In questi nostri tempi si pone sempre più ed in modo impietoso un giudicare la validità o no del Cristianesimo: cioè se il messaggio cristiano ha ancora da offrire agli uomini del nostro tempo valori capaci d'intervenire e di essere presenti a pieno diritto nella ricerca di soluzioni della problematica dell'esistenza e della convivenza umana in tutta la sua totalità.
E" impressionante la non fiducia, il disinteresse, la svalutazione, il lasciar cadere il Cristianesimo, anche semplicemente come problema meritevole di considerazione, da parte del popolo e tanto più del popolo dei giovani.
Ne viene tutta un'analisi che potrebbe essere impietosa, se veramente oggettiva, perché coinvolgerebbe tutta la Chiesa gerarchica, è vero, per responsabilità spaventose, ma anche tutta una cristianità di base nata su dalla potenza dello Spirito e dalle violentazioni della storia.
Veramente inconsolabile se non attraverso una speranza fatta unicamente di quella Fede, che crede che Dio può anche l'impossibile.
Ma proprio perché tutto è al di là della speranza, è inevitabile cercare spazi di una collocazione d'impegno cristiano là dove vi è vuoto di tutto. Vuoto anche di quelli che sono chiamati i valori cioè le tecniche e le risorse cui gli uomini si affidano per la costruzione della convivenza, della socialità, della cultura, della civiltà, della vita.
E sono innumerevoli le risorse che creano la fiducia: si riassumono tutte nel potere e il potere si specifica in una descrizione tanto vasta quanto inutile perché ormai tutto è imposto e accettato in un regime di delega e è impossibile il pensare che vi sia capacità decisionale. Tutto esiste ed eccolo lì a portata di mano, ma la libertà non esiste e non sappiamo nemmeno cosa sia.
E' possibile spazzare via tutto e creare uno spazio di assoluta e totale disponibilità? Cancellare ogni cosa e ritrovare un'anima a pagina bianca dove cominciare a scrivere una storia nuova? Sopprimere l'uomo vecchio - di milioni di anni di civiltà, cioè di imbroglio di uomini - e nascere nuovi dal seno di nostra madre terra?
Allora è trovare, è ritrovare lo spazio per la Fede.
Perché Dio e credibile soltanto nella libertà. E opera la creazione nel vuoto del nulla. Dio non è trasformazione, è creazione.
Gesù Cristo è venuto a fare il vuoto dove traboccava la costruzione dell'uomo e ha prediletto dove non era ricchezza e perbenismo perché là era tutto da creare.
Se vogliamo trovare lo spazio per la Fede occorre la violenza di una falce che sgombri la terra e di un aratro che la fecondi: arriverà allora il frumento del 30, del 60, del 100 per uno.
Attualmente l'impegno cristiano e la sua sincerità sta tutto nel disprezzo di tutto quello che la nostra civiltà stupida e narcotizzante sta apprezzando e valorizzando.
Non è oscurantismo, è semplicemente liberazione. E certa liberazione unicamente capace di ridare e riportare equilibrio cioè giusta valutazione dell'esistenza umana, è impegno e dovere del cristiano.
Lo sarebbe anche della Chiesa ma è semplicemente assurdo pensarlo e pazzesco aspettarlo, a meno che la «purificazione non cominci veramente dal tempio». Ma i segni tolgono la speranza e gli uomini di Chiesa spengono sempre la fiducia.
.. (manca del testo nell'originale e una riga "sé la violenza dello Spirito che deve affrontare il" non si connette con altro).
Allora è ogni coscienza che sente di portare in costruirsi il proprio spazio di Fede e lì vivere tutta l'intensità del mistero di Dio e tutta la responsabilità di un rapporto d'amore e di lotta nel proprio tempo.
Logicamente è importante sapere ciò da cui è necessario liberarsi. Tutto quello contro cui è doveroso scontrarsi e lottare. E conoscere e amare appassionatamente la Verità.
La Verità dev'essere valore assoluto. Non ha bisogno di niente la Verità. E' come la luce del sole: possono spegnersi tutte le lampade, non servono altro che a rilevare quanto sono ridicole e inutili.
E nel cielo dell'anima non vi può e non vi deve essere tramonto se Dio è accettato e accolto come Lui è e dev'essere, l'unico, l'assoluto... Nel vivere la vita e nella prospettiva della storia non vi può e non vi deve essere buio e tenebra di notte, ma la perennità dell'aurora, il sorgere e il risorgere incessante, glorioso della speranza.
Allora avviene, miracolosamente, il dilatarsi dello spazio della Fede, nonostante l'oppressione e la costrizione di essere ridotti ai dieci centimetri quadrati, giusto lo spazio dove posano i piedi.
Scriviamo questi nostri fogli veramente come lettere fra noi a comunicarci tutto dell'anima nostra e per i nostri amici per offrire a chi è con noi e vive insieme a noi, anche se in condizioni diverse di vita e di luogo, la sincerità di un soffrire, la trepidazione di un'attesa, la fatica della ricerca.
Evidentemente non abbiamo paura della crisi, né nostra, né di quella della Chiesa, né di quella culturale e politica.
Abbiamo paura invece della sistemazione, della passività, dell'attendismo, dell'appiattimento, cioè della morte, quella che non vuol saperne di resurrezione.
E quindi di tutta una lotta o piuttosto di una pseudo lotta riformista a base di tranquillanti e di narcotici vari, invece di una chiara e adorabile lotta autenticamente rivoluzionaria. Anche se ci rendiamo conto che il progetto è infinitamente più grande di noi. Non però della potenza dello Spirito di Dio.
La Redazione
Ho scritto queste riflessioni alla vigilia del mio 13° anniversario di consacrazione sacerdotale: non per fare un bilancio del cammino percorso dal 29 Giugno '63, quanto per cercare di comprendere con più profondità possibile il senso del «sì» che ho detto allora con tutto il cuore allo Spirito di Dio perché prendesse interamente la mia vita. Questi anni sono stati un continuo tentativo di rispondere con fedeltà alla Presenza che è entrata misteriosamente da allora nella mia storia: pur avendo chiara coscienza della vigliaccheria e della poca generosità con cui tante volte ho risposto all'urgenza di Dio in me, debbo riconoscere che l'Amore di chi è venuto ad incontrarmi sulla mia strada è stato più forte di ogni altra cosa.
In questo momento sento soprattutto questa realtà di Presenza che Dio ha mantenuto nonostante tutto o attraverso tutto nel mio destino: oggi, come allora e molto di più, sento di potergli ridire il mio «sì» portando con me tutta una realtà umana che è quella con cui mi sono legato in questi anni e nella quale ho tentato - in modo molto povero, semplice ma totale - di vivere l'impegno sacerdotale, l'annuncio e la testimonianza del Regno di Dio.
Sacerdozio per me sento che significa sempre più questo essere vita e storia interamente data perché la Presenza del Padre si faccia evidenza nell'amore gratuito per tutte le creature. Specialmente là dove il peso e la solitudine della vita umana diventa deserto, dove tutto fa pensare all'assurdo, al nonsenso dell'esistenza; dove il dolore o il male scavano vuoti senza fondo, dove lo schiacciamento dell'uomo sull'altro uomo toglie ogni possibilità di scoprire il volto dell'Amore. Sacerdozio sento questo impegno, questa volontà ad essere realtà di speranza, di comunione, di coraggio, di fiducia, di luce accesa a vincere il buio.
In questa prospettiva ha senso per me oggi celebrare l'Eucarestia, dare il Battesimo, continuare i .gestì sacramentali: come segni dell'Amore di Dio Padre che Gesù ci ha comandato di testimoniare in essi perché Lui li garantisce e li rende veri con la sua storia, con la sua morte e resurrezione. Ma anche come segni vivi che nascono dal tentativo umile ma radicale di giocare la propria vita perché in se stessa, nel suo cercare, nel suo lottare, nel suo sperare e amare sia in qualche modo «sacramento» di salvezza, di liberazione, di amore per l'umanità lacerata dalla divisione e oppressa dal male.
