Siamo povera voce d'insignificante comunità che è riunita nel nome di Gesù Cristo ma che forse di lui ha così poco, quasi da non esserne che un'ombra di segno, un barlume di luce. Ma anche in questa condizione di nullità nei confronti dei criteri di valutazione umana, temporale, così cari a chi vuole importanze e preminenze quasi come se decidessero della storia a colpi di autorità politica, economica, militare, religiosa, culturale, ecc., ci nasce come piccolo seme che sempre più cresce nella coscienza fino a diventare albero da sopraffarci totalmente, un terribile senso di responsabilità.
Sappiamo bene per lunga sofferenza e per esperienza ormai molto allargata, quanto sia pericoloso, imprudente e forse anche controproducente (senza dubbio su un piano di tranquillismo personale ma anche di possibilità di accoglienza e di respinta nei confronti del mondo in cui si vive) questo permettere che questa violenza di responsabilità cominci a bruciare l'anima, premere come pungolo sulla coscienza, logorare il vivere quotidiano.
Per misurarne l'intensità basta percepire la realtà di rapporti fra la storia del mondo (dal suo emergere dal buio del nulla fino ad oggi) con la propria storia personale. Chi riesce e può dividersi da questa realtà di rapporti, l'angoscia di responsabilità nemmeno lo sfiora e se lo tocca e lo impegna è responsabilità di miserabile delittuoso carrierismo, è ambizione, realtà estrema di egoismo fino alle misure della disumanità. La storia, questa disgraziata vicenda dell'umanità, quella che ci hanno fatto studiare sui libri senza nemmeno accennarcene gli orrendi meccanismi, è la storia di questo responsabilismo impazzito.
Chi invece questa realtà di rapporti fra umanità e se stesso accetta e vive, offrendosi libero da qualsiasi intenzionalismo, allora questa responsabilità che gli si accende nel proprio destino, non può non diventare ansietà terribile, motivo di disponibilità a qualsiasi rischio, un giocare se stesso e qualsiasi altro valore in una strada sulla quale è impossibile fermarsi. Perché questa responsabilità è causata dall'Amore, determinata da un dovere d'innesto di bontà nel mondo, è costruzione di libertà, di uguaglianza, di fraternità perché è ricerca appassionata di realizzazione dell'uomo, dell'umanità. Questa responsabilità conduce inevitabilmente alla lotta, allo scontro perché la pace sarebbe acconsentire, diventare conniventi con la disumanità e d'altra parte tutto ciò che è umano la disumanità non può che cercare di spezzarlo via a costo di tutto.
Siamo inevitabilmente davanti alla Croce.
E il discorso diventa duro, quasi impossibile ad accettarsi.
Ma la Croce e Gesù Cristo inchiodato là sopra, è il criterio infallibile per pesare e giudicare il senso e il tipo di responsabilità determinata e raccolta dal rapporto di se stesso nei confronti dell'umanità.
Al di fuori della Croce la responsabilità inevitabilmente, o prima o poi, in maniera vellutata o drammaticamente, scivola nella disumanità.
Avvertiamo profondo, essenzializzato, questo problema di responsabilità nel duro, tragico momento di storia che attraversiamo da noi, in Italia e nel mondo per un arrivare ancora una volta al pettine dei nodi di responsabilità pazze, delittuose.
Da noi, per questo rigurgito di fascismo che insanguina le nostre piazze e le nostre strade: per questa maledetta violenza fascista che costringe a credere soltanto in una controviolenza violenta. Nel mondo per l'aggravarsi di uno scontro fra oppressione e liberazione, sfruttamento e ricerca di uguaglianza, di giustizia, di libertà.
Impressiona angosciosamente il pacifismo pacioccone, sentimentale, della Chiesa, sospiroso di esortazioni alla pace e alla fraternità, ma in definitiva paurosamente irresponsabile di quella responsabilità che smette di predicare e di limitarsi a opere di carità e si fa mettere in Croce.
C'è una Resistenza che dev'essere ancora imparata, eppure è stata insegnata e iniziata da migliaia di preti appena trent'anni fa. Fare commemorazioni a livelli diocesani, regionali, ecc. è facile, come per le celebrazioni liturgiche, specialmente quando quel sangue è una strumentalizzazione e non una provocazione: perché quel sangue, a pensarci bene, ci giudica e ci condanna, se è vero, come è vero, che siamo tutti, anche come Chiesa e cristianità, responsabili del ripullulare di questa maledizione che è il fascismo.
Non sappiamo Come questa responsabilità di rapporti fra noi e l'umanità sia possibile assolverla, senza una disponibilità anche fino alle misure estreme.
Anche a parlarne con chi si trova sensibile al problema (ed è così difficile fra preti e cristiani trovare questa sensibilità) è quasi impossibile trovare con chi condividere il rischio di un impegno e di una lotta in ricerca di continuità semplice e chiara alla lotta di Gesù Cristo per una umanità diversa, nuova.
Bisognerebbe poterci incontrare con la libertà di Gesù Cristo fino alla sera del giovedì santo e credere che il farsi inchiodare alla croce della storia dell'umanità e l'unica violenza, perché unico Amore, capace di liberare l'umanità.
L'odio è sempre riempimento di vuoti d'Amore: e questi vuoti d'Amore segnano la misura della responsabilità della Chiesa e di ogni cristiano.
Sono vuoti di Gesù Cristo nella storia ogni volta che la Chiesa e la cristianità non gli danno di essere vivo e vivente nella storia, come lui vi è vissuto, morto e risorto.
La Redazione
Il ritornello del canto finale della rappresentazione-annuncio che attualmente facciamo, qua e là per l'Italia dove un gruppo di cristiani vuole interrogarsi con noi sulla Parola di Gesù; il ritornello, dicevo, chiama la "coscienza cristiana" a gridare "no" al potere che uccide, al capitale che affama, ad un regime di guerra, e a gridare "sì" alla libertà dei popoli, alla giustizia nel mondo, alla fraternità dell'uomo.
Questo richiamarsi alla coscienza (cristiana perché illuminata da Cristo nel credente) è spesso fonte di contestazioni più o meno vivaci. Per troppo tempo la coscienza è stato albero sbattuto dai venti del potere, dell'interesse, della strumentalizzazione politica, economica e religiosa. Anche oggi non si può dire davvero che le cose siano mutate.
Il richiamarsi alla "coscienza" sembra quindi, ancora una volta, manovra sottilissima per lasciare le cose come sono, per lanciare un messaggio destinato a perdersi nell'interiorità, per abbellirsi di una fama da persone "con le mani pulite". Si ha l'impressione, nel migliore dei casi, che il dire: "fai quello che ti dice la coscienza", sia un modo molto elegante di dire "arrangiati", quasi un affidare le proprie sorti ad un guscio di noce nell'incalzare a ondate dei problemi e delle tragedie della vita.
Credo che non sia giusto un generico appello alla coscienza: credo, invece, che sia giusto offrire alla coscienza di ciascuno elementi adatti a chiarire i nodi essenziali della vita.
