Avviene spesso - ma forse dovrebbe accadere molto di più -, di trovarci a discutere dei segni che dovrebbero esprimere la nostra fede, la nostra ricerca cristiana, provocandoci ad una sempre maggiore autenticità di vita.
Da una parte sentiamo che la vita senza segni è troppo vuota, dall'altra si ha chiara la percezione che parlare di segni senza chiarire l'importanza fondamentale della vita sia del tutto inutile.
E' dubbio, quindi, che la vita solamente abbia importanza e di conseguenza possa fare a meno di mediazione, di segni o gesti che la provochino a novità continua. E' certo anche, comunque, che il porre gesti o segni sradicati dalla vita, visti come momenti a se stanti, sezionati dal tessuto vitale, toglie ai segni stessi ogni possibilità di significare qualcosa di vero ed autentico per divenir. discorso vuoto facilmente strumentalizzabile e di fatto strumentalizzato da ideologie che giocano sulla confusione per conservare privilegi e distanze.
Basta pensare ai segni sacramentali nel loro modo concreto di essere posti nella maggior parte delle comunità cristiane per rendersi immediatamente conto di uno smarrimento e di una nebbiosità tale da determinare una situazione in cui è realmente difficile discernere il senso autentico di questi segni della fede.
Questo può spiegare la scelta di chi - per reazione - ha scelto la vita come unico grande segno attraverso il quale solamente è possibile comunicare un messaggio, dei valori, ma al di fuori di questo cosa rimane? Creare dei nuovi segni? Modificare quelli attuali? Varie ipotesi si stanno accavallando nella esperienza cristiana delle comunità e dei singoli.
Per quanto riguarda noi, abbiamo da sempre sottolineato la necessità di calarsi nella esistenza umana senza difendersene, accogliendola come il segno di una comunanza con l'umanità più povera e nascosta. Per un certo periodo questo è stato il segno dominante in noi, maturato attraverso la scelta del mondo operaio, di una vita di lavoro e di comunità. In questo stile di vita i gesti della fede venivano posti in grande semplicità e serenità.
Ora l'esistenza quotidiana ci divora e ci schiaccia sempre più. Abbiamo bisogno di gesti di fede che provochino in noi una accoglienza nuova e più autentica della vita, ma questi segni non sono più chiari come una volta.
Non ci è venuto meno il senso di Dio, il desiderio di Lui. Non credo che si possa parlare di crisi di fede, ma non riusciamo ad esprimerla chiaramente, a comunicarla, a viverla attraverso gesti in cui ci sentiamo pienamente coinvolti.
Sappiamo che non è un problema nostro, ma che ci portiamo sulle spalle un peso comune a chi ricerca con sincerità un rapporto di amore con Dio e con gli uomini.
Questo ci aiuta a non drammatizzare la nostra condizione, ma a sentirla come normalità di cammino.
Cercare nuovi segni allora? Siamo certi che nasceranno prima o poi da una vita rinnovata. Ad accogliere e provocare la vita sarà ancora una volta tra noi il segno di una più vera comunione, di un più autentico legame con Dio, con gli altri, con la storia, con la realtà quotidiana, con noi stessi...
Un legame totale, completo, per niente esaurito o definitivamente realizzato, ma solo cercato con tutta la realtà perché sia segno di eucarestia nella vita.
La Redazione
Nazareth 12 sett. '75
Sono qui nella grotta dell'Annunciazione. Me n'era venuto voglia di passare qualche ora qui, da solo, in silenzio e possibilmente celebrare la Messa. Tutto è stato e è bellissimo. E' finita in questo momento una concelebrazione di un gruppo di americani e ora sono qui solo, posso rimanere per oltre mezz' ora perché poi chiudono. Ma sono contento ugualmente. Qui il francescano è di una e-strema gentilezza.
Stamani ho celebrato la Messa all'improvviso, perché appena venuto mi hanno subito dato la possibilità. Da solo. Mi è sembrato di entrare nella profondità del Mistero di Dio, di tutto il Mistero di Dio. E ho sentito e sento questa grotta come se fosse il seno di Maria. Sono sceso in lei stamani e quindi nella totale realtà del rapporto di lei con Dio. Mi sono come sentito segnato, qualcosa al di là di me e raccoglieva tutta la mia vita. Ho chiesto veramente perdono di tutta una indegnità (la parola non è affatto generica ma estremamente comprensiva specialmente del non essermi abbandonato a Dio e non essermi lasciato totalmente coinvolgere in Lui e travolgere da Lui). Non è stato. e doveva essere così, come è stato invece per Maria. Sento quasi fisicamente l'accoglienza del suo seno, il suo aprirsi e il suo accogliere e il suo contenere. E' chiarezza inesprimibile. Credo che non l'avrò più. Vorrei almeno ricordarmi che mi è stata data questa comprensione del Mistero di Mistero di Dio, di Maria, di Gesù, dello Spirito e del suo significato per l'umanità intera e particolarmente per me.
Vorrei che mi rimanesse chiaro e operativo di esistenza diversa, questo segno con cui stamani sono stato segnato. Non è che sia cosa nuova. Ma come realtà liberata, purificata, scoperta e resa evidente fino a poter vedere cosa sono io nel pensiero di Dio, nel suo progetto. E' come l'aver dis-sotterrato questa grotta perché fosse conosciuto il luogo dell'annuncio e dell'incarnazione, dove è cominciato a esistere il Cristianesimo, quello realmente di Gesù. E' venuto all'evidenza ciò che è nel mio profondo, nel mio nascosto, nel mio segreto, là dove nemmeno io conoscevo anche se sapevo, tanto meno vedevo e toccavo con mano.
Celebrando la Messa da solo mi sono trovato direttamente. da solo, in questa realtà di Gesù Cristo. Il pane e il vino offerti come segno di Maria, come il suo corpo e il suo sangue per il corpo e sangue di Cristo. In lei tutto è cosi chiaro e così profondamente avvenuto, in modo realmente sto-rico, cioè vitale, cioè esistenziale.
