Il pellegrinaggio militare internazionale per l' Anno Santo, preannunciato già da tempo, dovrebbe aver luogo a Roma domenica 23 novembre. Questo pellegrinaggio è stato preceduto da analoghe iniziative delle diverse regioni militari italiane.
Già da tempo, uno degli impegni che ci siamo assunti è quello di lottare contro l'istituto cappellani militari, la collusione che ne risulta tra Chiesa ed esercito, potere ecclesiastico e potere militare, ecc.
Tutto questo perché giudichiamo l'esercito e tutto l'apparato militare come un centro di potere, come un'organizzazione di forza e di mezzi ordinata alla guerra e quindi una realtà di fatto assolutamente inconciliabile con il Cristianesimo.
Non riusciamo, quindi, né a capire, né ad accettare questo «pellegrinaggio», questa «riconciliazione».
L'obiezione consueta dirà che anche i soldati sono l'organizzazione dell'esercito e della Chiesa presente ed inquadrata nell'esercito.
Non sappiamo ciò che dalla finestra si dirà ai militari raccolti in Piazza San Pietro, ma anche se ovviamente si parlerà di pace, sarà pace conquistabile e difendibile principalmente, se non esclusivamente, con la guerra dal momento che la si affida - la pace - ad un esercito.
Non sarà quindi possibile una riconciliazione con i popoli schiavi di dittature militari. Non sarà possibile una riconciliazione con gli obiettori di coscienza di tutti i paesi. Questi grossi nodi per la coscienza cristiana rimarranno insoluti o meglio saranno ulteriormente complicati dalla presenza degli eserciti in Piazza San Pietro.
Del resto quanto questi problemi siano (o debbono essere come prezzo pagato dai cappellani per le loro stellette) dimenticati, lo si può facilmente dedurre dal contenuto di una dichiarazione del vescovo castrense italiano alla radio vaticana: «Riconciliazione può significare negli ambienti militari per chi deve comandare, resistenza ad ogni tentazione di abusare del potere e intelligente esercizio cristiano dell'autorità come autentico servizio alla crescita umana e spirituale delle singole persone e dell'intera comunità. Per chi è sottoposto alla disciplina militare la «riconciliazione» significa valorizzare l'impegno a superare il proprio egoismo, in una gioiosa riscoperta dell'amicizia, in una felice constatazione che l'obbedienza può diventare virtù liberatrice. se fatta in donazione, pazienza e fedeltà a tutti».
Questa dichiarazione, già commentata su questi fogli, dà per scontata la struttura dell'esercito. Propone una figura di ufficiale devoto alle istituzioni democratiche ed un allegro insieme di buoni ragazzi uniti da sano cameratismo. In verità un'immagine un po' sbiadita di un esercito di cavalieri in difesa della tranquillità dei cittadini.
Forse i cappellani militari non sanno per esempio che l'Italia è al quinto posto dei paesi che commerciano armi e che tale traffico (soprattutto per i paesi sottosviluppati) passa anche attraverso i canali dell'esercito? O forse non si rendono conto di cosa significhi questo fatto per una spirale di violenza e di repressione?
Quale riconciliazione viene proposta per questi fatti?
Il 23 novembre cerchiamo di essere a Roma per una ricerca di chiarezza evangelica su questi grossi problemi, anche se sarà come gridare nel deserto di una umanità e di una situazione storica sempre più rivolta a cercare soluzioni nella violenza e nella morte. Sempre che ne troviamo il coraggio ed i modi .
La Redazione
E' un pensiero che mi accompagna da molto tempo e diventa convinzione sempre più precisa e sicura: al fondo di tutto il problema del Cristianesimo gioca certamente un ruolo decisivo la paura di Gesù Cristo. Paura di Lui, delle sue scelte così nette e assolute, della sua chiarezza di rapporto con Dio Padre e con gli uomini riconosciuti come fratelli e amati fino a misure estreme di comunione e dono di sé. Paura del suo essere uomo così completo, senza compromessi - né col potere, né con la carne o il sangue, né con le tradizioni umane - e quindi profondamente partecipe dell'esistenza con preferenze "di parte" che lo hanno portato a finire sul patibolo della croce.
Proprio la sua croce rimane il segno speciale di questa "paura di Gesù"che molto probabilmente è la spiegazione profonda di tutta una storia di Chiesa così lontana dalla verità del suo Maestro, dalla sua lotta per il regno di Dio nel cuore e nella storia dell'uomo. .
Anche se non abbiamo il coraggio e la sincerità di confessare di avere paura di Lui, di non poterlo accogliere nella nostra vita come realmente Lui è e risulta dai Vangeli: tanto è vero che per voler ammettere a tutti i costi di essere cristiani ci siamo fatti, più o meno tutti, un Gesù Cristo a nostra immagine e somiglianza, a misura dei nostri pensieri e dei nostri amori sempre tristemente incompleti e lontani da ciò che ci sarebbe richiesto dal Gesù "vero", da Gesù di Nazareth così come risulta dalla limpidità della sua storia, dal fuoco bruciante della sua parola, dall'impegno senza riserve per la liberazione dell'uomo da ogni idolo e catena.
Come è stato :possibile, altrimenti, che una Chiesa che si è sempre dichiarata corpo di Cristo e popolo di Dio abbia distorto e tradito a volte in modi impressionanti la parola e la vita del suo Signore? Abbiamo "svuotato la croce di Cristo" in innumerevoli occasioni e vi abbiamo appeso a più riprese coloro che secondo l'opportunità del momento abbiamo pensato bene di dichiarare nemici di Dio, della Verità, della Legge.
Tutto questo è stato possibile perché la paura di Cristo si è impadronita del nostro cuore e abbiamo compreso che la fedeltà a Lui avrebbe comportato di salire noi su quella croce alla quale invece abbiamo preferito inchiodare (o lasciare inchiodare) gli altri.
Riconoscere questa dolorosa realtà storica non significa affatto spingerci alla disperazione o voler gettare fango sulla faccia di nostra madre-Chiesa: e necessario però portare con chiarezza la responsabilità di tutte le incapacità che come credenti abbiamo nei confronti del Cristo Gesù.
