LOTTA COME AMORE: LcA febbraio 1975

Anno Santo

Siamo d'accordo con quei sette preti di Roma e con la lettera che hanno scritto per l'Anno Santo. E pensiamo che si sbaglia assai "Avvenire", quando si rallegra del fatto che i firmatari sono rimasti soltanto sette. La prima lettera, quella ai cristiani, scritta nel '72 erano tredici a firmarla e naturalmente «Avvenire » non racconta che alcuni di questi tredici dalle loro congregazioni furono allontanati da Roma.
In ogni modo a pensare come quei sette, anche se non scrivono e non manifestano pubblicamente il loro pensiero, sono ormai moltissimi fra il clero, per il semplice motivo che sempre più nella coscienza cristiana e sacerdotale del clero anche italiano si dilata e si approfondisce. la convinzione che una testimonianza e un annuncio di Fede cristiana, chiara ed onesta, non può disancorarsi e disincarnarsi da concretezze storiche, attuali e brucianti, d'ingiustizia, di emarginazione, di sfruttamento.
Tutta un'impostazione pastorale tipicamente religiosizzata va sempre più squalificandosi, semplicemente perché senz'anima umana, svuotata come si ritrova di qualsiasi vitalità, a circolo chiuso, a ripiegamento totale su se stessa con prospettive che non possono andare più in là (e sarebbe già qualcosa di valido se questa risultanza provocasse la ricerca di valori religiosi e cristiani) di una prospettiva di religiosità e devozionalizzazione individualistica, borghese, classista.
L'Anno Santo avrà i suoi buoni motivi per una continuità storica di usi e costumi di una religiosità secolare e si sa bene quanto il tempo passato conti sul presente della Chiesa. Può darsi che arrivata la scadenza dei venticinque anni sia stato in coscienza inevitabile raccoglierla e fondarvi un'impresa pastorale e religiosa capace di comportare possibilità di novità, qualcosa di diverso, nella necessità di escogitare continuamente risorse pastorali capaci di polarizzare l'attenzione dei fedeli e dimostrare effervescenze di vitalità ecclesiale ai non fedeli.
Ma forse non si è guardata e considerata abbastanza l'impossibilità di rendere attuali cose vecchie: rispolverare e lustrare non vuol dire rendere attuali e dare possibilità di vita, segno e realtà di vita, a ciò che è di altro tempo, legato ad altra storia.
E' strano e impressionante come alla Chiesa (quella gerarchica e quella devozionale) non le sia possibile discernere i tempi (e tanto meno i famosi segni dei tempi) per rendersi conto di tutta una trasformazione storica, culturale, sociale, esistenziale e quindi religiosa, a seguito della quale strumenti pastorali, iniziative religiose, progetti di sensibilizzazione religiosa, ecc. non sono più nemmeno immaginabili e meno ancora possono avere un significato autenticamente religioso e una capacità d'incidenza nella vita e nella storia del nostro tempo.
Dai tempi di Bonifacio VIII, ma anche da Pio XII degli anni '50, ne è passata di storia. Ma l'Anno Santo è ancora giudicato una buona iniziativa pastorale, capace di ravvivamento e rinnovamento religioso e si è messo in moto tutto l'enorme meccanismo capace di far pellegrinare (turismo consacrato e benedetto) folle immense, prima nelle cattedrali delle diocesi e poi nelle basiliche di Roma.
I sette fratelli di Roma dicono cose molto forti e taglienti, convinti che il nodo non è più possibile scioglierlo, ma va tagliato con decisione. Noi non abbiamo il coraggio di uno scontro così frontale e impietoso, anche perché non viviamo come loro nelle condizioni di un pagare duramente di persona e di un condividere totalmente le realtà d'ingiustizia, di emarginazione e di disperazione di una città come Roma, ora aperta e offerta al mondo cattolico come luogo di santificazione, di riconciliazione nell'Anno Santo.
Non possiamo però non riflettere e dolorosamente, su questo affidare ancora da parte della Chiesa possibilità di rinnovamento di Fede cristiana e urgenze terribili di riconciliazione e cioè di Amore con l'umanità dei poveri, a pellegrinaggi romani per passare sotto a porte sante: non riusciamo a riscontrare in queste porte sante, la porta stretta del Vangelo, quella che unicamente conduce alla vita (Mt. 7, 14).