Tutto è stato profondamente vero, reale, concreto anche se colmato di una sensibilità che ri-sentivo anche fisicamente. Anche il mio corpo ha provato il contatto col Mistero di Dio, nel toccare la concretezza della terra e della vita. Nel segno di Maria. Veramente questa donna è qualcosa d'in-dicibile. E' impossibile ma è proprio così, in lei si chiude l'infinito per l'inizio di quella storia, ma-nifestazione di Dio e sopraffazione dell'umanità. Una donna. La povertà. La verginità. La Fede. E' uno stupore immenso, da perdercisi a pensarvi, la Fede di questa donna. Vorrei chiederle qualcosa di lei per me. Forse non tornerò più qui. Ma questo qualcosa di stamani vorrei proprio che mi segnasse in modo incancellabile. Come una svolta nella vita. E' capitata all'improvviso. Ma certamente ero aspettato qui stamani. Lo capisco anche in questo momento. Non è che mi venga chiesto chissà che cosa, lo sento bene. Unicamente la Fede. Ma la FEDE. Cioè la ragion d'essere (ma è espressione insufficiente) di tutto me stesso. Anche la gioia di Dio. E l'accoglienza di lui. E lasciarmi portar via da Gesù Cristo. E' così semplice ma così importante. Il Mistero di Dio o è totale o non è niente. E' evidente specialmente qui, in questa grotta. Altrimenti sarebbe onesto respingere tutto. Maria dopo l'annuncio non ha discusso più. Ha semplicemente creduto. Ho chiesto su per giù questo per la comunità, per Maria Grazia, Luigi, Beppino. Per noi insieme. Mi pare di vedere cosa dovremmo essere. Una comunità è una realtà unitaria d'accoglienza, di accoglienza di Dio e di umanità, cioè di Gesù Cristo. Nella concretezza nel nostro momento. Poi tutta una serie di nomi e poi gli amici, le famiglie, il gruppo, gli altri dovunque, la Chiesa, l'umanità. E' davvero impressionante come un cuore e un'anima possano accogliere l'umanità intera e portarne tutta la realtà, quando però il Mistero di Dio s'impone e domina e vince l'individualità, il particolare, dilatandolo come è proprio dello Spirito, all'università del suo infinito. E' difficile dire ancora e scriverne.
Sono ora qui sulle scalette che scendono alla grotta perché è venuto un altro gruppo di americani o d'inglesi e stanno celebrando la Messa. Sugli scalini di una scala che è fra la terra e il cielo. Si può immaginare come il discendere di Dio fra noi. Sono su questa scala, seduto su un gra-dino e sono un mendicante. Un mendicante felice anche se terribilmente bisognoso. E di qualcosa che potrebbe somigliare finalmente all'incontro con Dio e alla gioia del suo vincere totale, semplice ma assoluto. Non succederà niente ma qualcosa che porta via, che trabocca, che soprafà. Qualcosa alla quale non si può e non si deve resistere costi quel che vuole costare. Perché non si tratta più di modi e di misure quando il problema è della totalità, dell'assoluto.
Ora me ne vado di sotto queste pietre gessose, scavate chissà come e chissà quando, ma sono il luogo di Dio fra gli uomini, sono il luogo che è Maria e quindi vanno bene comunque si possano giudicare archeologicamente, raggiustate come sono e forse un po' con ricerca dell'effetto. Ma il luogo esiste e più che la grotta stamani mi ha impressionato il sentirla e il vivervi dentro come se fosse il seno di Maria, perché questo è il suo luogo, la terra che è tutta la terra. E' vero che stamani sono entrato in questo luogo e vissuto in questo intimità.
E Lui e anche lei mi hanno sicuramente accolto e gradito in questa loro intimità. Dovrei e tanto vorrei ricordarmene.
don Sirio
Non sono pochi a pensare che certi discorsi alternativi al sistema di vita attuale siano non solo inutili, ma anche dispersivi nei confronti di uno sforzo comune in cui concentrare tutte le energie per la lotta contro i nodi vitali del sistema.
Non è di ora il dibattito sulla validità di una lotta nella Chiesa e neppure su certi modi di vita alternativi che sembrano distogliere l'attenzione da più importanti problemi sociali e politici.
Certamente non possiamo dire che ogni tipo di lotta all'interno della Chiesa sia autentica e-pressione di esigenze vitali, come non è possibile dirlo per ogni comunità o metodo che rifiuta legami con questa :società consumistica per ritrovare legami più autentici. Mi sembra però che non sia giusto neppure affermare il contrario e quindi negare ogni validità a questo tipo di iniziativa.
Ho messo insieme lotta nella Chiesa e sistemi di vita alternativi al sistema perché ambedue le cose pur riguardando oggetti del tutto diversi rappresentano appunto due obiettivi non direttamente legati ad una strategia politica per rivoluzionare questo nostro sistema di vita. Battaglie cosiddette di retroguardia, tempo ed energie sottratte ad una decisa avanzata per colpire il «nemico» al cuore.
D'accordo, un certo tipo di lotta nella Chiesa diventa chiaramente bisticcio clericale, come la proposta di metodi alternativi può divenire invito a chiudersi ed isolarsi in strane congreghe del tutto sradicate da ogni rapporto reale con la vita. Ma da qui a condannare il tutto mi sembra che il passo non sia giustificato.
E' verissimo che la verifica della autenticità di certe battaglie è data dal riscontro con una umanità più libera che si vuole affermare e dal contributo che ne viene all'umanità storica e concreta che vive nel tempo. Ma una volta accettato questo criterio di verifica non è giusto dar cittadinanza unicamente alle lotte che godono di una data uniformità, escludendo che la verifica possa avvenire per una pluralità di contributi, per una ricchezza ed una abbondanza di iniziative che è poi il segno più vero di un'autentica vitalità.
Se il rifugiarsi in «battaglie di retroguardia» è proprio di un'elite amareggiata e sdegnosa di unirsi al destino dei più, il ridicolizzar1e senza pietà è proprio di una mentalità razionalizzante e pericolosamente vicina alla dittatura ideologica.
Se l'interesse per la cucina biodinamica è sfociata in discorsi da salotto non è giusto negare validità ad ogni discorso che voglia riallacciare dei veri rapporti tra l'uomo e la terra. Se l'antimilita-rismo ristagna in circoli pacifisti inconcludenti, non è giusto pensare che ogni tentativo per rivitalizzare queste energie sia destinato inevitabilmente al fallimento.
Certo è che questi tentativi rischiano - è vero - continuamente di credere vera e possibile storicamente una visione ideale che appartiene invece ai tempi ultimi e che se non va dimenticata, non va neppure svilita in continui raffronti con la realtà storica.
Nella nostra lotta all'interno della Chiesa - ce ne rendiamo conto benissimo, e non da ora -, abbiamo oscillato forse a volte pericolosamente tra questi due estremi. Nella nostra lotta per una co-scienze popolare nuova possiamo avere a volte dimenticato il ruolo delle mediazioni storiche per slanciarsi in prospettive da «ultimi tempi».