Capisco in questo senso il mio essere - meglio, il mio voler essere - discepolo del Signore Gesù: è l'impegno di fedeltà più urgente e forte che avverto nella mia vita. Vorrei tanto capire i modi concreti perché questo amore per Lui, questa fiducia nella sua Presenza di Risorto nella storia umana si facesse sempre più trasparente, più limpida, più avvertibile da tutti. Vorrei essere interamente fedele a questo destino che ho sempre creduto legato al mio sacerdozio per offrire ai miei fratelli ciò che ritengo sia l'essenziale dell'essere Chiesa nel mondo: comunicare la certezza che l'esistenza umana è abitata da Dio, che questa Presenza ha una storia, una parola, una vita che si chiama Gesù Cristo. E che Lui è il motivo sovrabbondante di speranza, di coraggio a lottare, a vivere, a impe-gnarsi per rendere la terra un luogo di pace e di fraternità.
Per questo mentre rinnovo il mio «sì» al Signore Gesù, sento che in Lui sono ugualmente uniti a questo impegno di fedeltà che consacra la mia vita i poveri, gli oppressi, gli umiliati, gli zingari di tutte le situazioni umane. Quelli che vivono ai margini delle strade del mondo dei furbi, dei potenti, dei forti; quelli che non hanno voce nell'assemblea dei «grandi» e che portano il peso della storia. Vorrei essere sempre più sacerdote di questo popolo, parte viva di questa umanità dove la solitudine è pane quotidiano, dove il disprezzo è di casa, dove l'amicizia vera - quella di cui dice Gesù che è capace «di dare la vita per quelli che si ama» - è la grande sconosciuta. Da questa fedeltà sono sicuramente ancora tanto lontano; avverto che la misura è ancora troppo piccola, che il dono è troppo calcolato, che la strada da fare è molta e richiede abbandono totale a Colui che mi ha messo in cammino. Penso alla solitudine di tanta gente, a certe «periferie dell'anima» di cui a volte mi è capitato di venire a conoscenza; all'immensa solitudine degli uomini che si odiano, si sfruttano: solitudine spesso resa ancora più grande da tutta una storia di cristianità, di religione, di Chiesa che non ha fatto altro che spengere e soffocare il piccolo respiro che ancora teneva accesa la speranza.
Quando ho detto il mio «sì» l'ho detto in piena consapevolezza anche di questa storia triste di Chiesa che non posso assolutamente dimenticare perché essa non è ricordo di tempi lontani, di vicende di medioevo di momenti bui ormai seppelliti: sono brani di cronaca attuale, di incapacità a comprendere l'oggi, il cuore dell'uomo di oggi, l'agitarsi dei nostri tempi, il bisogno di radicalità evangelica di coraggio, di mescolarsi alle lotte dei poveri e dei senza potere. E' storia che continua di una, chiesa-ghetto, invece di una Chiesa-casa di tutti, pane, lievito, luce, sale, sorso d'acqua, fuoco e vento dello Spirito. Nel mio cammino sacerdotale c'è molto netto questo impegno a tentare di scrivere una pagina di storia religiosa che sia finalmente liberata da tutti i compromessi che in qualche modo possano impedire l'incontro col Dio vivente. Ci saranno i miei limiti personali, il velo della mia umanità, la debolezza del mio essere; ma nient'altro deve venire a nascondere la Presenza di Colui che sta alla radice della vita. Ho tanto voluto che in me, nella mia vita finisse tutta una storia di potere clericale, di privilegi strani, di «sacra autorità», di dominio sulle coscienze, di strumentalizzazione politica ed economica del Vangelo.
Per questo sono felice delle mie mani collose, di essere entrato a far parte della classe operaia, di conoscere la stanchezza profonda, il senso di repulsione per una giornata di lavoro, lo sfruttamento del padrone, le piccole lotte quotidiane per la «liberazione», il sogno nato su da tutta una fatica di un mondo diverso, più giusto, più uguale, più vero. Sono felice anche di avere scoperto di persona che l'esperienza della maggior parte della gente - appunto perché è esperienza di strutta-mento economico, culturale, religioso, politico -, non conduce alla scoperta di Dio. all'incontro col Padre, ma spesso al suo rifiuto. Dio è il grande assente da una storia dove i poveri e i piccoli, i pacifici e i mansueti, gli assetati di giustizia sono schiacciati e annientati. Anch'io vivo questa esperienza e condivido questa solitudine che penso sia la più tragica e la più pesante della condizione amana; ma in fondo a questa «assenza» ritrovo miracolosamente la assoluta gratuità della Fede in Gesù: del credere senza vedere, dello sperare al di là del'evidenza dei fatti che l'Amore tutto custodisce nel suo mistero, che la Resurrezione è l' energia che anima tutta la storia. Questa Fede nuda, povera, semplice, fatta di assoluta fiducia in Gesù di Nazareth, nell'accoglienza della sua vita, dei valori che Lui ha proposto, della parola liberatrice che ha annunziato, della comunione fraterna che ha prospettato come segno di Dio nell'esistenza umana è l'anima più profonda del mio cammino sacerdotale e cristiano. Spero di non tradire mai questo impegno di fedeltà ad una vita religiosa ri-schiata giorno per giorno nel vivere senza alcuna difesa la storia del mio tempo, ma soprattutto del popolo a cui sento di essere stato consacrato: il popolo fatto da coloro che non avendo niente, né oro, né potere, né cultura, né altri privilegi può scoprire in Gesù Cristo il suo vero maestro e liberatore.
don Beppe
Avverto in me quella strana, inafferrabile inquietudine che serpeggia per l'aria all'avvicinarsi di un temporale.
Quell'urgenza istintiva del cercare un riparo all'imminenza dei tuoni e delle saette. Un lungo pomeriggio d'estate questi ultimi due anni della mia vita, un pomeriggio immobile, di vita inavvertita e stanca.
Freddi venti del nord stanno rompendo questo equilibrio opprimente. Ho il cuore gonfio di timore, il peso di notti bianche sulle spalle, incubi di tristezza infinita. Mi sorprendo a fissare il vuoto davanti a me come tante donne in attesa del parto.
Soffro l'identica attesa della terra riarsa, indifesa, screpolata e sterile. Avverto il temporale che avanza e mi cresce la rabbia impotente di una nuova, possibile, amara delusione. Come quando il cielo si gonfia, gli alberi sembrano volersi sollevare al cielo sotto un vento teso e vibrante e solo poche gocce spremono grosse nuvole nere invece della dolcissima violenza di un prolungato acquazzone notturno.
Avrei voluto fermare il tempo nella dolce serenità degli anni passati, ma è miracolo impossibile, sottile tentazione demoniaca. La vita incalza: ogni stagione vuole i suoi frutti, oppure se li prende...
Capisco che oggi qualcosa deve accadere per me, qualcosa di nuovo, forse di inatteso. Il fatto che non riesco a precisare il volto di questa mia nuova identità, anche se mi rende scorbutico e ringhioso come forse mai, non mi dà il senso del vuoto, dello "sbaglio irreparabile", dell'imboccare una via senza uscita. D'altra parte so di prepararmi ad una lotta decisiva nella vita, non ad una qualsivoglia soluzione di problemi personali sia pure mascherata dalle più sofisticate motivazioni.
Ho però qualche carta in mano nel giocare il mio rischio. Innanzitutto cerco di accogliermi come sono volgendo in positivo tutta una situazione di emarginazione sofferta fino all'inverosimile nella Chiesa. Quell'angusto spazio di vita religiosa nel quale a poco a poco sono stato costretto a vivere perché la fede in me morisse e fosse costretta a conformarsi si è dilatato e dischiuso alla vita per accogliere in me ed insieme a tanti compagni di strada una comune speranza: poter ricominciare a sognare, a credere una "possibilità ideale", ad accogliere la vita e non a difendersene.
