LOTTA COME AMORE: LcA maggio 1975

La schiavitù della legge

Fra le tante cose che lasciano perplessi e a voi perfino sfiduciati negli uomini che governano la Chiesa, è la loro fede nella legge, cioè nelle leggi, nei codici, nei trattati, nei concordati, ecc., e quindi in tutte le istituzioni, governi e stati capaci di fare leggi specialmente particolari leggi, costringenti e limitanti, purché non si tratti, ovviamente, della libertà religiosa.
Salvata questa famosa libertà religiosa che molte volte s'identifica in possibilità e giustificabilità, a norma di leggi, del privilegio, l'uomo, la sua coscienza la sua personalità, la sua originalità, la sua identità e quindi la verità di se stesso e dei suoi rapporti è affogato dalle leggi.
Il vivere è costrizione, è il tutto sistemato, incasellato, imprigionato da norme stabilite, da leggi inflessibili, da legislazioni praticamente immutabili. E tanto più il convivere, il camminare insieme la realtà del vita, il costruire l'esistenza, fino alle insignificanze più trascurabili, è già tutto contemplato, studiato, sviscerato e trasformato in leggi, dall'arteria iugulare fino ai capillari più minuti della convivenza umana, familiare, sociale, religiosa, politica, senza assolutamente nessuna possibilità di una boccata d'aria, a pieni polmoni.
Venire al mondo vuoi dire, sostanzialmente, entrare in un ginepraio spietato da cui è impossibile salvarsi, è girovagare in un labirinto dal quale non esiste uscita, è immatassarsi, ad ogni giorno che passa, in un groviglio di rannodamenti che a un certo punto, trovarne il bandolo (e cioè la sensazione che possa esistere la libertà, cioè se stessi) è semplicemente roba da pazzi.
Se questa è civiltà, il suo prezzo è la schiavitù incosciente per fortuna, per il motivo assai banale che le catene e i ceppi e la prigione e il carcere duro e domicilio coatto, non vengono mai in tutto il loro spietato volume, in tutta la loro crudele cattività, ma a poco a poco, un po' ora e un po' dopo, quando in momento e quando in un altro, in una occasione in un'altra. E' una schiavitù sbriciolata, quasi inavvertibile e impalpabile, ma spessa e pesante. E' un po' come il carcerato che si accorge di essere in prigione quando passeggia in cortile e arriva al muro cinta con pochi passi o quando è nella cella per il brevissimo giro del suo muoversi.
Non è vero che la legge è per garantire e salvaguardare la libertà, è semplicemente per ridurla a misure che non possa essere vissuta: tant'è vero che la libertà cosiddetta di tutti è in proporzione a quanto diminuisce, è limitata e oppressa la libertà di ciascuno.
E' veramente tragica, o se si vuole, tragicomica la condizione della libertà umana che per essere salvata deve essere abolita o almeno intricata in modo tale da comportare il rassegnarsi alla sua rinuncia.
E' veramente angosciante l'esperienza storica personale che la possibilità di libertà sia quella rivendicabile a base di codici, di avvocati, di magistrati: sia inevitabile strapparla pezzetto per pezzetto alle leggi ricorrendo e facendo valere altre leggi e quindi sarà sempre libertà filtrata e gocciolata dalla legge,
Perché il grande terribile, impietoso padrone e la legge. E cioè gli uomini della legge. Gli innumerevoli uomini della legge. Tutti gli uomini che hanno bisogno di difendere la libertà dell'uomo perché questa difesa e affermazione vuol dire autorità, potere, ricchezza, vanità, tornaconto, ecc.
Ma tutto diventa assurdo, impossibile a sopportarsi, perché totalmente all'opposto del pensiero di Dio e di Gesù Cristo e dello Spirito, quando sono gli uomini di Chiesa a confidare così ostinatamente nella legge. A moltiplicare senza fine le leggi. A gravare sulle coscienze a forza di leggi. A uccidere la libertà a colpi di legge. A spengere l'iniziativa, a schiacciare ogni novità, a sopprimere l'inventività, livellando tutto, schematizzando ogni cosa, inquadrando a vie obbligate, in repressioni sistematiche, qualsiasi ricerca personale, comunitaria, di popolo, di pensiero e di prassi, di Fede e di Speranza... tutto a forza di leggi.
Quest'adorabile inventività che può anche nascere dalla violenza dello Spirito non ha possibilità di rivelarsi e tanto meno di offrirsi, se non passa attraverso il crivello strettissimo di tutta una legislazione soffocante, di un precettismo a forche caudine, di tutta una sistemazione pastorale a senso unico, un liturgismo studiato a freddo dagli specialisti, un moralismo con prevalenze assolute, per non dire esclusive, del proibito.
Una volta era indiscutibilmente così e ogni cristiano, ma specialmente ogni sacerdote, ne porta esperienze angosciose di tutta quella cultura canonica, morale, liturgica, pastorale, dove l'unico movimento possibile era quello di accoppiare le mani, chinare il capo e battersi il petto.
Dopo è venuta la liberazione - per così dire - quella del Concilio Vaticano II. Le riforme famose della liturgia, le aperture sorprendenti del codice del diritto canonico, ecc. Ma tutto è stato ed è un mettere leggi al posto di altre leggi, ripulite e lustrate dalla ruggine fino al punto da sembrare come nuove.
La liberazione del Vangelo è ancora un sogno, adorabile e meraviglioso, ma sembra sempre più irresistibile, quasi un'assurdità, un'utopia.
E' la liberazione realizzata da Gesù fra il popolo del suo tempo, nella pienezza di tutto il suo valore di prospettiva e di ricerca dell'uomo - di ogni uomo - nella sua realtà e dignità di Figlio di Dio.
Non è facile accettare che la Chiesa, continuità di presenza storica, visibile, di tutto Gesù Cristo e quindi e tanto più della sua potenza di liberazione e di salvezza per tutto il popolo - non sia a compiere nel tempo e quindi tanto più in questo nostro tempo che manifesta segni prepotenti di voglia incontenibile di liberazione e di novità d'esistenza, quest'opera di liberazione, di ritrovamento cioè dei valori fondamentali della libertà dell'uomo e dell'umanità, secondo !'insegnamento di Parola e di vita dell'unico Maestro di libertà che è Gesù Cristo.
Affligge sempre e umilia profondamente la Fede del cristiano e del popolo di Dio, questo ricorrere alle leggi e alla saldezza del potere e all'imposizione dell'autorità da parte della Chiesa gerarchica, per indicare, e quindi segnare a binario unico, dove e può correre la libertà. E' saggezza sicuramente ciò che viene insegnato, è prudenza degna del massimo rispetto, è scienza giuridica perfetta... tutto quello che si vuole, ma non si sente la potenza liberante dello Spirito di Dio, non si sente la mano di Gesù, calda e forte a stringere la mano di ogni credente e della cristianità, per condurre ogni uomo e l'umanità lungo il rischio, duro ma affascinante, della liberazione per la libertà dei Figli di Dio.
E non appare agli occhi del mondo la chiarezza abbagliante di quella dottrina (verità rivelata e quindi sicurezza di Fede) capace di realizzare esistenza liberata e liberante, opera miracolosa dell'onnipotenza di Dio.
E tanto meno sbalordiscono il mondo uomini e popoli liberati e liberi a inventare e costruire in una vitalità inesauribile la storia, quella pensata dal pensiero di Dio, rivelata dalla sua Parola, incarnata - fatta carne, cioè realtà quotidiana e progetto esistenziale di umanità - da Gesù Cristo e diffusa nel mondo dalla violenza dello Spirito Santo.
E' triste che tutto il Mistero di Dio, a parte il magistero dogmatico, anche questo tanto spesso terribilmente "codificato", sia costretto a entrare in legislazioni, precettismi, decreti, codici, trattati e debba ricorrere ad alleanze e collusioni per ricavarne del potere coercitivo, dell'autorità per imperare, dell'assolutismo per sgomentare e costringere ad arrendersi in una supinità e passività e annientamento di persona e di coscienza e di cultura e di vitalità per stemperarsi e ammuffire in devozionalismi, sentimentalità religiose, formalismi e fariseismi, da rendere Dio e Gesù Cristo e lo Spirito inutilità esistenziali, storiche.
Lo sappiamo bene che il discorso è enorme infinitamente più grande di noi, povera gente cristiana e sacerdotale. Ma la sofferenza sofferta su un piano personale di Fede e di prassi è stata e è terribile e ci giustifica pienamente il lamento. E l'angoscia di una constatazione d'impossibilità a dare alla, umanità nella quale stiamo vivendo la fiducia nella Parola di Dio, come liberante e nella potenza dello Spirito come liberazione, ci dà il diritto di chiedere non più leggi, ma ."la Verità di Cristo che unicamente ci farà liberi".
Abbiamo portato nel cuore e in una preghiera che vorremmo tanto che trovasse ascolto presso l'onnipotenza di Dio e del suo Spirito, quest'ansia di novità di magistero e di presenza nel popolo di Dio diventata veramente "evangelizzazione", durante questi giorni della Conferenza nazionale dell'episcopato,
Tanto più per tutta una sgomentante impressione che gli ultimi documenti ufficiali, quelli di questi mesi, hanno dolorosamente scavato nell'anima nostra.
LA REDAZIONE