Sta di fatto che non intendiamo arrenderci per queste difficoltà anche se comprendiamo forse mai come ora quanto sia importante e decisivo procedere con grande attenzione e senso critico. Non so quanto ne saremo capaci. E' certo che la nostra «alternativa» non può a lungo credere di sfuggire all'isolamento o all'idealismo populista che sarebbe poi un integrismo di segno opposto a quello di C. L. se non la verificheremo continuamente con il cammino storico dell'umanità ed insieme con le vie del Signore.
Speriamo di riuscire ad una maggiore chiarezza ed a una lotta sempre più autentica.
don Luigi
La vita di lavoro nella condizione operaia - con le sue esigenze precise, il suo ritmo uguale, la sua povertà - mi costringe ogni giorno ad approfondire il valore di questo nostro vivere, di questo camminare senza soste che è la vita di tutti specialmente quella della povera gente, mangiata da sem-pre dalle preoccupazioni più immediate e pressanti dell'esistenza umana: l'affitto di casa i figli le malattie, la fatica del lavoro, il bilancio da far quadrare ad ogni costo.
In mezzo a tutte queste cose che in fondo sono «la vita» per la maggioranza della classe operaia ci sono le preoccupazioni più ideali di tutti quelli che avvertono l'importanza dell'impegno politico, sindacale, della lotta per un mondo più giusto di uomini uguali fra loro, senza sfruttatori, senza padroni. Queste preoccupazioni sono motivo di forza, di coraggio, di pienezza di partecipazione alla storia umana non come oggetti da usare, come «cose» che servono per un po' e poi si buttano via, ma come persone consapevoli della propria dignità e del proprio valore.
Poi c'è l'amore per la donna vista come qualcosa di estremamente importante come una terra di sogno, di riposo, come una fonte di felicità direi proprio come «il paradiso» vero di cui ciascuno ha esperienza diretta e vi crede per quello che ha potuto vedere e toccare. E anche se l'amore è qual-cosa di essenzialmente fisico, esso rappresenta per la maggior parte dei miei compagni operai il mas-simo dell'esperienza umana, la gioia più grande che sia possibile raggiungere sulla terra.
Qui il cerchio si chiude: con amarezza e rassegnazione, con rabbia e ribellione, quasi come triste conclusione di tutta un'esperienza che niente sembra incrinare nella sua logica precisa. L'ultimo punto di questo cerchio che è la vita - cammino, destino, viaggio carico di mistero, di interrogativi, di ricerca senza fine rimane inesorabilmente la morte, l'essere portati via dall'ultimo terribile padrone contro il quale non si può scendere in sciopero, organizzarsi sindacalmente, fare un'occupazione né tanto meno una rivoluzione. Ci si ribella di dentro, la si respinge 'lontano, ma si sa bene che nessuno ci può far nulla.
Mi trovo a vivere la fede in Dio-Padre di tutti gli uomini, in Gesù Cristo Liberatore e Salvatore da tutte le paure e le schiavitù dall'interno di questa situazione umana che raccolgo con grandissimo amore perché la considero la terra dove il mio Dio mi ha portato, dove da diversi anni vivo il mio cammino umano, di cristiano e di prete: sento benissimo di. camminare in un deserto, molto più che se fossi fra le dune di sabbie infuocate o fra aride pietraie, perché è un deserto fatto di uomini che nella quasi totalità non hanno un'esperienza personale di fede, ma vivono e tirano avanti la vita nella sua povertà, soprattutto direi nella sua solitudine. In molti c'è qualcosa che assomiglia al ricordo di tempi passati, di un Gesù che nasceva nel. presepio di quando si era bambini della messa di Natale, della confessione e comunione a Pasqua, di un Paradiso (e di un Inferno) di cui hanno sempre parlato i preti ma del quale si sa e nel quale non è sicuro che anche loro proprio credano.
Poi c'è l'esperienza della Chiesa così come storicamente, visibilmente l'hanno conosciuta: ed è deserto ancora più grande perché quasi tutte ne sono rimasti delusi, amareggiati e allontanati da una mentalità ecclesiastica assurda, staccata dalla vita, mescolata alla politica di parte, ai quattrini, agli interessi di chi conta e sta sulle spalle della povera gente. Da questa esperienza di Chiesa non nasce nessun motivo di .gioia, di fiducia, di speranza di cercare fra le pieghe della vita la Presenza di Dio-Amore, del Dio che Gesù ha indicato con tanta passione come il Padre che raccoglie tutto, che è vicino ai suoi figli, che non abbandona nessuno nella fossa della morte ma richiama dalla vita, salva dalla disperazione, dà coraggio ed è la ragione vera di questo drammatico viaggio dell'esistenza umana. Questo Dio che ama i poveri, i perseguitati, gli oppressi, gli affamati di giustizia e di pace, è il grande assente nell'esperienza del vivere quotidiano, un Dio muto, che non si vede, non parla, non si fa presenza sperimentabile. E la Chiesa - troppo spesso - nella sua realtà concreta anziché manifestarlo questo Dio-Padre dei poveri e degli umiliati, lo nasconde, ne complica terribilmente i connotati fino a traviare il suo vero volto.
Eppure io so per la luce della fede che continua a bruciare nel profondo dell'anima che questo Dio è il midollo stesso della storia, il sangue, il respiro, il pane, il cuore di quest'immenso corpo dell'umanità intera. Il Dio di Gesù Cristo è veramente il fiume profondo che scorre nelle vene più segrete della vita; anzi - come dice il Vangelo - è la Vita stessa. Tutto questo lo so nella fede, ed è per questo che trovo ogni giorno il coraggio di affrontare il deserto in cui anch'io come tutti mi trovo immerso senza nulla vedere. Non ho niente di miracoloso da offrire: ma totale è la speranza che il mondo non è posto sotto il segno dell'abbandono e dell'angoscia, della solitudine e dell'assurdo, ma custodito nell'Amore. Non siamo un immenso popolo di orfani, ma famiglia e popolo di Dio in cammino verso la piena Libertà: è in Gesù Cristo, nella sua storia e nella sua parola che trovo con estrema chiarezza questa Presenza misteriosa che non abbandona il Figlio (e siamo tutti) alla sconfitta della croce e della morte (ed è la vita di tutti) ma lo richiama alla vita spezzando la pietra della sua tomba (ed è vittoria di tutti).