Un po' tutta la nostra vita vuol essere offerta per una riflessione serena, ma estremamente chiara sui motivi e su valori di un'esistenza cristiana. Crediamo sia molto giusto non imporre alle persone delle cose da fare, di non fare opera di convincimento e di proselitismo. Certo viviamo la nostra scelta con forza perché è scelta viva e vitale; ma non la offriamo come unica e sola possibilità: è aiuto a chi cerca, punto di riferimento per chi vuole affrontare cammini di fede.
Non è sempre facile realizzare questo atteggiamento. Anzi, direi che nella pratica è difficile offrire qualcosa nel rispetto profondo dell'altro. E' misura e questione d'amore e quindi di libertà. Troppo a volte ci vince l'egoismo, non sempre ci accade di superare i nostri problemi personali, ci sono senza dubbio tante catene da cui dovremmo liberarci. Ci aiuta solo la fede che l'amore è dono di Dio, è presenza Sua, è Lui che ama in noi. Una fede che ci mette in questione, che ci aiuta a non mollare, a convertirci, almeno quel poco che ci dà di non disperarsi...
Ma anche ammesso che sia possibile questo rispetto a quest'amore perché ciascuno possa essere se stesso fin nella profondità della propria coscienza, a che serve tutto questo lavoro, che possibilità concreta racchiude? Non sarebbe più vero proporre obiettivi precisi, capaci di scendere nella concretezza di esistenza di ciascuno? A che serve una coscienza, quando mancano idee, agganci immediati con la vita, possibilità d'azione e di rinnovamento?
Una luce accesa, in una stanza, di per sé non la rinnova nel mobilio, non la anima con la presenza di amici. E' però inizio di vita, possibilità che si apre a sensibilità rese evidenti. Una stanza buia è sempre uguale a se stessa, inevitabilmente chiusa per quanta vita possa svolgersi. Possiamo rinunciare alla luce della coscienza, a renderla chiara e luminosa? Può essere fatica superflua? Certo, a volte si crede di far luce e ci inganniamo nell'oscurità delle nostre illusioni, ma sarebbe questo discorso molto lungo e d'altra parte è rischio da correre, inevitabilmente.
E' vero che oggi abbiamo bisogno di fatti concreti, più che di idee di fondo che sostanzialmente si danno per acquisite, ma è altrettanto vero che non si possono improvvisare i fatti e le azioni. Non si possono dare ricette per operare scelte, realizzare comportamenti. Non è giusto imporre modelli quando sappiamo che ciascuno ha un apporto personale irrinunciabile. Per qualcuno la chiarezza nell'agire può venire con la forza di una chiamata, per altri questa chiamata starà rivolta verso traguardi importantissirni, per molti è la serietà quotidiana la misura di un «fare» autentico. Ma che diversità, se questa moltitudine di persone, immerse nel quotidiano, nei segni semplici ed essenziali di una vita vissuta in fedeltà alla famiglia, al lavoro, all'amicizia, all'ospitalità, fosse capace di una coscienza limpida, di un cuore sensibile al più leggero soffio di vento, di una sensibilità avvertita a riconoscere i segni di tempi nuovi, di realtà più vere, di speranze di giustizia e di vita. Il profeta, il partigiano, il militante, colui che è chiamato a rompere la crosta di stratificazione dettata dal comodo, dall'interesse, dal potere, potrebbe affondare il suo seme in una terra preparata, in una coscienza di massa già formata. E sarebbe forse cosa da poco? Proviamo a chiedere a chi va in montagna se si è mai trovato nella condizione di desiderare una sorgente d'acqua fresca: ecco, una coscienza sensibilizzata è come una polla di acqua limpida che scorre giorno e notte nella solitudine di una piega di roccia. Non sarebbe più logico imbrigliarla per dare acqua ai grandi casamenti di periferia? Eppure essa ha la sua ragion d'essere nell'attesa del viandante solitario che batte sentieri appena tracciati alla ricerca di una strada nuova, di un pezzo di terra da rendere fecondo. Ecco, la coscienza sensibile ai segni autentici della vita, è come una fontana d'acqua fresca che butta giorno e notte. Apparentemente uno spreco, in realtà una disponibilità ed una libertà infinita per tutto ciò che è sogno di umanità nuova.
don Luigi
Lascio andare altri motivi capaci di suscitare enormi problemi di cui vorrei tanto parlarti, perché nonostante tutta la fede di cui ringrazio all'infinito Dio per avermela conservata accesa nell'anima e così tanto fino ad essere come un pungolo, una provocazione irresistibile nella mia vita mi succede che la speranza, quella immediata, quella a breve scadenza, quella del crepuscolo della sera per l'aurora del mattino, dello squarcio di cielo azzurro durante lo scatenarsi della burrasca, quella speranza a volte mi si sta annebbiando, mi si smarrisce fino a farmi camminare a tentoni, in una incertezza che è proprio troppa per non sopraffarmi.
Evidentemente si tratta del terribile problema di una speranza rivolta a possibilità di qualcosa di diverso «oggi», nella realtà della storia che stiamo vivendo, nelle condizioni in cui ci stiamo dibattendo.
E questa speranza non è possibile che non sia legata agli uomini di oggi, alle istituzioni di oggi,.alle vicende sia pure viste in prospettiva, di oggi: all'incidenza cioè nell'attuale (e quindi come vogliono sempre i responsabili della storia, e tutti i potenti credono di esserlo) di tutto quello che dovrebbe essere il domani.
Si costruisce l'oggi, ma vorrebbe essere sempre per il domani.
Sta il fatto però che viviamo in una condizione, in una realtà storica tale che la constatazione dell'oggi toglie via, impedisce concretamente, la speranza.
Tu sai molto bene, cara santa Madre Chiesa, che domani raccoglieremo, o raccoglieranno, che è lo stesso, quello che è stato seminato oggi.
Da un pezzo, santa Madre Chiesa, non posso non riflettere a molte cose e non le raccolgo sui libri di storia, non ho bisogno di allargare constatazioni alle vicende del mondo (e sarebbe del resto molto giusto per inquadrare oggettivamente i problemi) e nemmeno mi rifaccio a tutte le componenti che hanno determinato il corso degli avvenimenti e agli uomini singoli o collettività, ecc. che hanno avuto responsabilità decisive: anche perché chissà come un'analisi fatta secondo questo tracciato ci dividerebbe, santa Madre Chiesa, e logicamente, come sempre è avvenuto e avviene, sarei senza dubbio io il perdente: tagliare via i cosiddetti rami secchi, magari dopo averli fatti seccare, è un vecchio e nuovo lavoro compiuto con zelo sempre instancabile.