E' di questi giorni (e c'è una significativa risposta su «Famiglia cristiana» del 19 ottobre) la polemica per l'intervento di una scrittrice "laica" e non credente sull'interessamento di papa Paolo VI per i condannati a morte in Spagna dal regime guidato dal cattolicissimo Francisco Franco: vi ho ritrovata chiarissima questa paura di Gesù nel rispondere ad una donna che ha scritto che il papa anziché telefonare al generalissimo avrebbe dovuto prendere il primo aereo per Madrid e andare là a chiedere la grazia. Naturalmente non per inginocchiarsi davanti ad un potere «cattolico», ma per scoprire finalmente con la sua presenza fisica tutto l'imbroglio che continua da quaranta anni: quello cioè di un uomo che si è sempre proclamato cristiano, difensore della fede e che ha massacrato, oppresso, emarginato gli uomini migliori del suo popolo e che quasi. sicuramente ha perso l'ultima occasione per uscire dalla storia con un gesto di ravvedimento, di conversione, di penitenza per la tragedia che ha rovesciare sulla sua terra. Forse l'ultima occasione per presentarsi al giudizio di Dio con le mani meno sporche di sangue.
Non so perché la Ginzburg abbia scritto di questo doveroso viaggio del papa: se è stato lo spirito di polemica, di maldicenza politica a guidare la sua penna, oppure un sincero (magari rabbioso) amore per quegli uomini stroncati dalle mitraglie in nome di una giustizia da assassini.
Comunque sia, la sua rimane ugualmente una domanda che merita una risposta ben diversa da quella che ho letto anche sul cattolico "Avvenire".
Non è una dichiarazione stupida né tanto meno diffamatoria: è un problema che dovrebbe inquietarci tutti perché il fatto che il papa andasse di persona a Madrid non è uno scherzo. «Ipocriti, se una pecora cade nel fosso in giorno di sabato forse che non vi precipitate a tirarla fuori? E allora per un uomo non è lecito fare altrettanto? »: cinque vite valevano indubbiamente qualunque tentativo.
Il dramma e la tragedia consiste invece nell'impossibilità che un simile avvenimento si realizzasse nell'attuale situazione della Chiesa. Alla Ginzburg vorrei rispondere dicendo che la Chiesa, il popolo cristiano nel suo insieme ha espresso il meglio di se stesso nell'accorato appello di Paolo VI: ma la misura della Chiesa - in questo momento - finisce lì. Il papa non poteva andare a Madrid: perché la Chiesa storica che siamo noi tutti non ha fatto le scelte radicali, le rotture indispensabili, la rinuncia autentica al potere temporale per cui diventa possibile agire e vivere in piena libertà e lottare quindi con amore per la causa dell'uomo oppresso e schiacciato dai potenti della terra. Se Paolo VI avesse avuto la luce necessaria a compiere un gesto del genere è evidente che una "breccia" molto più significativa di quella di Porta Pia si sarebbe aperta nelle vecchie mura della Chiesa e un po' d'Anno Santo sarebbe penetrato dentro i bastioni di un mondo religioso che si dimostra tenacemente impenetrabile dal soffio rinnovatore dello Spirito di Gesù che pure urge violentemente alle sue porte.
Così si è visto il nunzio apostolico vaticano ritornare velocemente a Madrid per essere presente ai festeggiamenti del 39° anniversario del governo di Franco. Un metodo davvero vecchio di separare diplomaticamente i drammi enormi di un popolo oppresso per 39 anni da un regime fascista e le esigenze evangeliche di gridare dai tetti la verità delle cose a difesa dell'uomo. Perché il Vaticano non ha rotto le relazioni diplomatiche col regime spagnolo? Non è una domanda da scartare. Con la scusa che essa è troppo «politica»; anche se è chiaro che tipo di risposta potrebbe venire dagli ambienti ecclesiastici ufficiali.
Bisogna andare molto al di là delle nostre abituali e comode giustificazioni per scoprire le vere radici di questo nostro comportamento non-cristiano: scopriremmo allora che alla base della nostra infedeltà al mistero dell'incarnazione del Figlio di Dio nella pasta dell'esistenza forse c'è proprio quella "paura di Gesù" di cui dicevo all'inizio. Perché in realtà Gesù di Nazareth è una figura inquietante: Egli disturba i nostri sonni tranquilli, mette in crisi le nostre sicurezze di gente perbene, il suo coraggio, la sua tenace obbedienza alla sola volontà del Padre possono davvero sgomentarci: non si può dire a Gesù che sta un personaggio accomodante.
Fa veramente paura la sua povertà così schietta. il suo camminare in libertà da tutto a da tutti e al tempo stesso così disponibile, così attento, così ricco di amore vero, pieno e reale per le creature stanche e percosse dalla vita; il suo parlare senza peli sulla lingua in faccia agli sfruttatori del nome di Dio preso come scusa per rendere schiavi gli uomini di precetti e di leggi. Nella sua esistenza c'è realmente qualcosa di impressionante, qualcosa che può allontanare da Lui invece di avvicinarlo alla nostra strada: questa radicalità del suo vivere senza squilibri in pienezza di fedeltà a Dio e agli uomini. A tutti gli uomini: ai ricchi, ai malvagi, agli ipocriti, ai violenti usando la frusta di un amore che non si spiega, non si mette d'accordo, non cerca mezze misure o false misericordie; e ai poveri, agli abbandonati, alle donne perdute, ai disprezzati, ai sofferenti incontrandoli con un'amicizia, un'accoglienza, una fraternità piena. Uno di loro, sulla stessa strada ad indicare senza incertezze dove camminare per restare fedeli al regno di Dio.