So bene di non avere altro senso, altri motivi, altra ragione di vivere: mi è rimasta chiara la consapevolezza di 'questo destino da cui sono stato segnato e che non mi da pace. Dentro la carovana che ogni giorno procede sotto il sole cocente del deserto so di dover portare con estrema umiltà la mia borraccia d'acqua per la sete dei compagni in marcia sulla stessa pista. Anch'io sento la stessa arsura e mi vince l'incertezza e la difficoltà del cammino.
Ci sono ventate piene di sabbia, stanchezze senza fine, voglia di abbandonare tutto e scegliersi una delle tante oasi, una palma dove riposare. Mi stanca enormemente la mia Chiesa così sorda e dura a raccogliere la voce che grida del deserto, voce di un'umanità schiacciata, sopraffatta, oppressa che come Giovanni Battista chiede di preparare la strade al Signore che viene.
Mi stanca il silenzio di Dio, il suo tacere così incomprensibile dentro i drammi, le lotte, le ingiustizie, le vittorie dei potenti sui poveri; il suo silenzio inquietante dentro la sofferenza, la ma-lattia, la debolezza e il patire dell'umanità.
Mi stanca tanto anche la mia pigrizia, la mia poca fede, il poco prezzo pagato per questo im-menso progetto di speranza, per quest'annuncio di salvezza, di gioia per tutto il popolo.
Ma il miracolo continua: c'è una misteriosa sorgente che non smette di portare acqua al mio cammino e che non è per la mia sete ma per quella di tutti. E so che devo essere disposto - nella povertà della mia vita - a dare tutto perché lungo la pista non manchi il bicchiere d'acqua che mi è stato affidato.
don Beppe
Io non sono affatto stanco del mondo in cui sto vivendo, né di questi nostri tempi anche se appariscono così disorientanti, per buona parte fatti di assurdità e per l'altra di spaventoso impazzimento.
Non mi sgomenta per nulla, la condizione di lotta che è andata normalizzandosi fino al punto che perfino il respirare pare che sia inevitabile conquistarselo lottando. Tutto avviene :in una realtà di scontro. Dalla pace che ci salvi daHa totale distruZlione del mondo, fino a due metri quadrati dove mettere la macchina in parcheggio, da una possibile coesistenza di popoli, a leggere il giornale in poltrona la sera, dai rapporti di civi1tà contrapposte, al girare l'angolo di casa per andare a prendere un caffè... tutto è possibile soltanto a strategie guerresche, al calcolo di difesa-offesa, in base alla forza d'urto disponibile, alla capacità di attacco o di risposta.
Camminiamo tutti per le strade chiusi in armature di ferro e ognuno ha armi nascoste. Le case sono fortificazioni medioevali anche se costruite di foratoni invece che di pietre squadrate.
E ormai ogni cuore ha in serbo pronta all'uso una buona dose d'indifferenza, di un preoccuparsi soltanto di sé, una efficace immunizzazione a base di egoismo.
Ma non m'importa stare a riflettere a come è fatto questo nostro mondo e questa cosiddetta civiltà nella quale viviamo.
Ed è assurdo concludere pessimismi e stanchezze.
Rifiutare questa realtà del nostro tempo è un po' 'come :rifiutare il proprio vivere. Perché la mia vita è ora, in questo momento. Non è quella di ieri non sarà quella di domani. Mio è soltanto l'attimo attuale (anche se sono giorni e anni). Io non sono il passato o ciò che verrà, sono il mio presente. E io devo vivere il mio io, attuale, vivente, se voglio essere vivo.
Mi rendo conto che questa realtà attuale mi appartiene, è me stesso. E' ambiente e il tempo del mio vivere: comporta inevitabilmente una connaturazione con me stesso, siamo la stessa cosa.
Una separazione dal mondo nel quale vivo, sarebbe come una separazione dall'anima dal corpo, una disincarnazione. Uno staccarmi dalla terra e costruire la mia vita sulle nuvole, Un dissociarmi da una convivenza per una solitudine disumana. Un uscire dall'insieme per rinchiudermi in una prigione egoistica. L'individualità è 'il cimitero. Chi decide di essere solo e di risolversi individualmente è un suicida.
Amo incredibilmente la mia Fede cristiana che è tutta nell'incarnazione. E forse ancora non ho capito Dio che si fa uomo e viene ad abitare e abita fra gli uomini. A farsi folla, moltitudine, umanità.
Se Dio non si fosse fatto uomo, non fosse venuto a condividere la vita di tutti, fino ad essere uno come tutti. non sarei riuscito a credere in Dio. E che cosa me ne farei di questo Dio e come po-trebbe essere Dio se nemmeno è Uomo?
Non so di sottigliezze teologiche e anche quello che mi è stato dato di sapere a un certo punto non mi ha interessato più. Alla base della Fede per quello che dipende da noi insieme al dono di Dio, c'è una certa istintività, cioè una misteriosissima logica che nasce dalla carne e dal sangue ad aprire la possibilità della Fede, il suo radicarsi nell'anima e il suo crescere a illuminazione totale.
E' da questa ricerca di incarnazione e mi scaturisce violenta e irresistibile dalla mia Fede cri-stiana, che mi diventa impossibile difendermi dal mondo nel quale sto vivendo.
Non voglio difendermi da niente. Perché comunque sia è il mio mondo, la mia terra, la mia gente. Cioè è me stesso. E' la mia vita. Non esistono per me nemici. Non vi sono pericoli intorno a me. Cammino tranquillo per le strade di giorno e di notte. Dormo sereno nel mio letto o dovunque mi trovi senza ombra di timore per tutto quello che può succedere. E' una fossa di serpenti, un covo di vipere, una gabbia di leoni ruggenti, di sciacalli mangiamorti, di avvoltoi spietati. A ogni passo è un tranello. Lì all'angolo c'è una pistola spianata. Possono assaltarmi e malmenarmi.
E' il mio mondo, la mia terra, la mia gente. Sangue del mio sangue, anima della mia anima. E' la mia civiltà, costruita piano piano a forza di lotte, di fatiche, di ricerche appassionate. E' venuta fuori pagata duramente questa libertà. E' impazzita? Può darsi, è però sempre libertà, quella libertà durata come sogno per lunghe generazioni, motivazioni di sacrifici fino all'impossibile.
Eccola, m'è stata consegnata, limpida e chiara. Sarebbe sacrilegio non viverla,
Così di ogni qualsiasi altro valore, di ogni conquista, di tutto quelìo che chiamiamo progresso. Non ho orrore e paura di tutta la malvagità scatenata in questi nostri tempi. So bene quanto sia malattia venuta a suppurazione. Sta semplicemente esplodendo un cancro maligno che covava da tanto tempo. Ma è la mia umanità malata. Quella di tutti e la mia insieme. Non sparo a nessuno io, né svaligio le banche con calzamaglie sugli occhi e un mitra fra le mani.