Vi saranno statistiche, si conteranno milioni di pellegrini, vi saranno consuntivi turistici, economici, politici. Ovviamente non sarà possibile la valutazione di quanto l'Anno Santo avrà comportato d'incidenza nei confronti della Fede: quanto avrà contribuito alla riconciliazione della Chiesa col mondo di poveri.
Quello che non può non affacciarsi come motivo di perplessità è quanto l'Anno Santo potrà avere d'influenzamento perché la Chiesa si rafforzi nelle sue strutture gerarchiche e curiali, nelle sue metodiche pastorali a religiosità fine a se stessa, nella sua impresa d'evangelizzazione a preferenza spiritualistica, astorica, disincarnata.
Non può non angosciare la possibilità del pericolo che la Chiesa nell'Anno Santo, invece di trovare l'occasione di Fede per incontrarsi col popolo dei poveri, degli oppressi, degli sfruttati, degli emarginati di tutto il mondo e riconciliarsi in una profonda comunione di Fede e di Amore con la loro disperazione e il loro destino per una lotta di giustizia e di liberazione, s'incontri invece con il popolo della devozione affollato sotto. una finestra o nella sontuosità di una sala o nella solennità di S. Pietro: ad acclamare una religione troppo comoda e accomodante, la religione degli Anni Santi e della devozione permanente.
Per i sette fratelli di Roma l'Anno Santo ha significato una riflessione estremamente seria e responsabile di tutta l'enorme contraddizione e mistificazione che l'Anno Santo, così come si sta svolgendo, può comportare. Non può non venirne fuori un'indicazione di lotta che non può essere giudicata semplice contestazione: è indicazione di valori, è precisazione di verità, è tentativo di costringere l'Amore, è scontro, ma per ricerca di punti d'incontro, è respinta per poter. trovare valori autentici. Perché l'alternativa è indicata con chiarezza, il da farsi eccolo lì a portata di mano, la prospettiva e il progetto sono più che evidenti. E' vero che non si tratta di soffrire indulgenze e riconciliazioni con Dio e col prossimo a forza di preghiere e pie intenzioni. Per la Chiesa di Roma (e ovviamente per qualsiasi altra Chiesa locale) la proposta di Anno Santo si specifica in case per baraccati, in ospedali, scuole, togliendo via differenziazioni di trattamento, di assistenza, di ghetti e di zone residenziali, di poveri e di ricchezze incontrollabili, di potere politico e di nullità di popolo... «i poveri si scandalizzeranno quando vedranno passare sotto la porta santa, banchieri, speculatori, industriali, politici corrotti e quei vescovi che si sono lasciati alle spalle sospensioni, interdetti, ostracismi».
Non può non essere occasione l'Anno Santo per chi ama seriamente la Chiesa nella sua realtà di continuità e di presenza di Gesù Cristo nella storia e nel cuore dell'umanità, non può non essere momento di responsabile riflessione e di sincera verifica delle misure d'impegno e di lotta a volte sicuramente rallentate per stanchezza, sconforto, delusione...
Dall'Anno Santo di una Fede cosciente e responsabile raccolta, nella sincerità di una fedeltà alle proprie scelte di un Cristianesimo, incarnazione, passione e morte e risurrezione nella storia per un'umanità nuova, diversa, libera da ogni schiavitù e malvagità, da questo Anno Santo - che non può essere un anno, ma è tutta la vita e tutta la storia - dev'essere possibile raccogliere nuovi motivi per rotture ormai sempre più inevitabili, ma anche per alternative di Fede, di Amore, di Speranza sempre più doverose per noi, per gli altri, ma specialmente per i poveri, cioè per tutta la gente delle Beatitudini.