Ed è soprattutto la logica di questo regno che Gesù annuncia ed inizia che sgomenta e allontana da Lui, facendolo sentire estraneo, diverso, come se parlasse una lingua sconosciuta: l'amore ai nemici, la tunica data a chi ti vuoi prendere il mantello, il perdonare sempre, la fame e la sete di una giustizia più grande di quella dei "giusti", il perdere la vita per poterla possedere, la rinuncia volontaria e costruttiva ad ogni potere sugli altri, ad ogni autorità come dominio, il cuore puro, la mitezza, il costruire la pace in un mondo di divisione e di violenza, la gioia dell'essere perseguitati a causa del suo Nome, la scelta assoluta di vincere il male col bene, il buio con la luce, l'odio con l'amore...
Questo Gesù, finito sulla croce per la sua incrollabile fedeltà a questa logica veramente sconcertante, ha sempre fatto paura al popolo cristiano, alla sua Chiesa: ne furono sgomentati quasi tutti gli amici più prossimi, i parenti, i discepoli, gli apostoli che lo lasciarono morire solo sull'alto della sua croce (pochissime donne, Giovanni) e soltanto con la resurrezione ritrovarono la forza e la gioia di credere al suo sogno di vita nuova. Così lungo tutta la storia della cristianità solamente coloro che si sono liberati dalla paura di Lui e si sono lasciati andare perdutamente alle sue richieste hanno realizzato il disegno di Dio nella vita. Hanno aperto una strada alla speranza, hanno mante-nuto acceso il fuoco della fiducia in un vivere più fraterno, nuovo, liberato dall'ingiustizia e dall'angoscia. Liberatisi dalla paura del Cristo e del suo messaggio, sono diventati uomini e donne capaci di liberare gli uomini loro fratelli dalle catene della schiavitù.
Penso che non ci sia altra via per essere pienamente uomini - e perciò veramente figli dell'uomo e figli di Dio, come Gesù - se non quella di accogliere senza riserve la misura della sua umanità, seguendolo con tutte le forze e con tutto il cuore sulla strada che Lui ha percorso senza mai voltarsi indietro. Perché verissima è la sua parola, che chi si volta indietro dopo aver messo mano all'aratro non è adatto per il regno di Dio: e probabilmente neppure per quello dell'uomo.
Signore,
prima di pregarti dovremmo levarci il trucco vistoso
degli occhi, il rosso sfacciato delle labbra,
tirarci su la lampo del vestito ingualcibile,
ma non abbiamo tempo
e ti preghiamo così come siamo
con tutto il nostro dolore.
Non abbiamo niente da darti,
solo tutto il male che abbiamo fatto e ricevuto.
Ti diamo le nostre miserie,
le tenerezze non gustate,
i nostri pianti improvvisi,
le parole impure.
Tu che sei Dio puoi trasformare in luce il buio delle nostre notti.
Rivelaci Signore la santità del vero,
lo splendore del bene fuga le ombre del nostro cuore,
concedici di gustare le cose dello spirito
anche se le nostre mani sono impure come i nostri cuori.
Fa che le parvenze terrene
non offendano l'ansia di bellezza che ci spinge verso di Te.
Sei con noi e non lo sappiamo,
ci sei accanto nelle nostre stanze senza amore,
nei nostri letti disfatti, nei nostri occhi cerchiati.
Sei vicino a noi nel buio e nella solitudine delle nostre giornate tremende,
sei in noi, quando, per un attimo,
alziamo gli occhi al cielo che è Tuo
e t'invochiamo come Padre.
Ci tornano alla mente allora
i giorni beati della nostra infanzia
perché anche noi siamo state pure
e veniamo a Te per pregarTi.
Ora anche se tutto intorno
è frastuono, richiamo, allegria,
siamo sole perché senza Te.
Ma le gioie umane non conoscono pietà, Signore,
solo quando siamo disperate,
veniamo a Te per domandare.
Non abbiamo niente,
una sola ricchezza ancora ci salva,
le nostre creature.
Quasi tutte abbiamo un bambino,
ed è nei loro occhi luminosi
che a volte intravediamo
una traccia del tuo passaggio terreno.
E' l'unico modo per gustare la purezza e Te;
abbracciarli quando torniamo
dai convegni amorosi, vuote e disperate.
Tu che vesti i gigli del prato
e dài vita alle creature dell'aria,
ricordati di noi che non meritiamo niente,
ma desideriamo soltanto
un raggio della Tua luce
per le nostre anime assetate d'amore.
(dal periodico mensile di Genova "Il Gallo" - settembre 1975)
Nazareth
agosto 1975
Per il tempo, è già oltre un mese e mezzo, che sono qui in Palestina, ho già camminato tanto per queste strade, fra le montagne, nel deserto, sulle sponde del lago, attraverso le città, specialmente a Gerusalemme. Mi ferma solo il lavoro che mi impegno di fare per pagarmi il vivere quotidiano e spesso la stanchezza che mi vince, ma cerco di abbandonarmi a questa terra più che mi è possibile ano che materialmente, come lasciarsi andare ad un pellegrinare incessante, cammino e corro per le strade come se fosse un perdermi, un lasciarmi portar via, a volte quasi senza una meta precisa, obbedendo ad un richiamo di montagne pietrose di mistero, di vallate che, si vede bene, sono colmate d'infinito.
Non so tutta la terribile storia di millenni che ha percosso e agitato questa terra. So soltanto di camminare attraverso e dentro un mistero di rapporti tra Dio e umanità. E so bene, e lo sento, come qualcosa che si respira, che è la realtà di questi incontri e scontri, quella nella quale sto perdendomi, quasi fino ad esserne travolto e sparire, piccolo uomo, solo occhi, per vedere una terra bellissima e terribile come un po' tutta la terra, ma qui piccolo uomo per essere risucchiato dal di dentro di tutto un mistero che l'anima attenta percepisce chiaramente e il cuore aperto accoglie spesso con trepidazione, quasi con timore e tremore. Perché spesso è troppo quello che trasparisce, si rivela e si manifesta. Fino alla sopraffazione e all'annullamento di sé per il rimanere e l'imporsi, violento, prepotente e adorabile unicamente di Dio.
