LOTTA COME AMORE: LcA giugno 1978

Comunità di Fede

Ringraziamo tutti quegli amici che hanno manifestato a questo nostro piccolo foglio tanta affettuosa accoglienza unita alla raccomandazione di continuare questo nostro incontrarci e ritrovarci insieme anche se questa nostra "comunità" è soltanto o quasi sulle pagine di un giornaletto.
Una comunità di amici che si raduna e si riconosce nel brevissimo spazio di queste paginette: e vi vive una scelta di Fede, una ricerca di Dio, la dolce e misteriosa fatica di scoprire una Presenza in noi, intorno a noi, nella realtà storica che ci troviamo a vivere.
Vi ringrazio della bontà che avete a leggere questa nostra lunga «lettera agli amici». Tanto più che leggere non è facile nell'ingranaggio a volte così spietatamente divoratore del nostro quotidiano. Di tempo disponibile ne rimane veramente poco, mangiato com'è da un'infinità di cose, di problemi, di preoccupazioni. E poi la stanchezza spesso è sopraffacente, affoga, annienta.
E si rimane lì, come svaniti, in una incapacità perfino di raccogliere e ordinare, pensieri, sentimenti...
E' vero che questo nostro tempo è fiumana che porta via tutto nella violenza del suo straripare inarrestabile.
La rassegnazione non è però una virtù quando diventa passività.
La riappropriazione del se stessi spesso può essere autenticità di liberazione: è rompere dipendenze, spezzare catene di assuefazioni e di abitudini, riprendersi capacità decisionali, operare scelte coscienti, stracciare ogni delega e riprendersi personalmente ogni responsabilità.
Una personalità chiara, serena e quindi ben costruita è condizione determinante per una conoscenza, un'intuizione, un'esperienza di Dio.
La fedeltà a Gesù Cristo è tutta nella testimonianza che la verità di Dio e la verità dell'Uomo costruiscono la pienezza, la totalità della vita umana.
E allora continuiamo ad offrire questa nostra ricerca ma più che tutto la gioia di questa nostra fatica di Fede.
Avendo lasciato sicurezze dogmatiche, arroccamenti in sistemazioni giuridiche, strade maestre di rapporti pastorali, inquadramenti moralistici e liturgici ecc. per vivere mescolati fra la gente, camminare gomito a gomito con tutti, condividendo ogni rischio e sottoponendosi a qualsiasi fatica, è chiaro che quello che possiamo e intendiamo offrire spesso può essere soltanto un sognare: a occhi aperti però, perché è sempre un sognare che vuol dire Lotta, compromettersi, non scendere a patti, ribellarsi e cercare appassionatamente di riappropriarsi la costruzione della vita.
E indispensabile ritrovare la concretezza delle cose, sempre ma specialmente nei momenti di preghiera.
Allora il mondo si apre come un frutto e manifesta il suo nocciolo con dentro sempre il buon seme della speranza.
Questa nostra civiltà risulta essere vestito strappato che è tempo perso rattoppare: s'intravede però la trama del tessuto per il vestito nuovo.
E viene voglia di mettersi a cercare quegli otri nuovi dove riporre il vino nuovo che pur sentiamo spremere sotto il torchio di questi nostri tempi.
Buone vacanze, amici e cioè uno spazio aperto nella vostra interiorità dove vi apparisca all'improvviso e vi si manifesti la presenza misteriosa e dolcissima di Dio e vi convinca che Lui è pace Amore gioia. E che affidarsi a Lui è costruire seriamente la nostra vita e la storia del mondo.
Queste paginette vogliono semplicemente dichiararvi che insieme a voi vi sono amici, una comunità molto dispersa nelle vie del mondo, ma fortemente unita, che si ostinano a credere in Dio, nella Fede che l'accoglienza della sua Presenza è onnipotente creatrice di nuova esistenza, sulla Parola di Gesù e nella forza del suo Spirito.

La Redazione

Il Dio della solitudine

E' veramente tanto tempo che non sono riuscito a scrivere qualcosa sul nostro giornale che ora ha, molto più degli anni passati, il sapore fraterno di una lunga lettera fra amici. Devo dire che mi è mancato lo spazio interiore necessario allo scrivere, semplice ed umile tentativo di aprire il cuore per comunicare tutto ciò che vi passa dentro, eco della misteriosa presenza di Dio dentro lo svolgersi della vicenda umana. Sono ormai quasi due anni che non scrivo più e questo tempo è letteralmente volato via nella macina della vita quotidiana, preso nella rete di vicende molto particolari come sono quelle della vita dei bambini, della loro storia semplice e drammatica, di problemi che sono niente e sono tutto: è stato come entrare in un fiume in piena e rimanervi travolto, portato via da una corrente tenace e instancabile che non concede respiro ne permette riposo. Così ho camminato senza avere il tempo e spesso neppure la forza interiore sufficiente a fare una sosta, a pensare al senso di ciò che si fa, unicamente preoccupato di rispondere con amore e con verità alle richieste della vita che chiama ed esige risposte precise.
Tutto questo però non ha stancato l'attenzione profonda a tutto ciò che è rapporto con Dio, con l'Assoluto del suo amore, con il mistero di Gesù incarnato nella storia di questo tempo, di queste vicende che sono le nostre, dentro le tante storie di povera gente, di quei «piccoli» di cui il Vangelo continuamente parla come misura del regno di Dio. In questo cammino c'è continuità, non frattura né contrasto di valori: come nella vita operaia, così ora in questo vivere una realtà domestica e quasi monastica si è approfondita la contemplazione di ciò che sempre più mi appare come il segno del mistero di Dio nella storia, il termine di giudizio, di contrasto e di provocazione di tutto il messaggio cristiano: l'essere cioè Dio il Dio della solitudine delle creature, Dio dei poveri, degli umiliati, dei perduti, dei sopraffatti dalla sapienza e dalla violenza del mondo. Dio della croce e non della spada, del perdono e non della vendetta, della povertà e non della ricchezza, di tutto ciò che è piccolo (come un seme, un po' di lievito, un bambino) e non di ciò che è grande e considerato importante.
In questo periodo abbastanza singolare della mia vita mi è sembrato di entrare più profondamente in questo misterioso essere di Dio che Gesù rivela nello svolgersi del suo Vangelo: un volto di Dio non fatto a misura delle saggezze, delle furbizie, delle sicurezze così false e assurde degli uomini, ma che occorre saper riconoscere proprio là dove si vorrebbe che Egli non fosse. Dietro le sbarre di un carcere, nello smarrimento totale di chi si affaccia alla vita e non riesce a indovinare la strada, nella precoce vecchiaia di tantissimi giovani bruciati dall'assurdità e spietatezza di una società costruita dagli adulti sullo sfruttamento e sull'esaltazione del benessere economico, nell'ostinata ribellione di «un piccolo gregge» che cerca e sogna un mondo diverso da quello della grande massa che fa sempre più appello alla forza, all'ordine democratico, al regime di sicurezza poliziesca... Tutte realtà di solitudine personale o storica, ma che chiaramente ripropongono questa presenza provocatoria del Dio di Gesù, di quel Dio così inquietante del cap. 25 di Matteo che si fa tutt'uno con l'infinita solitudine degli affamati, degli sfruttati, degli emigrati, dei sofferenti e dei prigionieri di tutti i tempi.
Questo Dio così sconvolgente è il Padre di cui Gesù annunzia l'amore universale, la continua premura per ogni essere, l'immensa bontà e il perdono per chi va a Lui con cuore sincero. E' un Dio che però non è possibile riconoscere sotto i segni della potenza, dello splendore o della ricchezza, ma dentro la grande solitudine umana.
Mi sembra che lo Spirito del Signore spinga la mia vita su questo sentiero dove si incrociano le solitudini delle creature e dove non si può non essere segnati in profondità da tutto questo, sentirsi come bollati a fuoco da un marchio che non si potrà cancellare. La mia solidarietà umana e cristiana va sempre più nella direzione in cui mi sembra si muovono con estrema chiarezza i passi sconvolgenti del Dio vivente.
Un cammino che senza dubbio conduce alla solitudine più radicale, a non credere al consenso della maggioranza, alla forza del numero, a ciò che «tutti dicono», alle mode del momento, all'opinione pubblica e così via. Una solitudine sostenuta dal continuo confronto fra la Parola di Dio e le nostre parole, i suoi criteri di giudizio ed i nostri, la sua Legge e le nostri leggi, il suo ordine e il nostro: una solitudine in cui cresca una capacità di lotta che si traduca nella capacità di obbedire a Dio piuttosto che agli uomini perché sulla tavola della storia non venga a mancare il pane della vita.

