stupore. Quanto è obiettivamente falso il riferimento alle «stesse cose» che spegnerebbero la nostra freschezza interiore! Sì la nostra freschezza può ben essere spenta, ma non dalle «stesse cose».
Non esistono «stesse cose», a livello di comportamenti, di gesti, di vita: esistono solo cose nuove, gesti inediti e irreperibili, perché quelli che porremo domani, anche se simili, non saranno gli stessi.
Il tempo ce li consuma tra le mani e ci «condanna», felicemente, alla novità. Sì: viviamo nell'inedito; e il mattino che vivo oggi è unico: non sarà mai più ripetuto e rivissuto.
Ogni giorno e ogni gesto ha lo stupore della sua novità: è una scoperta di mai visto.
Ecco: noi viviamo immersi in questa novità perenne e non ce ne accorgiamo e parliamo di tedio, di ripetizione.. Quando parliamo di banale è che la banalità ci è entrata dentro. Solo gli uomini sanno essere banali; non la realtà, non la vita.
Non ci sono piccole o grandi cose: ci sono solo piccoli e grandi uomini. E l'uomo davvero grande non ha bisogno di grandi gesti per esprimersi: gli bastano i gesti d'ogni giorno. Dentro ciascuno di essi c'è il peso e il turgore della vita.
Scusami, Sirio, sto parlando troppo, io che ho scelto il silenzio e che detesto i discorsi edificanti; essi pure, una sorta di straordinario, di ornamento spirituale. Allora smetto subito e, se nella mia cascina solitaria, capiterà oggi qualcuno - magari il contadino che coltiva i campi qui intorno - parlerò solo «del più e del meno», della stagione e dei raccolti. In questi discorsi quotidiani, che un tempo avrei ritenuti banali, che spesso rendiamo banali, possono identificarsi, fino a diventare profondità di vita e di preghiera. Che il Signore ci aiuti, Sirio caro, a non aver bisogno di occasioni speciali, di particolari e. sacrali luoghi e tempi (e non è, anche la sacralità, una sorta di eccezionale, avulso dal contesto umano?) ma a saperlo incontrare sopra alle nostre strade: le semplici strade di tutta la gente. Un eremita si dice che va nel deserto; ed è vero (è il suo momento romantico). Ma poi il suo deserto fiorisce e si fa una cascina, piena di gatti e di conigli.
Ormai le mie bestie son diventate note, in Italia, ed io oggetto di qualche ironia per causa loro. Non mi preoccupo; li lascio dire. Le bestie sono importanti. Esse pure sono la quotidianità della vita, pulsante sotto ogni pelo. Un contadino, un uomo di campagna, non saprebbe vivere senza. Nemmeno io lo voglio. Potrei fare dell'ascetismo, privandomene. E sarebbe ancora il gesto fuori del comune. L'ho fatto. Ora non lo faccio più. Preferisco vivere la quotidianità, con le sue situazioni più normali: un cane che fa la guardia, un gatto che fa le fusa, una gallina che fa l'uovo, Ed io che non digiuno: lo mangio.
Forse ti parrà poco ascetico. E allora prega per la conversione.
Con affetto grande.
Adriana Zarri
Castelgandolfo
Natale di Gesù 1978
Fratello carissimo,
vedessi come è sereno questa sera il lago, e come ogni cosa vi si riflette! Luci sparse, cime boschive, casette appollaiate lungo le pendici dei colli Albani. E la luna offre gratuitamente questa stupenda visione a chi si ferma in silenzio a contemplare.
A seguito dell'invito che mi hai rivolto nella tua ultima lettera, ho cercato di riandare ai dieci anni del mio sacerdozio non tanto per rivivere momenti lieti e tristi, quanto per ricercare quella linea gratuita costante amorosa della presenza di Dio nella mia vita. E' tale presenza infatti che dà un senso sempre più pieno alle piccole scelte che man mano vado compiendo.