Perché in fondo sto cercando proprio lui. So bene e credo che qui si è manifestato, ha rivelato cioè di voler abitare questa terra, di mescolarsi qui, in maniera diretta, con l'umanità che da sempre l'abita, di coinvolgersi in tutta una vicenda continuata per millenni e che ancora continua, lo sento, lo vedo bene. L'umanità di questa terra non ha mai in realtà voluto saperne di Lui e in definitiva la sua storia è storia, di allora e di ora, di respinta di Dio, di lotta contro Dio, ma, nonostante gli uomini di ora e di sempre, questa terra è stata e è amata da Dio.
Non saprei dire, perché è proprio impossibile e può sembrare anche cosa strana e assurda, quanto senta, avverta - e mi prende e mi affascina, quasi contemplazione e adorazione profonda al di là di ogni considerazione e formulazione di pensieri, - l'Amore di Dio per questa terra. Diffuso, disteso, come Amore che abbraccia si effonde e si abbandona. Mi verrebbe da dubitare se Dio ha scelto questa terra per Amore del suo popolo, o se si è fatto un popolo appositamente per abitare e «possedere» attraverso lui e in lui, questa terra.
Anche Gesù, Dio venuto ad abitare fra gli uomini, non so bene quanto abbia giocato nella scelta di questa terra, questa zolla di terra perché fosse tutta la terra dove nascere vivere e morire. E fra le tante angosce, deve aver provato anche la pena, misteriosa di Amore, di lasciare questa amatissima terra per andare a morire. A volte mi fermo a cercare di guardare questa sua terra tentando di guardarla come l'avrà guardata Lui, ma sento bene che è appena uno sfiorare l'intensità del suo Amore.
E' terra questa che mi sembra abbia a ribollire di Dio. E' terra vulcanica di Dio. Da ogni pietra alle montagne tutto è segnato di Dio, ne porta l'impronta, ne racconta la vicenda. E' qui che si precisa e si concretizza e diventa storia, Dio nel suo ostinarsi a voler vivere la vita, l'esistenza degli uomini. Da dopo la creazione, il suo rapporto universale fra creatore e creatura ha voluto che diventasse rapporto particolare e si è scelto un pezzo di terra e quindi un popolo.
Non so più quanto sia giusto e la riflessione mi diventa motivo di giudizio attuale, anche in relazione a tutta questa terribile vicenda arabo-israeliana con tutte le implicazioni mondiali che questa vicenda comporta non so quanto sia giusto pensare che Dio abbia eletto un popolo: mi sembra assai più vero, specialmente con riferimento al Mistero di Gesù Cristo, che Dio ha eletto una terra e che a motivazione e a spiegazione di tutta una storia - la Bibbia - vi sia la scelta di una terra, assai più che la scelta di un popolo. O almeno mi sembra che la scelta e il costruirsi un popolo sia a seguito della scelta di una terra, di questa terra.
E' terra promessa. Cioè terra d'incontro, d'alleanza. Segno e simbolo reale, concreto, terra, dove Dio si manifesta rivela sé stesso, chiarisce il suo progetto d'Amore, precisa le motivazioni della creazione del mondo, prepara e dispone dove nascere, vivere e morire, dove vivere cioè tutta la terra, tutto il creato, dove realizzare le offerte più totali del suo Amore, dove poter essere in maniera e misura che di più è impossibile, cioè che Lui è Amore.
E' sacramento di Dio questa terra. E quindi senza pace, senza riposo perché è la terra del contrasto, della lotta degli uomini contro Dio. E della lotta di Dio contro gli uomini.
Porta in se questa terra benedizione e maledizione. La sento con estrema chiarezza questa realtà di opposti, di contraddizione. Qui assai più che altrove si conosce Dio, profondamente, quasi in maniera sensibile come per un incontrarlo, guardarlo, parlarci, ma specialmente per un ascoltarlo, come quando Mosè sul Sinai lo vide ascoltandolo passare, e qui assai più che altrove si conosce e si capisce cosa è l'uomo, l'umanità specialmente nel suo mistero religioso, cioè nelle realtà storica del suo rapporto con Dio.
Sarei tanto felice di vivere qui, lasciandomi andare a questa terra, dove l'avvertenza di Dio è ad ogni passo e dove il se stesso non può che allargarsi, distendersi e perdersi dolcemente e seriamente: perché qui si è anche materialmente nella «promessa» e l'attesa allora è fiduciosa e serena, è già certezza, come essere arrivati perché è promessa di Dio - assicura ogni speranza e ogni certezza di Amore. Ma sento che avrei anche paura, una strana paura, abitare qui. Perché qui si è nella terra di Dio, terra di possesso di Lui. Quasi, mi sembra sua proprietà diretta, personale. E' terra quindi che non ammette patteggiamenti, condizioni, riserve. Dove Dio è tutto e vuole essere assolutamente tutto. L'unico. L'assoluto. Colui che è.
Allora questa terra si scuoterà sempre, come per terremoto incessante. Si spaccherà sempre come alla morte e risurrezione di Gesù. Sarà costruita e distrutta incessantemente. Se c'è terra senza pace, è questa terra. Finchè i tempi della "promessa" non saranno compiuti. E forse sono ancora molto lontani.
Mi angoscia terribilmente questa gente che incontro per le città, le strade, dovunque. Questa civiltà d'uomo che tutto sta invadendo, quasi a sopraffare la promessa e a violarla ancora una volta, facendo proprietà di uomini questa terra di Dio. Mi angoscia, perché al di là di tutte le considerazioni di ordine politico, e possono esserne già chiara indicazione, mi sembra di vedere una spaventosa fatica di uomini condannata a vanificarsi, per un dimenticare che questa è «terra promessa»: terra verso la quale si cammina, dove si vive pellegrinando perché è segno, simbolo, sacramento della verità e realtà più essenziale e insopprimibile: io sono il Signore Dio tuo. Non avrai altro Dio all'infuori di me.