Ho però il diritto di rifarmi alla mia vita, anche per il dovere che ho di capirci qualcosa in me. E la mia vita è totalmente innestata, coinvolta e travolta (e come potrebbe essere diversamente?) nella storia del mio tempo, nella vicenda di un succedersi di fatti e di avvenimenti in cui mi sono trovato immerso e sommerso, il mio vivere è stato nelle mani, alla mercé di uomini che si sono semplicemente approfittati di me, giocandomi nelle loro pazzie, assurdità, violenze, nella loro autorità sempre sostenuta e giustificata dalla responsabilità del cosiddetto bene comune.
Oltre a tutto la mia vita è stata offerta e vissuta, abbandonandola interamente, a te, santa Madre Chiesa, come tu sai benissimo, anche se puoi non essere contenta. perché a un certo punto puoi non avermi più sentito «tanquam cadaver» tra le tue braccia materne, ma vivo e vivace di tutta una Fede e di un nuovo ma certamente più intenso e appassionato Amore. Dovrebbe esser sempre preferibile anche per la Chiesa, come dice la saggezza popolare, un asino vivo che un dottore morto: se tutto fosse valutato in una autentica prospettiva di Regno di Dio.
Praticamente quindi mi sono ritrovato, e in qualche modo mi ritrovo ancora, coinvolto e travolto e stravolto nella storia dei tuoi rapporti fra te, Chiesa, e il potere civile. nella realtà delle tue preferenze e diffidenze del tuo vivere dentro la storia, nelle tue accoglienze di ciò che benedici e nelle tue respinte di tutto ciò che condanni e tanto più, e qui il problema è di una gravità tremenda nel tuo presentare e incarnare Gesù Cristo, la Fede e la scelta cristiana e sacerdotale, nel mondo, nel tempo in cui io sto vivendo e in cui l'umanità sta travagliandosi la sua storia.
In questi giorni di grande e profonda angoscia per il morire di giovani per le strade, per il ribellarsi contro questo rigurgito della violenza fascista, di folle intere di giovani e di operai, di città e di popolazioni, mi si è riproposto tutto un enorme dolorosissimo problema, rimasto sempre lì, come un male nascosto di cui si ha paura perfino a pensarvi e tanto più a parlarne.
Ma ora questo male nascosto nel fondo dell'anima mia mi si sta acuendo in misure insopportabili. E non è più possibile non affrontarlo, chirurgicamente se è necessario, pena il lasciarsi logorare e marcire.
Parliamone, santa Madre Chiesa, una buona volta: ma so già che è attesa inutile, anche questa speranza si sta spegnendo e disgraziatamente non soltanto nel mio cuore.
Sono nato quando s'iniziavano le delinquenze fasciste, violenza a mano armata, sopraffazione dell'uomo sull'uomo, lo spengersi della libertà, l'accendersi dell'impazzimento autoritario. Anche allora era per via dell'ordine, dell'ordine nuovo fatto attraverso il culto della morte, i sistemi dell'ordine nero.
Avevo nove anni quando, Madre Chiesa, sei venuta a patti con questa pazzia, con questa disumanità.
E' terribile che tu mi abbia fatto crescere (con tutto il valore di questa parola capace di determinare l'esistenza) dentro questo accordo. Perché nessuno dei tuoi uomini che sono la tua autorità e il tuo magistero, mi ha insegnato cos'era questo fascismo, mi ha illuminato su questa infamia. Soltanto mio padre, analfabeta e pover'uomo a strappare il pane quotidiano in una povertà che non era squallore grazie all'ingegnosità inesauribile di giostrare quei quattro spiccioli di mia madre, soltanto mio padre resistente da sempre e senza ombra di paura, mi ha insegnato a non crederci, a diffidare, a respingere. Qualche altra esperienza, capitata provvidenzialmente, ha impedito che non rimanessi risucchiato, nonostante la «guerra santa» di Spagna, la conquista dell'impero, le parate a grandiosità oceaniche, sempre copiosamente benedette e santificate.
Sono arrivato, giovane prete, agli orrori della guerra e non mi hai insegnato ancora niente, Madre Chiesa, sul fascismo, così com'era tuo dovere per fedeltà al Vangelo, e non mi hai aiutato a che mi sopravvenisse una coscienza antifascista, se non altro perché non si trattava, non si è mai trattato (come tanto meno si può trattare oggi) di un partito politico, ma semplicemente e soltanto di disumanità contro la quale è dovere di uomini e di cristiani e di Chiesa lottare anche a costo di scontri fino a morirne. Le classi ricche, la loro egemonia economica e quindi politica, i privilegi della Chiesa, questa famosa, e a un certo punto vergognosa, libertà religiosa, ecc. non può mai scendere a compromissioni con la disumanità.
Perché, Madre Chiesa, e la domanda lo so che è spietata, ma non posso più non porla, anche, se ne ho chiara la risposta e so che è terribilmente discordante dalla tua, perché non hai lottato contro il fascismo almeno come quanto hai lottato contro il marxismo e il comunismo e prima ancora contro il liberalismo e dopo contro il socialismo?
Perché anche in questi giorni - ma è successo da sempre specialmente quando sono capitati episodi da consentire quella furbastra dottrina degli opposti estremisti - metti sullo stesso piatto la provocazione fascista a base di bombe e di stragi, di rivolverate e di morti e la resistenza - sia pure intemperante e violenta, ma non sanguinaria - dei giovani di sinistra?
Ho letto troppe cose in questi giorni - specialmente sulla stampa «cattolica»: discorsi del Papa e di Vescovi e commenti, che di nuovo sono serviti inevitabilmente a tirarmi su tutto quel problema di angoscia e di sgomento per il continuare di un vuoto impressionante di una chiara posizione antifascista, di una respinta visibile. di un insegnamento inequivocabile che tagli via un bubbone abbarbicato così profondamente da connaturarsi, sembrerebbe, con la realtà della Chiesa.
Non basta assolutamente più - mai sarebbe dovuto bastare - un esortare al rispetto dell'uomo, alla fraternità, alla pace, alla riconciliazione, esecrare la violenza. il ricorso alle armi, lo scontro di piazza, lo spargimento di sangue innocente, auspicare fermezza da parte dell'autorità, delle leggi, delle istituzioni dello stato, è quasi irrisorio e irriverente rifugiarsi nella preghiera e implorare la misericordia di Dio e via dicendo. con documenti, allocuzioni, frasario ormai sempre identico fino all'insopportazione, in uno scaricare impietoso responsabilità sul povero popolo sempre considerato letto di fiume sul quale fare scorrere fiumi di parole, fine a se stesse.
Sarebbe giusto e doveroso, oltre che onesto, fare, santa Madre Chiesa, un immenso esame di coscienza (se proprio non vuoi usare la parola analisi) e mettere in chiaro responsabilità enormi, spaventose.