«Nulla è più ateo dell'ingiustizia, della disuguaglianza, dello sfruttamento, dell'odio e della miseria perché attentano al capolavoro dell'opera divina: l'uomo.
Non si tratta di credere o no alla lotta di classe, come se si trattasse di una verità di fede, quindi non evidente. La lotta di classe esiste anche se a molta gente non piace.
Il problema per un cristiano è un altro: sapere in questa lotta da che parte sta.
I popoli hanno capito che non otteniamo nulla discutendo se l'anima è immortale, quando sappiamo, sulla nostra propria carne, che la fame è mortale.
Cosa otteniamo discutendo se il «cielo» esiste o no, quando dobbiamo metterci d'accordo per evitare che i nostri Paesi siano un «inferno»?
Non prendiamo né il socialismo cristiano né il cristianesimo socialista. Non vogliamo relativizzare il cristianesimo né assolutizzare il socialismo. Vogliamo essere fedeli alla nostra ispirazione evangelica vivendo fedelmente la nostra dimensione storica. La Chiesa, soprattutto la gerarchia, sarà capace di comprendere questa nuova realtà?
Io ho fede e sono convinto che un giorno il popolo entrerà pure nella nostra Chiesa. Sarà allora il giorno dell'uomo e perciò il giorno più felice di Dio».