Qui risuona da montagna a montagna questa affermazione - Parola di Dio. La ripetono le vallate a eco profonda, si distende sui campi coltivati e rimbalza sulle pietraie riarse di sole. E' scritto nelle rovine di distruzioni e ricostruzioni senza fine, con la terribile ostinazione dell'uomo che vuole impadronirsi e dominare dove non è suo. Questo tremendo appropriarsi per sé e per i propri progetti di ciò che è di Dio, qui è sacrilegio che Dio non perdona. Gesù lo dichiarava scopertamente e le sue parole sono ciò che Dio pensa di questa terra e di tutta la terra e cioè del rapporto di relatività degli uomini a Dio. E la crocifissione di Gesù - è tutta la Bibbia e storia della crocifissione di Dio - è l'eterna risposta degli uomini.
Sento che questa è terra che non sarà mai terra di conquista. E' terra promessa. Non potrà mai essere posseduta. E' terra condannata ad essere di nessuno, perché è semplicemente e direttamente di Dio. Forse è l'unico pezzo di terra che Dio si è scelto e riservato. Non vi potrà essere volontà d'uomo, volontà di popolo che possa usurpare la proprietà di Dio.
Avverto la tremenda illusione,semplicemente su un piano di Fede e in una sensibilità suscitata da contemplazione misteriosa, avverto la tremenda illusione della storia attuale.
Questa terra ancora una volta respingerà la conquista, rifiuterà la costruzione dell'uomo e la sopraffazione della sua civiltà. E' una semplice legge di rigetto. Mi sembra di sentirlo anche fisicamente. Lo vedo specialmente, nella costruzione delle città. Sono case già morte, non sono nate da questa terra. Costruite come colombari enormi di cimitero. Vuote ad aspettare che uomini vivi vengano a morirvi, come a seppellirsi là dentro nel tentativo di rendere viventi città nate morte.
Questa dolcissima terra del cantico dei cantici. Terra dalla visione sempre nuziale col suo Dio. Terra vigna eletta. La terra delle parabole di Gesù. La terra dove Lui è venuto per compiere la Volontà del Padre. Terra dove scorre veramente latte e miele, ma anche terra che ha bevuto lo scorrere del sangue del suo Dio.
Gerusalemme
settembre 1975
Lo sapevo già per passate esperienze e quindi non mi sorprende, non mi disgusta, non mi crea problemi. A un certo punto viene da accettare gli uomini, cosi come sono, quasi con una rassegna-zione passiva. Specialmente quando la misura di quello che gli uomini sono e mettono insieme con la loro terribile forza di banalizzazione, d'immiserimento, raggiunge limiti che sorpassano ogni im-maginazione e forse anche ogni possibilità di sopportazione, allora uno s'arrende all'accettazione e subisce in pace ogni cosa.
E' certo che lo sfruttamento di Gesù Cristo qui in Terra Santa e particolarmente in Gerusalemme, raggiunge limiti estremi. Ne viene fuori un confusionismo dove è assolutamente impossibile raccapezzarsi, precisare un'idea, capirci qualcosa. Qui è la convergenza, la sintesi localizzata, di tutta la frantumazione del Cristianesimo, del suo sbriciolarsi lungo i secoli in un moltiplicarsi di credenze e di culti fino all'impossibile che possa essere dì più.
Anche qui, e forse particolarmente qui, bisogna fare una terribile fatica di ripulitura, di scrostamento, forse è indispensabile levar via montagne di spazzatura, d'immondizia per ritrovare il volto chiaro e limpido di Gesù Cristo. Bisogna uscire fuori dalla «città» per incontrarlo. E' inevitabile, s'impone assolutamente, liberarsi dalla religione per riconoscerlo. Lasciar cadere ogni culto e vuol dire devozione ma anche liturgia e sacramentalizzazione, è indispensabile per incontrarsi con Lui.
Lo sentivo da tempo che c'è qualcosa che si frappone, si mette fra mezzo e ferma, blocca. E' una porta che dovrebbe introdurre, invece chiude o almeno può chiudere, ma chiude anche quando è aperta. Una strada che deve condurre ma intanto rende il cammino obbligato, costringe a passare di lì e non consente altro modo di avvicinamento.
Una persona addetta per introdurre, disponibile e pronta, grossolana o raffinata che sia, ma deve mediare l'incontro, stabilire i modi, determinare luoghi e momenti. Maniere ben studiate, parole giuste e precise. Ma si rimane degli estranei: specialmente rimane lontano chi dovrebbe essere vicino, immediato, non solo a portata di mano, ma addirittura carne e sangue della propria vita, ragion d'essere del proprio esistere.
Ecco ora basta. Non è più sopportabile una schematizzazione. Un dipendere dagli altri per capire, per conoscere, specialmente per amare.
Ogni artificiosità da qualsiasi parte venga e sia pure motivata dalle ragioni più speciose, va semplicemente respinta. E' falsificazione questa presentazione studiata, architettata, intenzionata.
La superficializzazione è sacrilegio quando si tratta di Dio. La scomposizione della sua interezza, della sua umiltà è annientamento del suo vero essere.
Comincio ad aver paura anche dello studiare eccessivo la sua Parola, il suo progetto di mescolarsi con l'umanità, la sua volontà di vivere la vita umana. E tanto più sento il pericolo di rendere usato e quindi consunto il suo mistero; a forza di averlo fra mano si è lucidato e consumato come la corona del rosario nelle mani di una vecchia devota.
Mi è venuto da constatare che chi ha conservato e costretto a conservare l'idea chiara di Dio sono gli atei e gli ateismi di sempre, compresi quelli correnti del nostro tempo. Sono gli anticristiani - o almeno i non cristiani - che costringono i cristiani a occuparsi più seriamente di Dio, a guardare con più rispetto Gesù Cristo. E' la non Fede che può verificare la Fede. O almeno purificarla perché possa essere più Fede. Ma sembra che sia venuto il tempo - e sta venendo sempre di più - della grande purificazione. Crolleranno le chiese perché il Crocifisso possa ritornare all'aperto, fuori delle mura, sulle piazze, fra la gente, dentro la vita, dentro la storia. Sparirà il clero perché il sacerdozio possa tornare ad essere il popolo. Svanirà il cristianesimo perché la gente possa essere cristiana di Cristo, non delle parrocchie e delle organizzazioni cattoliche. La gerarchia non avrà più alcuna ragione di essere, perché se qualcuno avrà da dire una parola e offrire un'indicazione, questi saranno gli ultimi. Perché Gesù Cristo tornerà ad essere, se di qualcuno deve essere, dei pubblicani, dei peccatori, delle meretrici, dei poveri, degli oppressi, degli emarginati, di chi non è nulla e avranno il miracolo di Lui gli storpi, i lebbrosi, i ciechi, la libertà i prigionieri, la resurrezione i morti. E saranno i non credenti a riconoscerlo Figlio di Dio.