Non faccio sequestri di persona né mi lascio andare alle droghe.
Eppur è vero che sono carne di quella carne e sangue di quel sangue e viviamo insieme la stessa vita, siamo l'identica umanità di questo nostro tempo. Non voglio separarmi, diversificarmi: no, non sono altra cosa, né altro uomo. Uomo io e uomini loro. Dire fratelli è poco. Gesù dice un'altra cos'a per significarci come è fatto l'Amore che lui comanda: una cosa sola, non più ma uno e l'esemplificazione è Lui e il Padre nella loro perfetta unità che è il loro Spirito.
Ho soltanto una paura in questi nostri terribili tempi fatti di paura, rabbuiati, straniti dalla paura: ho paura della disincarnazione. Di essere buono, onesto, galantuomo, ben visto, amato e rispettato. Perché divento troppo diverso, separato, lontano da troppa gente. da tanta realtà de1 mio tempo. Sono forse o rischio di essere di un altro mondo. Rischio di vivere traslato in altro tempo, un tempo forse irreale, utopistico, assurdo.
Rischio semplicemente di non essere cristiano.
E forse perfino di essere uomo. Perché non sono uomo se non sono umanità.
Gesù per essere uomo (e Dio fatto Uomo) ha vissuto una storia di umanità a seguito della quale le sue preferenze sono state per la povertà, l'ingiustizia, dov'era la sopraffazione e l'oppressione, la malattia, la morte. E la sua umanità sono stati i peccatori, i pubblicani, le prostitute. E per vivere la morte ha scelto come compagni due ladroni assassini e come motivazione della sua condanna l'essere giudicato come bestemmiatore e sovvertitore pubblico. Doveva morire perché diventato un pericolo. Uno schiavo ribelle non rassegnato alla sua schiavitù.
Tutte cose dette tante volte. Rigirate in mille modi con versioni innumerevoli teologiche, mistiche, pastorali ecc. ma, a pensarci bene, rimangono lì, nude e crude, a giudicare il mio essere cristiano e a condannarmi.
Perché con il cristianesimo che sto vivendo non posso che essere condannato.
Non so d'altra parte cosa fare per essere cristiano diverso. E tutti i discorsi degli amici, della gente illuminata e saggia, quelli del papa, dei vescovi, della Chiesa, e della buona cristianità non mi insegnano pressocché niente. Anzi spesso mi esortano a stare tranquillo e a rallegrarmi delle buone opere quotidiane, della bontà zuccherosa distribuita, delle buone e consolanti parole moltiplicate ine-sauribilmente.
Almeno, non potendo altro per la mia orrenda vigliaccheria e poca Fede e Amore, almeno non voglio avere paura di questo mio tempo e di tutta la sua cronaca nera. E' un infinito dolore quello che mi agonizza l'anima e mi schiaccia il cuore, ma è (e dev"essere chissà quanto di più) unicamente a motivo di Amore e quindi a motivo di non essere "dentro" alla mia carne e al mio sangue che spara, che violenta, che uccide, che impazzisce e fa impazzire tutti e sgomentare e disperare come se fossimo arrivati alla fine del mondo.
Non giudicherò, a costo di sembrare assurdo né taglierò via da me l'orrore che fa inorridire questo mio tempo, la mia terra, la mia gente.
Né voglio difendermi dietro la sicurezze di un buon nome, della stima e considerazione della gente. E tanto meno intendo rifugiarmi nella tranquillità di una coscienza in pace, in grazia di Dio e degli uomini. Anche perché sempre più mi si chiarisce che tutta questa buona coscienza può essere tanto artificiosa, prefabbricazione studiata e programmata.
Perché sono cristiano e il mio Dio è Dio non voglio essere difeso, protetto, salvato da niente e da nessuno.
Voglio vivere in quella libertà infinita unicamente segnata e delimitata dall'immensità di Dio: in questo spazio accetto soltanto la sua presenza e tutto quello che ha rapporto con lui. A tutto il resto tolgo ogni diritto nei miei confronti, non mi riguarda, non può aver niente a che fare con me.
Quindi non voglio difese e protezioni di alcun genere. Se sono cristiano e in quanto cristiano non posso che essere totalmente disponibile e pronto per qualsiasi rischio.
Assolutamente non voglio essere difeso dalla polizia, protetto dalle forze dell'ordine. Non desidero affatto che siano potenziate e più armate per garantire la tranquillità del mio vivere.
E' assurdo e miserabile che altri uomini abbiano a rischiare la loro vita, che siano ben armati per spezzare quelìa degli altri, perché io possa spassarmela sereno e contento. Se piove forte è giusto che mi ammolli fino al midollo e se la casa brucia devo bruciarmi.
Non voglio eserciti ad assicurare la mia pace. Né governi a provvedere al mio benessere. Non delego a nessuno l'incarico di preoccuparsi di me.
E tanto meno (la cosa è spaventosamente assurda) voglio e sopporto che la mia Fede sia pro-tetta, favorita da concordati.
Se Gerarchia vuol dire autorità che protegge e difende, non ne voglio sapere. Se Chiesa è luogo per la mia Fede, assicurazione di salvezza di qui e di là, non posso che sentirmene fuori. Preferisco vivere all'aperto, abbandonato a tutte le intemperie. Dev'essere esposta la mia Fede a tutti i pericoli moltiplicati da questo mio tempo, fragile e forte unicamente perché adorabile dono di Dio e abbandonata com'è al mio rispondergli che può essere appassionato o disorientato per la mia infinità potenza d'Amore e per la infinita fragilità della mia carne.
Vorrei camminare nella mia vita (per quel poco che me ne può rimanere) solo col mio Dio, forte unicamente della sua forza.
So molto bene che solo con lui, mi diventa possibile essere uomo-umanità. Allora posso camminare per le strade, entrare nelle case, dormire e viaggiare, vivere tutta la mia vita liberamente, fra la mia gente, fidarmi di tutti, vivere insieme.
Senza paure e quindi senza giudicare e senza condannare. E cioè senza difendermi mai, da niente e da nessuno.
E'vero che questa è la maniera di perdere tutto e anche la vita, ma è anche vero che soltanto così è possibile essere salvi, cioè se stessi, figli di Dio e dell'uomo.