Immagina di tracciare un solco nella terra, e poi di lasciarvi entrare l'acqua: la terra e l'acqua si cercano a vicenda e il loro incontrarsi rende il terreno pronto ad accogliere una nuova vita.
Nel terreno della mia vita il Signore ha tracciato il solco, anche l'acqua della grazia è dono suo.
A me, terra arida e assetata, è chiesto sempre di essere disponibile ad «accogliere il dono» e a «portare frutto».
N on credere che sia stato sempre così! Solo adesso, in questi ultimi anni, sono arrivato a tale atteggiamento. Per vari anni ho preteso di tracciare il solco, e ho creduto di poter dare io stesso l'acqua, con la conseguenza che il mio lavoro non solo non mi appagava affatto, ma rischiava di deludere la mia speranza.
Da quanto l'atteggiamento di fondo della mia attività sindacale sociale, ecclesiale è quella di «lavorare all'opera di Dio» ho riscoperto una capacità nuova di tessere assieme alle piccole vicende umane l'opera della riconciliazione con me stesso, con gli altri, con Dio, assieme all'impegno per realizzare i progetti storici di liberazione.
Fratello carissimo, come tu sai, è già il secondo anno che mi trovo a vivere in solitudine, come metodo costante di vita.
E anche questo non è affatto frutto di una mia particolare riflessione, quanto dono di Dio che al termine della vicenda del '75/'76 mi ha chiamato nella solitudine per purificarmi e introdurmi a una maggiore intimità con lui.
Solitudine per Dio! Solitudine con Dio!
In tale nuova situazione unico mio pensiero è affacciarmi alla conoscenza dell'amore di Dio, purificare radicalmente la mia fede in lui, aprirmi sempre più all'amore per tutti gli uomini, miei fratelli.
Fino a qualche anno fa ho vissuto la mia esperienza di fede c di vita in una piccola fraternità. Oggi mi trovo da solo. Penso che sia giusto vivere fino in fondo la ricchezza del dono della solitudine, rimanendo pur sempre aperto all'eventualità di una fraternità costruita dove come quando il Signore vorrà.
Penso inoltre che prima ancora che del mio ministero pastorale oggi sono chiamato principalmente a rendere conto della mia fede e del mio amore in fabbrica e nella solitudine.
Fratello carissimo, veramente in questi dieci anni di sacerdozio l'amore di Dio mi ha condotto per mano nella vita degli uomini! E oggi sento fortemente in me l'esigenza di essere veramente uomo di fede e di preghiera per essere allo stesso tempo fratello universale.
Ti saluto con affetto.
Baldassarre
Queste riflessioni nemmeno per ombra vorrebbero essere di sapore polemico e non nascondono assolutamente risentimenti e in fondo nemmeno disappunti. Mi sto abituando sempre di più ad accettare le cose come sono e anche con particolare rispetto.
Che poi mi rimangono totalmente, al di fuori, esterne, questo è vero: non mi suscitano cioè particolari interessamenti.
E' chiaro però che non rimango indifferente, anzi tutt'altro. Non ha importanza se poi, come normalmente avviene, questa partecipazione, questo vivere «l'esterno», comporta tanta sofferenza. Quell'angoscia interiore cioè di dover assistere e di dover quindi subire esattamente il contrario di quello che nel profondo di se stesso viene avvertito e creduto appassionatamente come ciò che è giusto e vero e importante e forse addirittura decisivo. Può consolare anche se non molto, il sapere che quella sofferenza di delusione e di sgomento, è Amore e in fondo, a ben pensarci, non può che essere motivata che da una cocciutaggine di Fede.
Brevissima premessa per giustificare queste mie riflessioni sul viaggio del papa in Messico e anche per introdurle,
Non intendo assolutamente entrare nel merito del giusto o meno di quel viaggio, il papa deve fare liberamente quello che vuole o crede che sia secondo la sua missione. Nemmeno vorrei tentare analisi di comportamento e meno ancora nei confronti dei suoi discorsi, anche perché, pur tirando su tutto il rispetto possibile, forse non sarebbe sufficiente ad ottenere accoglienza e consenso pieno e totale.