Luis Badilla, cristiano cileno

La Redazione

Segno di contraddizione

Mi è capitato di riflettere molto seriamente al significato della mia vita di sacerdote, al senso autentico da poter dare a questa parola che secoli di tradizione religiosa ci hanno tramandato e di cui sembra sia stato smarrito il suo reale valore. E' stato come un tentativo di cercare la sorgente misteriosa da cui siamo nati, allargare la terra fino a mettere a nudo le radici della propria storia, della ricerca e della speranza che alimentano una vita intera.
Mi sono trovato cosi costretto da tutto l'insieme dei problemi che sono maturati con l'esperienza di questi anni a raccogliere con più profondità la risposta nel pensiero di Dio e nella parola di Cristo: è soltanto lì che penso sia possibile trovare il senso genuino dell'essere sacerdote secondo il mistero cristiano. Unicamente nella storia dell'Amore di Dio per l'umanità che Gesù Cristo ha manifestato con pienezza deve essere cercata la chiave per comprendere a nuovo cosa possa voler dire essere «sacerdote».
E anche dalla storia dell'umanità, dal tessuto misterioso della vita degli uomini, dai drammi e dalle speranze dei propri fratelli sale certamente la richiesta ad essere un'esistenza particolarmente capace ad accogliere, a donare, ad amare, a condividere per testimoniare che Dio ama il mondo, ogni creatura, ogni persona come tutta la storia, la vicenda piccolissima dell'individuo come l'enorme intreccio degli avvenimenti universali.
Se è giusto - e ormai decisivo - chiedersi cosa vuol dire essere cristiani, mi sembra altrettanto urgente (almeno per me) chiedermi cosa vuol dire essere sacerdote secondo il cuore di Dio in questo tempo che è il tempo della mia vita.
Penso che la risposta non sia mai definitiva, assoluta: quasi come un vestito buono per tutte le stagioni. E' chiaro che ci debba essere una crescita, un approfondimento, uno scoprire dimensioni nuove: come quando si sale in montagna e l'orizzonte si allarga e la terra acquista un volto diverso. E' la stessa terra, gli stessi campi, paesi, strade: ma tutto si. colora di toni particolari, di dimensioni mai intraviste. Così la realtà e il senso della propria vita cresce e si matura col passare degli anni; perché il tempo scava dentro l'anima capacità di comprensione che prima non esistevano e si riesce ad allargare il significato di ciò che si vive, a capire meglio il segreto che ognuno di noi, in un modo o in un altro, portiamo nascosto nel nostro destino.
Oggi, in una condizione di vita quasi totalmente emarginata dal tessuto ufficiale della Chiesa, messa da parte dal contesto della struttura parrocchiale e diocesana (senza quasi rapporti col vescovo e con gli altri preti) mi sento in dovere di chiarire a me stesso - e nella Chiesa di cui mi considero parte viva - il senso della missione sacerdotale che credo fortemente di aver ricevuto per la consacrazione dello Spirito Santo. Questa realtà sacerdotale è nel tessuto della Chiesa che mi è stata comunicata: oggi credo che è lo stesso Spirito che ha preso le mie mani (nelle mani del vescovo) e le ha consacrate con l'olio della gioia nel giorno dell'ordinazione sacerdotale e che poi le ha nuovamente benedette con l'olio amaro (ma non meno santo) del lavoro fra la povera gente, fra i contadini, i pescatori, gli operai fra i quali la mia vita è stata mescolata quasi fino a scomparire.
Dopo questi anni assai travagliati e pieni di fatica per una ricerca incessante di fedeltà alla strada che Dio andava tracciando davanti ai miei passi, non mi sento meno sacerdote di quando ero disteso nel bellissimo coro del duomo di Firenze a ricevere il mandato di evangelizzare, di predicare la parola di radunare gli uomini intorno alla tavola del Cristo Signore: ho trovato altre cattedrali dove l'impegno sacerdotale ha molto più diritto e dovere di crescere e di vivere, in mezzo ai compagni di viaggio defraudati della parola di Verità ai quali la Chiesa storica appesantita da enormi compromessi con ciò che il Vangelo chiama «il mondo» non è riuscita ad annunciare Gesù Cristo.
Ho capito - e ne ringrazio di cuore lo Spirito Santo - che il mio sacerdozio è segnato ormai dalla realtà che il Vangelo di Luca chiama per bocca del vecchio Simeone «segno di contraddizione»: sento di essere nella Chiesa e nella vita per questo dovere scomodo e fondamentale di contraddire tutto un insieme di falsi valori, di inutili e vuote mentalità, di modi di vivere contrabbandati per buoni, mentre invece se guardati alla luce limpida del Vangelo non sono altro che i frutti più malefici dell'egoismo e quindi della chiusura del nostro cuore.
Accetto perciò con profonda pace - anche se la pace non vuol dire insensibilità e mancanza di sofferenza - l'emarginazione che è venuta crescendo e che probabilmente crescerà ancora all'interno della Chiesa dalla quale nessuna volontà umana potrà mettermi fuori: sento che l'amore per la Chiesa è dono di Dio, appartiene all'opera dello Spirito Santo ed è amore profondamente radicato nella certezza che la mia vita appartiene a Cristo. Perciò «indurisco la mia faccia di fronte a coloro che mi strappano la barba», come dice molto appassionatamente un profeta dell'Antico Testamento. E se di qualcosa sento di dover chiedere perdono alla Chiesa è per non averla provocata abbastanza a liberarsi dai compromessi che la legano alla catena della ricchezza, dei privilegi e della potenza terrena. Per non aver osato abbastanza perché il Vangelo, l'Annuncio di liberazione e d'amore, la Verità di giustizia e di pace che Gesù è venuto ad accendere sulla terra divampasse di più nei cuori degli uomini.
Sento di peccare per omissione: non sono davvero scandalo e pietra d'inciampo, dentro e fuori la Chiesa, perché gli uomini e le donne che incontro sul mio cammino si sentano (e non solo emotivamente) provocati ad un amore più grande, ad una generosità più profonda, ad una apertura di cuore senza limiti e misure. Se una cosa mi spaventa è di lasciarmi mettere in crisi dalla solitudine in cui la mia Chiesa ha cercato sistematicamente di affogarmi, dallo spirito borghese e conciliatorio che incontro. a tutti i livelli della vita quotidiana: avverto con chiarezza che qui sta il pericolo, la vera «tentazione», la trappola. E prego lo Spirito di Dio di non lasciarmi addormentare o stancare da questa continua guerra dei nervi; che Lui mantenga acceso il fuoco della ribellione ("ribelli per amore"), della disobbedienza profonda e tenace a tutto ciò che in me, nella Chiesa, nella società, sappia di compromesso storico con ciò che è potere, arrivismo, denaro, schiacciamento e oppressione, emarginazione dei piccoli e dei poveri, falsa cultura e falsa scienza, religione vuota e senza vita, asservimento dell'uomo e annullamento della sua vera libertà.
Sacerdote per contraddire, mettere in crisi, rovesciare le false sicurezze di chi vorrebbe che niente cambi perché accetta che tutto resti com'è: i poveri alle dipendenze dei ricchi, i pacifici sopraffatti dai potenti, le classi umili asservite a quelle più forti. Sacerdote per annunciare che il Dio di Gesù non è un Dio qualunquista: un Dio che va d'accordo con qualunque progetto umano, che consente e benedice allo stesso modo, che uccide e chi si fa uccidere, chi sfrutta e chi è sfruttato, chi tortura e chi è torturato, chi vive sulla strada o nella baracca e chi sperpera nel lusso e nella ricchezza più sfacciata.
Mi sembra di capire con estrema chiarezza che esiste un Vangelo emarginato e quasi messo in soffitta (fra le robe vecchie): il Vangelo che ha portato Gesù inesorabilmente verso la sua croce, che ha rovesciato sulla sua mitezza e sincerità di cuore l'odio cieco e assurdo dei farisei, dei sacerdoti, dei capi spirituali del suo popolo. Perché era parola che segnava a caratteri di fuoco la falsità di tutto un modo di vivere e di pensare che non era secondo :il pensiero di Dio: è di questo Vangelo di contraddizione che mi sento umilissimo portatore ed è di questa responsabilità che provo serio timore nel profondo della mia coscienza. Ed è per questo Vangelo che chiedo allo Spirito di Dio di impegnare totalmente la mia vita.