La Redazione

Chiesa come Comunione

Ho sempre pensato la Chiesa come realtà di comunione, grandissima possibilità di accoglienza, terra di libertà ed insieme dono miracoloso .per l'uomo che vuole ritrovare se stesso. La Chiesa, continuità storica del Cristo che 'incontra Zaccheo, Matteo, la Maddalena, uomini e donne che ama fino a provocare in loro guarigioni di vita nuova. La Chiesa che non si scandalizza di nulla e di nessuno, che non ha spazio da difendere perché il suo spazio è il mondo, che non ha modelli o regole da difendere perché si sente chiamata nella storia ad indicare con poveri segni il mistero di una vita che non agonizza in preda alla malvagità, ma sovrabbonda in mille originalità personali per una ricchezza che ci è data unicamente a provocare la gioia, la gloria e il rendimento di grazie.
Ho sempre creduto la Chiesa locale, la parrocchia. come un momento di incontro tra le diverse realtà che la popolano e che accettano di lasciarsi giudicare dal Vangelo. Ad una pastorale quindi che si fa premura di toglier via ogni ostacolo che possa impedire questo reciproco ed inesauribile scambio di doni dello Spirito. Ad una pastorale che aiuta e pungola ciascuno ed ogni situazione a dare il meglio di sé con grande semplicità ed in spirito di comunione. Ad una pastorale che affonda i segni sacramentali nella terra del vivere quotidiano, nella storia degli uomini visitata perennemente dalla presenza salvatrice del Cristo.
Cerco di vivere la vita comunitaria come spazio concreto dove è possibile non solo la convivenza, ma l'incontro e la reciproca offerta a costruzioni vicendevole di persone diverse, con sensibilità spesso contrastanti anche per il contatto quotidiano con urgenze e problematiche molto distanti. Credo ancora, nonostante tutto, alla possibilità di vivere in comunione senza sacrificare, anzi provocando al massimo l'originale personalità di ciascuno.
Questa fede è legata ad un'espressione concreta estremamente povera, per non dire misera, in una condizione di fragilità che riscontro in me e intorno a me fino a renderci - io, noi, la Chiesa - particolarmente vulnerabili a tentazioni di efficacia o di potere che conducono a posizioni autoritarie contrarie al principio di comunione.
Nel vivere insieme quotidiano qualcosa ci impedisce di realizzare in pieno una vera comunione. E' per me, il non essere me stesso fino in fondo, il rifiutarmi agli altri per motivi più o meno confessabili. Forse alla radice sta il fatto di non accogliere gli altri come veramente sono e quindi "recitare" in qualche modo un copione dove ciascuno più che esprimere se stesso, ha un ruolo da svolgere e viene riconosciuto solo in quello. C'è il buffone, l'intellettuale, il profeta. il pessimista, quello che dice sempre cose profonde e quello che non dice nulla perché agisce comunque sia, quello che sta sempre all'ultimo posto e quello che si sente in dovere di stare sempre in testa... Anche tra noi, che viviamo insieme da anni, è difficile scrollarsi di dosso questa mentalità che in fondo garantisce un. certo «ordine» ed una certa "pace", ma contrasta con la presenza di Gesù che è venuto a portare la spada anche in queste sistemazioni di vita comunitaria che non è comunione.
Così nella vita della Chiesa locale, almeno nella nostra, queste organizzazioni pastorali a settore (famiglia, catechesi, liturgia, mondo della scuola, mondo del lavoro..., ripropongono una Chiesa piramidale, accentratrice, incapace di accoglienza vera e preoccupata, al di là delle belle parole, di ricostituire un'unità ad ogni costo, Si allargano le responsabilità ed i ministeri laicali, non per accogliere una presenza di popolo, ma per distribuire nuovi gradi a garantire una traballante gerarchia.