Perché volere o no il papa è il segno più visibile e più vistoso della Chiesa e il suo agire e il suo parlare segnano il punto esatto, focale, nel quale la Chiesa, quella gerarchica, si trova e danno anche l'immagine di tutta quella Chiesa che è la cristianità.
E quindi tutti noi ne rimaniamo coinvolti, anche se possiamo non esserne proprio entusiasti, né rimaniamo significati anche se c'interessano assai di più altri segni. In ogni modo quello di cui vorrei discorrere è tutto un altro problema che investe riflessioni universalizzate nella storia dell'umanità ma che in questi giorni del viaggio del papa mi si è fatto vivissimo e dolorosissimo.
E' il problema di un uomo e di folle sterminate. Dire che ne ho sofferto tantissimo e di sofferenza profonda fino alle misure della pietà, è dire poco, al vedere moltitudini senza fine accalcate fino all'inverosimile per vedere un uomo, gridare un evviva ad un uomo, alzare le braccia, sventolare qualcosa per fare festa intorno ad un uomo... Per una Fede, certamente, ma impressiona la Fede in un uomo, per una Sapienza, una sapienza che non può non sgomentare e sconcertare, perché cosa può essere, cosa può fare un uomo?
Può agitare le braccia per rispondere al saluto osannante, può parlare ma sono parole, le parole di un uomo. E cosa sono le parole di un uomo?
Se c'è spettacolo che indichi la povertà umana, è quando l'umanità si raduna a folla, a moltitudine anonima, ad un mare di teste e di braccia, di corpi e di anime e di fronte, sovrastante, di contro, vi è un uomo, punto di convergenza, confluenza totale, abbandono assoluto e quindi attesa, dipendenza, speranza ma più ancora certezza.
Questo trasferirsi, riversarsi, consegnarsi di umanità ad una persona, ad un individuo.
E' il momento di un superamento di se individuale, di un'alienazione del se stesso, di un consegnarsi irresponsabile e diventare parte di un tutto, un passivizzarsi nella collettività, un perdersi nella folla, un essere assolutamente più niente per una sostituzione da parte della moltitudine. Milioni e milioni di persone, due in questa occasione, cinque in un altra, dieci, venti milioni, ma gli uomini, le persone umane quando sono considerate milioni non sono più persone umane, sono un mare, una pianura, un livellamento, un terribile, spaventoso anonimato che non ha più valore di umanità ma di formicaio, di branco sterminato di foche, sciami, agglomerati d'insetti. Uno sventolio di fazzoletti e di bandierine, un agitarsi di braccia, un gridare poche e sempre le stesse esclamazioni.
Povertà di gente che ha camminato e camminato, dormito all'addiaccio, aspettato ore e ore per perdersi in una realtà senza nome e senza volto all'infuori di un volto d'infinita miseria e di un nome che è marea di gente.
E perché?
Mi sembra che la risposta sia una sola, anche se ve ne possono essere tantissime, da quella di voler manifestare la propria Fede (!?) la riconoscenza per la visita del papa (!!) curiosità, di fascino dello spettacolo ecc. Ma la risposta per me è una sola e è questa. Quella gente a milioni e milioni si è accalcata intorno al papa perché è popolo. E il popolo da millenni è educato, spinto, costretto, affascinato, non può fare altro, non gli è chiesto altro, non gli è concesso altro, che di accalcarsi intorno ad un uomo, di fare folla, moltitudine sterminata e quanto più è a milioni tanto più è popolo e povero popolo.