don Beppe

Grazie

Non passa giornata che io non debba essere trascinato in discorsi che riguardano il modo con cui la gente difende i propri interessi. Una difesa che in alcuni si fa gretta e meschina, in altri diviene motivo di violenza e di sopraffazione.
Se ti viene in mente che la vita potrebbe essere diversa per arraffare il più possibile, se si estinguesse questa sete di avere e di essere qualcosa di più o di diverso dagli altri, cascano le braccia di fronte al groviglio di interessi e di motivazioni che impediscono di ritrovare il bandolo della matassa: non si sa più a chi dare ragione. L'unica possibilità sarebbe forse buttare tutto in un gran calderone e vedere se il mondo esce fatto di pasta diversa.
C'è chi urla contro i padroni e poi scopri che vive con gli affitti di due appartamenti. C'è chi vorrebbe tutto «pulito» e poi scopri che è il primo mafioso del quartiere. C'è chi maschera il proprio «io» dietro le più raffinate ideologie...
E' una grande fatica riuscire a decantare nel groviglio delle motivazioni a ritorno personale il filone autentico di valori umani da offrire ed allargare nel mondo per un'umanità diversa.
Pure è fatica da compiere, è liberazione da affrontare, è luce da accendere per la speranza e la fiducia di chi si sente emarginato, stranito e giuocato perché non riesce a soffocare dentro di sé la sensibilità che va oltre il proprio interesse, non riesce a non essere un uomo onesto, un uomo vero in un mondo di «maschere» e di «comparse».
E' già un po' di tempo che ripenso alla gratuità, a quell'entrare di Dio nella mia vita, nella vita di tutti, che è la grazia, a quel valore così chiaramente connesso con l'essere rinnovato e liberato che a sua volta diviene origine e manifestazione piena di un'autentica liberazione.
Sarà forse perché sento molto, in questo tempo, che mi frulla in testa quella frase classica, ma sempre un po' dimenticata, che dice: «gratis avere ricevuto, gratis date».
Frase che sento legata non solo al mio ministero sacerdotale, ma a tutta la mia realtà personale. Sono anni ormai che non prendo più niente per il mio ministero (tranne qualche rimborso spese per l''insistenza dei parroci), né vivo sulla preparazione culturale che ho avuto la fortuna di ricevere dalla mia famiglia, eppure sento di aver solo rimosso gli ostacoli più grossi per poter iniziare una vita vissuta in gratitudine perché nata unicamente dalla grazia di Dio.
Oggi certi segni pur rimanendo autentici - e quindi proponibili dove non siano realizzati -, hanno perso molta forza e si sono notevolmente intorbiditi per le furbizie e le strumentalizzazioni umane. Prendere soldi per i sacramenti, per esempio, anche se continua ad essere una più che fiorente industria, sta creando un certo imbarazzo nel momento in cui si vuole presentare un volto rinnovato di chiesa.
D'altra parte ci sono altri modi per incanalare il denaro o altri modi che non il denaro per sentirsi abbondantemente appagati e gratificati. Come il portafogli «a fisarmonica» ha ceduto il passo al più sobrio ed elegante libretto degli assegni, così certe forme risultano ormai troppo pacchiane per far pesare il proprio potere con sufficiente autorità.
Prendiamo per esempio un'area di servizio su una autostrada dove se ci si ferma a far benzina, guardano l'acqua e l'olio, puliscono i vetri, controllano la pressione delle gomme, tutto gratis e con estrema gentilezza. Chi si fermerà in quel luogo troverà un'assistenza impeccabile. Ma in quanto, il padrone dell'impianto e il gestore sono buoni e fanno le cose con molta serietà, oppure in quanto questo risponde ad una precisa logica del profitto? La parola «gratis» è oggi praticamente squalificata per il fatto che molto spesso nasconde secondi fini: «per niente non si fa niente» dice la gente.
Così in quelle aree di servizio che sono le parrocchie, le comunità ecclesiastiche, il progressivo (ma non troppo) allontanarsi dell'odore di quattrini dalle sacrestie può dipendere dall'aver affrontato con serietà il discorso della gratuità, ma può anche dipendere da una fredda logica di «profitto» pastorale.
Ugualmente per quanto riguarda le famiglie ed anche l'ambito personale, un certo apparente superamento delle questioni economiche o d'interesse in genere può avvenire per una maggiore presenza di valori, ma può esser anche la copertura di modi molto più spregiudicati e nascosti per curare la resa e la crescita delle proprie ricchezze.
E' possibile allora tentare un discernimento, riuscire ad individuare ulteriori segni che ci permettono di capire che strada fare?
Credo che uno dei segni che permettano di verificare se alcuni gesti gratuiti sono autentici, sia la progressiva perdita di importanza, il vuoto, il non contar nulla di chi questi gesti pone. Perché chi dà con gratuità, nulla richiede per sé in alcuna maniera, neppure una particolare attenzione da parte di chi riceve, e quindi non crea intorno a sé uno spazio che «meriti» essere avvicinato. Per niente veramente si dà il niente, cioè la povertà, la spoliazione, ma anche il ritrovarsi finalmente soli con noi stessi, l'esser considerati finalmente per ciò che si è e non per ciò che si ha, la gioia di poter tutto donare perché niente si attacca al nostro cuore fino al punto che il problema non è nel dare più o meno, questa o quest'altra cosa, ma il problema è darsi interamente senza timori, senza interessi, senza ritorni personali.
Il sentirsi sempre meno decisivì e quindi sempre meno considerati, privati di ogni potere personale, emarginati in vuoti di possibilità di azione, di rapporto, fa emergere sempre più la coscienza che tutto è grazia, fino a liberarsi dalla tentazione di dover sempre difendere qualcosa e poter finalmente darsi in gratuità con grande gratitudine, fino a poter dire «grazie» per ogni attimo, per ogni cosa nella buona e nella cattiva sorte perché tutto è grazia.
Nell'annuncio evangelico, nella comunità ecclesiale, nella vita familiare e personale, dovremmo cercare di capire quanto siano autentici i segni gratuiti che poniamo. Possiamo farlo se realmente cresce in noi la povertà, l'ostilità del mondo dell'interesse, il profondo rispetto degli altri, l'amore che nulla difende, la rinuncia alla tentazione di far valere il peso dell'autorità. Per tanta realtà di Chiesa questo può essere una pia elevazione da non tradursi in pratica. Ma potrebbe venire un tempo diverso?