Perché il fascismo ha cominciato di nuovo a respirare dopo la strangolatura operata dalla Resistenza, con le lotte e le crociate delle scadenze elettorali del dopoguerra. C'è una scomunica (mai ritrattata ufficialmente) culminante tutto un dispiegamento di forze ecclesiastiche che ha riaccesa la speranza e la fiducia di un risorgere fascista per una necessità a costo di tutto di una respinta del pericolo comunista. E quando la lotta si assolutizza, la tentazione di affluenze di alleati diventa inevitabile e tutto può essere utilizzato, con o senza cattiva volontà. dal fascismo del capitale, della classe padronale (nazionale e internazionale) fino al fascismo populistico dell'organizzazione periferica dell'uomo onesto, nostalgico del governo forte, dal pugno di ferro, del fanatico, delinquente comune, drogato di violenza e pagato da chissà chi, della bomba per la strage, della rivoltella a tradimento, della picchiatura per cura ideologica.
Sono anni e anni che sento nel profondo dell'anima di povero prete ormai carico di una lunga e dolorosissima storia di Amore a te, santa Madre Chiesa, sento nell'anima questa responsabilità di fascismo che pesa sugli uomini della mia Chiesa da quando sono nato fino ad oggi.
E non posso non riflettere, anche se il solo pensiero mi angoscia a morte, che se la Chiesa gerarchica, e quindi tutta la Chiesa, popolo di Dio - perché potevi molto una volta, ma puoi tanto ancora, santa Madre Chiesa, sul popolo della Fede - in una semplice e facile chiarezza di fedeltà al Vangelo, liberata dalle paure e dei condizionamenti di potenza terrena, di privilegi giudicati creduti micidiali per la Fede, ecc.; se la Chiesa da sempre si fosse manifestata, se necessario fino a allo scontro, contro la disumanità del fascismo, molta storia sarebbe forse diversa in Italia e nel mondo.
Mi dirai, santa Madre Chiesa, che avremmo avuto il comunismo, ma lasciami dire con sincerità che se dicendomi questo vuol dire che giudichi il fascismo male minore nei confronti del comunismo o, diciamo con più esattezza, del socialismo, allora la mia paura di una convergenza Chiesa-fascismo si esaspera fino all'estremo dell'angoscia.
Allora quello che sta succedendo in questi giorni, e dal '69 in poi, comporta delle responsabilità reali, concrete.
E' quello che mi sgomenta nel più profondo perché mi dà la sensazione della possibilità di pesanti responsabilità, indirette quanto si vuole, ma forse paurosamente decisive per il sangue versato fin qui e per quello che forse può affogarci domani.
«..credete voi che quelle diciotto persone sulle quali cadde la torre di Siloe e le uccise, fossero più colpevoli di tutti gli altri abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non farete penitenza, perirete tutti nello stesso modo». (Lc. 13, 1-5).
Cara santa Madre Chiesa, tu puoi molto per pacificare - e Dio voglia che non sia troppo tardi - questa guerra civile ormai scatenata. Non sarà il governo, la magistratura, le leggi antiviolenza sempre più assolutizzata come unica possibilità per salvarsi da un'altra violenza.
Non rimanere, Madre Chiesa, fra le due parti a esortare alla pace: è ormai connivenza, è inevitabile dare l'impressione di una continuità storica che è quella che è e quindi è incoraggiamento ad un fascismo che anche se non più benedetto è maledettamente lo stesso fascismo, nazismo, disumanità di sempre.
Prendi il tuo posto, santa Madre Chiesa, quello che ti ha assegnato Gesù, coi poveri, con la classe operaia, col popolo ...
E in maniera così chiara, così clamorosa (perdonami la parola, ma mi sembra urgente che sia così) che il fascismo ti scopra nemica, un ostacolo, una barricata, una realtà di Popolo di Dio, sulla quale bisogna passare, se vuole continuare, la sua marcia da 28 ottobre 1922.
Così tanto, che se vuole tirare bombe le tiri nelle chiese, negli episcopi, nelle canoniche, non in piazza Fontana, in piazza della Loggia, sui treni o sotto i treni. Se vuole sequestrare persone per avere miliardi non sequestri più bambini, ma cardinali. Se vuole uccidere uccida preti, suore, vescovi, ma non giovani operai e studenti.
E' così che si è pace, Amore, fraternità, non violenza, riconciliazione, salvezza, redenzione e cioè Gesù Cristo.
E tu sai meglio di me, cara santa Madre Chiesa, quanto questo nostro mondo, perché possa essere diverso, ha bisogno di Gesù Cristo e di chi continua storicamente, e quindi anche oggi, tanto più forse che nel passato, il suo liberamente offrirsi alla Croce. Perché è di qui, dalla Croce. che può nascere l'aurora di un mattino di Resurrezione per l'umanità intera.
Hai commemorato in questi giorni, Madre Chiesa, migliaia ai preti offertisi alla morte, trent'anni fa, per una coscienza antinazifascista accesa in loro dalla Fede nella Croce. Abbiamo peccato contro di loro e contro Gesù Cristo, contro i nostri fratelli oppressi e ammazzati perché il loro sacrificio svanisce nella nostra prudenza, vile e furbastra, nel nostro cristianesimo equivoco e sacrilego.
Abbiamo peccato e pecchiamo in maniera imperdonabile contro i fascisti, gli assassini di ieri e di oggi, perché non abbiamo il coraggio dell'Amore di una lotta aperta contro il fascismo. Rischiamo ancora una volta che si sentano gli arcangeli della lotta contro l'anticristo.
Mi diceva un bambino di dieci anni che sta preparandosi alla Prima Comunione: a volte mi domando in che mondo mi sono trovato a vivere. Un bambino che ha perduto un occhio due anni fa perché un ragazzo gli ci ha scagliato una freccia di canna. E mi diceva: io non gli ho detto nemmeno una parola cattiva, l'ho perdonato di cuore.
E' di qui che parte e prende fiducia la speranza: è come un segno di Resurrezione questo bambino. Ma è anche una responsabilità tremenda se deve succedere che questo mondo in cui è costretta a vivere l'umanità di domani è ancora quello di tempi passati, di ieri, di oggi.
E' tempo di conversione, stai predicando da sempre, cara santa Madre Chiesa, e è vero e decisivo per me, per noi, per tutti... ma sta venendo sempre di più il tempo in cui la penitenza e la conversione «devono cominciare dal tempio, dall'altare». Perché per essere giustificati a parlare di Amore a questa umanità che si sta facendo divorare dalla violenza, bisogna essere Amore, esattamente «quell'Amore a causa del quale si è pronti anche a dare la vita per quelli che si amano».
Cara santa Madre Chiesa, è un tuo povero figlio ormai già stanco per età e per fatica di Fede che ti scongiura di essere quest'Amore: vale assai di più, come sai bene, di «tutti i sacrifici e gli olocausti», ma più di me e certamente con più profondo diritto, è la povera gente che ti chiede quest'Amore e cioè di averti nella sua disperazione di oggi e di sempre, nella sua oppressione, nel suo essere nulla, per l'unica possibilità di speranza e di Fede che le rimane, di cui tu, santa Madre Chiesa, devi essere segno e garanzia concreta, vissuta, quella di avere Gesù Cristo nella sua croce a sicurezza di Resurrezione, cioè di vita nuova, di storia diversa.
don Sirio
Abbiamo già scritto qualcosa a proposito della manifestazione organizzata per il 1° Maggio di quest'anno - anno santo - dal Centro per la Pastorale del mondo del lavoro e che cercherà di far confluire a Roma il più gran numero possibile di operai. Perché in piazza S. Pietro, nel giorno sacro a tutto il mondo operaio, ci sia questo segno visibile della riconciliazione fra la Chiesa e la Classe operaia.