"Non temete coloro che uccidono 'il corpo, ma non possono uccidere l'anima. Temete piuttosto chi può far perire nella geenna anima e corpo".
don Sirio
due lacrime
furtivamente asciugate
nel buio falso
di un cinema
lacrime limpide
d'immacolata innocenza
per un verginale seno
colmato di mistero
donna e uomo
dallo sguardo infinito
immagini d'ombra
rivelazione divina
ti pensai quella sera
cuore di bambino
e vedo nella tua notte
la madre di Cristo
guardarti e donarti
immacolata innocenza
con quelle due lacrime
tenerissimo Amore
Sirio
don Sirio
Succede ogni tanto, in qualche particolare circostanza, che la sofferenza arrivi a punte estreme d'angoscia da aver l'impressione che sia impossibile una misura maggiore. Era ciò che mi capitava venerdì sera 21 novembre in piazza S. Pietro durante la cosiddetta «Veglia della Fede» delle forze armate. Qualcosa che somigliava ad un profondo smarrimento, un'assoluta incapacità a poter capire come era possibile, l'evidenza di un'assurdità che aveva letteralmente dell'allucinazione, una realtà che si svolgeva davanti agli occhi e percuoteva spietatamente gli orecchi: e mi veniva da immaginare stranamente che non fosse vero, che era un sogno, un bruttissimo sogno.
Una folla sterminata di militari, di soldati. Di tutte le armi e di non so quanti eserciti. Intruppati, a ranghi serrati, dentro le staccionate. Divise e berretti di ogni genere. Tutti i gradi evidenti e ben lucidati. E cappellani innumerevoli con basco stemmato e sottana con le stellette al collo e sulle spalle. Zelanti e ferventi come non mai perché questo pellegrinaggio delle forze armate per l'Anno Santo risultasse la dimostrazìone più convincente di tutta la pastorale castrense.
La diocesi militare italiana le cui parrocchie sono caserme, i cui parroci sono preti con le stellette, ufficiali, capitani, maggiori, il cui vescovo è generale di corpo d'armata e il cui popolo di fedeli è fatto di giovani forzatamente portati via dal loro lavoro, scuola, famiglia, strappati alla loro libertà, per essere irreggimentati a imparare la guerra maneggiando moschetti, cannoni, carri armati, caccia bombardieri e cacciatorpediniere: tutta ferraglia destinata, come dicono, a difendere i sacri confini della patria. E' questa la diocesi particolarmente impegnata in una mobìlitazione generale di tutte le forze disponibili per realizzare il buon esito delle sacre grandi manovre culminanti in questi quattro giorni di Anno Santo per i militari italiani e delle forze armate del mondo occidentale.
Perché questo Anno Santo, fra le tante cose, si è trovato ad essere anche militarizzato. E piazza S. Pietro è stata trasformata in un immenso campo militare.
Una serata fredda, senza luna e senza stelle, soffiata di vento gelido. Il giro maestoso del colonnato, le statue dei santi di pietra illuminate. Luce diffusa sulla facciata di S. Pietro e più intensa sulla cupola, contro il buio del cielo. Due riflettori militari giravano i loro occhi accecanti sul colonnato, sui santi, sulla facciata, sulla cupola, sui palazzi apostolici: due enormi fasci di luce come a cercare qualcosa che pareva non riuscisse a trovare.
Evidentemente vi era un grosso tentativo di spettacolo, la ricerca di una grandiosità suggestiva e realmente tutto aveva dell'irreale, un'immensa vastità scenica, come per una eccezionale ripresa cinematografica.
Hanno cominciato suggerendo il segno della croce e invocando il nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Gli spettatori si sono resi un po' più attenti: le forze armate iniziavano la veglia della fede.
Una voce (così sgraziata quella voce microfonica) ha annunciato: «Il Vangelo dice: quando due o tre si trovano uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro. Con Cristo presente in mezzo a noi viviamo questo momento di fede e di fraternità.
Il vento diaccio mi stava gelando, ma era anche l'anima mi si rabbrividiva nel più profondo di me. Ho cominciato ad avvertire l'orrore del sacrilegio, della profanazione Mi stava succedendo l'acutizzarsì di quella terribile angoscia perché avvertivo l'equivoco, la distorsione, il piegare il mio Dio ad un'alleanza assurda, un appropriarsi di Gesù Cristo per tentare di costringerlo ad essere presente fra gli eserciti, dentro quella folla agguerrita da una continua e serrata educazione bellicista, armata fino ai denti, perché le armi non c'erano in piazza S. Pietro, ma le avevano a casa loro, nelle caserme, nei depositi militari. ben oliate, lucide e pronte all'uso, appena scattasse un ordine.
E procedeva ormai d'accordo con Gesù Cristo, quella veglia di preghiera e di fede. Dai potenti altoparlanti si diffondeva gelido come il freddo della notte il ritornello: «Dov'è carità e amore qui c'è Dio. Ci ha riuniti tutti insieme Cristo amore, rallegriamoci esultanti nel Signore... ». E mi angosciava quell'insistere non nell'invocare ma nel dichiarare con piena sicurezza che Dio era li, come un generalissimo in capo fra le sue truppe. E mi veniva alla memoria, dolorosamente, che era nella domenica di Cristo Re la celebrazione dell'Anno Santo delle forze armate e non riuscivo a non pensare che tutto non poteva non essere intenzionalizzato dalla zelante programmazione della pastorale castrense.
A questo punto bisognava proprio implorare dall'onnipotenza misericordiosa di Dio un po' di Fede e la voce ecclesiastica a stellette dell'altoparlante precisava invocazioni devozionali e il coro ammaestrato intorno al microfono, ripeteva con enfasi: O Signore aumenta la nostra fede. "Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi». Gesù Cristo ha dato l'esempio. Avremo fede nella misura in cui sapremo amare...
Ci voleva realmente una gran fede, annullare cioè qualsiasi ombra di ragionamento, per credere che nell'esercito possa entrare e dominare quest'unica legge, quella dell'Amore. L'Amore là dove legge unica, suprema è la forza. La forza dell'assolutismo, dell'autorità, della gerarchia, dell'imposizione, della sopraffazione, perché è la forza bruta delle armi. L'Amore dove tutto è violenza.
Continuava, approfondendosi sempre di più, l'equivoco quello di parlare e di cantare a dei singoli cristiani dimenticando volutamente che quei poveri cristiani erano intruppati in un esercito, realtà assolutamente impossibile ad essere cristianizzata.
Alleluia alleluia, alleluia...
"Se uno mi ama, osserva la mia parola", dice il Signore «e il Padre mio lo amerà e verremo a lui».