don Luigi

La mia Pentecoste

Me n'ero andato in quel di Milano, a parlare, un paio di sere prima di Pentecoste, in una riunione di operai e di studenti. A parlare della mia storia di prete operaio. Che, anche se è prossima a concludersi nella pensione - in questo lunare mare della tranquillità dove si spegne tutto e ogni cosa muore per ogni operaio - ogni tanto questa storia mi si accende di nuovo nell'anima, a fiamma viva, come se fosse fuoco che inizia allora a fiammeggiare.
E ogni volta che ne parlo è come se la reinventassi tutta quella storia, venuta su a poco a poco, provocata dalla necessità terribilmente sofferta di una fedeltà a Dio e ai poveri e più precisamente ancora al popolo, scoperto nella realtà più viva e costruente che è la classe operaia.
E' come se lo reinventassi di nuovo, ma non per un lavorare di fantasia, semplicemente perché nelle sue motivazioni vi è della inesauribilità, della sovrabbondanza interiore, della quale il parlarne è sempre come accennare qualcosa. Nella profondità di me stesso tutto mi si allarga nelle misure di Dio, vi è qualcosa di palpitato nel cuore di Gesù Cristo, come una vibrazione minima, una risonanza lontanissima, ma capace di ripetersi e rinnovarsi incessantemente.
Preparo sempre, sia pure pochi minuti prima, brevissimi appunti, ma poi non riesco nemmeno a darvi un'occhiata. Sarebbe come tentare di rivivere sogni meravigliosi, raccogliendoli da annotazioni, momenti d'intensità appassionante sfogliando i quaderni del diario.
Quando invece tutto è scritto nell' anima, in una passione violenta e che ha scosso e sconvolto tutta una vita. Allora non si tratta di ricordare e di raccontare, è rivivere la stessa passione, è vibrare di cima a fondo in una realtà di presenza, come se tutto fosse in quel momento.
Allora è un parlare calmo e sereno, ma improvvisamente agitato, quasi a gridare qualcosa d'indicibile. Non vi può essere una logica di discorso, ma soltanto una passionalità incontenibile, a frasi tronche, con affermazioni assurde, a commozioni profonde. Come nodi alla gola che urgono come a volersi sciogliere in singhiozzi, pesi enormi da sempre a soffocare il cuore, a comprimere l'anima in impedimenti spietati ad un potersi lasciare andare al di là di ogni misura.
Tanto più che l'episodica da raccontare è così insignificante, scolorita, come del resto è la vita dei poveri.
Cosa c'è d'interessante nella vita di un prete che va a sparire dentro i cancelli di una fabbrica? Perché là dentro tutto, assolutamente tutto è normale. E' normale anche l'incidente sul lavoro, il rimanere mutilati o uccisi, difatti tutto continua sempre come se niente fosse successo.
Allora il racconto è di cose insignificanti, da non poter fare cronaca o romanzo e quasi, per raccontare qualcosa, devo farmi coraggio come a vincere una specie di pudore.
Tutto invece da raccontare - e il racconto di tutto quello che entra nelle misure della realtà di Dio è infinito e inesauribile - sono i motivi di Fede, le ragioni dell'Amore. Questo tentativo di fare della propria vita un segno di Dio, l'ombra della presenza di Gesù Cristo - dove e specialmente la sua presenza è ancora di crocifisso e non di risorto e la sua ombra quindi non può non essere che di crocifissione.
E' allora che rimbalzano nell'anima e riflettono a fondo le ragioni d'Amore che non possono ragionare, razionalizzarsi e nemmeno teologizzarsi, ma diventano impazzimento vero e proprio. Ed è assurdo quest'impazzimento volerlo «pastoralizzare», ricondurre e infrenarlo in schemi esatti, in stampi preconcetti. Non c'è per la pazzia - compresa anche quella che viene dallo Spirito - che la libertà assoluta o la camicia di forza.
Da sempre mi sono sentito stretto e oppresso dalle limitazioni e compressioni di un'autorità creduta e accettata come se venisse da Dio.
E più che spento la pazzia, mi ha svanito dentro il coraggio di questa pazzia e cioè della Fede pura, verginale, quella che porta Dio e l'accetta con gioia, a imperversare nella propria vita, sconvolgendola fin dalla radice in una fiducia, in una certezza che soltanto così è vita, è essere vivi e cioè creazione di Dio, inventività dello Spirito.
E mi è venuta la voglia incontenibile - strana e assurda quanto si vuole: ma cosa me n'interessa in fondo di come mi giudichi tu o mi giudicano gli altri? - la voglia di vivere la Pentecoste, il giorno d'incontro e di violenza a fuoco dello Spirito Santo e l'umanità, a Roma.
Ho viaggiato in treno tutta lo. notte da Milano a Roma.
Sono arrivato alle sei del mattino in un irradiamento di luce trasparente, dolcissima come da inizio della creazione del mondo. Roma è meravigliosa quando la sua antichità e solennità di vecchiaia raggrinzita di rovine romane e di resti di chiese e di tentativi di grandiosità, è avvolta e immersa nell'azzurro di un cielo che trasparisce l'infinito, nella chiarità di una luce che immerge in una novità assoluta tutte le cose.
Alle otto ero in S. Pietro, insignificante risucchio di una fiumana a riversarsi nella basilica. Vi stavano affluendo folle di pentecostali, quel movimento carismatico in ricerca di novità di vita nello Spirito Santo.
Mi sono ritrovato stretto da una folla enorme, nella assoluta impossibilità di muovermi. E così per oltre quattro ore.
Sapevo di essere lì per una voglia terribile di un incontro, o scontro che fosse, con lo Spirito Santo. Ma in fondo all'anima sentivo che era per una ricerca, per un'attesa di sopraffazione. Forse avevo un gran bisogno di sparire, come di perdermi, di essere risucchiato e travolto, per una liberazione profonda, una novità assoluta. Da giorni mi stavano martellando dentro quelle parole di Gesù al vecchio Nicodemo: «chi non nasce dall'acqua e dallo Spirito non può entrare nel regno di Dio».
E dall'acqua ormai mi sentivo come affogato, ma la violenza dello Spirito ancora non mi ha percosso e sconvolto come sarebbe dovuto succedere e come bisogna assolutamente che avvenga.
Non so perché sono venuto in S. Pietro, ma sentivo che dovevo venir lì, forse per una Fede di continuità di apostoli e di cenacolo, cioè di luogo prescelto, come dove è fissato e stabilito che deve accendersi il fuoco.
E mi sono lasciato andare fra tutta quella folla come un filo d'erba in un campo. Non mi dava noia quel gruppo lì accanto petulante e sciocco di suore, quel gruppetto di spagnole devote fino alla nausea, quella folla di tedeschi che si davano arie di perfezionismo esibendosi in corali assai presuntuose e nemmeno, dalla parte opposta, lo. moltitudine dei carismatici ondeggiante d'alleluia, come folate di venticello di maestrale a muovere tutte quelle braccia alzate, mani aperte, imploranti la venuta dello Spirito.
Mi sentivo solo di una solitudine nuda e semplice, quella di essere popolo, il povero popolo, anonimo e sterminato, accalcato, costretto dentro mura fasciate di marmo, pilastri enormi e preziosi, mosaici e statue a guardare dall'alto, sotto un cielo a cupola enorme, stupenda - ma tutto come a imprigionare il popolo, a opprimerlo esaltandolo, stupefacendolo per conquistarselo.
Ero contento di essere questo popolo anche se non riuscivo a dire una parola, a cantare un'alleluia, ma mi sentivo il cuore aperto e dentro quella prigione dorata, inganno consacrato e sacramentalizzato di Fede che dovrebbe essere cristianesimo, mi stavo profondamente incontrando con lo Spirito.
Lo sentivo quasi fisicamente scendere e accendere nella anima il suo fuoco.
Avvertivo chiaramente i suoi segni che sono, almeno per me, la pace e violenza di Amore, adorazione a perdita totale nell'infinito di Dio e urgenza di incarnazione a sacrificio assoluto - in qualsiasi modo - nella concretezza dell'uomo e dell'umanità, fiducia e speranza al di là di tutta la storia e disperazione angosciosa per tutta una realtà ferocemente disumana... ma, specialmente mi si dilatava nella anima, riflettendosi anche fisicamente, il meraviglioso segno dello Spirito che è la libertà. La liberazione è opera di Dio nella potenza del suo Spirito: a condizione di abbandonarsi alla folata di vento - raffica violenta o dolcissima brezza che sia - nella gioia di non sapere "di dove viene e dove va". Nella sicurezza della Fede che lo spirito s'impossessa per una liberazione assoluta, porta via per realizzare in modo perfetto, sradica per piantagione nuova, annienta per una creazione, un mondo diverso.
E' questa libertà da ritrovarsi intatta e purissima, la novità unicamente capace di stupire il mondo. Me la stavo accogliendo sotto la volta dorata, inondata di luci e splendori di S. Pietro, fra tutta quella folla di popolo, ma era volta di cielo, era popolo che mi perdeva nel mare immenso dell'umanità, erano pianure e terre e città e innumerevoli braccia alzate e mani distese da ogni zolla di terra a implorare libertà, libertà, libertà...
La venuta del papa in sedia gestatoria: quell'uomo, povero vecchio, lampeggiato dai flash, ad affaticarsi a gesti di saluto e di benedizione, non mi ha dato fastidio né suscitato interesse. Ho avvertito - anche questa è liberazione - il mestiere del fare il papa. E non mi è stato possibile non guardarlo come uno spettacolo, con gli occhi della platea sul palcoscenico. Mi ha riempito l'anima di una pena infinita e mi sono ritrovato lontano, totalmente fuori dallo spettacolo desolatamente solo, separato anche dal popolo, Senza polemica o respinta. ma non sono potuto andare più in là di un segno di croce come accoglienza di una Chiesa nel suo compleanno di fondazione per opera dello Spirito Santo.
Sulla terra delle catacombe di S. Callisto, rigogliosa e solenne di verde nuovo e antico, come apparizione di primavera e di vita dal buio delle tombe, là sotto, dei martiri della Fede e del cristianesimo nascente, sono andato a vivere la Pentecoste con le migliaia e migliaia di carismatici.
Sicuramente anime semplici, ingenuamente spirituali fino a sentimentalità limpide di fanciulli in invocazioni colorate di estasi, in canti corali ondeggianti e mossi come un campo di grano dove passa il vento caldo d'estate. E mi sgomentava la grossa furbizia dei personaggi, anche qui a dirigere e comandare lo spettacolo, senza dubbio non abbandonato all'imprevedibilità dello Spirito. Un po' meno popolo questo, anche se enormemente variopinto ed ecumenico, e ce lo indicavano la dolcezza delle innumerevoli mani levate in alto quasi a voler prendere i lembi di quel cielo azzurro adorabile sfrecciato da folate di rondini a gridio allegro, inebriato, loro veramente libere nella radiosità di quel pomeriggio ormai rappacificato nella coloritura del calar del sole.
Ce ne siamo tornati io e il mio amico, carissimo fratello, a piedi per l'Appia antica e forse avevamo la pena e così era il nostro parlare come identico era il declinare del giorno, dei due discepoli di Emmaus.
Non so se con noi si è unito, strada facendo, Gesù. ma specialmente non so se abbiamo avuto il dono di riconoscerlo. Ma forse sì, nelle profondità dell'anima nostra e nella speranza della Fede.