don Beppe

Nottata di preghiera

E' venuto il tempo
quando il silenzio avrà una voce
e le parole diranno l'inesprimibile
perché il non conosciuto sarà svelato
e l'infinito si raccoglierà
nel cavo di una mano

Allora il buio sarà luce
e rivelerà l'inconoscibile
perché il mistero è chiarezza
e l'impossibile semplice realtà

Allora un granello di sabbia
racchiuderà l'universo
e un soffio di vento
agiterà le stelle

Perché alzo gli occhi e vedo
apro il cuore e sento
lo Spirito sale verso l'abisso
a perdersi dove è ritrovarsi

Pensare non serve
quando la verità si vede
e non è possibile amare l'Amore
quando è l'Amore che ama

E' tempo di raccogliere
come la terra il sole al mattino
come il campo la pioggia
e l'albero il vento

Sono vinto stanotte
dall'immensità del vuoto
troppo colmato dal tutto

Sono un filo di fumo
che sale e si perde nel cielo
una parola che non palpita l'eco
un chiamare senza risposta
perché tutto è risposta

Che vado cercando stanotte?
la porta non è chiusa
la casa è senza tetto
senza volta di stelle il cielo
tutto è aperto e scoperto
è qui e è dovunque
non occorre ricerca
è assurdo chiamare

E' tempo soltanto di offrirsi
così come mi ritrovo
nulla di nulla
ma non ha alcuna importanza
anzi è quello che occorre
questo essere nulla
perché posso intuire
liberamente
l'assoluto unico
prima del principio
avanti che esista qualcosa
il punto dell'Essere
l'esistenza vera
la solitudine unica
la semplice totalità

Ti adoro Ti adoro Ti adoro
e poi ma il respiro non regge
Ti amo Ti amo Ti amo
e lo spirito è appena un soffio

Dio Dio Dio senza fine Dio
e senza principio
non pronunciato non parola
ma respiro eterno

E' come essere salito salito
sulla cima di un monte
sul soffice volo di nubi
penetrate le stelle
e sopra ancora ancora
tutto lo spazio
ma mi volgo intorno
e la presenza è qui
io sono nella presenza
e contiene tutto l'universo
e non si disperde
è tutta raccolta

Ecco ora la vedo
la vedo con gli occhi chiusi
e il vuoto della mente
e il perdersi del cuore
che soltanto batte violento
perché mi sfiora
fisicamente
l'immensità così vicina
di questa Presenza
e mi possiede dolcemente
e mi vince violentemente
allora mi arrendo
perché è più forte
e io sono felice di essere niente

In questa notte di silenzio
assoluto come se nulla esistesse
o fosse mai esistito

Forse è la notte più vissuta
di tutta la mia vita
può essere che questa notte
sia la mia vera vita
non m'importa niente di me
sono semplicemente sorpreso
che di me nulla mi ricordo
e non mi giudico
sono soltanto una visione
è per dire una sola parola
per una conoscenza infinita
e un entrare nel profondo mistero
e sapere unicamente di Lui
che Dio è
Dio è
è
null'altro
perché ogni altro pensiero
non serve
terribilmente inutile e vuoto
tutto è contenuto
in quell'unico sapere

E ora raccolgo il mondo intero
tutta la storia di tutti i millenni
l'umanità che dorme
o che si agita su tutta la terra
la sento e la vivo
come una sola parola
non ho paura che sia falsa
o semplicemente assurda
è vera perché la mia Fede
è questa chiarezza
adorazione è questa parola
e poi Amore e poi ancora
Tu Dio sei l'unico tutto in tutti
Tu Dio
Tu
lo so che mi ascolti
non sono pazzo
anche se sono posseduto
e stranito stanotte
e come svuotato di vita
eppure mai come in questo momento
mi sento vivente
e segno e realtà di tutta la vita
sì che potrei morire
perché ho vissuto assai
avendo vissuto stanotte.

Sirio

Che cosa fare?

Camminiamo di buon passo giù per la strada che scende da Marino passando per orti ben curati, la terra nera saziata da acque abbondanti.
La gioia di un cielo finalmente sereno ci aiuta a non crescere il peso delle difficoltà quotidiane. Il discorso si avvia oltre ogni possibile amarezza. E' vero che ci martella da troppo tempo questa domanda inquietante: che cosa dobbiamo fare? E' vero che questa domanda resta al di là dei tentativi compiuti per una risposta che non è mai stata esauriente. E' quindi una domanda tutt'altro che ingiustificata, ma preoccupa il fatto che essa si ripete ormai da troppo tempo quasi a ribadire una condizione di stallo. Non possiamo continuare a ripetere analisi ormai scontate dal momento che tutto quello che poteva costituire impedimento di qualsiasi genere sembra essere scomparso o quanto meno attenuato. Possiamo tranquillamente dire che tutto ciò che si poteva distruggere sembra distrutto, ma sul deserto non fiorisce novità di vita.
Al di là delle cose da fare preoccupa questa strana, avvilente sterilità.
Non è che sia venuta meno la speranza del cuore o la chiarezza interiore della fede. Ma è spesso valore talmente confinato nell'intimità della coscienza da risultare come energia del tutto personale.
Perché tanta difficoltà ad avviare un cammino in novità di vita che non sia ricerca intellettualizzata o semplice arroccamento su posizioni di difesa e di resistenza?
E' vero, difficoltà ne troviamo tantissime, ma è sufficiente questa amarissima frequente constatazione a spiegare l'incapacità di iniziativa?
Forse Dio, per misteriose sue ragioni vuole confondere la mente che lo cerca. Forse si sta ripetendo per noi l'esperienza della generazione del deserto destinata a vedere con i propri occhi la terra promessa. Possiamo però anche chiederci se dietro tutta una ricerca che non trova fecondità, vi sia in effetti un vuoto mascherato dall'elencazione dei problemi da affrontare. Può essere che ci ripetiamo spesso la domanda su che cosa fare perché abbiamo perso la lucida e chiara percezione dei motivi del nostro agire? Non può forse nascondersi in noi come una mentalità da vecchi combattenti ormai così identificati con lo scontro al punto da avere smarrito il coraggio di seminare per il domani e di sognare un mondo di pace?
E' dunque, e prima di tutto un problema di fede? Probabilmente si.
Problema di fede sofferto nella solitudine da chi difende la propria coscienza di credente dall'invadenza di questo nostro mondo, ugualmente faticato da chi proietta ogni energia nella lotta per l'uomo in questo nostro tempo.
Può darsi che non sia piena in noi la gioia per il limite preciso che ci attraversa ed è l'appartenenza a Gesù Cristo, la giustificazione della nostra esistenza che sta nel fare memoria del Nome del Padre. Perché non compete a noi fare miracoli di creatività o esibirci in tutta una serie di scelte sia pure scaturite dalle analisi più illuminate. Ciò che importa è decidere se veramente crediamo che essere cristiani è essenzialmente portare avanti le cose che interessano a Lui prima che disquisire sui modi, sulle forme e sulle esplicitazioni verbali. Dal momento che questa chiarezza si stabilisce acquistano importanza anche le nostre scelte, ma risultano altrettanto estranee da ogni contesto angosciante dal momento che la scelta fondamentale l'ha compiuta Lui e ce la propone in forma di croce piantata sul mondo. A noi il compito di esservi fedeli.
Credo che sia cosa estremamente importante questo aiutarci gli uni gli altri in un clima di reciproco rispetto, di accoglienza sincera, di desiderio di novità di vita. Ciò può avvenire rinnovando l'atto di fede fondamentale in Gesù Cristo perché in Lui è possibile incontrarsi senza che questo segni il possesso mio o tuo dal momento che noi siamo suoi. lo credo che un cristianesimo nuovo prenderà forza nella misura in cui questo discorso uscirà fuori dalle liturgie più o meno ufficiali, dalle espressioni di principio, dalle intenzionalità spirituali e diventerà sforzo quotidiano, conversione costante, desiderio sincero di servizio all'uomo. Quando cominceremo a raccontarci le difficoltà realmente incontrate volta volta, smettendo di razionalizzarle quasi a farcene scudo di buona ragione, allora credo che non ci chiederemo più che cosa dobbiamo fare perché già la strada si è aperta.