C'è in me quindi, rinnovato, il senso del tempo, delle cose da fare, della essenzialità dei rapporti, delle preparazioni da eseguire, della fatica di una riflessione e di una accoglienza continua. E certo tutto questo crea problemi allo spazio, al tempo, alla loro occupazione, ma ben vengano questi problemi, sono segni della vita.
E c'è anche un'idea che mi frulla in capo da tempo: il cercare e l'aiutare ad emergere tutta una strategia della «debolezza» di fronte ai poteri di questo mondo. Perché il malato è "debolezza" nelle mani di chi cura la sua malattia; il credente è "debolezza" in chi si prende cura della sua fede, i mo-vimenti di base sono "debolezza" in chi li voglia organizzare, il popolo è "debolezza" in chi ne riceve deleghe e poteri... questo nostro mondo in cui ci troviamo a vivere è "debolezza" per le diverse ideo-logie... Dio stesso è "debolezza" per me, per gli uomini, per il mondo.
Non resta quindi anche a me di essere "debolezza", per me stesso, per gli altri, per la vita e, solo per Lui con totale fiducia, per Dio.
Per ora non so dire di più di queste parole, So che di per sé non contano nulla, ma le ho semi-nate in un cuore assetato di vita. Non so quali semi feconderanno le prime piogge d'autunno, ma spero con tutte le forze che qualcosa nasca.
Non faccio tentativi, non affido tutto a progetti piccoli o grandi che siano ed alla loro realizzazione, ma credo in tutta libertà al farsi di una possibilità di vita autentica di ciascuno di noi e del nostro insieme. Non so quando e come queste parole diventeranno vita: il sole rovente mi abbaglia e mi sgomenta la vista. Soffro l'arsura dell'estate e attendo la pioggia.
don Luigi
Carissima, è già qualche mese che non ci vediamo, so di te, di passi compiuti, di conquiste fatte chissà a quale prezzo... l'andare avanti poco o tanto che sia è sempre essere in cammino, ed è nel non fermarci, nel tentare di tutto pur di non arrenderci, o nell'aspettare tenacemente - anche anni - nella speranza di proseguire - che ci incontriamo.
Lo sai ormai da tempo che ti scrivo nei momenti importanti - o in alcune date fisse, quando si fa il punto della situazione. Cosa c'è di nuovo oggi? Gli anni di stallo sono stati insieme (come il pe-riodo di latenza del bambino) anni di preparazione di tante cose, di apprendimento, di raccolta di energie. Sono pronta, per lo meno sicura, della strada da prendere. Sempre più emerge chiaro quel mio famoso sentirmi parte della realtà che vivo, di cui abbiamo tante volte parlato.
Si, in questi ultimi tempi la vita mi ha lentamente coinvolta, come radici invisibili che crescono dappertutto, o piante che ti avvolgono fino a renderti diversa: sono come dicono alcuni sradicata? annacquata rispetto ai valori di prima? Non so e anche se fosse così preferisco essere tale. Ragiono per istinto, come sempre, quando un qualcosa mi diventa concreto, risulta certezza; ragiono con le categorie mentali di questo mondo, sono contagiata forse dalle sue storture, dai trabocchetti del sistema, dall'impossibilità di liberarsi dai mille lacci tesi intorno, dalle faziosità, dalla penosissima difficoltà di trovare un'identità precisa. Ma di contro, al di là delle cosiddette conquiste scientifiche e tecnologiche; o del benessere e delle diverse condizioni di sicurezza sociale contrabbandate per miglioramenti - è proprio la perdita di identità, l'insicurezza radicale, il vedere come e quanto il sistema «può», che ti fa scattare, che dona dimensione di lotta, impossibilità ad arrendersi, forza per rimanere e non evadere, non crearsi mondi incantati in cui abitare e chiamarli Verità, Umanesimo, Libertà, Giustizia. Non mi interessano. Sono isole in un mare di naufraghi, non tutti possono abitarvi, meglio allora rimanere in acqua.
C'è un volto da scoprire, ora, in noi uomini e donne di oggi, ancora confuso, non chiaro, a tratti intravisto, è questo che deve venire alla luce, pazientemente, che ha tutto il diritto di essere aiutato ad emergere, non boicottato dal sistema, non ignorato dai «sapienti»... Prende forma dall'interno della vita con l'emergere di chiarezze, di intuizioni; del coraggio di andare avanti; con l'analisi di quanto vissuto, puntualizzare l'idea e indirizzare l'azione.
Non ci si può fare guidare dal sentimento né dalla sola intelligenza in questo mondo dove la vita si combatte centimetro per centimetro, tutto ciò che abbiamo va usato per scoprire in noi, negli altri, qual'é l'umano per il quale vale la pena vivere. Non per appiccicare alla gente la fisionomia dell'uomo che abbiamo in testa e tentare di fare si che combacino, come gli identikit della polizia: se vi somigliano, bene, se non, sono da scartare. Allora anche noi; chiunque ci giudicherà, il tempo, la storia, i nostri figli il destino o Dio ci giudicheranno in massa (dicono che un uomo può salvare un'epoca, ma se la verità se l'è tenuta per sé a noi cosa serve? se non parla la nostra lingua, se non sa scaldare il nostro cuore, cosa farcene?) ciò che abbiamo compreso è. quello che gli uni con gli altri ci siamo visti negli occhi, quello che abbiamo appreso insieme: gli avvenimenti che ci hanno modellati, costretti o spinti per una strada.
Avverto profonda l'esigenza di una libertà di ricerca in tutti i campi; di un impegno nel sociale e nel politico per tentare di tessere dei fili, di guadagnare terreno, di strappare un po' di libertà; di un'analisi attenta del ruolo della donna che va emergendo, rifiutando il facile giudizio di chi, dicendo che la donna è in crisi e ormai contesta, e ha trovato spazi nuovi, accetta la «crisi» come fatto acquisito, liberante, tappa ultima di un cammino che si va invece appena delineando e che ha bisogno di tutte le nostre forze per diventare chiaro. Di una ricerca di forme alternative che non siano intellettuali ma che nascano dal basso, di raccogliere quei valori che ancora esistono e che permettono all'uomo di sopravvivere al di là della banalità dell'esistenza e delle sue soluzioni offerte da chi ha in mano le leve del potere.
Vorrei potere e sapere mettere in discussione molte cose non tutte (non la voglia di continuare ad esempio) e possedere una tensione interiore che non vuole scartare a priori alcune ipotesi.
Per questo sento grande il bisogno di non avere nessun legame: metto in dubbio che sia possibile abbinare una totalità di ricerca con i rapporti uomo e donna quali quelli (pur sempre vincolanti) vissuti finora. Ma ne riparleremo un'altra volta. Le cose sono ancora da verificare, specialmente la possibilità (se esiste) di una convivenza che sia libertà totale, che non crei aree di vincolo.
E Dio? se Lui cerca ed ama gli uomini troverà con loro anche me, anche te, per me cercarlo va di pari passo con la ricerca del volto, dell'animo, del modo di essere, dell'uomo oggi. Il Dio di una volta non serve più a tanti, nemmeno a me, non mi dà motivo di vivere. Penso al Dio del non ancora, al non scoperto, a colui che è senso e forza della vita in modi diversi per ogni uomo, in ogni epoca. A un Dio non statico, non «a misura», non idolo, forse un giorno capirò perché non accetta di essere «definito», non vuole immagini sue, rompe le possibilità di definizione che paralizzano. Vale la pena vivere per cercarlo, così come vale la pena vivere il nostro tempo, riconoscerci figli di questo mondo, non castrarci in un assurdo negativismo.