don Sirio

Ospedali come isole

Nel grande carrozzone che è l'ospedale il problema risanamento diventa marginale.
In questa piccola città, in questa isola a se stante, completa di tutte le caratteristiche delle isole compresa la mentalità particolare con il senso spiccato dell'appartenenza e della proprietà e la sensazione di un mondo diviso - si intrecciano le situazioni più diverse, interessi opposti difficilmente componibili, brani di vita (dolore morte vita e amore) giochi di potere, compensazioni personali.
Quello che occupa la mente del personale medico e paramedico durante le ore lavorative non è cer-tamente il malato.
Sono i privilegi piccoli o grandi da acquisire ad ogni costo, occhi e orecchi sempre aperti per cogliere quello che interessa. E' la possibilità di carriera da favorire e proteggere. E' il non lasciarsi pestare i piedi da nessuno e non cedere mai ad ogni costo.
Quotidianamente, in modo ottuso ed ostinato che tende ad assorbire tutta la capacità di attenzione si antepone l'interesse individuale a quello collettivo.
E' la tecnica, la conoscenza, il mestiere acquisito che occupa un'altra parte dell'attenzione. Guai condividere tutto ciò che si sa, io non sarei più io. Un altro mi ruberebbe il posto.
La conoscenza e la scienza vengono capitalizzate e rese proprietà privata.
Ancora una volta per interessi personali la conoscenza collettiva non viene aumentata.
Nel gioco di questi interessi difesi in modo accanito con tutte le proprie energie, e con doti di fantasia inesauribile, si assume un atteggiamento di superiorità nei confronti del malato che diventa oggetto del momento diagnostico e terapeutico, oggetto di cure e di ordini da eseguire - certamente mai soggetto e protagonista della lotta contro la malattia, l'ignoranza che fa ammalare, la non volontà di scoprire la causalità dei mali.
Mai compagno particolarmente privilegiato perché carico di diritti della lotta contro il privilegio, la pri-vatizzazione della scienza, l'individualismo.
La persona malata è sola con se stessa soprattutto col suo male; specialmente una volta che ha scoperto ciò che vi è dietro la commedia della visita e della terapia; la routine giornaliera forzata ed assurda certamente non fatta a misura umana.
Non è facile pensare cosa si può fare in questo stato di cose, in un sistema che, compatto, si difende come può ad ogni minimo attacco che metta in dubbio uno dei suoi postulati: l'unica possibilità sono proposte alternative piccole o grandi anche semplici, che vadano dal diritto all'informazione per il malato ed i familiari, non elargito come una elemosina passando frettolosi per i 'corridoi, ma dato regolarmente più volte alla settimana con puntualizzazioni sul decorso della malattia; allo spezzare fra noi infermieri la gerarchia levando le differenze fra capo-sala professionale e generica e lasciando che la diversità sia su un piano di competenze e di qualità personali, mai di "grado"; a un rapporto diverso con i medici nell'ambito del quale si possa esigere da loro una prestazione più attenta e più assidua (basta con i medici che trascorrono il tempo pieno a leggere seduti su un divano); formazione del personale attraverso corsi non solo di formazione professionale, ma anche di coscientizzazione politica che possa offrire il senso del "collettivo" come alternativa all'"individuale"; e perciò suscitare nei lavoratori un interesse crescente alla gestione dell'ospedale come cosa pubblica quindi anche nostra.
Tutto questo per tentare di spezzare la catena di privilegi su cui si regge l'impalcatura e porre, almeno noi infermieri, a fianco dei malati.