Quattordici anni

L'altro giorno, Beppe il sommozzatore è passato da me mentre lavoravo. Qualcosa gli pesava troppo dentro e gli provocava un senso profondo di disagio. Aveva appena tirato su il corpo di un ragazzo di quattordici anni affogato due giorni prima mentre faceva il bagno con un amico su un canotto di gomma a duecento metri appena dalla spiaggia.
Un peschereccio ha avvistato il corpo del ragazzo ed ha avvisato la Capitaneria. Beppe è andato: è il suo lavoro e in questi casi non c'è concorrenza. Si è immerso, ha passato sotto il corpo esanime un pezzo della rete del peschereccio e su questo improvvisato sudario ha riposato la prima vittima di questa strana stagione estiva. Dal naso del ragazzo è uscito un flotto di sangue, quasi un ultimo e disperato abbraccio alla vita, e la maglia di Beppe che lo sosteneva come fosse un figliolo, si è macchiata quasi a segnare una misteriosa solidarietà nella fragilità dell'esistere umano.
Il corpo di un ragazzo semisommerso, la testa appesantita, le spalle curve in alto, la pelle rosicchiata dalle pulci di mare, il sangue che sgorga a richiamare la vita. Una vita di quattordici anni. Una giornata di sole. Un vano agitare di braccia, quasi un gioco ed è già tragedia.
Quattordici anni di vita in un pezzo di rete tagliato con mani pietose per accogliere morte. Due braccia hanno sostenuto questo peso immenso e sono braccia di un uomo che ha accolto questo peso nel cuore. Avrei dovuto sostenerlo anch'io, ma son stato capace soltanto di parole banali. Pure, quel sangue ha macchiato anche me.

Luigi

Umanità di uomo

Frascati, maggio '78
Fratello carissimo,
come ti accennavo precedentemente, questo per me è un periodo di grazia e di riscoperta del «gratuito» che viene da Dio.
In questi mesi di solitudine «frascatana» sto riscoprendo nella sua complessità il dono del celibato per Cristo e per il Regno.
Come per la preghiera, anche per il celibato la scoperta è quotidiana, progressiva, come quando entri e cammini nel mare e l'acqua ti avvolge sempre più fino ad esserne totalmente «preda».
Parlare di celibato per il Regno e di dono gratuito di Dio significa altresì accettare nella sua crudezza "l'angoscia" profonda cui si va incontro e che giunge fino al tormento.
Infatti mentre nutro il profondo desiderio di vivere la mia dimensione di uomo «globalmente», mi accorgo di avere paura ad «accogliere» dentro di me la terribile lacerazione della carne quando deve convivere in una reale unità con lo spirito.
Capita allora di essere tentati a ignorare o peggio a mascherare la lacerazione profonda e costante, o ancora a trovare giustificazioni psicologiche e intellettuali per decidere con buona coscienza di essere solo o «uomo secondo la carne», oppure «uomo secondo lo spirito», eliminando così totalmente la propria umanità che richiede «accoglimento doloroso di entrambe le realtà».
Accettare fino in fondo la mia umanità di uomo che ama, che soffre, che ha bisogno di essere riamato, di uomo che ferisce e che è ferito, che ha donato tutto se stesso senza riserve non solo nel suo cuore e nel suo spirito ma anche nel suo corpo... è proprio allora che la contraddizione diventa dramma e produce l'angoscia, perché la carne urla e vuole il «possesso» dei beni della terra (e i possesso rende schiavi), e lo Spirito porta invece ad amare senza possesso, a donare senza calcolo, a lasciarsi spogliare di ogni cosa, a morire realmente giorno dopo giorno.
Accogliere questa contraddizione in me stesso, senza sublimazioni né attivismo alienante, mi sta portando lentamente su un cammino molto umile e nascosto, spesso incompreso anche dagli amici, perché fuori da ogni schema. C'è infatti il rischio ai esser visto come «mezzo» prete e «mezzo» uomo, perché la mentalità comune non accoglie l'uomo globale, ma vuole l'uomo solo secondo la carne e il prete come angelo solo secondo lo spirito.
Accettare pienamente la mia umanità vuoi dire amare senza riserva, accogliere il bisogno di essere amato, «senza possesso».
E' amare conoscere una donna nella sua realtà globale, accogliendone la complementarietà: è un dono gratuito di Dio che viene offerto nell'amica, nella sorella, ... ma è un dono che non «mi» appartiene.
Fratello carissimo, sono convinto che questo non è tutto, né riesce ad affrontare le molteplici implicazioni della scelta celibataria, quanto ti sto scrivendo ha soltanto ìl valore della mia esperienza (limitata e particolare) che diventa ogni giorno più parte della mia vita.
In questa accoglienza dell' «altra» la gioia e il dolore ti esplodono dentro, la gratitudine e il vuoto, il tutto e il niente, e ti consumano giorno dopo giorno.
Inizia così la lotta contro la volontà del possesso, lotta violenta che non si combatte una volta per tutte, ma ad ogni istante della vita; lotta che diventa violenza pura e che nei momenti più oscuri porta a desiderare la pace della morte come liberazione da una tensione così folle ma così inevitabile. Credo che proprio attraverso questa dolorosa liberazione dal possesso si può giungere a amare liberamente e totalmente, dando tutto se stessi e giungendo ad una sempre più «profonda comunione» con chi ti sta accanto: allora il mio dolore sarà quello degli altri, la mia solitudine sarà pienezza per gli altri, il mio amore sarà gioia per gli altri; gli altri saranno la mia vita, la mia gioia per gli altri; gli altri saranno la mia vita, la mia gioia, la mia realtà di uomo vero.
In questa scelta di vita so di non essere solo. Assieme a tanti altri «pazzi di amore» credo di essere alla scuola del Cristo crocifisso che ha provato fino in fondo l'angoscia della morte.
Ma so anche che Lui ha vinto la morte e ha dato a noi una vita "nuova", così che noi viviamo per lui.
Ancora oggi noi cristiani parliamo della croce con commozione, direi con poesia, come di qualcosa di «bello» e che ci riguarda solo metaforicamente. Al contrario, io credo che la croce sia stata orrenda e che abbia provocato sentimenti di ribellione e di disperazione...
Il cristiano non può sfuggire a questa croce: chi non prende ogni giorno la sua croce e non mi segue non può essere mio discepolo, dice il Signore; ci va incontro, invece, non cedendo alla tentazioni di facili compromessi che addormentano la coscienza, memore delle parole del Cristo: Non temete! Io ho vinto il mondo.