Non è rapporto di comunione quello che la Chiesa cerca di stabilire, per esempio, con il mondo operaio, proponendo un Primo Maggio in Piazza S. Pietro. E' strumentalizzazione di cattivo gusto, è pessimo servizio alle organizzazioni sindacali e politiche di cui sollecita l'adesione ed insieme stimola uno spirito deteriore che calpesta la sensibilità della base. Un invito ai cristiani a scendere per le strade per aiutare le masse operaie a vivere in pienezza il profondo significato di questa festa autenticamente popolare: a questo davvero mai si pensa! Si ha paura delle bandiere rosse perché si ha paura ad operare una vera conversione e quindi a confessare il peccato di aver abbandonato la classe dei poveri, la classe operaia. Essa, abbandonata a se stessa, ha trovato come poteva la sua strada, ed è la strada umile ed insieme gloriosa che porta al Primo Maggio come celebrazione unitaria. Che cosa vogliamo rimproverarle? A cosa vorremmo arrivare con questo Primo Maggio con le bandiere bianche? La riconciliazione è parola che riempie la bocca ed è di facile digestione a quanto risulta dai modi disinvolti di risolvere i problemi con l'Anno Santo. No, non c'è davvero spirito di comunione e, per quanto i liturgisti si sforzino di appiccicare formule "impegnate" alle preghiere di oggi, il segno eucaristico radicato in questo equivoco di fondo risulterà tale e quale la messa in latino, rito astratto, lontano, gestito dai soli preti, con un linguaggio e dei gesti per iniziati che il povero popolo subirà come sempre, perché almeno a questo è ben catechizzato.
Chi sente queste cose, non per puro spirito di polemica, ma radicate in una fede pagata di persona, viene emarginato, infatti. Gli si dà il ruolo di "profeta" e con questo si paga, perché si sa che i profeti devono essere avversati (se no sono falsi profeti) e quindi cosa può fare il vescovo o il prete se non studiare il modo di metter bastoni tra le ruote del "profeta", per aiutarlo a vivere in fondo la sua vocazione? Si dice "tu hai un carisma particolare" e con questo si chiude tutto perché vuol dire in parole povere che tu sei un individuo strano, non cattivo, ma scomodo e allora è meglio che tu stia alla larga: penserà poi Dio a giudicarti. Nel frattempo và per la tua strada «profeta», «carismatico» che noi abbiamo da pensare a costruire la Chiesa. Se ci sarai utile ti celebreremo «esempio di obbedienza» beninteso quando sarai morto. Intanto impara da Mazzolari e da don Milani che hanno sempre obbedito!
No, decisamente no. Chi ha nel cuore il sogno di una vera comunione nella piena e perfetta libertà, non può impantanarsi nelle tortuosità della comunione ecclesiastica, che poi stranamente assomiglia alla solidarietà ideologica del partito o della classe sociale. E' realtà, la comunione, da vivere prima di tutto nella propria vita, allargandola ed incontrandola 'attraverso i segni quotidiani raccolti tra la gente. C'è bisogno di uomini e donne che vivano in spirito di comunione per raccogliere ciò che altrimenti è disprezzato, per liberare ciò che altrimenti rimarrebbe intrappolato dalle strutture geometriche della regione e del buon senso. Io non so ben precisare il concetto di comunione, ma sento che esalta la dignità dell'uomo, di ogni uomo. Sento che arricchisce infinitamente l'orizzonte di qualsiasi vita individuale, anche la più brillante. Mi sembra che sia novità di rapporto perché comporta necessariamente il superamento di qualsiasi mascheratura per incontrare l'altro così com'è e noi così come siamo. Gesù Cristo ha abbattuto ogni recinto per creare un unico spazio di Dio e degli uomini. E" la sua comunione che ci dona, questo abbattimento di recinti tra ciò che è mio e ciò che è tuo, ma ancora più profondamente tra quello che io sono e quello che tu sei, fino al punto che se accolgo me stesso, non posso farlo fino in fondo senza raccogliere anche tu, gli altri, il mondo, i'l vivere umano.
Nella fatica di ogni giorno tutto questo diviene prima di tutto consapevolezza dei propri limiti per poter realizzare in noi una vera liberazione. Diviene poi coscienza chiara delle urgenze che ci provocano per non perdere il contatto con la realtà, ma vivere in modo autentico quei semplici segni di comunione che possiamo celebrare nella vita. E può darsi che voglia dire ancora calarsi fino a fonderci con la realtà che viviamo, accettando il rischio di perdere se stessi per lievitare e nutrire nel cuore della massa una creatura nuova.