Sono molte le cose da dire a proposito di questo genere di manifestazioni: i preti operai hanno già fatto sapere la loro netta opposizione a cose di questo tipo, denunciando il tentativo di facile recupero «a poco prezzo» di tutta una serie di problemi che separano e continueranno a separare anche dopo il 1° maggio '75 la Chiesa e il mondo operaio.
Può darsi che non importi a nessuno che anche io che sono prete e operaio non sarò a Roma per il 1° maggio come credo nessuno degli altri preti operai italiani): è strana comunque questa nostra Chiesa che pensa a tutto, perfino ad organizzare feste della riconciliazione con gli operai senza chiedere nemmeno un parere a quelli tra i suoi preti che per amore della classe operaia hanno .lasciato la tranquillità del campanile e della canonica per andarsi a rompere le ossa ogni giorno, fino alla pensione. tra i compagni lavoratori.
E' una storia davvero strana quella di noi poveri preti operai che di punto in bianco ci troviamo ad essere invitati a pellegrinare alla "soglia di Pietro" per compiere questo rito speciale di pacificazione (una specie di "sanatoria generale") con la madre Chiesa. La quale spesso - nella maggioranza dei casi - non è stata e non è punto felice che qualcuno dei suoi figli preti lasci la sicurezza della sacrestia per mescolarsi e sparire nella massa del fratelli che da sempre compiono nella loro carne il comandamento di Dio (col sudore della fronte ti guadagnerai il pane).
Sono profondamente convinto - ed è convinzione carica d'amarezza - che la riconciliazione, quella vera ed autenticamente evangelica, non possa avvenire in piazza S. Pietro.
Per la classe operaia, nella sua stragrande maggioranza, la grande basilica romana non è il segno della comunione universale, della fratellanza cristiana, della giustizia e del diritto dei poveri: essa rappresenta ai loro occhi (e c'è tutta una storia passata e presente che lo conferma) il simbolo di una Chiesa-potere, di una Chiesa-Vaticano alleata ed amica con i potenti della terra, gli oppressori dei popoli ricevuti quasi sempre con onore e rispetto (magari in elicottero!). Una Chiesa depositaria non dell'enorme ricchezza della Verità del Vangelo, ma di titoli azionari, di grandi capitali investiti proprio in quel mondo capitalista e industriale per il cui egoismo i lavoratori di tutto il mondo sono costretti ad una continua lotta.
L'idea comune che si ritrova quasi ogni giorno lavorando fianco a fianco con i propri compagni è che la Chiesa, nella sua espressione visibile a Roma rappresenta sul versante religioso il nemico di classe, schierata sull'altro lato della trincea e preoccupata della sua potenza terrena .
Come può questa Chiesa - che siamo noi tutti ma in modo speciale quella di cui la basilica di S. Pietro è il simbolo - pensare di compiere un gesto di riconciliazione, di perdono, di fraternità nei confronti del mondo operaio semplicemente invitando a un 1° maggio "cattolico" nella grande piazza vaticana? La riconciliazione con la storia di lotte, di sangue, di sacrifici, di fatica e di sfrutta-mento dei poveri ha bisogno di ben altre pietre che non quelle del colonnato del Bernini: la roccia nuda della grotta di Betlem dove il Figlio di Dio si fece figlio dell'uomo, fratello degli ultimi e degli oppressi della terra è l'unica pietra che possa indicare la strada giusta per questo incontro.
Ed anche la povera officina di fabbro-falegname di Gesù di Nazareth potrebbe essere un buon posto per celebrare la riconciliazione: l'amicizia ritrovata. E così, proseguendo sul cammino tracciato dall'unico Maestro e Signore della sua Chiesa, ogni angolo di terra potrebbe essere buono per la pace da rifare e la stretta di mano dell'intesa e della comprensione purché avesse il sapore limpido e chiaro delle Beatitudini, del "guai a voi, o ricchi", della parola netta e tagliente di Gesù che per aver proclamato che il Regno di Dio appartiene ai poveri e non ai potenti finì appeso al legno della croce e morì come un delinquente comune.
Questa storia di amore, di bontà, di povertà vera fatta di mani callose, di verità gridata ai quattro venti sulla faccia di chi vorrebbe anche oggi continuare a tenere schiavi i liberi figli di Dio - questa storia che è quella di Gesù Cristo e che dovrebbe essere quella della sua Chiesa- è l'unico terreno d'incontro con il mondo operaio.
Coloro che hanno pensato di chiamare gli operai a Roma per il 1° maggio a celebrarvi l'Anno Santo hanno commesso - a mio avviso - un gravissimo errore. Avrebbero dovuto invitare tutta la Chiesa ed in particolare la Chiesa di Roma, a compiere lei un «esodo», un viaggio di riconciliazione e liberazione da ogni "compromesso storico" con la ricchezza, la potenza, la politica, i privilegi che invece pare voler custodire così gelosamente. Era sulle piazze e per le strade dove la classe operaia celebra da anni la «sua» festa del lavoro che doveva avvenire l'incontro: perché se è vero che il mondo operaio deve «tornare» alla Chiesa, è molto più vero che non è a «questa» Chiesa che potrà riavvicinarsi. E' anzi questa Chiesa che deve compiere in verità e umiltà il viaggio di ritorno perché è lei che si è allontanata dalla storia, dalla vita, dalla lotta, dalla fame e sete di giustizia della classe operaia. E questo da quando si è allontanata (e sono secoli e secoli) dalla vita e dalla lotta di Gesù, accettando i favori dei potenti che sfruttano e opprimono il popolo a cui essa avrebbe dovuto continuamente annunciare l'anno della grazia del Signore.
Questo viaggio di ritorno alle sorgenti della verità del Vangelo esige una disponibilità molto diversa da quella che può essere dimostrata accogliendo in piazza S. Pietro gli operai nella festa del 1° maggio: è un cammino di conversione come quello di Zaccheo (la metà dei miei beni la do ai poveri e a coloro a cui ho rubato rendo il quadruplo) e molto di più come quello del giovane ricco (vai, vendi tutto ciò che hai, dallo ai poveri: poi vieni e seguimi). E' volontà precisa di accettare di camminare per le strade della storia umana «senza borsa né denaro né due tuniche»: significa quindi il bisogno urgente di legarsi storicamente e in modo molto concreto a tutti coloro che sono senza potere e subiscono oppressione, ingiustizia, schiavitù.