Va bene, d'accordo, ormai tutto può essere detto e proclamato in questo pietismo assurdo, dove anche la Parola diventa parole scolorite, sbiadite da una evangelizzazione pastorale ad uso e consumo ben congegnato.
E la lettura del Vangelo erano le parole di Gesù ai discepoli prima della sua passione e morte per mano dell'esercito romano, soldati e ufficiali a fare il loro mestiere... e certo sgomentava sentir rivolgere a dei soldati l'esortazione adorabile di Gesù all'Amore supremo: ...«nessuno ha maggiore Amore di questo: che dia la vita per i suoi amici»...
Presa alla lettera poteva essere una liturgia di contestazione terribile di ogni e qualsiasi militarismo. Se i soldati avessero attentamente ascoltato e accolto in un cuore sinceramente e profondamente cristiano, ne sarebbe venuto fuori un chiarimento folgorante fino a non poter non su-scitare profonde intensità di obiezione di coscienza. Una conversione improvvisa, una riconciliazione irresistibile, un Anno Santo meraviglioso: i cappellani militari e il loro vescovo sbalorditi davanti all'incredibile spettacolo di soldati, di ufficiali, di generali, ascoltate le loro parole evangelicamente ardenti e convincenti, strapparsi le stellette, de porle ai piedi di S. Pietro, abbracciarsi correndo a cercare un treno per ritornarsene a casa, felici e contenti di non essere più servi ma amici, di non avere più padroni ma soltanto un Padre, di non credere più a quello che insegnano i generali, ma a quello che dice S. Paolo: "Uno solo è il Signore, una sola la fede, uno solo il battesimo". Gesù Cristo è centro di unità. La fede in lui supera ogni divisione (e ogni reggimento) e rende i credenti un solo popolo (quindi senza confini da difendere) che opera nel suo nome (e non in quello del ministro della difesa) e con la sua forza (evidentemente molto diversa da quella dei carri armati e delle bombe atomiche).
La mattina dopo si sarebbe letto sui giornali la straordinaria notizia: i cappellani militari e il loro vescovo sono stati arrestati e deferiti a un tribunale militare perché a seguito di una liturgia celebrata in piazza S. Pietro, i militari presenti, in massa, hanno disertato, per obiezione di coscienza cristiana, e sono tornati alle loro case, convertiti e riconciliati.
Quei potenti coni di luce mi hanno richiamato alla realtà delle cose: in ogni modo anche la speranza fatta di sogni può accendere qualcosa nell'anima e anche fisicamente mi riusciva di più sopportare il gran freddo di vento gelato e di veglia morta dì fede.
E anche la marea degli spettatori militari e consorti e parenti si andava rianimando. Lo spettacolo usciva da una staticità piuttosto deprimente e cominciava a muoversi. Dagli altoparlanti calavano invocazioni alla croce in tutte le lingue. I due potentissimi fari si sono centrati al di là dell'obelisco, dove si andavano accendendo grosse fiaccole a fiamma mossa dal vento. Si muoveva qualcosa ordinandosi .in un corteo procedente a passo lento, cadenzato, solenne.
Alzandomi sulle punte dei piedi ho visto una grande, immensa croce distesa e sotto, le spalle di soldati e ufficiali assortiti di tra le diverse armi rappresentanze straniere.
Lentamente, con solennità marziale, quella croce ha salito il suo calvario: davanti alla cappella papale, sull'alto della piazza di contro alla facciata della basilica di S. Pietro, i due coni di luce potente centravano Ia scena, a poco a poco la grande croce si è levata. Non so perché, ma mi sembrava il rito spietato, freddo, lontano di una esecuzione.
Quando è stata rizzata lassù e l'esercito è scattato sull'attenti, una specie di applauso a battimani ha tentato di levarsi. Mi stava singhiozzando un immenso, lanciante orrore nell'anima. Quello che stavo vedendo era veramente un po' troppo.
Là su quella croce senza crocifisso, innalzata da militari, inalberata dall'esercito, dagli eserciti rappresentanti di gran parte del mondo, così schiacciato ed oppresso da innumerevoli dittature militari: là su quella croce vi vedevo pendere inchiodata la libertà, la giustizia, la fraternità, Non segno di Amore, ma strumentalizzazione di potenza. Non il segno del Crocifisso, ma il segno dei crocifissori.
Non mi sono levato il berretto quando cardinali e vescovi riuniti sotto quella croce hanno impartito la loro benedizione, né mi sono fatto il segno della croce.
Me ne seno andato a vedere cosa era successo di una povera donna e di tre giovani, portati via nell'ufficio del commissariato al di là del colonnato, da dei carabinieri perché sorpresi a distribuire ciclostilati che invitavano i militari a pregare insieme a dei non violenti per costruire la pare, meditare sulla guerra, la violenza, la tortura, la sopraffazione nel mondo.
Intanto, e la notte era ancora più buia e fredda, dagli altoparlanti esultava per la splendida riuscita della serata, per la fede esplosa dai petti militari, il fervente zelo dell'ordinariato militare e del suo clero sicuramente orgoglioso del fervore delle proprie parrocchie: e il coro, mentre i militari si avviavano verso le caserme o forse verso una libera uscìta-prernìo alle 11 di notte, questo cosiddetto INNO ALLA GIOIA:
1- Intonate, o fratelli alla gioia il canto - Dio vi solleva dalle tenebre ai cieli - Senza lui non c'è rimedio per corpo ed anima - la sorgente della vita a no la salvezza da.
2 - Su fratelli accorrete senza differenza di paese, razza, rango, Dio non vi bada - Abbattete ogni muro nessuno sta sopra voi - grande solo uno nostro Dio nei cieli sta.
3- Con la forza del Signore custodiamo la pace - Quale spirito la manda chi l'acquista noterà - noi così vedremo di nuovo ciò che ci minaccerà - e saremo ancor frate1li ritrovando l'unìtà.
N.B.