Sai, dopo tanti anni che ho iniziato una vita nuova, sono dieci ormai, rompendo i legami con tutto un passato, mi sembra di cominciare a vivere ora. Sento il dovere, il compito, di essere me stessa, come ognuno di noi dovrebbe essere, un se stesso mai ripiegato, non sacrificato, non dipanato solamente a metà, ma teso a quell'evoluzione che via via il tempo e le circostanze richiedono. La vita, in fondo, ci chiede essenzialmente di non tradirci, siamo posti continuamente - in alcuni momenti con maggiore forza - di fronte al bivio: essere me stesso o abdicare. E' imperativo individuare e poi seguire il richiamo della vita, tutto - sarà il richiamo delle sirene che svia chi naviga verso la vita? Non credo, sai, ho troppo rispetto della vita pur nelle sue contraddizioni per sentirla male, per avvertirla quel «mondo» del quale non bisogna fare parte. «Essere in questo mondo ma non di questo mondo». Non credo, forse mai esplicitamente ne abbiamo parlato, mai in questi termini, dico - che per mondo si intenda vita: che un Dio che crea chieda poi di essere uomini; credo invece che non possiamo essere di questo mondo, cioè dei suoi compromessi, della sua negatività, del suo tentativo di impedire alle persone umane di crescere da persone umane, di essere se stessi, di usare una mente, una capacità critica, un cuore, una possibilità di esprimersi, di ricercare.
Per tutto il resto essere totalmente, appassionatamente di questo mondo, anche e soprattutto per un semplicissimo fatto oggettivo: siamo nati e nati in questa epoca. Non si può rifiutare la realtà, la vita. E' tutta davanti a noi, tutta da scoprire ora, a trenta come domani a cinquanta, a ottanta anni, basta non avere paura, non rifiutarci e sostenere, vivendo noi per primi, chi è proiettato verso il domani, chi sogna e progetta il futuro.
Quando ci rivedremo finalmente per parlare di queste e di altre cose fino in fondo, come sempre? cercando chiarendo comunicandoci? Ti stringo forte insieme ai tuoi,
Maria Grazia
Questo articolo è stato scritto prima delle elezioni: non ho trovato dove pubblicarlo perché non è facile trovare ospitalità per divergenze d'idea, tanto più nel periodo della corsa al potere.
Volevo però comunicare agli amici tutto un mio problema dal quale emerge anche l'indicazione di un preciso progetto d'impegno. Chiedo scusa della prolissità dell'articolo e di tutte le sue insufficienze.
Sirio
*
E' una reminiscenza, così, a memoria libera e datata a troppi anni fa, prima della guerra o al suo inizio, perché non abbia niente di intenzionalità per un raffronto e tanto meno una comparizione: vuol essere soltanto un riprendere un'antica sofferenza, una ferita profonda, mai rimarginatasi, nella carne e nell'anima di me ventenne allora e avviato al sacerdozio, in un travaglio interiore e storico autenticamente spaventoso.
Si tratta di un articolo, non ricordo affatto dove fu pubblicato ma può darsi sul Popolo d'Italia - una pubblicazione valeva l'altra quel tempo - di Giovanni Papini, del vecchio leone cattolico ormai in feluca d'accademico d'Italia. Erano esortazioni e letterariamente pungenti com'era nel suo stile, ad un certo lasciarsi andare a cuore sereno, cantando inni e salmi di gioia, da parte di una coscienza cattolica in qualche modo ancora diffidente al trionfalismo fascista, allora già scopertamente imperialista e guerrafondaio.
Dicevo di una ferita rimasta inguarita, ma forse più assai, anche per una profonda delusione. nei confronti dell'uomo dei «Discorsetti ai cattolici» abbindolato al potere (a quel tempo non poteva che essere quello fascista). attraverso la premiazione di una onorificenza accademica.
E allora il potere accomunava tutta la potenzialità dell'errore, della disumanità. E quanto più era. benedetto e consacrato, patteggiato e. condiviso dalla Chiesa, tanto più era e diventava l'anticristo, per una sorta di sacrilega fornicazione dalla quale non poteva nascere che la disumanità del 39-45. Occorreva molta Fede e specialmente una capacità illimitata e pazza per una Speranza: lasciarsi ordinare preti da una Chiesa del 1943. Nati preti e quindi cristiani decisi a perdersi totalmente, come unica ragion d'essere, nel mistero della Fede cristiana, chiaramente intesa come coinvolgimento nella realtà di Dio e dell'uomo. a rischio personale di tutto, perfino ad una qualsiasi altra possibilità di giustificazione a stare al mondo, nati preti sotto il segno di quella maledetta costellazione del potere fascista e nazista, non è possibile che non rimanesse legato alla propria vita, per sempre, un destino di ribellione, un'istintività anarchica. Anche e perché la storia, a ben guardarla in una chiara analisi o visione cristiana che dir si voglia, non può non provocare a toglier via ogni possibilità di affidamento agli uomini e a riporre ogni speranza, ogni fiducia in Dio.
E penso che non sia impossibile una totale libertà da temporalismi di potere senza cadere nel trascendentalismo, nella disincarnazione: sarebbe negare che esista uno spazio o meglio ancora una realtà di presenza attiva e creatrice del cristianesimo nella storia. Un cristianesimo che non ha un ruolo preciso, caratterizzante e insostituibile in forza di se stesso per una creazione di umanità, non è cristianesimo: tutt'al più può essere una religione, alienante e mistificante, inevitabilmente nemica del popolo. E tanto più sepolcro di Dio, senza resurrezione se non per vaneggiamenti.
La storia della lotta dei cristiani di Cristo - santi o eretici che siano - è in questa ricerca e conquista di spazio nella molteplicità dei valori umani e delle disperazioni umane, nel quale Gesù Cristo possa essere Gesù Cristo, cioè il Salvatore dell'umanità. La Fede cristiana non è una componente della storia o un'alternativa, è una proposta che si offre nell'Amore, nata dal pensiero di Dio e piantata nel mondo attraverso una croce.
Dopo tutta una purificazione fatta di lacrime e di sangue durante anni di attesa, di resistenza segreta, a macerazione d'anima in un logorarsi di speranze e di resistenza allo scoperto pagando prezzi di disperazione spaventosi, dopo questa purificazione, nella gioia di una verginità di Fede ritrovata e ormai pronta per nuovi cieli e nuove terre, non possono essere che maledetti quei primi anni di primavera della libertà, per un carcerare di nuovo il cristianesimo e la Fede negli ingranaggi del potere. E ancora di più sacrilegamente perché ora il potere è diventato cristiano.
C'è una chiesa che mi deve chiedere perdono (e non solo a me ma a tutto il popolo cristiano e più ancora a Gesù Cristo) di avermi indotto a credere e di avermi spinto a lottare, in quei primissimi anni del dopo guerra, alla possibilità di una politica, di un potere cristiano.
E se non riemergeva quella chiarezza di coscienza anti fascista, illuminante e liberante, e se lo Spirito di Dio (penso e credo che sia stata anche opera sua) non scavava nella mia Fede l'esigenza di un cristianesimo letto, non negli assurdi trionfalismi della Chiesa, ma nelle pagine del Vangelo e nelle lotte dei poveri, dei lavoratori e in particolare della classe operaia, sarei ancora un crociato a combattere guerre sante per inalberare la croce di Cristo a dominare incontrastata in terre di conquista.
Invece sono ritornato con la gioia della libertà della Fede a leggere le pagine del Vangelo e a innamorarmi di Gesù Cristo, fino al punto da scoprire in Lui la possibilità di un cristianesimo a incarnazione totale di Dio nell'esistenza umana e nella storia per innestarvi una diversità che non fosse religione alienante, ma liberazione dell'uomo per un renderlo capace di alternative: e non di al-ternative di potere a qualsiasi titolo, estrazione e finalizzazione, fino alle più allettanti e raffinate teocrazie giustificate dalla salvezza delle anime, ma unicamente di alternative di forze rivoluzionarie. di contrasto e di lotta a lievitare speranze di umanità diversa disgraziatamente indicabile con parole logorate di devozione e di delusione, come uguaglianza, fraternità, libertà, giustizia...