Per fare tutto questo, oggi, in modo serio e credibile dalla classe operaia, non bastano davvero i pellegrinaggi, i proclami più o meno solenni, i catechismi rinnovati e scientificamente elaborati, le indagini sociologiche e le elaborazioni statistiche: occorrono dei segni ben visibili, gesti che non lascino incertezze circa la scelta di una Chiesa che vuole realmente saltare il muro che la divide da secoli dalla vita della povera gente. Ci sono muraglie da abbattere, roccaforti da radere al suolo, terreni da sgombrare da una quantità enorme di detriti che la storia vi ha accumulato: bisogna avere il cuore limpido e semplice come quello dei bambini e sentire la voce di Chi chiede di lasciare TUTTO per seguirlo sulle sue strade.
La classe operaia avrebbe bisogno di una Chiesa che anche a livello ufficiale, gerarchico (la Chiesa di S. Pietro e di tutte le Curie del mondo) non avesse paura della nudità del Cristo di Betlemme, del coraggio e della lotta del Cristo profeta del Regno di Dio sui sentieri della Palestina, della solitudine e della tribolazione del Cristo schiacciato e messo a morte sulla croce. Allora sarebbe anche una Chiesa capace di testimoniare la sua fede chiara nel Cristo della Pasqua, nel Cristo risorto dalla morte, vivente nella storia dell'umanità a dare senso e speranza ad ogni ricerca di fraternità e d'amore, ad ogni lotta di giustizia e di liberazione, ad ogni sforzo di costruzione di un vivere umano degno dell'uomo.
don Beppe
La notte in ospedale è sempre un'avventura nuova. Ogni volta diversa, i malati, piccoli universi che soffrono e che convivono; i ricoveri nuovi, tranquilli o drammatici, in lotta affannosa col male; oppure silenzio totale, a pause lunghe, profonde, che si percorrono lentamente alla scoperta di mondi nuovi, pianure, specchi d'acqua, orizzonti di idee si aprono all'improvviso e svaniscono come miraggi lontani. Ma lasciano una traccia.
Questa notte è stata calma e abbiamo potuto parlare fra noi infermiere. Discorsi semplici, non difficili, ma immediati; l'andamento, il sistema, i medici, i malati, l'aggiornamento che manca, la non volontà di informazione qui da noi, alla scuola, sui giornali, in generale.
Hanno timore di fare di noi teste che possono pensare. Ma peggio ancora. hanno timore che la gente malata capisca perché si ammala.
L'ospedale diagnostica, dà terapia, non indaga, non si pone problemi, non si interessa delle cause, delle motivazioni della malattia. Passano gli infarti, le arteriosclerosi, le ulcere i tumori sfilano questa malattie, i flagelli di ora - non più epidemie meno infezioni, - ma fatti degenerativi.
C'è chi sappia perché ci si ammala, perché sono cosi in aumento? C'è chi abbia il coraggio di denunciare di spiegare di indagare e chiarire? E poi offrire al malato lo strumento perché si possa di-fendere da ciò che in lui ha provocato la degenerazioni di un organo lo squilibrio del suo corpo?
Non c'è nessuno che lo faccia. Perché? A chi compete tutto questo se non alla classe medica, più ancora al luogo preposto a livello cittadino alla guarigione del malato. Luogo organizzato e mantenuto per questo, il suo nome richiama la salvezza, il cittadino non sa cosa si nasconde dentro. I giochi di interesse, di potere, le lotte politiche, il peso di impostazioni, di mentalità reazionarie, di chi ama lo status quo, di chi non intende cambiare, la lampante ingiustizia di un sistema che ancora come una volta si regge sulla legge del più forte, qui più che mai: il più debole è oppresso - guarda caso - è colui che non sa e non può difendersi, che ha strumenti per capire, per imporsi, per tentare di avere considerazione (che può derivargli solo dalla gravità del suo male, non lui allora, ma l'organo colpito sarà preso in grande considerazione!); l'uomo normale, di tutti i giorni, per di più malato, chiaramente il più debole rispetto ai sani, nell'ospedale è l'ultima ruota di un ingranaggio che non ha la volontà dì salvarlo.
Come si fa a "guarire"(?!) un malato dopo l'altro se non si interviene all'origine, se non si tenta di arginare questa fiumana che continuamente invade l'ospedale: fiumana, alta a bassa marea, susseguirsi di onde. Un va e vieni incessante di dolore, di guai, di disperazione, di equilibri infranti nel corpo, nel cuore, nella famiglia. Disagio sul lavoro, a casa, nel quartiere.
Chi si deve preoccupare di cercare i motivi di questo dolore che si dice di volere combattere? Chi dovrebbe lottare a fianco di altre forze per salvaguardare la nostra salute, di noi gente qualunque che non sa capire, che è capace di analisi?
L'ospedale tace. Entra una macchina da aggiustare. Entra un organo, una malattia. Esce più o meno rabberciato, Ma non conosce le cause della sua disfunzione. Ci ricascherà, a circolo chiuso: perché continua a lavorare in quel modo, in quell'ambiente a contatto con quelle materie, abitando in quella casa, sottoposto agli stress di orari assurdi, di vita impossibile. La società non aiuta a guarire, il suo interesse è limitato a un frettoloso rabberciarti perché tu possa continuare a lavorare. La classe di tecnici mantenuta a studi lunghi e costosi perché possa guarirti, i luoghi dove vai a cercare sal-vezza non ti aiutano.
In questo ingranaggio assurdo laddove difficilmente la classe medica (quando mai un potere ha negato se stesso?) sarà portatrice di salvezza o per lo meno spinta alla ribellione, denuncia di questo stato di cose, bisogna avere il coraggio di opporsi e chi può farlo se non noi infermieri, noi che apparteniamo a una certa classe, che non abbiamo interessi particolari da difendere, e smantellare, che dall'interno possiamo avere una fedele immagine del sistema? Il prezzo è trovare il coraggio di staccarci dal medico, da questo "tranquillante sociale", fedele rivenditore di medicine, e calmiere del sistema, sul quale finora ci siamo modellati.
Bisogna puntare a questo, a ritrovare un'unità perduta, una identità venduta al prestigio e al sapere del medico, un nostro ruolo nell'enorme problema sanitario che investe l'uomo e lo opprime.
E' l'alba, ci muoviamo, cominciamo il lavoro, laviamo gli ammalati, prepariamo gli esami, poi le altre colleghe inizieranno la giornata (che problemi diversi di giorno, che dimensione differente) accanto all'uomo malato.
Capiremo, avremo il coraggio di lottare per ritrovare noi stessi e con noi un rapporto vero, che ci impegni a lottare per il malato e al suo fianco?
Maria Grazia
Arcivescovo di Siena
Eccellenza,
anche quest'anno, come ogni anno, si farà, a Siena, la solita benedizione delle forze armate, nell'occasione delle feste di S. Caterina.
Di fronte al persistere, a Siena, della celebrazione di un rito, che noi non riusciamo a capire come si possa condii are con il Vangelo, noi quest'anno intendiamo prendere, pubblicamente, le distanze non dal Vescovo o dalla chiesa nella quale vogliamo rimanere, ma da un certo modo di fare che non ce la sentiamo più di condividere.