Liberare Gesù Cristo

Ho letto un articolo sul «Giorno» del l0 aprile, articolo scritto da un appartenente a «Comunione e Liberazione», quel grosso movimento particolarmente di giovani che sta dilagando nel Nord in un progetto di recupero di forze giovanili cattoliche per un rilancio di una forza organizzata capace di alternative o se non altro di un riempimento di vuoti paurosi, lasciati scoperti dallo svanire delle associazioni e organizzazioni cattoliche.
Chi scrive cerca di chiarire le motivazioni, l'impegno pratico, là dove Comunione e Liberazione vuole arrivare. L'esposizione vuol essere estremamente innocente, fin troppo per non rivelare quanto è intenzionalizzata a effetto: ma che bravi questi ragazzi. Leggendo pero un po' alla smaliziata, non può non venire in mente l'antica, gloriosa canzone, quella della «Gioventù cattolica in cammino». Ma lasciamo andare.
Non è che m'interessa in questo momento di fare particolari riflessioni su questo articolo apparso sul «Giorno», nemmeno m'importa di occuparmi di Comunione e Liberazione: quello che più preme è una ricerca di Chiesa, di presenza cristiana in questo nostro mondo e nel momento che Dio ci ha dato da vivere, collaborando per quanto può essere legato a noi (e a ciascun cristiano) all'azione dello Spirito per il Regno di Dio nella storia, nel cuore dell'umanità. E' semmai sugli impegni di questa ricerca che mi ritorna assai problematico e difficile un'accoglienza e un gradimento di «Comunione e Liberazione», così come mi risulta da quel poco che ne co-nosco. Tanto più che quando entra in gioco questa ricerca di rinnovamento, di primavera, di ringiovanimento della proposta che vuol rifarsi a Gesti Cristo, non può non venire in mente la paraboletta della pezza nuova sul vestito vecchio e del vino nuovo in otri vecchi.
Da quell'articolo di cui sopra, vorrei invece riprendere una brevissima affermazione, anche se è tematica d'infinto problema, come del resto nota anche l'articolista. Per che cosa esiste CL? Per qualcosa di semplice e insieme di difficile da comprendere al mondo contemporaneo: la fede in Gesù Cristo».
Quest'affermazione così dichiaratamente qualificante di tutto un movimento, ripensata durante una nostra riflessione comunitaria del brano del Vangelo di Giovanni del capitolo 6, 22-29 «... in verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati ... questa è l'opera di Dio, credere in Colui che egli ha mandato», quest'affermazione ha comportato l'allargarsi a tutta una dolorosa, conturbante constatazione e alla necessità di un impegno, umile e rispettoso quanto si vuole, ma anche profondo e decisivo per una sincerità di Fede e di Amore. a Gesù Cristo, prima di tutto, e poi per una possibilità di una presenza chiara e libera del Cristianesimo nel mondo.
Mi è venuto, come quelle visioni d'insieme che si spalancano con un semplice sguardo o come quelle intuizioni o impressioni che in un momento riescono ad abbracciare secoli e secoli di storia, mi è venuto da riflettere su un fatto che ha reso praticamente impossibile la conoscenza chiara e limpida di Gesù Cristo da parte dell'umanità che lungo i secoli ha avuto possibilità d'incontrarsi con lui.
C'è una spaventosa responsabilità storica che pesa in maniera e misura spaventosa nella cristianità, un tremendo peccato identico a quello di quel gruppo di soldati e di servi (e tanto più, come sempre, dei loro mandanti sommi sacerdoti, sinedrio e farisei) quando segnarono l'inizio della passione e crocifissione di Cristo: l'impossessarsi di lui, il diventarne padroni, il poterne fare quello che volevano.
Da quel momento si è iniziata una nuova storia di Gesù Cristo, mai verificatasi fino a quel punto, la storia del cristianesimo storico, per dir così: Gesù che si abbandona agli uomini, lascia che s'impadroniscano di lui, che lo leghino, lo portino dove vogliono, ne facciano ciò che più a loro piace e interessa, lo inchiodino alla croce: non cambierà niente di questo abbandono di Gesù Cristo nelle mani degli uomini lungo i secoli e i millenni, anche perché non cambia niente che chi si appropria di lui e se ne fa un possesso siano i cristiani, le cristianità, le chiese, la Chiesa.
E' constatazione che sgomenta questo incessante impossessarsi di Gesù Cristo, proprio di lui, della sua persona, del suo pensiero della sua Parola di tutto il suo Mistero, per questo abbandonarsi nelle mani degli uomini, dei loro pensieri, progetti, interessi, passioni, privilegi, sfruttamenti. Lasciando fare, accettando e subendo tutto, assolutamente tutto, fino al punto che sopra di lui hanno imperversato tutti, se ne sono approfittati tutti, ne hanno fatto e disfatto tutto quello che hanno voluto, da far pensare che il racconto della sua passione e morte ne è appena un segno, una semplice e chiarissima indicazione, una sintesi in due giorni di una storia che dura da duemila anni.
Mi è difficile, impossibile, intravedere il motivo di questo perdersi di Gesù Cristo nelle mani degli uomini, questo lasciare che non abbia più «l'aspetto di uomo» e tanto meno i segni di Dio a seguito di questo lasciarsi appropriare, possedere da chiunque e così tanto che qualsiasi fede in Lui si è sentita autorizzata. e in dovere di ridurlo a proprietà privata, assolutizzandone il possesso fino a servirsene quasi in adempimento di un servizio reso a lui di un atto di fede, di amore, di zelo cristiano.
E' spaventoso questo appropriarsi di Gesù Cristo da parte dei cristiani, delle cristianità. Tanto più che questo appropriarsi di lui è sempre per farne un valore di componenza, di supporto, di copertura o al massimo d'integrazione a progetti, interessi, sfruttamenti a livelli sfacciatamente temporalistici, contingenti, economici, politici, oltre che tipicamente di persone, di famiglie, di gruppi, di associazioni, di organizzazioni, di classi sociali, di aristocrazie nobiliari e spirituali, di culture, di civiltà, di popoli e di continenti.
Il cristianesimo - da quando le croci furono issate sui labari delle legioni romane e cioè da quando i cristiani hanno smesso di morire in una purezza disintenzionalizzata da qualsiasi motivazione, a parte il chicco di frumento caduto in terra e il pugno di lievito e di sale e cioè come Cristo in croce, per una lotta contro il disamore e la disumanità in forza di un verginale motivo di Amore, e ogni volta che i cristiani non sono morti (anche se ovviamente non sempre si tratta di versare il sangue) di questa stessa morte - il cristianesimo è una storia sconcertante di una incessante strumentalizzazione di Gesù Cristo. E' la storia di uno spietato appropriarsi di lui e di tutto quello che lui è e può significare per riuscire a contrabbandare o a camuffare, più o meno sacrilegamente, la ricerca di far passare come cristianesimo, come Amore e fedeltà a Gesù Cristo qualsiasi programma o progetto o tentativo o realizzazione da affermare e attualizzare per intenzionalismi e finalizzazioni quasi sempre (è qui che l'analisi dovrebbe essere spietata e affrontata finalmente dalle cristianità) inconciliabili e spesso all'opposto del pensiero, della parola, delle scelte di Gesù Cristo e cioè del Gesù Cristo libero, chiaro come la luce, solo di una solitudine totale, indipendente da qualsiasi determinazione o utilizzazione all'infuori della volontà del Padre e della legge dell'Amore, come appare con estrema chiarezza dalla semplice lettura del Vangelo.
Non mi è capitato, per quanto mi ricordo, di leggere o di sentir parlare di quest'adorabile libertà di Gesù Cristo, rivendicata. conquistata e difesa nei confronti di tutto e di tutti: da qualsiasi valore capace di legare, da qualsiasi persona capace di condizionare. Libertà assoluta da sua madre. dalla sua terra, dal suo popolo, dalla sua città, dai suoi discepoli, amici, dalle folle, da qualsiasi prospettiva, difficoltà, contrasto, inimicizia, ostilità, autorità, potere... una libertà chiara, limpidissima, trasparente, totale, perché anche la croce e i quattro chiodi che ve l'hanno inchiodato sono segno e misura suprema della sua libertà.
E' dopo, nella storia cristiana, del cristianesimo, della Chiesa, che si è iniziato un progressivo e sempre più imprigionante appropriarsi di Gesù Cristo.
A poco a poco, ma violentemente e senza un'ombra di rispetto, Gesù Cristo è stato confuso, mescolato, amalgamato, identificato con le cose umane, nei problemi terreni, nelle realtà temporalistiche, è stato semplicemente e terribilmente storicizzato in una incarnazione strana e assurda perché diventata sopraffazione di lui fino alle strumentalizzazioni più sfacciate e sacrileghe.
Ne è venuto fuori non solo un cristianesimo, ma anche un Gesù Cristo non più figlio di Dio e di Maria, ma un prodotto complesso, indecifrabile, una risultanza confusa e inafferrabile, ormai una mescolanza di cui lui è un certo ingrediente per ottenere un preciso effetto, ma specialmente una etichetta capace di cristianizzare qualsiasi cosa, impresa, organizzazione. ecc.
L'esemplificazione storica sciaguratamente equivale alla storia della cristianità. Ai nostri tempi sta continuando impietosamente sia nei confronti di Gesù Cristo come nei confronti del popolo cristiano e specialmente dei poveri. Perché questa mescolanza di Cristo, la sua devozionalizzazione e quel voler cristianizzare e battezzare ogni cosa, diluendolo e rimescolandolo con uomini, organizzazioni, imprese, ecc., è impedire che al povero popolo si manifesti la potenza di liberazione che è Gesù Cristo.
Continua il peccato di quella sera di giovedì quando si è conclusa la meravigliosa storia della libertà di Cristo e si è iniziata la storia della prigionia di Cristo, dentro le mura e le sbarre della fede dei cristiani.
Anch'io ho questo tremendo peccato sulla mia coscienza di cristiano e di prete.
Avverto questo peccato - e chi può misurarne la gravità? - nella Chiesa, specialmente negli uomini che hanno responsabilità nella Chiesa.
Lo sento nel movimento «cristiani per il socialismo» tanto per rifarmi a impegni cristiani attuali, come ne appare segni evidenti in «Comunione e Liberazione». Sono di qui le mie diffidenze più motivate.
Non so quando comincerà questa liberazione di Gesù Cristo dall'impastoiamento con il quale i cristiani lo legano a se stessi e ai loro interessi, non so chi potrà operare questa purificazione di Gesù Cristo dall'inquinamento di tutta una sacrilega strumentalizzazione, tanto meno posso sapere - anche se è problema che va affrontato ad ogni costo - come sarà possibile questa decantazione di una mescolanza grigia, inqualificabile, nella purezza dei colori della luce di Gesù Cristo.
La Fede in Lui e l'Amore sempre più si realizzano unicamente in questa ricerca di oggettivazione di Gesù Cristo, liberandolo e purificandolo in modo che sia lui e non una mescolanza dì lui con me, con te, con noi, con voi, con il tale gruppo o con tal altro, con tale popolo, con tale civiltà, con tale chiesa, ecc.
E' il caso di credere che ciò che è impossibile agli uomini non è detto che sia impossibile a Dio. E forse questa «decantazione»; questa liberazione di Gesù Cristo, lo Spirito Santo l'ha già iniziata In questo nostro tempo: potrebbe anche essere che la gran crisi che sta travagliando le istituzioni e le strutture cristiane ne sia un segno, un avvio. O se non altro una speranza.