Gente che vive di poco per non dire di niente, che dipende nel sopravvivere, che è dominata anche nel respirare, senza terra e senza casa, nell'insicurezza quotidiana, che sa che è inevitabile credere a qualcosa e affidarsi a qualcuno, che la speranza non va mai perduta, che ci sarà pur qualcuno che prenderà le difese, che affermerà i diritti, che s'impegnerà per la giustizia, qualcuno che sia diverso ci deve pur essere e se anche le speranze passate sono spaventose, pure qualcuno dovrà pur venire che non sia il solito inganno e entra in gioco la fiducia e insieme la speranza, questa inesauribile speranza dei deboli, dei poveri, di chi non è nulla. Capita l'occasione buona e si riversa la fiumana di popolo e affluisce a milioni acclama, si entusiasma, va in delirio. Ma perché?
Il popolo è forse la realtà d'illusione più impressionante perché forse è fatto d'illusione, vive di null'altro. Anche perché assolutamente il popolo non ha significato e non è un valore. Il popolo che si raduna e si affolla per ascoltare e plaudire, far festa intorno ad uomo, non è popolo. Ascolta le parole, agita le braccia, grida evviva, sorride felice perché ha visto il personaggio e questo è tutto e se ne ritorna a casa esattamente come ne è uscito all'infuori di una crescita d'entusiasmo e lascia le cose esattamente come le ha trovate, come sono da sempre, col solo risultato di aver rafforzato, con la sua partecipazione, il solito sistema, dimostrandosi popolo entusiasta intorno ad un uomo e assolutamente nient'altro, non è popolo di cui sia giusto trovar motivo di consolazione e di ralle-gramento, anche se è popolo di milioni e milioni di persone. Anzi la tristezza è nell'enormità della folla e nelle misure esaltate d'entusiasmo osannate.
Viene da pensare che la cristianità non dovrebbe mai essere popolo anonimo, folla plaudente, esplosione d'entusiasmo.
Quando è la Fede che raduna e fa comunità è per la preghiera, per dare lode a Dio e prendere coscienza e coinvolgersi nei problemi della vita. Queste sono programmazioni d'incontri di folle sterminate da guardare come guarda il personaggio e a cui parlare come parla la personalità eccezionale, richiamano alla memoria l'eterno sistema di sfruttamento del sentimento popolare, della strumentalizzazione, da parte del potere, della fragilità delle masse umane, dell'autoinfluenzamento collettivo, della spietata violenza che è la propaganda, l'oppressione del martellamento psicologico, il convogliamento obbligato ad incanalare la fiumana popolare dentro i solchi internazionalmente prestabiliti.
Uno dei modi più raffinati per togliere la libertà è l'incontro fra il personaggio e la folla, per ridurre alla dipendenza il popolo e spengere la coscienza individuale e collettiva, sostituendovi il progetto furbescamente programmato.
Cosi avvengono le cose nel mondo della storia umana o meglio ancora della disumanità. Non altrettanto, nemmeno come fattore esterno, sia pure anche ammettendo la non intenzionalità propria del mondo, dovrebbe avvenire nel popolo di Dio, nel popolo della Fede, nella cristianità, nella Chiesa e quindi da parte degli uomini di Chiesa.
«Fra voi non sia cosi» racconta con visibile angoscia Gesù ai discepoli, l'ultima sera del suo essere con loro.
So bene che a questo punto e sono povere riflessioni, come dicevo, più sofferenza che ragionamenti, mi si dice: ma quell'uomo che si è incontrato con le folle a milioni del Messico, è il Papa, il Vicario di Cristo, il Maestro della Fede, il Sommo Pontefice, il Santo Padre, il successore di Pietro ecc. (e chi li conosce tutti gli appellativi con cui viene chiamato il papa?)..
D'accordo che si tratta del papa. Ma è forse mancargli di rispetto sentirlo e considerarlo e vederlo «uomo», povero, piccolo uomo, certamente abitato eccezionalmente dallo Spirito Santo, ma non fino al punto di non essere più uomo come tutti gli altri uomini, corpo e anima, cultura (senza dubbio straordinaria) sensibilità, debolezza, fragilità, in condizione di tentazione, capace di vedere e di non vedere, di pensare in un modo piuttosto che in un altro, di subire certe impressioni e di non avvertirne altre ecc. ecc.?