Ostinazione di Fede, è vero e anche ingenuità imperdonabile, perché certamente l'opposto di una furbizia teologica e pastorale, culturale e politica, ma è stato per ritrovare una fedeltà alle scelte e una volontà di respinta a qualsiasi potere - se non altro significato in me dal mio essere prete - che ho attaccato all'attaccapanni di un cantiere navale la mia divisa di prete e ho indossato la tuta di operaio, del manovale. Non è stato un cambio di appartenenze diverse, né un passaggio da una condizione ad un'altra di vita e d'impegno, tanto meno una ricerca di integrazione e di conciliazione o di possibilità di compromesso, si direbbe oggi, fra posizioni opposte e irriducibili sul piano ideologico e politico, nel tentativo d'incontro nella concretezza della vita o in prospettive pastorali.
E' stato semplicemente un liberarsi da tutto un mondo di potere religioso, culturale, sociale e quindi politico per scendere a livellamenti di popolo, a condizioni di classe operaia in lotta per liberazioni essenziali alla dignità del vivere umano, individuale e collettivo. Condizione fondamentale è la perdita di ogni e qualsiasi potere, fino ad un ombra di reminiscenza e di rinuncia all'affacciarsi dì una qualsiasi prospettiva.
Non sto raccontando storie personali per indurre attenzioni o rispetti o apprezzamenti, ma pubblicamente nella fiducia di poter precisare tutto un atteggiamento e più ancora tutta una forza di scelte, che non possono non nflettersi anche nelle problematiche che stanno travagliando questi nostri tempi.
E mi riferisco a questo acceso clima elettorale che fra i tanti scontri vede emergenti quelli fra cristiani.
Che sia spettacolo non brillantemente edificante è più che evidente: ma non è questo che conta, non è il cattivo esempio del mancare di un concordismo pacioccone, risultante da un appiattimento generale per passività e resa incondizionata alle direttive imposte dall'alto, quello che impressiona. Anzi questo è stato un buon esempio durato molti anni (secoli) con tutte le conseguenze deleterie per il cristianesimo e non solo per quello. E i nodi, a uno a uno stanno venendo dolorosamente al pettine.
Quindi non è che mi lascia perplesso il dissenso, la ricerca personale, di un gruppo, di comunità dì base. So bene quanto questo momento di contestazione e di proposte, anche concrete, di alternative, abbia scosso alla radice tutto un potere centralizzato e verticistico, monopolizzatore di tutta una Fede per bloccarla e utilizzarla a progetti di conservazione, di religiosità devozionale, oppressiva di ogni e qualsiasi risveglio che accennasse a liberazioni, a rivendicazioni di libertà di coscienza, di espressione nuova di Fede, e quindi di prospettive politiche diverse,
La provocazione di questa crisi cristiana che ha scosso e agitato tutta la cristianità e incrinato la solidità a prova di secoli dell'istituzione della Chiesa, e una delle rivoluzioni non violente, da tenere assolutamente presenti nel programmare strategie di lotte per fruttificazioni ulteriori, tese a ritrovare per il cristianesimo l'incidenza storica che gli appartiene nell'insieme della realtà umana.
E' stata ed è una lotta contro posizioni di potere .assoluto religioso e politico, inventata e condotta avanti con forze assolutamente senza potere. All'infuori di una cocciutaggine di precise scelte di Fede, di una coscienza liberata e sicura, di una rilettura della Parola di Dio, fatta con occhio e cuore nuovi, assolutamente diversi, di una disponibilità a qualsiasi rischio, emarginazione, solitudine (e ognuno ha la sua storia di umiliazioni, di oppressioni, di camminare al buio, di stanchezze da morire, specialmente nell'anima) all'infuori di questa forza (e nonostante tutto vogliamo credervi dentro un po' di Spirito Santo, che crediamo non del tutto ipotecato dall'istituzione) non avevamo altro fra mano. Assolutamente nulla, nemmeno il popolo cristiano, costretto alla respinta della contestazione, dalla prudenza ecclesiastica e dalla saggezza del tornaconto politico.
C'è tutta una storia di coscientizzazione cristiana, di assunzione di responsabilità, di capacità di lotta, a livelli popolari e cioè dispersi, frantumati, sbriciolati eppure amalgamati, d'incontri profondi, di accordi misteriosi, di effervescenze incontenibili, di ricerche appassionate, che è la storia più bella e promettente della cristianità dei nostri tempi, di questi ultimi anni.
Da secoli forse questo fermento nuovo, emerso su dal popolo e specialmente dal popolo giovane, non era apparso e non può non essere considerato come una seria prospettiva di imbocco segnata, per un cristianesimo nuovo.
Un cristianesimo cioè che irrompe nella Chiesa e, volere o no, la costringe a un rivedere se stessa per riscoprire la sua vera identità nella totalità del Mistero di Cristo, vero Dio e vero Uomo. E il Concilio ne è la riprova di questa forzatura emersa dall'imporsi di una crisi determinata da una coscienza critica dilatatasi nella Fede del credenti. E le conquiste di tutta una pressione di novità di Fede sulla Chiesa curiale istituzionalizzata, hanno rivelato tutta la loro potenza ed efficacia dimostrata palesemente e scandalisticamente da tutta una prudente ma violenta reazione ai vertici della Chiesa e in tutto l'apparato ecclesiastico e paraecclesiastico periferico.
Per il tentativo di conservazione laddove era ancora possibile e di tutta un'immensa fatica di riconquista delle posizioni perdute e di risaldatura di quelle incrinate. La ricerca di ripristinare prestigio e autorità si è manifestata a volte letteralmente affannosa. Un cristianesimo che si dilata nel rapporto, ormai acquisito e pacificato fra Fede e politica, realizzando alleanze adultere, spaventosamente interessate a privatismi di privilegio, coprendo di sacri veli lo sporco di tutta una politica, e ricambiando di favoritismo politico ed economico, di potere e di prestigio, tutto un mondo ecclesiastico, rassicurato e tranquillo nei propri privilegi, questo cristianesimo che si libera a indipendenza totale di coscienza, ritrova l'autenticità della propria Fede e la chiarezza di un dovere politico, per intaccare il blocco granitico, sbocconcellarlo a poco a poco, soltanto con le unghie e coi denti di una convinzione assoluta che è dalla demolizione del potere e nel caso del potere Chiesa DC che può risultarne purezze verginali per una autentica presenza cristiana nel mondo e nella storia, questo cristianesimo è la forza nuova, senza dubbio capace di inimmaginabili possibilità, che non va assolutamente smarrita e perduta.
In questa novità d'impegno di questa nuova forza cristiana. l'esigenza più fondamentale, a mio parere, è il rafforzamento e la maturazione di una coscienza critica nei confronti della storia.
Coscienza critica non vuol dire disincarnarsi, chiudersi nei propri schemi e di lì giudicare il mondo. Coscienza critica vuol dire convincimenti profondi, alla radice della storia, scelte molto chiare e scoperte, responsabilizzazione a tutti i livelli, disponibilità allo scontro, offerte alternative affatto assolutizzanti, presenza attiva e creativa in un pluralismo normatizzato.
Coscienza critica vuol dire anche scelta di mezzi di lotta, originali e indipendenti, emergenti dalle proprie scelte e usati a costo di tutto. Una coscienza critica cristiana forse in ogni realtà storica. ma sicuramente in questo nostro tempo, non può e non deve fare ricorso al potere.
Il cristianesimo, di per se stesso, è la negazione di qualsiasi speranza riposta nel potere.