Baldassarre

Incontro preti-operai

Portomarghera 3 giugno 1978
Appunti presi durante l'incontro sul tema «Ha senso pregare per chi vive la lotta di classe?»

SIRIO: Ho sentito, fin da 14 anni, un rapporto strettamente personale tra me e Dio, come realtà che entra nella vita e comincia a comandare. Ho dovuto fare i conti con questa presenza. A volte l'ho subita. Anche l'essere prete è stato deciso da tale presenza, contro la quale ho combattuto per 10 anni. Alla fine ho ceduto.
Posso dire che la mia vita sarebbe completamente diversa se non avessi incontrato Dio. La stessa liberazione nei confronti della Chiesa è avvenuta a seguito della presenza di Dio in me. Presenza creativa.
Tutto il problema della preghiera per me è cosa semplice: dialogo attraverso il quale le mie cose passano a Dio e da Dio in me. Un Dio come «realtà personale».
Vivo intensamente i problemi politici cercando di capire come Dio interviene. Oggi la mia preghiera è faticosa perché sento la pesantezza del momento difficile che stiamo attraversando. Sento la fede come criterio di giudizio per vedere più in profondità e in latitudine.
Non esiste nessuna altra forza che costringa come la realtà di Dio.
Mi sento a volte a disagio per non dare abbastanza tempo alla preghiera. La preghiera collettiva a volte è alienante (salmi, Bibbia, padri della Chiesa... ). Non cosi la preghiera personale con Dio, anche se non sempre chiara.
Credo che chi fermenta la situazione e poi la riordina è la presenza di Dio nella storia.
Fare lettura biblica attualizzata (per es. voterò SI ai referendum anche per motivi di fede).

ROBERTO: Dentro il partito vivo con persone (compagni) che conoscono l'uso costantiniano della fede e la Chiesa come assistenza.
Oggi la Chiesa, i frutti del cui agire sono ateistici, ha fatto tutto «opere di pietà, beneficienza...». Il povero per la Chiesa è semplicemente «ciò che la Chiesa fa per i poveri».
L'ateismo è attribuire a Dio degli spazi umani e a se stessi diritti divini. E' dimenticarsi che è Dio a salvare.
Le masse non pregano più perché la preghiera è uno spazio separato dalla vita Se lotti non preghi, se preghi non lotti. Se lavori non preghi. Dio è diventato prezioso e destinato solo ad alcuni privilegiati. E' a questo punto che la politica rischia di diventare un altro Dio.
Credo che la mia relazione con Dio non possa essere parallela al fare politica, ma intersecandosi con esso. .
Non prego quando le cose vanno male (no al Dio alienante per chi è sfruttato), ma non prego neppure perché Dio sia dei rivoluzionari.
Dio non è di nessuno: non giustifica nessuna scelta politica
Prego pochissimo con i salmi e con le Messe. Lotto contro i luoghi contemplativi (Spello, Bose... ) perché voglio essere serio nei confronti dei miei compagni di lavoro. Voglio una preghiera che sia possibile ai poveri. Dare a Dio una presenza assoluta che non ha niente a che vedere con Chiesa e sacramenti. Un Dio che relativizza tutto perché è più vicino al povero che ha soltanto la sua povertà.
Dio è presente nelle battaglie che faccio (al di là delle vittorie), come solo salvatore, con una presenza a me sconosciuta.
Prego molto anche durante il lavoro, ma in relazione alla presenza del Dio misterioso. Questo mi pennette di lottare perfino contro la Chiesa.

GASTONE: Pur nei casini di questi 10 anni siamo in grado di fare professione di fede, gra-zie a Dio e alla sua gratuità.
Sento la preghiera come momento di deserto. A volte non sono capace di pregare, eppure sento che Dio è vivo e mi chiama.
Quello che ha caratterizzato le nostre lotte, pur in mezzo alla poca chiarezza, è stato l'avanzamento di un certo progetto, che è progetto di Dio. Sento di lodare il Dio di questo progetto. Questa è Messa, eucarestia che esprime unità tra di noi.
La mia vita di fede scarna si rifà a Gesù che si ritirava in disparte per interrogare il Padre. L'incontro con Dio non è un parallelo, ma un incrocio con la vita.
Sento l'importanza della dimensione comunitaria anche se è dura (la vivo in particolare da 6 anni). Al di là delle esigenze personali lasciarsi interrogare dagli altri. Questo stravolge tutte le nostre sicurezze.

SERGIO: E' per me difficile di parlare di fede e di preghiera. Esse fanno parte della dimensione più indicibile della mia vita.
Come ho il diritto di vivere, cosi la mia preghiera ha il diritto di esistere sia nella società, sia nella Chiesa. Ho il diritto di essere accettato come prete operaio, come persona che lotta. E se questo diritto mi è negato dalla istituzione Chiesa, ho intenzione di conquistarmelo.
La preghiera mi aiuta a far sì che il mio lavoro, il mio attivismo non sia qualcosa di geloso (corporativismo). La preghiera mi apre orizzonti di internazionalismo. Di universalismo. Cristo, pur essendo un attivista, si ritira a pregare.
Mi pongo spesso anche il problema del diritto alla preghiera ufficiale della Chiesa (il culto, le varie espressioni liturgiche) perché, nonostante tutto, questa è la Chiesa di Cristo.

UMBERTO: Come parroco gestisco la preghiera ufficiale della Chiesa. Fin da giovane ho riservato del tempo per me e per la preghiera. Se questo mi manca sono morto, non riesco a restare in piedi. Prego di giorno togliendo tempo ad altre attività. Nel silenzio cerco di farmi interrogare dai fatti. Rischio che quel tempo diventi per me alienazione e non incontro con Dio. Bisogno del confronto con la vita della gente. Non essere travolti dagli avvenimenti, ma dominarli.
Dio ci domanda di diventare adulti riguardo alle sue cose. E' infantilismo chiedere a Dio ciò che dobbiamo fare noi. Oggi la storia ci domanda di fare dei passi. C'è il rischio di diventare adulti senza la fede.
A cosa serve la Messa, il catechismo, i sacramenti?
Anche la religione popolare forse deve diventare adulta. Dio vuol fare un suo popolo. Qual'è questo nuovo popolo?
Il problema della Chiesa.

GIANCARLO: Ho sempre avuto voglia di vivere, di lottare, di emergere, forse perché eravamo 12 fratelli. Uno stile di vita che mi ha portato anche a cercare una preghiera più legata al quotidiano.
Sono passato dalla preghiera ufficiale e canonica alla preghiera come fedeltà costante alla vita.
ANNAMARIA: Perché si parla solo tra preti della preghiera? Cosa vuoi dire per noi «persone normali» vivere la preghiera? Come fare perché la lotta e la contemplazione siano di tutti? Che spazio hanno i laici? Eppure anche noi abbiamo il diritto di pregare.