Certo tipo di esaltazione e anche di venerazione, oltre ad essere un'assurdità, è vera e propria inconsistenza di Fede, cioè un modo molto umano di costruire il personaggio per potergli dare più fiducia, bisogna farne un mito, un'eccezionalità, un miracolo vivente, un'ammirazione sconfinata, assoluta... per credervi di più, perché sia possibile maggior Fede.
Ma la Fede si regge e si fonda sugli argomenti di Dio non su quelli degli uomini. E ha per motivazione e per oggetto Dio e tutto il Mistero di Dio. Ridurre la Fede alla dimensione di Fede in un uomo, è molto diminuirla e è pericoloso inquinamento.
Vedere un uomo sia pure papa oggetto di delirio popolare, mi impressiona profondamente. Forse perché questo delirio non lo sento Fede. Forse e è questo il motivo che più avverto, perché un uomo anche se è papa è pur sempre un uomo e la folla è fatta di uomini: penso che il rapporto fra uomini non può e non deve creare diversità d'importanza, di valore, di destino. L'uguaglianza è realtà e valore fondamentale nell'esistenza umana. Ammettere differenze sia pure per motivi di Fede, è giustificare tutte le innumerevoli differenze e sono tutte disumanità, dalla differenza uomo donna fino a quella delle razze umane.
La Chiesa e la cristianità nel mondo, è tenuta ad essere altra cosa e cosi tanto che l'unica differenza possibile e raccomandata vivamente, è che il primo sia come l'ultimo, e chi è servito come colui che serve.
Lo so bene che vivere la propria missione è servizio. Ma è logica ecclesiastica capace di giustificare preferenze, eccezionalità, privilegi ecc. il servizio cristiano non è possibile renderlo secondo i sistemi propri del mondo, pena un inquinarlo fino all'impossibilità di riconoscervi valori di Fede e di Amore.
Ma concludiamo qui anche se il discorso ovviamente potrebbe essere molto approfondito. E' certo che il Pontificato è ancora assai segnato da un uomo papa e folle sempre più sterminate e deliranti di uomini e donne: popolo chiamato, provocato, organizzato per l'entusiasmo, la grande festa, lo storico sacro incontro.
Qualcosa sicuramente di grandioso, di oceanico, immensità sconfinante di gente, entusiasmi ardenti, acclamazioni osannanti ecc.
Speriamo che tutto sia regno di Dio. In questo caso l'infastidimento potrebbe essere sopportato volentieri...
don Sirio
Ringrazio vivamente tanti e tanti amici che mi hanno espresso solidarietà per il processo che dovrebbe essere celebrato al tribunale di Grosseto a seguito di occupazione della stazione ferroviaria di Capalbio, in Maremma.
Durante una manifestazione popolare per protestare contro l'istallazione di una centrale nucleare nella terra di Capalbio (centrale che poi non viene più costruita per opposizione della regione Toscana: Capalbio confina con la regione Lazio dove ormai stanno lavorando alle fondazioni della centrale Montalto di Castro) fu occupata la stazione e la sede ferroviaria impedendo per alcune ore il transito normale dei treni.
Nel processo a Grosseto del gennaio del 78 ero stato chiamato come testimone a discarico della ventina d'imputati, dal maresciallo dei Carabinieri nella sua denunzia, segnalati quasi tutti fra i contadini della zona. Nella mia testimonianza risultò che io avevo partecipato attivamente all'occupazione e quindi da testimone passai all'incriminazione, insieme ad Alberto L'Abate, un caro amico di Firenze.
Per questo nuovo processo a nostro carico è stata effettuata l'istruttoria, una decina di amici si sono autodenunciati come «mandanti» di questa operazione di lotta antinucleare: è chiara la nostra volontà di rovesciare il processo nei nostri confronti, come un momento e una grossa occasione di lotta antinucleare. Tanto più che il programma governativo per le istallazioni di centrali nucleari, in obbedienza a favolosi interessi nazionali e internazionali, è stato rilanciato e potenziato.