Vi è un grande imbroglio, una falsificazione terribile che dura da secoli 'e secoli, la sostituzione di Gesù Cristo con infinità - è impossibile anche un'ombra d'indicazione a meno di scrivere una storia della Chiesa all'inverso di quella corrente, cioè una storia delle chiese perché non c'è chiesa che si salvi da questo mascheramento - con infinità di cristianesimi fino al punto di una irriconoscibilità di Gesù Cristo.
Avrei tanta voglia d'incontrarmi con Lui, cioè di conoscerlo con semplicità e umiltà. Ma proprio Gesù Cristo. E cioè prima che si desse nelle mani degli uomini, che si lasciasse incatenare e diventasse possesso, proprietà di chi volesse farne quello che più gli piaceva e gli interessava.
Sapere perché di tutta quella sua storia raccontata nel Vangelo. Il significato delle sue scelte, i motivi profondi di tutta una vita. Ma specialmente mi angoscia il non capire la sua morte sulla Croce. Mi sembra di avere capito molto, ma mi manca così tanto da averne paura di questo vuoto. Perché se non so della sua Croce non so niente di Lui. E se la mia Fede in Gesù Cristo non ha questa qualificazione precisa che viene dalla sua Crocifissione, non ho capito niente di Lui e non so cosa possa significare e valere il mio amore per Lui.
Cammino per le sue strade quasi come uno che cerca e guarda qua e là per vedere di ritrovare una persona che pur crede di conoscere. bene e di amare perdutamente, e mi pare d'incontrarla con-tinuamente, la sento col cuore, l'avverto ma mi pare che sia conoscenza come quella di un cieco che non vede.
Vivo sotto il suo cielo e sul suo pezzo di terra, guardo con i suoi occhi e cerco di sentire con il suo cuore, ma è sentimento vago, profondo, insufficiente a darmi la chiarezza del suo perché, della sua vita così particolare - e è quella di Dio, lo so bene, venuto a vivere la vita umana - e di tutta una vita che dovrebbe essere determinata da Lui, costruita da Lui, secondo Lui.
Mi sento lontano, diviso, diverso. Non è angoscia stupida, è constatazione serena, umile, onesta.
Sono cristiano della Chiesa, sono cristiano del cristianesimo, ma non sono cristiano di Cristo. Dopo tanti anni, ancora non so cosa vuol dire cristiano di Cristo. Qualcosa e non dico una vita, qualcosa che si spieghi soltanto, in me con Gesù Cristo. E' terribile. Tanto più che mi sembra d'intuire, sia pure vagamente, i criteri esatti per giudicarmi e specialmente le misure e le sincerità assolutamente insostituibili per un minimo di verità cristiana.
Fondamentalmente manca una realtà di pazzia indispensabile per rompere molte cose cosi da creare le condizioni per valori nuovi, esattamente quelli cristiani.
Gesù non ha camminato per strade costruite, mai, si è sempre aperto la sua strada davanti ai suoi piedi e ha camminato per quella. Oppure ha camminato senza strada, spinto unicamente dallo Spirito, seguendo soltanto un'obbedienza, quella della volontà del Padre. Mi impressiona fortemente quest'unica obbedienza. Questa sua libertà assoluta fino a non riconoscere nessuno, nemmeno sua madre, gli amici, le folle, gli uomini della legge e del potere.. niente all'infuori di questa volontà di Dio. Di questa terribile, assurda volontà del Padre. Quella volontà che aspetta il compimento da realizzarsi soltanto sulla Croce.
Non so capire... oppure non voglio capire. Cioè non dico ancora (ne ho avuto sempre paura e mi accorgo che ancora mi gioca dentro questa paura) non dico ancora: eccomi, sono qui per fare la tua Volontà. C'è una definizione di vendita e di consegna di me stesso ancora non esattamente precisata e compiuta. Dura ancora il tempo forse del patteggiamento. E sento bene che insieme alla mia vigliaccheria e paura fanno buon gioco le prudenze e le saggezze che questa nostra civiltà ha rigorosamente stabilito, i modi e le misure che la Chiesa e questo nostro cristianesimo ha con autorità codificato, rendendo problema di coscienza, di fedeltà alla Chiesa, di unità di popolo cristiano, il non gettarsi nel Mistero di Dio per lasciarsi travolgere nel sovvertimento totale che è Gesù Cristo.
E' proprio vero che spesso è la paura (con tutti i vantaggi che può comportare questa saggia paura) è la paura dell'eresia che impedisce la conoscenza della verità. E' il terrore della non Chiesa e quindi della solitudine che ostacola il poter essere Chiesa. Come è senza dubbio, spesso, il terrore di poter essere non-Amore che rende realmente incapaci di Amore. Forse si dovrebbe rischiare assai di più e con estrema semplicità se veramente, sul serio, si vuole cercar di vivere una fede totale, assoluta in Dio, un Amore da pazzi per Gesù Cristo e per tutto quello che Lui è e vuole essere per l'uomo e l'umanità.
Camminava solo per queste strade. E solo era anche quando le folle lo schiacciavano. Per essere umanità aveva fatto delle scelte e obbediva solo a quelle. Duro e assoluto perché infinitamente Amore.
Il coraggio di essere condannato a morte come bestemmiatore e sovvertitore fino alle misure dell'ateismo. La forza di morire solo - i due ladri e assassini sono solitudine estrema - inchiodato alla croce, come uno schiavo ribelle. Abbandonato anche da Dio.
E' veramente troppo difficile, per non dire impossibile, sapere che cristianesimo deve venir fuori da questo Gesù Cristo.
Nessuno, fino a ora, me lo ha insegnato.