Capisco bene che è qui il punto nodale di tutto il problema al quale volevo arrivare con chiarificazioni precisate da tutta una esperienza, estremamente valida e importantissima e che io ho così malamente accennato, di tutta una lotta nata, agguerrita, appassionatamente combattuta, senza ombra di potere, totalmente fuori di ogni possibilità di risorse di potere, di qualsiasi potere e contro tutto il potere imperante e dominante, assolutistico e intollerante, mistificante ed oppressivo, della Chiesa e della Democrazia Cristiana.
E' vero che la scelta socialista. il movimento operaio, la forza culturale e organizzata che la classe operaia si è andata realizzando attraverso il sindacato e i partiti di sinistra e in particolare, con emergenze forse decisive, attraverso il Partito Comunista Italiano, è vero che tutta questa potenza di scontro e di lotta ha offerto possibilità determinanti, insieme alla storia, per questo affermarsi di coscienza nuova cristiana di tutta una realtà di credenti, tesi allo sfaldamento dell'oppressione Chiesa-D.C. Ma rimane vero ed estremamente decisivo, almeno per me, in ordine ad un sopravvivere e ad una maturazione fino al raggiungimento di livelli di autenticità cristiana nel contesto della nostra storia attuale, quella italiana in modo particolare, ma non solo quella, la inevitabilità di una distinzione: altro è adesione e consenso ad un muoversi storico di forze ritenute decisive per un rivoluzionamento di situazioni politiche giudicate da rovesciarsi assolutamente, altro è prendere o tentare di prendere posizioni di potere, comunque possano essere programmate, indipendenti o conniventi.
Il potere, qualsiasi potere non è cristianizzabile: mai, in nessun caso. Può invece comportare un disorientamento ed uno smarrirsi, cioè una pura e semplice impossibilità di fedeltà, di quella coscienza critica che ritrova e motiva i suoi criteri di giudizio e d'intervento da Gesù Cristo e dal suo genuino e trasparente rapporto con l'uomo, con l'umanità.
La libertà è condizione fondamentale per una possibilità di sincerità cristiana, la libertà, non la «lìbertas» e cioè la disponibilità totale e pronta a iniziare e portare avanti qualsiasi lotta. E il potere è negazione di questa libertà.
Forse è indispensabile una condizione anarchica (tanto per usare un termine assai indicativo anche se enormemente complesso e indecifrabile storicamente e ideologicamente parlando) una condizione anarchica interiore per un potersi rifare direttamente e liberamente a Dio e al popolo, dove Dio e la Parola e il Sacramento sono efficacia d'ispirazione e di organizzazione concreta per una presenza cristiana nel mondo che non può che essere di contrapposizione, di coscienza critica, di resistenza e di lotta e quindi di costruzione e di creazione di umanità nuova.
L'affermazione, è chiaro, potrebbe essere suffragata da tutta una visione biblica e dall'esperienza storica di tutto il cristianesimo nel suo racconto evangelico e di due millenni di storia. Lavoro evidentemente, al di là di ogni mia capacità riducibile, soltanto a non più che ad una ricerca ed esperienza personale anche se pagata sempre di persona e rispondente pienamente ad una ricerca di un poter continuare nella scelta di Cristo per una mia sincerità di rapporti, essenziali e totalizzanti, fra me e il mondo e il tempo che mi è stato dato di vivere.
E' per questi motivi e molti altri ancora, che non mi è consentito di mettere anche la mia firma (nulla di grave, anche perché, in fondo, che sono io?) alla già lunga serie di consensi alla scelta del gruppo di cattolici, di presentarsi sia pure come indipendenti (e cosa vuol dire questa indipendenza?) nelle liste elettorali, per la Camera e il Senato, del P.C.I.
Della scelta di questi miei fratelli non mi è possibile non sorprendermi, con profondo dolore e amara delusione e, evidentemente, non perché si sono allineati nelle liste del P.C.I. Mi riemergono, sia pure vagamente risonanze di quei famosi "discorsetti ai cattolici" di cui accennavo all'inizio. Questa scelta, sia pure in condizioni e in valori infinitamente diversi, mi risuona come un'esortazione a seguito di un ennesimo rifiuto alla povertà disarmata e proprio per questo terribilmente impegnata, della scelta cristiana e alla libertà di una lotta di coinvolgimento fino all'estremo - e il cristiano conosce bene questa unità di misura con la quale soltanto è dato di misurare il proprio compromettersi - mi sa tanto di opera persuasiva ai fratelli nella Fede, per avviarli, anche se per strade diverse nelle quali conveniamo serenamente, alla fiducia a posizioni di potere, sulle quali dissentiamo con piena coscienza.
Crediamo però alla loro dirittura morale, alla chiarezza della loro Fede, alla loro onestà politica: e quindi può anche darsi che succeda di ritrovarci, con soltanto un pezzo di pane nella bisaccia e a bere alla sorgenti, sulla strada, insieme a chi non ha nulla se non una terribile implacabile speranza nell'anima, a lottare una lotta apparentemente e secondo le saggezze umane, assurda e pazza, ma forse perché unicamente segnata di un destino inventato da Dio e manifestatosi in Gesù Cristo.
Nel frattempo con le scelte di questi nostri fratelli particolarmente qualificati e meritatamente, nelle lotte antintegriste del potere dominante ma anche fortemente rappresentativi di una coscienza critica, maturata su una base cristiana in ricerca di autonomie ideali e di spazi operativi nella realtà storica attuale, nel frattempo si dilata a perdita d'occhio, per questo cristianesimo conte-stativo ma fortemente costruente, pagato sempre duramente (a livelli personali e di gruppi e di comunità) e sostenuto unicamente da una Fede assurda, da una Speranza pazza e da un Amore a realizzarsi sempre in termini e condizioni di lotta senza mai un'alleanza e nemmeno un angolo dove non fosse inevitabile scontrarsi, per tutti questi credenti (non è stata nemmeno la loro consistenza numerica a decidere della validità indiscutibile della loro incidenza ecclesiale e storica) per tutti questi credenti si dilata la solitudine. logicamente già in conto da sempre, ma a volte per circostanze particolari, come questa, per esempio. ancora più amara e desolante. Solitudine destinata oltretutto, a portare il peso dell'aggravarsi - e tutto è già in atto a livelli di autorità ecclesiastica, al vertice e periferia, e non solo ecclesiastica e di opinione pubblica - di tutta la macchinazione del potere costi-tuito o in via di costituzione nel tentativo di approfittare dell'occasione favorevole per la soffocazione definitiva di una cristianità sparuta quanto si vuole numericamente, ma sempre scomoda e inquietante laddove tutto deve procedere dogmaticamente e massimalisticamente, a livelli e metodi di regime. Perché in quanto a metodologia di potere sono già in atto e da sempre compromessi storici e più ancora autentiche equivalenze.
Ho grossa perplessità ad accettare e ad avallare, e non credo soltanto io, (allora non ne varrebbe ovviamente la pena di porre il problema) che per una strategia di lotta al potere democristiano, sia stata linearità di Fede cristiana (così come la intendiamo noi, è evidente, questa Fede cristiana) e quindi fedeltà di libertà politica (stessa precisazione che nella Fede) il cercare spazi di potere presso il Partito Comunista Italiano. La posta in gioco può essere veramente troppo pesante e compromettente.
Siamo troppo convinti che questo nostro tempo politicamente e tanto più un cristianesimo che voglia essere significativo e costruttivo, valore autentico al quale il popolo dei poveri possa guardare con speranza e fiducia, ha bisogno più che tutto della virtù della disobbedienza e della ribellione. Non di potere, nemmeno a sinistra. Un cristianesimo povero di quella povertà che unicamente rende liberi. Liberi di quella libertà «dalla quale siamo stati liberati».
don Sirio
Il sangue ha un acre profumo:
lo avvertono da lontano i segugi
avvolti nei neri tabarri.