Il processo non dovrebbe cadere nei termini dell'amnistia. A meno che non sia stato annullato dal processo in appello a Firenze dove le condanne inflitte a Grosseto sono state ridimensionate notevolmente, la procedura intentata dovrebbe andare avanti.
L'importante è che questa lotta contro il nucleare entri sempre più nella coscienza popolare perché sarà soltanto la forza dell'opinione pubblica che riuscirà a impedire o se non altro a contenere, la follia nucleare che viene propagandata come unica salvezza dal famoso pericolo del «buco nero», il vuoto dell'energia, lasciando cadere ricerche alternative di energia «pulita».
Mentre ringrazio vivamente della solidarietà (non è il caso di lasciarsi andare ad ammirazioni ecc. perché è cosa così estremamente di poco conto quello che sto facendo) mi permetto di accentuare come preciso impegno cristiano, la lotta antinucleare di coscienza umana e cristiana.
don Sirio
Sono passati sette anni e mezzo dal nostro incontro, e una volta tanto credo che non sia retorica dire che nel frattempo la realtà è cambiata come se invece fosse passato un secolo. In questi anni la vostra testimonianza mi è stata di grande aiuto, perché nel continuo succedersi dei sottofaccia cui ho dovuto assistere è stato. un conforto sapere che c'era qualcuno in grado di rimanere libero e fedele a se stesso.
Non voglio però lodarvi troppo perché penso che non sia questo che vi aspettate dagli amici, quanto piuttosto un loro apporto. E' già molto tempo che cerco di fare un'opera di ripensamento su tutte le esperienze passate. I risultati?
Incerti, devo dire. Ho raggiunto però alcune conclusioni che, seppure minime, mi sembrano tali da consentire una ripresa dell'impegno in ma do più adeguato e concreto. Ho cercato innanzitutto di rivivere con la mente i tempi del mio primo impegno comunitario e sociale, il senso di libertà ed autosufficienza che provavo allora. Le comunità di base erano l'espressione di un bisogno di partecipazione in prima persona, di creare un rapporto non mediato con Dio. Erano l'esatto contrario del motto gesuitico «non far niente senza il vescovo». Non solo non si aspettava il vescovo, ma si faceva volentieri a meno di lui.
Da ciò nasceva uno spirito di iniziativa ed una attività incessante capace di risultati incredibili. Mi sorprendo io stesso del potenziale che si era in grado di esprimere allora, di come si riusciva a mobilitare, organizzare e far partecipare tante persone. Bei momenti, certo. Ma c'era già in sottofondo delle grosse ambiguità. L'esperienza comunitaria se da una parte andava nel senso dell'impegno e della responsabilità individuale, dall'altra costituiva una sorta di rifugio per le proprie crisi esistenziali, un palcoscenico per il proprio entusiasmo, una palestra per la propria intolleranza. La comunità era sottoposta a continue tensioni causate dal chiedere ad essa ciò che non poteva costituzionalmente dare, cioè una copertura buona per tutti gli usi. Questa copertura la si è cercata sui gruppi politici, sul rapporto con gli apparati. Si è cominciato a cercare l'appoggio del «vescovo» per ogni cosa da fare. La realtà attorno intanto cambiava, la crisi economica ha avuto un effetto devastante sui rapporti sociali, sulla mentalità della gente. Si è diffusa una paura di essere se stessi e si è cercata la propria identità con l'adesione ad un apparato.
Per quanto mi riguarda credo che mi sia venuta in aiuto la mia patologica pigrizia, cosicché non ho cercato minimamente di cambiare e di adeguarmi al mutare della direzione del vento. A volte tradire se stessi comporta un notevole sforzo, non è affatto facile come sembra, svendere il proprio lavoro richiede spesso fatiche penose. In questo senso direi che qualche volta mi sono trovato di fronte a dei veri eroi, gente disposta a bruciare amicizie e stima, a creare attorno a sé un clima di diffidenza e sospetto, a sudare le classiche sette camice, pur di portare a termine l'opera di svendita sotto costo della sua personalità e della sua immagine altrettanto faticosamente costruita.