GIORGIO: Vivo una situazione confusa. Dall'origine contadina sono passato alla fabbrica. Prima mi era facile pregare (la campagna e la sua cultura erano la mia realtà naturale) oggi non riesco a pregare.
Come fare affinché la preghiera non sia staccata da ciò che vivo?

PIERO: Se la preghiera è ricerca dell'essenziale alla vita, entrare dentro le cose, è superato il problema della divisione tra vita e preghiera. La vita stessa si fa preghiera. Il volto nuovo della preghiera deve essere la ricerca dell'essenzialità.
Ho frequentato, e lo farò ancora, i luoghi privilegiati della preghiera (i vari Spello, Camaldoli... ) per esigenza di lettura della mia realtà personale.
Mi sforzo di leggere profondamente il quotidiano.
C'è oggi la ricerca del modo migliore per utilizzare il tempo libero. Per certi versi può trattarsi della ricerca dei valori più profondi (essere e non avere).
Preghiera come momento di sintesi di tutto ciò che è essenziale nel quotidiano, nel vissuto, nel politico (la classe operaia).
SIRIO: E' per me essenziale il rapporto con Dio. Sento l'esigenza pressante di concretizzare una vita di preghiera calata nella realtà del nostro tempo. Che questo sia un fatto di preti è già importante.
Ricordo benissimo l'editto con il quale il Card. Pizzardo cancellò l'esperienza dei preti operai francesi: «..è impossibile per un prete vivere la vita operaia perché perderebbe la fede...».
Lo Spirito di Dio continua ad essere libero e soffia dove vuole e porta avanti il suo regno. E' bello poter scoprire la presenza di Dio nella condizione operaia.
La nostra è fede nel Dio creatore del mondo. Dio è dentro la storia in un modo misterioso ma creativo. Presenza di amore.
Dalla storia di Abramo in poi: dialogo e patto di Dio con l'uomo. Gesù ne è l'indicazione più chiara: Dio interviene nella storia determinandola.
Sta al cristiano, è ruolo del prete precisare l'esserci dentro di Dio nella storia. Scoprire la presenza di Dio nelle persone, nei gruppi... Snebbiare tale presenza. .
Chi non cerca la presenza di Dio fa cadere il rapporto personale con lui. Servire la presenza di Dio negli altri (l'amore per i fratelli) anche sul piano pratico. E' difficile scoprire Dio (la fatica della fede) nei fatti che stanno succedendo oggi. La stessa Chiesa annebbia tale presenza e rende quindi più dura la fatica della scoperta.
Entrare dentro, lottare, coinvolgersi senza mezze misure, giocarci tutto: in questo consiste la fede. Creare le condizioni più autentiche di una realtà di preghiera, che è il rivivere e riassumere la ricerca di Dio presente nella storia, in un dialogo con lui. Chi prega riassume per tutti gli uomini questa ricerca. La preghiera personale non è pregare per se stessi. Cristo "gridava a Dio nella notte" (Marco). Chi si immerge nella lettura della realtà non vive l'alienazione.
L'azione è importante però certi coinvolgimenti sono legati alla preghiera. Si possono fare certe cose senza perdersi.
Scoprire momenti di silenzio. Non lasciarsi sopraffare dalle circostanze.

GIGI: La gente del popolo prega in modo semplice. A questo mondo manca la proposta della parola di Dio ed invece sovrabbonda la violenza della Chiesa (interessi, cultura. .. ). Farsi popolo forse vuol dire leggere meno ma capire di più come le persone semplici sanno pregare e incontrare Dio. Cercare i modi per far «parlare» questo stile di preghiera.

ILARIO: Se c'è divisione tra azione e contemplazione è necessario ritrovare l'unità.
Nel modo semplice de «Il pellegrino russo», nella vita di tutti i giorni, nell'essenzialità. Lettura biblica con altri come preghiera. Aiuto a vedere Dio che vive assieme all'uomo.
Personalmente sto facendo esperienza negativa della preghiera ufficiale della Chiesa.
La parrocchia e i suoi gestori, i suoi strumenti non sono più dei poveri. Cercare la contemplazione nella vita di tutti i giorni.

GIANNI: Devo dare un nome a Dio, affinché non resti da me troppo lontano. A 20 anni lo chiamavo AMORE. Oggi non riesco a trovargli un nome, a causa della formazione ricevuta in Seminario che mi ha costretto a cristallizzare concetti ed espressioni. Ma il popolo non cristallizza ed è più fedele. Vorrei essere un prete della gente ed essere capace di chiamare Dio con i nomi con cui la gente lo chiama.

UMBERTO: Riuscire a pregare è un dono di Dio. E' Dio che insegna a pregare. E' necessario per tutti fare un cammino personale perché Dio, che dà a ciascuno una particolare missione, insegna a pregare a ciascuno secondo la sua missione.
Mi dispiace allora se non sono capace di pregare come prete (con una particolare posizione sociale, ecclesiale, politica ed economica).
Farsi voce di chi non è capace di pregare. Aver il coraggio di sognare anche l'impossibile. Sta al prete il compito di scoprire l'immensità del progetto di Dio cui niente è impossibile. Fare il grido del popolo. Penso alla preghiera di chi non va in chiesa. La pietà popolare non deve diventare ateismo. Eppure un certo tipo di preghiera è fatto apposta per i poveri (Padre nostro). Non è vero che levando le formule la gente impari a pregare. Gradualmente Dio trascina la gente a diventare adulta, ma non spetta a me far percorrere tutto il cammino.


Gianni Manziega

Dalla comunità degli amici

Continuiamo a pubblicare molto volentieri stralci di lettere di amici: è anche questa una comunione, un segno di unità...

• «La morte di un giornaletto forse non è gran cosa, ma era praticamente l'unico tramite del mio rapporto con voi. Certo la solitudine è qualcosa di specifico nella vostra esperienza, da quando vi conosco; ma mi rattrista pensare che la solitudine degenerasse in isolamento. Ora ho visto fugare questi timori, e con me altri amici».

• «Continuate sempre! Date modo così di conoscere una esperienza di Chiesa che almeno si impegna per essere più autentica, più fedele al messaggio originale, senza interessi materiali da difendere. E' un segno di speranza conoscere la vita, le riflessioni di chi è impegnato in questa ricerca. A volte viene la tentazione di lasciar perdere la lotta, di orientarsi diversamente perché sembra di essere soli ad avere l'esigenza di autenticità e perciò dà carica per continuare il sapere che esistono e conoscere altri che vogliono le stesse cose e stanno vivendo in questa dimensione».

• «..Esistono altri peccati che sono debolezze, che sono tagli più o meno volontari al nostro sì, ma non sono peccati di morte. Peccati di morte sono le ingiustizie, gli idoli, ogni sostituzione di noi o delle nostre cose temporali a Dio; il non amare, che è uno dei peccati più grandi, preferire la nostra libertà a Dio. Guai se vi fermate (se ci pensiamo) un solo attimo, perché rubiamo agli altri noi stessi. Bisogna sempre essere fedeli al nostro « fìat» definitivo ed è necessario ripetere a Dio il desiderio fervido che egli effonda in ogni istante su di noi la sorgente della luce e della VERA VERITA', soprattutto nei momenti di oscurità, di incertezza, di disorientamento. Mi sembra di aver capito chiaramente che si è più liberi con Dio che senza di Lui. Sentirsi in comunione con Dio che senza di Lui. Sentirsi in comunione con Dio e con il creato è una gioia grande, è una gioia sempre nuova. Ho scoperto che la Pasqua è la gioia che si ha dopo la burrasca durata magari a lungo, dopo la crisi, la disperazione, la solitudine, e ritornare finalmente ad amare, che è la sola cosa che può dar senso alla vita Ho provato a star lontano da Dio di proposito: è una cosa tremenda, è un vero morire.»