Data la lunghezza di questo servizio per la veglia della fede di venerdì 21 novembre, risparmiamo ai nostri amici l'altro servizio, sempre dalla piazza S. Pietro, per la Messa del Papa per i militari, celebrata domenica 23 alle ore l0. Anche perché raccontare troppo di cose penose, affliggenti e deprimenti può essere veramente approfittare eccessivamente della bontà dei nostri amici. E poi anche perché tutto è facilmente immaginabile e se poi qualcuno ha letto «Avvenire» (questo cattolico quotidiano) da disgustosità non ha bisogno di essere accentuata.
don Sirio
Abbiamo ricevuto questa lettera da un gruppo di amici di Torino che da anni tirano avanti un immenso lavoro per l'affermazione e l'espansione del movimento non violento in Italia. Il loro mensile d'informazione sulle lotte non violente in Italia e nel mondo, è particolarmente incisivo e provocante. Chi vuole seguire e partecipare quest'azione decisiva per rovesciare l'orrenda realtà di questo nostro mondo economico, politico, religioso che fonda le proprie sicurezze sulla potenza militare e continua con un crescendo impressionante a convincere il povero popolo a credere e a sperare che la pace fiorisca dai cannoni, chi sente in coscienza il bisogno di coscientizzarsi e di fare qualcosa per sostituire la non violenza alla violenza, non può fare a meno delle paginette, umili ma brucianti, di questo periodico che la tenacia appassionata di questo gruppo non violento offre a chi ha scoperto in se stesso una seria volontà di pace e di fraternità nel mondo.
Torino 29 ottobre 1975
Caro compagno, come tu sai, è stata approvata la legge n. 772 del 15.12.72, che riconosce l'obiezione di coscienza e consente di eseguire un servizio civile in alternativa al servizio militare.
Questo è attualmente in atto in diverse città e, pur nelle grosse difficoltà che incontra, riesce ad esprimere una notevole carica di rinnovamento, specialmente la dove esso è svolto presso sindacati, comitati di quartiere, ecc.
Riscontriamo però due limiti significativi: da un lato il fatto che un gran numero di giovani non è a conoscenza di questa possibilità, cosicché il numero degli obiettori è ancora limitato; dall'altro lato è in corso un vero e proprio attacco contro il servizio civile da parte del Ministero della Difesa, che si esprime in diversi modi:
- presenza di una commissione che pretende di giudicare la coscienza dei giovani, negando la qualifica di obiettori a diversi di essi (il caso più clamoroso è quello di Ezio Rossato, da mesi detenuto nelle carceri militari)
- mancata risposta alla domanda di obiezione (vi sono giovani che attendono da ben 17 mesi di sapere se potranno o meno fare il servizio civile: è chiaro che questa è una situazione assolutamente insostenibile che lede la già insufficiente legge la quale stabilisce un termine di sei me-si per la risposta).
- mancato finanziamento del corsi di avviamento al servizio civile, al termine del quali inoltre il Ministero tarda parecchi mesi a distaccare l'obiettare presso l'ente scelto, che a sua volta è sovente sottoposto a discriminazioni (Ital-Uil convenzionato, Inas-Cisl no).
Di fronte a queste difficoltà, i Movimenti non violenti, che già da anni pubblicano bollettini, riviste, ecc., hanno deciso una parziale unificazione delle loro pubblicazioni per potere produrre un'informazione più attenta e capillare: in quest'ambito si colloca Satyagraha, che si pone come strumento di primo e generale accostamento alla tematica non violenta antimilitarista. Per aprire orizzonti nuovi al dibattito politico, per reagire alle mene affossatrici del Ministero della Difesa, perché gli obiettori siano più collegati e numerosi e il servizio sviluppi tutte le sue potenzialità, è dunque necessario che Satyagraha sia il più possibile conosciuto.
A te, caro compagno, chiediamo di darci una mano pubblicando l'inserto allegato, eventualmente accompagnato da questa lettera, nelle parti che ritieni più interessanti. Purtroppo non abbiamo denaro, ti chiediamo dunque un inserto gratuito, sapendo che la pubblicazione che dirigi è aperta al forze che si battono per il rinnovamento della società.
Grazie e cordiali saluti,
per la redazione: Adriana Musso
Se pensi che Rivoluzione e Armi non siano sinonimi. Se t' interessa sapere quali sono le attività e i problemi che affrontano i giovani in Servizio Civile Se sei un obiettore di coscienza;
allora ti interessa
SATYAGRAHA
il mensile che ti informa sulle lotte non violente in Italia e nel mondo.
L'abbonamento annuo si fa versando L. 1000 sul c/ postale n. 2/1-9656 intestato a Satyagrana Via Venaria 8/58 10148. Torino. Chiedine copie saggio che ti saranno inviate gratuitamente aggiungendo alla richiesta il francobollo per la risposta.
Nella storia del mondo (non storia di uomini soltanto, ma storia di Dio e di umanità e un giorno o migliaia di anni è lo stesso) è entrata una storia, la storia di una vita, di un uomo. Il suo nome è Gesù. Il suo nome proprio di battesimo si direbbe.
Al suo nome di battesimo, al suo nome al quale è legata la sua vicenda di vita, sono stati aggiunti molti altri nomi, come degli aggettivi di specificazione, come dei titoli per indicare meglio e più totalmente il suo vero essere. E quindi Gesù viene chiamato Cristo, il Messia, il figlio dell'Uomo, il Figlio di Dio (cognomi che Gesù si dava per farsi conoscere in tutto quello che lui è), maestro, pastore, il nazareno, il Signore, il salvatore, il redentore, ecc.
E' la fede che vede e crede che a Gesù appartengano tutti questi titoli. E' la fede cristiana. Però rimane vero che se si vuole dire chi sia il Cristo, il figlio dell'uomo, il Figlio di Dio, il salvatore, ecc. bisogna sempre riferirci a Gesù e alla sua storia.
La sua storia non può essere sostituita da un'altra storia o dalla storia di altri.
Il suo volto (e crediamo che sia il volto umano di Dio) è quello di Gesù e non quello di qualsiasi altro uomo o immagine d'uomo o immagine di Dio.
Il suo insegnamento, la sua dottrina, le sue parole sono quelle di Gesù e non quelle di qualsiasi altra dottrina o teologia o magistero.
L'identità del cristiano e quindi della Chiesa (la comunità dei credenti in Lui) si giudica e si ottiene unicamente attraverso il criterio che è la storia di Gesù.
La fede in Gesù è la scelta di un uomo che è sicuramente il Cristo, il figlio di Dio, ma è quindi scelta di fede in una storia, in un racconto di episodi e di parole che comunemente, da sempre, si chiama il Vangelo.
Nella ricerca di una sincerità cristiana, cioè di una fedeltà o infedeltà a Gesù, di una accoglienza o di una respinta, di un consenso o di un dissenso, cerchiamo qualche pagina di Vangelo nella quale verificare il Cristianesimo, la Fede cristiana, di ciascuno di noi e del nostro tempo.
La Comunità del Porto
Luigi Sonnenfeld
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