E' stata una ventata irrazionale che ha travolto tutto e tutti. Vi assicuro che se vi fosse stato un minimo di interesse personale da soddisfare a motivare tutto questo, forse avrei capito e in qualche caso anche giustificato, ma così l'accaduto è rimasto per molto tempo per me incomprensibile.
Molti dei miei schemi mentali sono saltati, specialmente l'abitudine di mettere le cose in termini di egoismo e altruismo. Oggi non riesco a dubitare che nel furore di tradimento di se stessi e degli altri di molti di coloro che ho conosciuto ci fosse anche qualche motivo altruistico.
Del resto perché Giuda tradì Gesù? Non certo per il benessere materiale che gli poteva apportare una meschina somma di denaro.
La paura di essere liberi è alla base di tanti comportamenti, ora come in passato.
Prendete queste mie rozze riflessioni un po' per quello che valgono, come primo risultato di una esperienza personale molto limitata e approssimativa .
* * *
Voglio dirvi che sono contenta per il solo fatto che ci siete. I primi tempi in cui ricercavo il vostro giornale mi sembravate un pò «strani» perché il vostro discorso era completamente nuovo per la mia esperienza.
Poi ho capito.
Non siete di quelli che predicano dal pulpito (non importa che ci sia materialmente: è come se ci fosse) e che sanno sempre cosa è giusto o no.
Voi vivete: siete dentro gli uomini.
E' semplicemente perché siete che il giornale esiste. E' una testimonianza, un ritrovarsi insieme, un riconoscerci nelle stesse esperienze: un arricchirsi.
Per me è anche un crescere nella fede, è l'aver scoperto che la fede non è quel magico jolli che ti salva in qualsiasi occasione, è qualcosa di cui non sono capace di parlare.
Ecco il vostro giornale è un piccolo grande aiuto per scoprire cosa significa vivere con fede.
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Ti scrivo con l'amarezza dentro per la strage fascista a Radio Città futura, e con la rabbia di assistere a tutti questi episodi di violenza e di intimidazione quotidiana, senza essere realmente organizzato con i giovani, donne, emarginati, che sono insoddisfatti per questa vita, per questa società, per queste ingiustizie, ma che purtroppo, come molti di noi, assistono assuefatti e sfiduciati ad una crisi che, secondo me, si fa sempre più profonda e diventa sempre più dolorosa per noi.
Certo questo non ci deve spingere a mollare tutto, anche se la tentazione è forte; è forte però anche la convinzione della inutilità di una vita preservata e non compromessa nelle lotte di liberazione. Ognuno nella propria realtà, cerca di creare un'aggregazione che riesca ad opporsi a questo stato di cose, che tuttavia spesso ci travolge senza che ce ne rendiamo nemmeno conto. Questa disgregazione, questo stato di cose che sembra eterno ed irreversibile, spinge tanti come me ad abbandonare, o a scegliere la via diretta della violenza. Ma sia l'una che l'altra risposta creano maggiore disgregazione, maggiore scetticismo, maggiore chiusura delle mentalità, maggiore clima di paura, di restaurazione autoritaria, di impotenza ed inazione di massa.
Ecco allora chiaro il valore che ha una presenza di fede, un credere nell'utopia da realizzare, un aver speranza nell'agire anche la dove tutto sembra buio ed «irreversibilmente inesorabile», che è la presenza del cristiano, come segno di contraddizione, di lotta permanente, di fiducia nelle lotte intraprese, per la dedizione totale alla Verità, a Dio, alla giustizia e all'amore da realizzare nel mondo tra gli uomini, soprattutto quando, come in questa epoca tutto crolla, nessun appiglio razionale sembra esistere, tutto è condizionato da giochi di potere, da interessi egoistici, da una dimenticanza totale del valore dell'uomo in se stesso e del suo rispetto.
Luigi Sonnenfeld
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