• «Trovo molto importante che voi incoraggiate gli altri a vivere, nonostante tutte le difficoltà, ma vita diversa, qualificata dalla Fede. Mi pare importante approfon-dire un discorso sulla preghiera che diventi motivo di vita per noi e testimonianza per gli altri. Pensavo di aver imparato almeno un pochino a pregare, quando mi ritrovo completamente incapace. In questa realtà cosi conflittuale vivo il mio oggi. Un po' come tutti. Ma proprio per questo c'è bisogno di punti di riferimento. Con-tinuate pertanto ad esserlo almeno voi!»

• «Sono rimasto molto colpito e nello stesso tempo contento della iniziativa del vostro giornale in quanto ritengo che la fede non possa essere altro che vissuta, diventando esperienza personale in ognuno di noi, per essere speranza certa e senso profondo, reale, della nostra vita. Considero la vostra iniziativa quanto mai utile per la testimonianza che offre come strumento di stimolo e di riflessione, e quindi catechetico, per ogni cristiano. »

• «Quello che faccio, la fede che vivo, da una parte mi fa esultare di gioia, dall'altra mi dà anche tanta paura. Mi rendo sempre più conto però che è la paura di chi si accorge che non può tirarsi indietro perché Dio che è entrato nella mia vita ha un progetto che vuol realizzare. E' il sentire che ad un certo punto non sono più io che decido, che programmo la mia vita, ma qualcun altro che attraverso i fatti, gli incontri, mi conduce dove non so. I dubbi e le paure, le incertezze, le difficoltà della lotta di ogni giorno ci sono, e credo siano giuste e logiche. Non solo, ma sento che i limiti del mio peccato delle mie debolezze sono quelli che mi fanno sentire veramente insieme con i poveri, perché sento che di fronte a Dio non ho altro che questo e nonostante tutto lui mi ama. Ho voglia di vivere, di comunicare quello di cui ho fatto esperienza: l'amore di Dio che ha dato un senso a tutta la mia esistenza. La voglia di vivere non mi fa dimenticare il peso della croce e della morte, che è di tutti i giorni, ma la certezza che uno prima di noi ha vinto la morte è la forza per continuare. »

• «Trovo veramente delle grossissime difficoltà ad avvicinarmi a Dio di stare un po' insieme con lui. E non perché nutro dei dubbi sulla sua esistenza, ma piuttosto perché mi sento molto lontano da lui, soffocato in mille compromessi falsità, ipocrisie. Se una volta cioè tutte queste compromissioni giornaliere non mi pesavano (e questa era una grossa ipocrisia) ora me ne sento carico, carico. Sento di aver giocato con Lui, di averlo preso in giro, di aver recepito ciò che mi faceva comodo e basta. Non sono pessimista in questo: se veramente avessi aderito alla sua parola al suo amore non sarei più perso a casa mia, fra le mie comodità, e tante altre borghesissime cose! E' un discorso proprio di chiarezza! La cosa più strana è riuscire a capire come tutto ciò sia avvenuto: senza quasi preavviso, tutto mi è crollato davanti. Non faccio più la comunione nè mi confesso da oltre un anno... Mi sento proprio come una candela che si sta spengendo.. Mi accorgo ora che se prima lottavo «in nome del Vangelo» lo facevo in realtà per una gratificazione mia. Non che fossi insincero, perché ho fatto tutto con fede e con gioia, anche cose che mi sono costate moltissimo, ma è da ora che vedo quanto siano state labili tutte le motivazioni. Sono poi profondamente schifato di ciò che rappresenta la Chiesa nella società, di ciò che ancora continua a fare in favore dei potenti, dei ricchi ed ipocriti come me. »

• «Anche noi «siamo ancora vivi» nel senso però che non siamo ancora morti. In effetti non possiamo dire di non essere contenti, anzi felici: ... e fossimo soli! Se non ci fosse cioè intorno a noi un mare di persone che conoscono soltanto il dolore, la sofferenza, la solitudine e una società che conosce solo l'ingiustizia, la violenza, la sopraffazione; e tutto questo non si può nascondere facendo finta di non vedere!»

• «Il momento attuale della vita nel nostro paese e nel mondo intero non è dei più chiari dei più semplici, e sempre di più manca in noi l'Amore. Sembra che la vita venga mandata avanti solo sull'egoismo. Nonostante questo, continuate sempre nel vostro parlare ed offrire ai fratelli parole di VERITA' e di FEDE nel CRISTO RISORTO. »