Noi intendiamo dire «no», pubblicamente,
- a questa benedizione
- a questo stile che è nella nostra chiesa.
Cercare argomenti evangelici che ci spingono a rifiutare tutto ciò che è odio, violenza, guerra, ci sembra quasi superfluo:
Il Vangelo ne è pieno.
Lui ha detto «no» alla violenza. Invece di difendersi dalla violenza (e lo poteva fare) ha preferito farsi ammazzare.
Ha detto «no» all'odio anche quando si tratta di un nemico: - «Amate i vostri nemici. Fate del bene a coloro che vi odiano. Benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia porgi anche l'altra., Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro... Se amate quelli che vi amano, che merito avrete? ...Amate invece i vostri nemici... Beati gli operatori di pace: essi saranno chiamati figli di Dio».
Ha terminato la vita lasciando il «Suo» comandamento: «amatevi come io vi ho amati». Il giorno dopo era inchiodato su una croce.
Questo è lo stile che Lui ci ha lasciato e che non ce la sentiamo di poter cambiare.
Di fronte alle norme lasciateci da Lui, che non vuole mezze misure e sotterfugi, c'è il modo di comportarsi della nostra chiesa di Siena, che a noi rimane incomprensibile.
Nessuno intende dire che la chiesa senese ha fatto propaganda per la guerra. Intendiamo solo dire che nella chiesa di Siena c'è chi soffre perché questa ha accettato certe contraddizioni. e continua a portarle tranquillamente avanti.
Lei sa bene tutto questo.
Questa benedizione è nata in tempo di guerra, ed è nata male. Si è chiamata subito «benedizione delle forze armate», Con il passar degli anni, ed in seguito ad una fraterna contestazione, si è chiamata «benedizione degli uomini in armi», per arrivare, quest'anno, alla «benedizione all'Italia».
In altre parole, non si cercato di risolvere il problema in modo ecclesiale, ma solo di aggirare l'ostacolo. Tutto questo è stato fatto, dobbiamo dirlo, in modo piuttosto ingenuo.
A tutti i costi abbiamo voluto tenere in vita un atto esterno di culto, anche se contestato. anche se a molti appare antievangelico.
La dicitura attuale di questa benedizione sembra più innocente, ma sta il fatto che questa è nata come «benedizione delle forze armate» e tale resta nella mente dei senesi, quale che sia la formula attuale.
Cambiare una formuletta non convince nessuno e non serve a nulla: ci sembra invece che sia una forma sottile per continuare a ingannarci,
A noi sembrerebbe più evangelico dire: abbiamo fatto uno sbaglio; vogliate scusarci. Tutti son pronti a capire e compatire i nostri errori.
Se abbiamo deciso di intervenire pubblicamente per dire la nostra disapprovazione è perché ci sentiamo a disagio in questo modo di agire della nostra chiesa, e perché questo argomento ci riguarda troppo da vicino.
- Siamo cristiani. Siamo consapevoli che cosa comporta questo nome. Non è per noi parola vuota da scrivere sul libro dei ricordi, ma impegno di uno stile di vita; senza compromessi, né con noi stessi, né con la società nella quale viviamo.
- Siamo preti (e tali vogliamo rimanere): per questo non vogliamo contrabbandare Cristo. Vogliamo spendere bene la nostra vita: per degli ideali, e non solo per degli atti di culto,
- Siamo operai. Non ce la sentiamo di tradire, né di ingannare i nostri compagni di lavoro.
- Siamo chiesa. Abbiamo diritto di parlare. sempre con carità, ma anche con serena decisione, al nostro fratello Vescovo. Lo abbiamo fatto in privato; ora lo facciamo pubblicamente, come ci insegna il Vangelo (Mt. 18, 15...)
Alcuni nostri amici ci hanno consigliato di lasciar perdere tutto. In fin dei conti, essi dicono, si tratta solo di una cosa marginale, di una benedizione! Ci sono cose molto più importanti, essi dicono, nelle quali conviene alzare la voce.
Ed è vero. Ma per noi questo gesto contiene un significato che non è di poca importanza: significa benedire un esercito. E l'esercito non è mai fatto per la pace.
Il nostro discorso va molto più in là di un gesto (uno schizzo di acqua benedetta): coinvolge tutto lo stile di una chiesa che è disposta a distribuire benedizioni a larghe mani e che insiste nel compiere certi riti ben sapendo che per moltissimi cristiani questi sono semplicemente scandalosi, una chiesa che continua a far praticare certi atti di culto. con l'illusione che in questi consista la Fede, mentre sono soltanto atti di religione.
Ogni giorno dobbiamo assistere, impotenti, alle immagini di guerre, di distruzioni, di morte, allo sterminio di intere popolazioni, come si trattasse di un gioco da bambini. Hanno anche la faccia tosta di farci sapere di migliaia di miliardi spesi per armamenti, per mantenere eserciti, per uccidere... come se fosse un buon investimento.
E' la vergogna più grave per l'umanità. Altro che benedizioni!
Dovremmo maledire e non benedire ogni esercito. In nome di Dio.
«Sia maledetto colui che vuole la guerra!» è parola di Dio, ancoro valida.
La rabbia che ci cova dentro dovendo assistere impotenti a tali cose è così grande che ci pare colpevole anche solo usare le mezze misure, o cercare di evitare l'ostacolo.
Noi non ce la sentiamo più di approvare chi, nello stesso tempo, maledice la guerra e benedice gli eserciti.
Noi sappiamo che, per la causa della pace, c'è stata gente che ha pagato di persona, con la propria vita, o con lunghi anni di carcere. Sono le parti migliori di noi, perché hanno dimostrato di fare sul serio.
Noi non vogliamo soltanto esaltare costoro: noi vogliamo che la nostra vita sia simile alla loro.
Probabilmente è l'unico argomento nel quale la chiesa avrebbe tutto il diritto e la forza di dire parole forti.
E' vero (noi ne siamo perfettamente convinti): Dio non benedirà mai quei fucili o quei soldati, soltanto perché hanno avuto uno schizzo d'acqua benedetta. Non ci fa paura una benedizione: soltanto non riusciremo ad accettare questo modo di agire della nostra chiesa.
Noi non vorremmo vedere dei gesti di furbizia, attenti a non offendere gli interessi dei potenti o di non urtare la sensibilità delle persone pie. Cristo non ha agito così. Non ha usato le mezze misure; ha pestato i piedi a coloro che erano legati ad un ritualismo vuoto e a coloro che detenevano il potere. Ci ha rimesso la pelle. Ma è questo lo stile che ha lasciato ai suoi.
Vorremmo una chiesa che non fosse pronta a recitare una lezione d'obbligo, magari imparata a memoria con riti che scandalizzano chi non ha fede, e mettono a disagio chi ha una fede adulta.