E' assurdo pensare d'impararlo nelle chiese, nelle scuole di teologia, nei manuali di pastorale. E' lasciarsi svanire la preziosità della crisi, scavata dallo spirito nell'anima, aspettare di conoscerlo e che lo insegnino i Concili, i Sinodi, i documenti, la predicazione, i vecchi e i nuovi catechismi..
Nemmeno gli amici me lo insegnano questo cristianesimo anche perché, in definitiva, pur chiedendomi molte cose buone, nessuno mi chiede o meglio ancora pretende, spietatamente, che io gli insegni questo cristianesimo. Anzi, quando appena appena, qualche volta affiora una possibilità di precisazione e di più chiarezza e si accennano richieste che forse accogliendole, avvicinerebbero quasi a toccar con mano la necessità e inevitabilità di scelte seriamente capaci di sincerità cristiana, allora è il momento in cui anche l'amicizia va in crisi. E' il momento in cui si perdono gli amici.
Mi sembra sempre più di capire e quello che capisco mi condanna irrimediabilmente: non so niente di Gesù Cristo e del suo cristianesimo perché ho avuto sempre paura - e ho paura - di rimanere solo. Senza Chiesa e senza amici. Solo come uno che è additato come pazzo, da guardarsene anche se non porta la camicia di forza. Solo come uno inchiodato alla Croce anche se muove le mani e i piedi.
Sul Calvario, nel luogo dove è stata innalzata la Croce, dove Gesù è morto in quella sua solitudine estrema, vi sono tre o quattro monaci ortodossi greci che si avvicendano a vendere candeline (che poi spengono quanto prima) a ricevere offerte, eccetera. Hanno questo luogo in appalto dal patriarcato. In appalto dove Lui è stato crocifisso. E' la sua solitudine.
E' di qui dove bisogna aver il coraggio e la Fede e l'Amore, di cercare di muovere i primi passi per avvicinarci a poter capire qualcosa del cristianesimo di Gesù Cristo. Perché almeno tentar di capirlo assolutamente bisogna.
don Sirio
Siamo felici di presentare l'iniziativa di un nostro carissimo amico che riguarda l'edizione di libri per una controinformazione a carattere popolare.
Questi quaderni prendono il nome da una frazione agricola dove tre vecchi contadini sopravvivono agli oltre cento per cui ci sarebbe spazio e lavoro. Le case sono abbandonate o abitate da gente estranea.
A dodici chilometri da Piazza del Duomo a Firenze, Ontignano è un simbolo del villaggio lasciato, del potere umano disperso.
I quaderni di Ontignano sono un invito ad abbandonare le proprie piccole regole insieme alle grandi della società artificiale, a costruire il villaggio. Un invito a seguire i valori, e i costumi basati sul lavoro vivo. ad accettare i confini della natura come luogo e l'istante come tempo del compimento umano.
Uno dei capitoli più recenti e più lunghi della riflessione sul sistema capitalistico industriale riguarda i bisogni artificiali.
Molti si sono messi a studiare quel tipo di alienazione che non toglie tanto all'uomo le sue caratteristiche innate, ma gliene dà altre da cui per natura sarebbe alieno. La soddisfazione impropria dei bisogni reali e la moltiplicazione di quelli artificiali sono state ripetutamente analizzate dai recenti movimenti di opposizione politica. Ma in seguito a queste denunce non si è ancora sviluppato il di-battito sui bisogni reali e sulla loro soddisfazione propria.
Per capire l'importanza di un simile chiarimento basta pensare che ci permetterebbe di precisare storicamente e materialmente la società senza classi come obiettivo politico e suggerirebbe un metodo per distinguere i movimenti di razionalizzazione del sistema nascosti dietro una veste protestataria da quelli di vera e propria alternativa.
Con questi Quaderni di Ontignano si vuole cercare alcune risposte al problema dei bisogni reali, lavorando sul concetto che in certi aspetti del lavoro artigiano e contadino e in alcune forme di vita comunitaria si ritrovano segni di quei «Valori d'uso» che vengono sistematicamente distrutti dal capitalismo, nell'attuale fase di industrializzazione avanzata.
Pur senza nulla togliere alla storicità del passaggio all'industria, ci si è chiesti perché, tutte le volte che era possibile, gli operai hanno mostrato fortissimi legami con la loro precedente vita contadina. Questo è avvenuto per la precarietà del lavoro industriale, per l'aumento dei prezzi sul mercato e svariate altre cause oggettive; ma, al di là di tutto ciò - dove è possibile - l'operaio continua a lavorarsi l'orto quasi con disperazione. perché rappresenta una soddisfazione non riducibile in termini economici.
Pur nelle estreme conseguenze della divisione del lavoro c'è, quindi, una ragione di vita troppo più forte della fabbrica; ci sono espropriazioni e rapporti con la natura che non possono essere cancellati e, in realtà, se non vi fosse una struttura economico-sociale che ha distrutto i legami con le cose, l'uomo tenderebbe a non avere divisioni del lavoro così enormi.
I «valori d'uso» sono indimostrabili, perché discendono dai bisogni reali e non possono essere contabilizzati; per questo è anche così difficile parlarne nell'ambito di una cultura mercificante come quella del mondo in cui viviamo.
Senza dubbio lo stravolgimento di questi valori non è meno violento nell'organizzazione industriale della terra che nella fabbrica e per questo motivo se presentiamo un libro sull'orticoltura, non lo facciamo per inserirci nel coro della riscoperta della agricoltura.
Questa riscoperta, in realtà, sottintende forme di riconversione parziale del capitale produttivo in un tipo di organizzazione del lavoro agricolo che rende. mentre alcuni investimenti industriali non rendono più.
Non è la produttività del capitale investito che ci interessa, ma la riappropriazione del lavoro e del proprio essere "umano" sul terreno dei bisogni reali.
Quali sono i bisogni reali? L'agricoltura biologica, nel rispetto degli equilibri ecologici, può risolvere il problema della fame?
Il secondo quaderno è stato scelto per iniziare alcune risposte a queste domande sollevate dal primo.