I cristalli di ghiaccio
bevono il sangue
e diventano rubini
nel gelido pomeriggio d'inverno.
Scintillano nella residenza
di diamanti le croci delle senoras;
nella pallida luce di un vicolo
si aggruma il sangue di Sabater.
Nei lunghi e tetri anni
di agonia della terra di Spagna
l'idea di giustizia irreale
diveniva come chimera,
e l'arma da strumento simbolo
di rivolta e di vendetta.
Ultimo Hidalgo caduto
Il tuo nome è raffica di mitra
è vita che cerca morte.
Nel tardo pomeriggio d'inverno
è morto l'anarchico solitario,
arma divenuto per colpa altrui
per disperato amore di tutti.
Leonardo Di Giorgio
Francisco Sabater prese parte come anarchico a tutta la guerra di aggressione fascista contro la sua terra. Non si rassegnò alla sconfitta. Espatriò in Francia, lavorò come tornitore a Marsiglia creando le possibilità per far studiare le figlie fino all'università.
Ogni mese varcava i Pirenei per colpire coloro che avevano oppresso e distrutto il suo popolo. Ogni mese e anche talora due volte al mese varcava i Pirenei per colpire i traditori, i fascisti: per lui la guerra non era terminata! Tale guerra al regime franchista durò ininterrottamente fino al 1960. Forse a causa di una spia fu denunciato il suo ultimo atto contro il regime e cadde in un'imboscata.
Carissimi, non crediate che vi abbia dimenticati, nonostante non mi sia fatto vivo per tutto questo tempo, vi ricordo spessissimo e molte cose che vengono da voi le considero continuamente come stimoli di approfondimento. Da quando ho preso 5 bestie (due mucche, due vitelle, un torello) e poi sono rimasto con tre, non ho potuto muovermi e in più ho fatto l'insegnante di religione per nove ore la settimana e tutto il resto. Ma al di là di tutto questo, c'è stata anche la necessità da parte mia di chiarire meglio quali erano i punti che in quello che ci siamo detti, specialmente con Sirio, avevano bisogno da parte mia di un maggiore approfondimento e maturazione. Alla fine di giugno partirò per il mio favoloso viaggio con l'asina, la quale intanto, ai primi di aprile, ha dato alla luce una bellissima figlia chiamata 'lucciola', per ora scura col musetto bianco e la croce di Gerusalemme in groppa. In queste ultime settimane ho altri uno-due libri in corso di stampa i quali hanno bisogno di molte cure, in più c'è la campagna e le varie cose che capitano, per cui non so se farò in tempo a scappare da voi come vorrei. E allora cercherò di dirvi alcune obiezioni, riflessioni, interrogativi che mi sono balzati in mente a pensare alle cose di cui abbiamo parlato e che ritornano anche attraverso le pagine di «Lotta con amore». Qualcosa che sto per dirvi lo troverete anche nella presentazione che ho fatto a «Attestazione di un piccolo cristiano» che vi mando insieme a «Lezioni di Vita» e se ne volete ancora si può fare come l'altra volta per i primi due «quaderni» che forse sarebbe bene ne teneste una certa scorta: fatemi sapere.
Per cominciare prenderò un po' spunto dall'ultimo numero di Lotta come Amore, quello di Aprile e distinguerò gli argomenti in due parti: la politica e il cristianesimo. Cominciamo con la prima, la politica e attaccando subito briga con Sirio.
Carissimo Sirio, amatissimo fratello, che il mio cuore vorrebbe abbracciare centomila volte quando ripensa alle tue sofferenze, ai tuoi sospiri, ai tuoi capelli bianchi, al tuo viso serio e buono. Perché ti lasci invecchiare? perché ti fai mandare in pensione dagli «ineluttabili segni dei tempi» che pure già tante volte sono stati sconfessati dalla storia dei tempi che pure già tante volte sono stati sconfessati dalla storia stessa? Perché ti allontani dal cammino dei poveri al punto di scrivere «l'impossibilità di una svolta autenticamente rivoluzionaria»? Che bisogno c'è? chi te lo chiede? Sto lavorando al libro Beatrice di Pian degli Ontani, e giorni fa ho letto come questa poetessa contadina, analfabeta, rappresentante e animatrice del popolo delle nostre montagne, reagì al Risorgimento, chiamato dalla nostra gente: il vigore d'Italia. Stette a guardare, sperando che i nuovi padroni non facessero più male dei vecchi e senza tanto parteggiare, ma assistendo chi soffriva. Questo atteggiamento esce dall'anima della cultura popolare, o proletaria che la si voglia chiamare, e sottintende tutta una filosofia che non si è mai fatta contaminare dal riformisti di nessun tipo. Il Partito Comunista è il nuovo riformatore di turno, «cambiar tutto per non cambiar nulla», e i riformatori si sono vendicati della saggezza dei contadini analfabeti che non si fidavano di loro e li hanno chiamati reazionari, o conservatori. E infatti io credo che bisogna essere conservatori fino all'assurdo finché non esce la vera novità politica, perché ogni altra novità è peggio della conservazione in qualcun altro. Ripeto sempre: è meglio Luigi XVI di Napoleone, perché il primo è debole, compromesso, pieno di vizi, non gli crede più nessuno, e così si moltiplicano i movimenti di base, le possibilità di autonomie locali, di fermenti di rivoluzione vera, mentre il secondo porta la gente a morire in Russia, contenta, per l'imperatore. Dare il voto al P.C.I. significa oggi rifare di nuovo una D.C. forte, rispettata, solida, e ci vorranno altri trent'anni, prima che verso questa seconda D.C., chiamata Partito Comunista Italiano, la gente smetta di credere come ha smesso di credere nella D.C. di ieri. Abbiamo un governo debole? teniamocelo e controlliamolo con la forte op-posizione del nostro impegno di tutti i giorni, di quella delle sinistre, bravissime all'opposizione i-stituzionale; ma non dire che è «una necessità assoluta la presa del potere del P.C.I.», come un male minore. Perché i movimenti extraparlamentari del '68, finché sono stati autentici, vivi e combattivi avevano come primo avversario il P.C.I., perché il governo attuale è riconosciuto da tutti come il dato reale da superare e sulla proposta delle alternative il dibattito è aperto, invece il PCI si presenta appunto come «male minore» ma è invece un male maggiore, un ideologia socialdemocratica di calamita svedese piantata nel mezzo delle masse. Dice «Prima levati la trave nel tuo occhio» e poi potrai vedere. Prima, o durante, occorre levarsi le travi che ostacolano una giusta visione rivoluzionaria nel popolo, che si deve per forza basare sul rifiuto della delega di potere.
Per questo penso che sia molto più realisticamente, direi quasi anarchica l'idea di votare i candidati della sinistra nelle liste D.C. in modo da poter avere delle simpatie nelle file nemiche, o al-meno qualche apertura, se non proprio delle spie nei comandi tedeschi, come succedeva per i parti-giani. E poi, dopo tutta l'esperienza che Grazia ha fatto in ospedale non capisco come si possa soste-nere il PCI anche larvatamente, pur avendo saggiato la sua monoliticità. Questo per la politica.