don Sirio

Armi cioé guerra

Nei suddetti articoli di Ballardin apparsi sul «Corriere della Sera» del 22 e del 24 marzo il giornalista fa l'elenco delle industrie italiane che vendono armi all'estero:
AGUSTA: ha venduto alcune centinaia di elicotteri all'Iran grazie alla mediazione di Vittorio Emanuele di Savoia. L'Agusta che produce su licenza Bell, Sikorski e Boeing, ha venduto elicotteri anche all'Arabia Saudita, al Kuwait, al Libano, all'Oman e ad Israele; si tratta di apparecchi AB205 prodotti in gran parte nello stabilimento di Frosinone.
AERMACCHI: vende caccia leggeri a reazione M326 al Dubai.
AERITALlA: Gianluca Devoto (autore de «II potere militare in Italia», ed. Feltrinelli) ha rivelato che tra Aeritalia e il governo di Saigon erano in corso trattative per la vendita di un lotto di F104S con motori Fiat. L'agenzia Aviazione ha precisato che gli F104S saranno anche venduti a Formosa e alla Corea del Sud.
MARINA MILITARE: (Ufficio Promozione Industria Navale): dal 1971 al 1974 ha ottenuto commesse per un importo di L. 213 miliardi per la fornitura di armi, missili e apparecchiature elettroniche. Ha venduto 4 fregate alla Marina Peruviana, un lotto di missili e 10 guardacoste alla Marina Iraniana. Sono già in stato di avanzato sviluppo trattative per un importo di 377 miliardi, mentre sono in corso in fase preliminare trattative per 1000 miliardi per la vendita di apparecchiature elettroniche, sistemi d'arma, elicotteri, corvette, sommergibili per l'Argentina, il Venezuela e una nave scuola per l'Iran. 4 corvette missilistiche saranno destinate alla Marina Militare Libica, armi e assistenza militare per l'addestramento aeronautico anche per lo Zaire, il Ghana, lo Zambia e il Marocco.
OTOMELARA: costruisce cannoni navali e missili fra cui l'Otmat, il missile mare-mare a lunga gittata messo a punto dall'Otomelara di La Spezia (Gruppo EFIM), che sarà venduto al Brasile e all'Iran; l'obice da 105 adottato dai paesi della NATO, dall'Abu Dhabi e dall'Irak; cannoni navali da 76-62, venduti a trenta stati compreso Israele.
SELENIA: (gruppo IRI): costruisce il missile Aspide del tipo multiruolo che interessa l'aeronautica svedese, radar e impianti elettronici.
SIAI-MARCHETTI: costruisce velivoli leggeri molto apprezzati all'estero.
SOCIETA' ELETTRONICA: produce contromisure elettroniche ultrasegrete adottati dai paesi della NATO.
SISTEL: una società creata da un consorzio di ditte italiane che costruisce missili Sea-killer: la Marina Iraniana ne ha ordinato alcune centinaia di esemplari. Il Sea-killer nella versione MK3 interessa la Libia.
BREDA MECCANICA BRESCIANA (gruppo EFIM): produce missili e razzi anticarro che saranno venduti a paesi arabi fra cui l'Oman e gli emirati del Golfo Persico.
(da Iniziativa Nonviolenta)

- SUD AFRICA: il 7 aprile il primo ministro Voster ha annunciato l'entrata del paese nel club nucleare grazie al perfezionamento di un metodo tutto particolare di arricchimento dell'uranio 236.
- LIBIA: sta progettando di divenire una potenza atomica. Lo ha affermato il 19 aprile Gheddafi in una intervista ad un giornale sudanese.
- ARGENTINA: un deputato argentino ha annunciato il 15 aprile che il paese sudamericano si prepara a realizzare una propria bomba atomica.
- INDIA: il 17 aprile la commissione indiana per l'energia atomica ha reso noto che radiazioni di notevole intensità sono state registrate nella centrale. atomica di Tiarapur a 100 Km. a nord di Bombay.

(da Satyagraha)


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