Fede Non-violenza e Pace

Cerchiamo di capire con il Vangelo come occorre sempre fare di fronte ad un problema, il problema che oggi più che mai ci sta a cuore: che cosa è la pace, come la si fa, qual'è la vera pace?
La prima frase che ci viene in mente è «Vi lascio la pace, vi do la mia pace: non come la da il mondo, io ve la do». E' una rassicurazione totale, che non dovrebbe lasciare preoccupazioni, e infatti essa prosegue con «Non si turbi il vostro cuore, né si spaventi» Gv. 14,24. E' tutto. Chi ha fede può fermarsi a questo e può ritenere così come hanno fatto per secoli milioni di cristiani, che con Gesù tutto è compiuto, che la pace è assicurata.
Però che cosa significa avere fede? Non si rischia di cadere in un semplice sentimento di fiducia?
E si può far durare a lungo un sentimento oppure la vita con il suo variare ci porta a vivere tante situazioni diverse che con questo sentimento non hanno nessuna relazione? E che pensare quando poi, riflettendo alla nostra vita cristiana effettiva ci ricordiamo che nonostante tutte le nostre buone intenzioni ci siamo resi colpevoli di durezze e di conflitti che certamente potevano essere risolti purché si sapesse prenderli nella maniera migliore.
L'altro grande insegnamento che Gesù dà a proposito di pace è nelle beatitudini; ce n'è una e-spressamente per quelli che fanno la pace ed è conclusiva, o quasi. Dice «Beati quelli che procurano la pace, perché saranno figli di Dio». E che sia una beatitudine importante lo indica la promessa: "l'essere chiamati figli di Dio, che è quasi come il diventare figli di Dio", il massimo che Gesù può fare con noi, come dice Giovanni 1,12: "A quanti però lo ricevettero, diede potere di diventare figli di Dio", cioè creature che giungono alla loro perfezione, quella di essere state create da Dio e di sapersi elevare a veri e propri figli di Dio.
Ma se le beatitudini non sono state realizzate nel corso dei secoli, e anzi il mondo cristiano occidentale le ha travisate totalmente, è perché a un certo punto della nostra riflessione, esse ci sfuggono, il nostro pensiero gira a vuoto e non sa più come proseguire un filo di ragionamento.
In questo caso è la parola stessa "Dio" che non ci fa capire la beatitudine; o meglio, è per come noi intendiamo Dio: come i bambini noi pensiamo a quello che ci è superiore in qualcuna o in tutte le nostre qualità. E' chiaro che se Dio ci è superiore in maniera illimitata, allora noi non riusciamo ad avvicinarci a lui se non per virtù sua, cioè per un miracolo; la mia vita si restringe ad attendere fiduciosa, il mio corpo e la mia attività si riducono poco più che all'inerzia.
Questo nostro atteggiamento non terrebbe conto però del fatto stesso su cui stiamo riflettendo: che stiamo parlando delle parole di Gesù che è il Dio incarnato. Gesù è il Dio che rovescia la concezione infantile della divinità: è il Bambinello, è il Figlio dell'Uomo, è il Povero Cristo in croce, ed eppure è Figlio di Dio o meglio Dio-Figlio. E il Vangelo ci chiarisce che, qualsiasi sia la nostra condizione umana, noi abbiamo potenzialità di diventare figli di Dio, come Lui stesso ci ha detto e ci ha fatto dire da Giovanni. Allora quando si dice figli di Dio si dice qualcosa che deve essere chiarito, che non deve rifarsi alla antica concezione infantile (sempre presente anche nei cristiani) e che deve includere anche Gesù.
A mio parere tutte le difficoltà discendono dal fatto che noi ci siamo dimenticati per secoli che il nostro Dio è tanto incarnato da essere addirittura tre Persone, che il nostro Dio è una Trinità: quando si voglia fare un discorso concreto su di Lui, come adesso per capire che cosa sono i figli di Dio, allora diventa indispensabile vederLo nella Sua concretezza, nelle Sue caratteristiche e nelle Sue differenziazioni. Qui dobbiamo ricordarci l'insegnamento di una grande figura spirituale, di un figlio di Dio: Gioacchino da Fiore. Egli ha sviluppato ampiamente la riflessione sulla Trinità, facendone la base della vita spirituale cristiana e della vita religiosa. Vediamo allora chi è la Trinità.
Chi è il Padre? E' la Verità, la Legge , la Giustizia.
Chi è il Figlio? La Giustizia incarnata, il Sacrificio, la Conversione.
Chi è lo Spirito Santo? La Grazia, l'Ispirazione, la Comunicativa.
Queste cose le sappiamo bene e non ci sono dubbi. Forse se ne possono aggiungere altre, solo per caratterizzare meglio, non certo in alternativa a queste.
Adesso proseguiamo. Che cosa vuol dire essere Figli di Dio? O anche essere chiamati Figli di Dio, cioè apparire agli occhi della gente come le migliore realizzazione di Dio in Terra; cioè essere degli dei (come dice la Bibbia - salmo 81, 6 - e come ricorda Gesù in maniera impressionante agli ebrei - Gv. 1, 35 - "lo ho detto: voi siete dei".)?
Chiaramente significa realizzare il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo; naturalmente, essendo noi uomini e solo uomini, per quel che possiamo, occasionalmente , ma si badi bene unitariamente, perché questo è l'importante (e Gesù ce lo dice nella preghiera sacerdotale «affinché siano perfetti nell'unità» Gv. 17,23).
Allora che cosa significa realizzare il Padre? Realizzare la Verità, la Legge, la Giustizia. Ebbene, Gandhi ha definito la nonviolenza: Forza della Verità. Shantidas (Lanza del Vasto) discepolo di Gandhi ha definito la non violenza: la Forza della Giustizia e forza della Convinzione, della Coerenza.
Essere chiamati figli di Dio significa realizzare agli occhi degli uomini la Ispirazione, la Grazia,la Comunicativa. E qui ricordiamoci non ciò che dicono gli uomini, anche se figli di Dio, sulla nonviolenza e la pace ; ricordiamo quello che ci ha detto il Figlio di Dio.
Che cosa è la nonviolenza secondo il Vangelo? Tutti lo sanno e per millenni il mondo ne ha riso confondendo cristiano per cretino. Gesù dice che il nonviolento è quello che presenta l'altra guancia a colui che lo schiaffeggia, che lascia la tunica a chi gli pretende il mantello ecc. Che cosa ci suggerisce Gesù. con queste parole. Ma è chiaro! Una maniera di interrompere la catena delle violenze scatenate dall'avversario e colpirlo nella sua coscienza. Il porgere l'altra guancia è una maniera di riprendere la comunicativa con il suo animo, rinchiuso e isterilito dagli atti di violenza che sta compiendo; è una maniera di ispirargli una realtà superiore a quella alla quale egli si è condannato agendo da animale brutale. E' una maniera per dargli una grazia che gli può far comprendere la vita soprannaturale che lo può riagganciare alla vita eterna. E' tanto concreta spiritualmente questa maniera di agire che noi stessi che compiamo questo gesto assurdo (secondo la logica di questo mondo) noi stessi facendo così ci riagganciamo alla vita soprannaturale e facciamo da ponte e da sgabello anche a lui.
Sorpresa! Gesù, quando ci parla di nonviolenza, ci parla della nonviolenza come realizzazione dello Spirito Santo. Ma a pensarci bene doveva essere cosi: la nonviolenza del Padre, tutto l'Antico Testamento ce la testimonia e ce la illustra. La non violenza del Figlio, è lo stesso Vangelo che ce la dichiara, soprattutto con l'atto supremo di Gesù, donare la propria vita per la redenzione del mondo dal male, fatto addirittura spirito cioè sacrificio d'amore. Al cristiano, quello che mancava per essere veramente non violento, quello che lo avrebbe reso veramente figlio di Dio perché rendeva unitario, in definitiva perfetto, era la nonviolenza che completa, ce la annuncia, anche se Lui stesso non la potrà esemplificare molto perché è quella di un'altra Persona, e anche se sa che tutto il mondo gli riderà dietro per millenni.
Ma dopo di Lui la strada è tracciata e il Vangelo dà la Buona Novella a chiunque si accosti con animo umile: potete diventare figli di Dio completamente!
Gesù in quel passo voleva comunicarci questa completezza della Trinità tanto è vero che lì egli ricorda anche la nonviolenza del Padre: infatti suggella le famose frasi dello schiaffo sulla guancia con qualche altro versetto dove insiste sempre sul tema, parlando proprio dell'amore, del massimo comandamento; dice "amate i vostri nemici, pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre Vostro che è nei cieli, che fa sorgere il suo sole sui maligni e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti" cioè figli di Colui che è costante, è coerente, è vero, è uguale per tutti. Con questo discorso sulla nonviolenza Gesù ha parlato di tutta la Trinità, non manca che Lui, Gesù. Ma quel che ha da dire di se stesso, Gesù lo fa.