Per il cristianesimo ho spedito l'ultimo dei testi di Ontignano che può servire come stimolo al dibattito. Mi piacerebbe molto sapere cosa ne pensate della distinzione fra natura e Regno e quindi fra politica e cristianesimo (cioè amore verso di Lui e da Lui a tutti). Mi è piaciuto molto l'articolo di Beppe, «Dalla morte alla Vita» e anche alcune zampate di Luigi, però quel titolo «Ad immagine di Gesù» e alcune cose in linea con esso mi entusiasmano meno, perché ho sempre avuto reticenze per il Gesù 'modello da imitare', come se fosse un eroe, un santo, un comandante, che avesse indicato delle norme, dei comportamenti da seguire. In quel caso non sarebbe altro che un piccolo progresso del Vecchio Testamento, ma sempre Vecchio però, che quindi ritorna in ella logica economico-religiosa del «fare per avere». Invece la cosa che mi ha colpito è che Gesù porta nella sua persona umana e concreta, reale come ciascuno di noi, la realtà divina, cioè l'assoluto, l'infinito seme superenergico, dell'amore sorgivo. E questa realtà portata così in un uomo come noi cambia la vita di quelli che la capiscono, i cristiani, perché è come se incontrassero una bella bionda, la sposassero, facessero famiglia e questa semplice persona fosse l'infinito, il tutto ecc. ecc. Vedere Gesù solo nelle buone cose che ha fatto, nell'immagine fedele che ci ha lasciato, cioè quasi come se fosse un grande profeta dio, da imitare nei suoi comportamenti, tutti buonissimi, me lo fa sentire staccato, lontano, oggetto già statico e passato, mentre la Pentecoste lo fa vivo come forse mai lo era stato nella sua stessa vita. Quindi nel Vangelo più che cercare un modo di orientarsi nella vita, io ci vorrei cercare la volontà di Colui che già rappresenta il Nord della mia bussola. Il Vangelo non ha che Una Sola Ricetta: Gesù e tutto il resto come Sue indicazioni. E cosi la creatività deve derivare da Lui, per un cristiano, senza preoccupazioni o programmi.
Per il resto tutto procede in un modo che non si può descrivere. I libri a quegli indirizzi che mi mandaste li spedii a suo tempo. A, presto, spero, e tantissimi abbracci affettuosi a tutti.
Giannozzo
27 maggio 1976
Il mio credere in Lui. Mi si ripropone interamente. E se me ne viene tanto Amore e quindi tanta Fede, la Parola però mi sta diventando terribilmente difficile, quasi impossibile, perché non la trovo.
E è la Parola da dire, da annunciare, da pronunciare, quindi richiede la sincerità di essere Parola di ora, di questo momento. E è la Parola che si fa carne e devo in qualche modo tradurla, con-cretizzarla nella mia vita. Cosa devo fare? Cosa devo cambiare, che scelte devo compiere? C'è chissà cosa da rompere e chissà cosa da significare, da proporre, da essere. Tutto questo per me. E è ur-gente, irrimediabile, Dio non voglia che mi si affievolisca il problema anche se è spesso un'angoscia per me e motivo di perplessità per gli altri. Non voglio, assolutamente, anche se sarà soltanto e ri-marrà una ricerca dolorosa, faticosissima e che forse non approderà a niente. Non importa, non vo-glio assolutamente che mi si acquieti nell'anima, nel profondo di me e che non esiga affiorare e ma-nifestarsi, questo dovere di fedeltà, questo dare seguito a Lui, assolutamente in tutto quello che Lui è. Lui Gesù e Lui il Cristo. Questo per me ma simultaneamente dev'essere vero in tutto quello che io posso essere di significato per gli altri, nel mio tempo, nella mia Chiesa, tra i miei amici, nella comunità, nella vita, nella storia. Sono un'insignificanza, questo lo so bene, ma finché sono al mondo e rimango cristiano e mi ostino a essere prete, ho qualcosa da significare per altri. E' inevitabile, sa-rebbe assurdo se non ne sentissi la responsabilità e la normalità. Quindi la Parola per gli altri. Parola che significhi esattamente Gesù nella realtà della sua storia in questa terra, nel momento del suo vivere qui e significhi fedelmente il Cristo nei suoi rapporti messianici di fedeltà al Padre e di salvezza cioè di verità assoluta, nelle sue dimensioni storiche ed escatologiche. E la Fede è la stessa. Non ce ne può essere una per Gesù e una per il Cristo. E la scissione di Lui è blasfema e sacrilega. Quindi l'unità della Parola. L'unità dell'annuncio. La fedeltà a tutto ciò che è proprio di Gesù e del Cristo, tutto ciò che è Gesù Cristo. Dal suo inizio, a Betlemme, alla conclusione escatologica del Regno di Dio. Ma tutto passa inevitabilmente e è segnato dalla sua storia personale che è quella della Croce. Dire di questo Cristianesimo non è semplice e facile. La Parola si essenzializza e diventa inevitabilmente profetica. Come dev'essere questa Parola. E cosa deve indicare. Certo quello che indicava quando è stata pronunciata la prima volta e quando si è fatta carne la prima volta, cioè quando questa Parola è stata Gesù Cristo.
Perché non posso più dire delle parole, vivere qualcosa in modo annebbiato e annebbiante per me e per gli altri. Le parole, sapienti quanto si vuole, colte di teologia e di sensibilità umana e religiosa fino alla raffinatezza, le parole sono un inganno, un suicidio di sincerità per chi le dice e un assassinio di verità per chi le ascolta. Gireremo sempre intorno alla Parola e non soltanto non la pronunceranno le parole, ma la oscureranno, fino al punto che diventerà non solo incomprensibile ma sostituita, sostituita cioè dalle parole. E le parole sono le parole parlate e sono la religiosità, la sacramentalizzazione, la devozione, la pratica religiosa, le opere buone, la liturgia, le istituzioni, le gerarchie, la Chiesa, così come la Chiesa si manifesta e si esprime. Tutto questo non mi appartiene più, mi è scomparso e non mi è possibile offrirlo e presentarlo come Cristianesimo di Gesù Cristo. Allora che cosa. Non so. Ossia lo so, ma non conosco la Parola che io devo pronunciare e non conosco la Parola che devo incarnare. Allora vivrò a vuoto. Nell'inutile. Può darsi. Oppure mi lacererò l'anima in una ricerca appassionata di Dio visto nel mio tempo, di Gesù il Cristo vivo e vivente nel nostro mondo. In una ricerca di conoscenza di questo nostro vivere attuale, concreto, storico in tutta la sua sconcertante realtà di umanità e disumanità per scoprirvi la Parola che va pronunciata, l'annuncio da offrire, capace di significare e di manifestare con estrema fedeltà Gesù il Cristo, all'umanità di oggi. Cioè all'uomo e alla donna con i quali mi trovo a parlare da cristiano e da prete, agli amici per sincerità di amicizia, ai gruppi più o meno numerosi per chiarezza di evangelizzazione. Un punto di riferimento a Gesù Cristo. Una realtà di richiamo a Lui. Può darsi un segno di contraddizione. Un fatto di respinta, di rifiuto. Un insignificanza semplice e chiara, oppure combattuta e di scontro. Non ha importanza. In fondo tutto rientra in quella Parola. Nell'essere sinceramente e scopertamente quella Parola.
TERRA PROMESSA
E' passato un anno, è ritornata l'estate. Riprendo, se così a Dio piace, il mare per approdare di nuovo alla Terra Santa. Ho tanta voglia di ritornare sulle strade di Dio, camminare dove Gesù ha camminato.
E guardare il mondo riflesso nella luce dei suoi occhi, a specchio nella profondità di Dio, nell'abisso del suo infinito.
E quando prende la voglia dell'infinito, vi è soltanto un pezzo di terra dove è possibile respirarlo, girare intorno lo sguardo e non trovare 1'orizzonte, allargare l'anima fino a perdersi nella dilatazione.
Non è evasione, è semplicemente ricerca di visioni più concrete, di rapporti più reali più storici. Perché Dio è storia.
E' liberazione da ogni dipendenza, da qualsiasi schiavitù per un convergere totale là dove è libertà, perché valore unico, semplice, assoluto.
Vorrei che fosse un andare a cercare delle pietre che indicano una strada. Delle orme che insegnano un cammino. Un ascoltare delle Parole che sono carne e sangue. E un crescere, per me e per altri, la speranza.
Sirio
don Sirio
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455