Tra i bisogni reali cominciamo con quello di un cibo sufficiente e tale da non comportare la fame di nessuno.
Certo, una delle posizioni più comuni a difesa dell'attuale tipo di organizzazione capitalistico-industriale della agricoltura sostiene che "E' necessario aumentare al massimo la produttività per ettaro in modo da risolvere il problema della fame. L'agricoltura industrializzata. pur con i suoi costi crescenti, i suoi concimi chimici, e veleni anticrittogamici, i diserbanti, il suo cieco tecnicismo. permette di ottenere quantitativamente le maggiori produzioni, ed un mondo che ha fame non può pensare alla qualità". Questa posizione ha un enorme peso sull'ideologia dei cittadini progrediti che vogliono "prima le pance piene e poi il resto ...", anche se la pancificazione dell'uomo è una riduzione arbitraria della realtà a una sola delle sue dimensioni.
Questa tesi parte dai beni più economici nell'organizzazione industriale e risolve "il" bisogno più estremo, ma sconvolge e deturpa tutta l'architettura naturale dei bisogni e della capacità diretta di ogni uomo di risolverli.
Facendo questo è probabile che assisteremo allo straordinario e disperato spettacolo che produce l'allontanamento dell'organizzazione economica dalle mani e dai bisogni più semplici degli uomini poveri. Vedremo gente che muore di fame accanto a sconfinate piantagioni di... tabacco, o caffè; tonnellate e tonnellate di alimenti distrutti, perché "antieconomici"; e popoli interi in cui le malattie più diffuse sono dovute a superalimentazione.
Invece bisogna prima indicare gli alimenti necessari per una vita sana e degna di essere vissuta, e poi produrli in quantità sufficiente per tutti gli uomini. E l'agricoltura biologica sembra la via da seguire per una soluzione permanente che coinvolga tutti gli uomini.
L'impostazione vegetariana delle soluzioni prospettate risponde a precisi criteri economici e propone implicitamente, con le testimonianze della Comunità dell'Arca, il tema della fedeltà dei mezzi ai fini nell'ambito del movimento di alternativa dell'attuale organizzazione sociale.
L'esperienza e le proposte del compagno dell'Arca Pietro Parodi, credente, devono aprire un varco nell'ideologia di coloro che, in nome di pregiudizi antireligiosi, tendono a negare ai credenti il diritto alla lingua e al contributo nel dibattito sul fine comunistico-comunitario della emancipazione umana.
QUADERNI DI ONTIGNANO
Manuale di orticoltura biodinamica, di E. Pfeiffer ed E. Riese, Firenze 1975, L. 2.000
Giusta alimentazione e lotta contro la fame, di P. Parodi, Firenze 1975, L. 900.
Chi fosse interessato può rivolgersi alla nostra redazione.
Presentazione
Pensiamo di offrire ai nostri amici questo semplice ed umile tentativo di traduzione del Vangelo nell'attualità del nostro tempo. Potrà anche apparire una forzatura della Parola di Dio per cercare di farla entrare dentro gli spazi terribilmente angusti del nostro vivere quotidiano, della cultura, della civiltà, della cristianità attuale. Ma potrebbe anche essere tentativo o almeno un sognare dilatazioni e perché no violentazioni di questo nostro vivere e convivere affogato e soffocato da schemi e prigionie assurde, per una liberazione e autenticazione dell'umano, possibile, almeno così crediamo con tutta la forza della nostra Fede Speranza Amore, unicamente nella Verità della Parola che si è fatta carne e totalità del vivere dell'uomo in Gesù Cristo.
Sceneggiatura
L'Annunciazione
(Una voce): L'Angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea chiamata Nazareth ad una donna di nome Maria. E alla proposta dell'angelo se accettare o no di essere la madre di Gesù, il figlio di Dio, essa rispose: «eccomi, sono la serva di Dio, faccia di me ciò che Lui vuole».
(Una ragazza, seduta nel raggio di luce, comincia a parlare):
Non so come spiegare, come chiarire il mistero perché di mistero io devo parlare.
Come una piccola luce, accesasi nella profondità del mio seno e si è andata accendendo sempre di più, un'idea, come uno strano, impensabile progetto, mi ha posseduta. Non ho potuto fare altro che lasciarmi andare, dire di si e una maternità nuova mi è andata crescendo nel cuore nell'anima.
Non ho una casa perché tutta la terra è la mia casa. L'umanità tutta è la mia famiglia.
E mio figlio sono migliaia di figli.
Non potrò mai avere una storia mia, personale perché sono un segno di tutta una storia che investe il mondo a renderlo terra di uomini e non di disumanità.
Sono nulla, povera serva di tutti ma l'anima mia magnifica la potenza di Dio a disperdere gli orgogliosi nei pensieri del loro cuore.
Eccomi, ad essere coinvolta e travolta ne1 suo mistero d'Amore a discriminare e dividere il mondo.
Sarò con lui a tentare la giustizia fra gli uomini deponendo i potenti dai troni e innalzando i poveri, gli emarginati, gli oppressi,
perché finalmente il pane della fraternità e dignità umana
abbiano gli affamati di giustizia nel mondo e sia annientata,
ridotta a cenere la ricchezza dei ricchi.
Perché ogni uomo non sia ricco o povero, ma uomo.
Questo uomo è mio figlio
questa umanità la mia famiglia,
questa lotta il mio Amore.
Perché Dio ha consegnato alla mia nullità un motivo di vita
che si rifletta in gloria di generazione in generazione.
* * *
Un morto ha ucciso
cinque uomini vivi
la morte ha sputato
con bocca a denti di fucile
ha sputato morte sulla vita
la morte ha ucciso
per continuare ad essere viva
per continuare ad essere morte
un morto ha ucciso
cinque uomini vivi
la vita è morta
ma il suo morire
ucciderà la morte
morire è vivere
quando per essere vivi
per non essere morti
dalla morte sorge la vita
un morto ha ucciso
cinque uomini vivi
cinque uomini vivi
morendo hanno finito
di uccidere un morto
SIRIO
10 ottobre 1975
don Sirio
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455