Adesso tutto il Vangelo si illumina meglio: tutte le parole «pace» acquistano un preciso significato.
Alla nascita del Figlio di Dio gli angeli cantano «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà» (Lc 2, 14). E' con Gesù che tutti gli uomini possono diventare figli di Dio, realizzano la pace. Lo stesso dice Zaccaria: «Tu, piccino, sarai chiamato profeta dell'Altissimo, perché andrai avanti al Signore per guidare i nostri passi in una via di pace» (Lc. 1,79).
E gli Apostoli vengono inviati "come agnelli tra i lupi", facendo affidamento solo sulla comunicazione umana. "E in qualunque casa entriate, prima dite Pace a questa casa". E se lì c'è un figlio di pace, la vostra pace riposerà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi". (Lc. 10, 5-6).
E lui stesso, Gesù, saluta con il saluto di pace, solo dopo aver compiuto la sua missione di Figlio di Dio dopo il Sacrificio, la sua maniera di fare nonviolenza. Solo dopo la Croce egli dice "Pace a voi". (Lc. 24,36; Gv. 20,26) e anzi "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi" (Gv. 20,21). Potremmo tradurre, come il Padre mi ha fatto crescere a Figlio di Dio, così io faccio crescere voi a figli di Dio.
La pace di Gesù è la realizzazione del sacrificio, della disciplina. E lui lo dice: «Venite a me tutti voi che siete stanchi ed oppressi ed io vi conforterò. Prendete su di voi il mio giogo ed imparate da me, che sono mite ed umile di cuore, e troverete riposo per le vostre anime: perché il mio giogo è soave e il mio peso è leggero» (Mt. 11, 28-30).
Perché soave e leggero? Perché il Sacrificio secondo Gesù non ha nulla di artificioso, è quello giusto, è quello necessario, quello che fa il massimo risparmio di vittime, quello che dà gioia perché dà la resurrezione.
Però bisogna sapere la strada del giusto sacrificio. «Ora credete? Ecco viene l'ora, anzi è venuta, che vi disperdete ciascuno per conto suo, e mi lascerete solo; ma non sono solo, perché il Padre è con me. Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me; nel mondo avete tribolazioni; ma coraggio: io ho vinto il mondo»! (Gv, 16,31-33).
E chi non conosce questa strada ben difficilmente si salva dalla perdizione. A Gerusalemme che non ha voluto convertirsi e sacrificarsi Gesù dice: «Se avessi conosciuto anche tu in questo giorno quello che porta alla pace!». Era la domenica delle Palme, per Gesù l'inizio della Croce.
E' chiaro che allora Gesù può dire della sua pace: «Non come la dà il mondo, io ve la do» (e aggiunge subito: «Non si turbi il vostro cuore, né si spaventi» perché non c'è reale motivo di spaventarsi, e Gesù ce lo dimostrerà con la Resurrezione).
Ma come può dare il mondo la pace? Cerchiamo di capirlo per misurare tutta la distanza tra la pace di Gesù e di Dio da una parte e la pace del mondo dall'altra.
Lo dice Giovanni «venne in casa sua ed i suoi non l'accolsero»; perché? Perché Lui era Sacrificio, e il mondo tutto può arrivare a volere trasfigurandolo, meno che il Sacrificio, meno che la Croce, meno che la Morte.
Che comporta ciò? E' semplice. Che il mondo annulla o mutila la Persona di Gesù e pertanto non conosce più la vera Trinità, cioè non conosce il vero Dio, conosce solo degli dei imperfetti; degli dei pagani.
E tutti questi diversi dei risultano però tutti uguali: perché sono tutti dati da una contrapposizione di due, della caricatura a basso livello delle due Persone rimanenti della Trinità del vero Dio; caricature del Padre e dello Spirito. O si esalta la Legge, la Regola, la Giustizia e si vede il pericolo nell'opposto, il Disordine, l'Ingiustizia, la Disperazione; oppure si esalta la Creatività, la Libertà la Spontaneità e si vede il pericolo nella Rigidità, nella Tirannia, nell'Organizzazione. Di fatto si contrappongono sempre due cose. Si riduce tutto a lotta tra Bene e Male, che per poter recuperare tutta la realtà (che comprenderebbe anche il Figlio e quindi, di fatto diventata irraggiungibile) si sono tanto dilatati da espandersi fino là dove incomincia l'altro; e quindi si contrappongono e si contrastano come due realtà mutualmente incompatibili. Da qui la incomunicabilità , la chiusura, la guerra, la soppressione dell'altro, la giustificazione della mostruosità in nome della Giustizia e della Libertà della violenza.
Come può allora il mondo, lo stesso mondo che ha mutilato la realtà abolendo il Figlio e ren-dendo caricatura le altre persone, come può questo mondo dare la pace? Di quale pace si tratta? Si tratta di una pace che è un'altra caricatura: l'unità.
Nel mondo si fa pace quando si annullano le differenze, non perché positivamente le si superano, ma perché le si dimenticano, le si fanno dimenticare con la forza e con il terrore; si fa la pace quando si domina o con la forza del potere o con la persuasione occulta, o con il distruggere degli oppositori o con lo snaturarli, l'assorbirli, l'evitarli. La pace del mondo è essenzialmente una falsità un allontanamento dalla realtà, un allontanamento dalla storia effettiva, quella che partecipa del Dio effettivo, è un camminare in bilico che alla fine porterà al crollo o allo scoppio: la guerra, la rivoluzione violenta.
Per questo Gesù porta la spada: " Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra, non sono venuto a mettere pace, ma spada.
Infatti sono venuto a separare l'uomo dal padre suo, la figlia da sua madre, la nuora dalla suocera; e nemici dell'uomo saranno i suoi di casa. Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me.. Chi ha trovato la sua vita la perderà; e chi ha perduto la sua vita per me la troverà" (Mt.l0, 34-39).
La frattura che crea la spada di Gesù rompe ogni falsa pace, in qualsiasi aggregazione umana sia, anche in quella (al suo tempo ancestrale) della unità familiare; e si estende fino in fondo, fino nell'intimo di ogni uomo, fino alla sua vita tutta.
Ma è efficace la pace di Gesù? E' efficace la nonviolenza? Come fare a crederci quando vediamo il mondo sempre in guerra e noi stessi colpevoli e turbati in continuazione, senza la possibilità di assicurarsi una vita affettiva esente da tempeste, una vita familiare esente da conflitti, una vita sociale esente da tradimenti e da sconvolgimenti? Ricordiamocelo, Gesù non è venuto per toglierci dal mondo ma per farci fare da sale; per essere nel mondo ma tuttavia non essere del mondo; per realizzare, per quel che possiamo, la realtà divina. Non siamo molto efficaci, perché Lui ci mette in bocca le parole "Dite: siamo servi inutili e infedeli". (Lc 17,10). Ma sappiamo di essere efficaci così tanto quanto lo è Dio in terra, E questo è certamente il massimo che ci possiamo ripromettere di fare, al di fuori di ogni imbelle fantasticheria di magnipotenza o di grandiosità. E 'se la storia non ci dà la ragione, e la nostra nonviolenza non riesce a smuovere i macigni di pietra dei cuori degli uomini (e del nostro cuore?) riconosciamolo francamente che forse non si poteva fare di più: Dio stesso ha redento l'umanità ma non ha eliminato il mondo che continua ad esistere con tutta la potenza del suo male.
Allora usciamo dalla pace del mondo e ricerchiamo la pace di Gesù. Ma per cercare la pace di Gesù dobbiamo seguire il suo esempio; lo sappiamo bene. E allora seguiamo il suo esempio, dettoci nel Vangelo. Che cosa ci dice Gesù di come si fa la pace? L'abbiamo visto, non ci dice come Lui fa la pace, perché Lui la pace non la dice ma la fa. Chiariamoci questo, che la pace, per essere cristiana, non la si dice ma la si fa. La vita di Gesù ci insegna come fare: prepararsi e poi agire per la redenzione degli uomini, mediante il nostro sacrificio d'amore.
Prima del passo sullo schiaffo c'erano le beatitudini: con esse Gesù dice in qual modo noi possiamo fare la pace in mezzo agli uomini, come si fa la politica, la politica cristiana; quella espressa per la prima volta a livello di massa dagli indiani di Gandhi. Per un cristiano non c'è altra maniera di fare pace che quella di sacrificarsi per farla. Questo è il segno che non siamo nella pace del mondo ma facciamo la pace di Gesù. La pace è la certezza gioiosa di aver compiuto il giusto sacrificio. E saremo chiamati «figli di Dio».

A. Drago

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