Vorremmo, in altre parole, maggiore onestà con Cristo e con i fratelli. Con Cristo nel senso che non dobbiamo renderGli un cattivo servizio. Con i fratelli, nel senso che non bisogna ingannarli. Mai. «Il vostro parlare sia: sì, sì; no, no!»
Eccellenza, ci dica (e questa è, in ultima analisi, la nostra domanda): questo stare al gioco le sembra veramente innocente?
A noi sembra che dal Vangelo venga per tutta la chiesa un altro consiglio: lascia che Cesare faccia quello che vuole, ma non permettere che Cristo faccia una cattiva figura.
Probabilmente tutto questo discorso potrà dar fastidio. perché rompe lo schema tradizionale di una chiesa preoccupata di una immobilità del culto, abituata a non avere contestazioni.
Ma sale su da persone che hanno messo in crisi la propria fede tradizionale, da persone che si preoccupano che la chiesa di oggi abbia un senso evangelico, da persone che amano sinceramente la loro chiesa, da persone che sono chiesa.
Abbiamo detto solo poche cose, cercando di schematizzare: sono maturate in noi solo all'ascolto della parola di Dio, non da spirito di polemica.
Sarebbe stato più comodo tacere.
Vorremmo sperare che servano almeno a portare avanti un discorso veramente ecclesiale, animato dalla carità, per il bene che vogliamo alla nostra chiesa.
Un gruppo di cristiani di Siena
Preti operai toscani
Da un gruppo di giovani di Brescia abbiamo ricevuto un documento molto interessante: la loro DICHIARAZIONE COLLETTIVA DI OBIEZIONE DI COSCIENZA.
Di particolare valore ci è sembrato questo documento perché rappresenta il risultato molto serio di uno sforzo comune per inquadrare in una visione generale il problema del rifiuto del servizio militare e la conseguente scelta del servizio civile.
Questi 14 giovani fanno un'analisi molto precisa della società in cui viviamo, nei suoi molteplici aspetti (la famiglia, la scuola, la fabbrica) e denunciano molto scoperta mente il continuo tentativo del sistema capitalista per imporre violentemente ad ogni livello un modo di vivere, di agire, di comportarsi che sia rispondente alle esigenze del consumo, del produrre di più per guadagnare di più da parte di pochi sulla pelle di molti.
Un modo di vivere in cui non c'è posto per chi non serve il funzionamento del sistema: i malati, i vecchi, i poveri gli handicappati di ogni tipo.
A guardia di questo modello di sviluppo e a garanzia degli interessi economici del capitale sta l'esercito: struttura precisamente preposta alla custodia del sistema, pronta a reprimere qualunque serro tentativo di cambiamento di rotta, mezzo enorme di coercizione culturale e morale per migliaia di giovani..
Essi proclamano il loro NO all'esercito, ad ogni esercito, perché la logica che porta ad esso è totalmente contraria a ciò in cui vogliono credere: un mondo che cresce nel rispetto assoluto delle scelte di ciascuno, una vita che si costruisce nella verità, nella libertà, nella tolleranza fraterna per la felicità autentica di ogni creatura. Riportiamo la parte finale del loro documento.
Riteniamo, all'analisi fatta, che uno dei primi obiettivi per l'eliminazione della forza e della violenza, come regolatrici dei rapporti tra oppressori e oppressi, sia la negazione di tutti gli eserciti, simbolo della violenza istituzionalizzata, e quindi la più grave forma di coercizione. La realizzazione di detto obiettivo è un passo verso la costruzione di una società dove l'uomo ha la possibilità di realizzare pienamente la propria vita. Quindi per noi il servizio civile rappresenta solo un simbolo, un segno di qualcosa di più importante che si chiama AUTODETERMINAZIONE.
Tutte le nazioni hanno il diritto di determinarsi; così, a sua volta, ogni persona ha il diritto di determinare la propria vita senza costrizioni ed imposizioni che non siano quelle del rispetto del proprio simile. Ecco cosa intendiamo per autodeterminazione! E non veniteci a dire che ciò è possibile in una società con queste strutture; non è possibile, e ci pare di averlo ampiamente dimostrato.
Ma affinché il servizio civile rappresenti veramente un momento di autodeterminazione occorre che a gestirlo siano le persone che lo hanno scelto, altrimenti si trasformerebbe in un'altra struttura autoritaria, in un altro strumento di oppressione. Siamo convinti che il fine non giustifica i mezzi, tutt'altro; per ottenere credibilità i mezzi devono contenere in germe il fine prefissato. Per fare un esempio: non possiamo credere a chi dice di volere la pace quando si prepara alla guerra.
Il nostro fine è l'amore, il nostro mezzo è l'amore. L'amore e la verità è nemica delle imposizioni; è giustizia e non violenza; è libertà e non schiavitù; è uguaglianza e non sfruttamento; è creatività e non accettazione passiva; è vita e non morte.
Noi non sappiamo quanto amore possa nascere all'interno di una struttura che per il bene della patria sacrifica migliaia di uomini. Quale patria se non quella che da sempre si chiama profitto e potere di pochi? E' così che si manifesta il vostro amore?
Non sappiamo quale giustizia possa esistere in questa struttura in cui prima si sconta la pena e poi si ascoltano le ragioni!
Non sappiamo quanta verità possa celarsi dietro una legge struttura che educa all'obbedienza cieca e assoluta.
Non sappiamo quanta verità possa celarsi dietro una legge che pretende di giudicare le coscienze.
I valori che la società del giorno d'oggi non solo ci propone, ma ci esalta ed impone, sono il profitto, la competizione, la violenza. Questi valori sono la negazione dell'amore, quindi sono falsi valori, ed è perciò che vogliamo costruire una nuova società. Se per questo scopo risulta necessario mutarne le strutture, non meno necessario è educare la coscienza di ogni singola persona affinché possa abituarsi ad una partecipazione attiva in qualunque situazione della propria vita. Questa considerazione è della massima importanza nella scelta dei metodi.
L'obiezione di coscienza soddisfa a questi requisiti perché impegna gli individui in prima persona, li responsabilizza e diventa perciò un metodo di lotta antialienante.
Individuiamo in essa l'affermazione dell'uomo e della sua personalità in contrapposizione all'esercito e da ogni istituzione che legalizza o permette il formarsi di disuguaglianze ingiustizie ed oppressioni...
«Se qualcuno
non per trarne profitto
bagnasse la mia zolla
nascerebbe ancora un fiore».
Reticolato d'odio
sicurezza cieca
che già odora di morte
spezzetta
in zolle che trasudano sangue
la terra
E ognuno di noi
ci sta prigioniero da solo.
Io credo nella speranza
di un'umanità solare
dove Cristo non sia crocifisso
alla catena di montaggio
nelle gabbie di bambù
nell'ospedale psichiatrico
pazzia chimica
voluta dal vuoto dell'uomo.
lo credo nella Speranza dell'Uomo.
Speranza cui dare oggi
un corpo e una voce
perché diventi realtà di domani
liberate zolle fiorite.
Maria Luisa
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455