don Luigi

Io cerco il tuo volto

Mi sembra di affrontare la vita di ogni giorno con l'animo di un mendicante. Di uno che se ne va per la strada che l'alba di ogni mattina gli offre pronto a vivere tutta la vicenda di incontri, di fa-tica, di stanchezze profonde, di speranze che si riaccendono al primo spiraglio di luce: un camminare per questa strada con la sensazione molto netta di una grande povertà, a volte di un vero smarrimen-to di fronte al gioco che grava sulla storia di tanta parte dell'umanità. Un sentirsi - ed esserlo real-mente - a mani vuote.
Ma a rendere fiducioso questo mio quotidiano pellegrinare - perché pellegrino mi sento nel tessuto d'ogni giornata - avverto in modo sempre più chiaro la crescita di un desiderio molto vivo, come una sete che non si sazia: la voglia di poter scoprire sempre più profondamente il volto di Dio. Del Dio vivo e vero, non di quello contraffatto e camuffato dalla furbizia e dalla malizia degli uomini (anche degli uomini di chiesa) né tanto meno del Dio diventato copertura e giustificazione dello star bene dei ricchi sulla pelle dei poveri e dello spadroneggiare dei potenti a prezzo della libertà e dignità di tutti i popoli.
Scopro con crescente evidenza che «la mia anima ha sete del Dio vivente»: non è questa una pia riflessione. ma bisogno profondo che nasce dal camminare sulla strada, dal piegare la schiena per otto ore di lavoro operaio, dallo scrutare il volto dei miei fratelli provati dalle difficoltà, dalla malattia, dall'abbandono, dalla vecchiaia e dalla solitudine.
Il volto appena intravisto del compagno che incrocio al mattino, quando è ancora buio, nel breve tratto di strada che mi porta al cantiere e al quale grido il mio « buongiorno», mi mette già la prima inquietudine nell'anima e mi accende di desiderio di poter raccogliere il mistero di questa vita, di questa esistenza umana così carica di segreti e di cui si fa fatica a capire il senso vero e profondo.
«Io cerco il tuo volto»: la preghiera cosi antica che trovo nella Bibbia sta diventando la sostanza stessa del mio respiro, del lottare, del non rinunciare alla speranza di un mondo nuovo che cresce sotto la corteccia così dura e amara, deprimente e scoraggiante del giorno che è oggi. Sogno sempre che dall'oggi possa nascere un domani veramente diverso, come dalla notte più fonda riemerge la nuova luce.
La vita operaia, col suo ritmo sempre uguale, monotono (gli stessi gesti per tante ore - una vita! gli stessi compagni, la stessa musica di lamiere piegate alla volontà e allo sforzo dell'uomo) diventa realtà d'esistenza che chiede un senso più profondo di quello che semplicemente appare in superficie. Il senso di una vita povera in se stessa, nascosta, perduta come un relitto su un pezzo di spiaggia dove un gruppo di uomini ogni giorno si accaniscono intorno a masse di ferro e a forza di muscoli, di intelligenza, di sudore, di briciole di esistenza spesa attimo per attimo (quasi senza rendersi conto di ciò che avviene) danno forma a creature prima sconosciute e mettono in movimento mondi nuovi. Il senso di tutto questo e di tutto ciò che allargandosi a perdita d'occhio al di là dei monti e del giro del mare diventa la vicenda dell'umanità intera, la storia dei popoli sparsi in ogni angolo della terra; il senso di tutto questo impasto di vicende e di storie dov'è possibile tro-varlo?
Sento che mi è chiesto di scavare molto profondo, di non lasciarsi distrarre dallo spettacolo che si muove in superficie: la storia umana, di ciascuno e di tutti, ha molte dimensioni ma forse solo la profondità racchiude il senso e la ragione di tutto ciò che avviene.
E' in questa profondità appena intravista che mi sembra di poter ricomprendere come per la prima volta la storia di Gesù: una storia che come quella di tutti ha avuto una sua «normalità», il ritmo uguale dei giorni, il lavoro di tanti anni, la vita del paese, uno come tutti, fra tutti... Una storia profondamente umana, tessuta come la nostra di albe e di tramonti, di sole e di pioggia, di amicizia, di gioia, di stanchezza e di voglia di riposo e di pace. Ma poi il segreto, il mistero racchiuso nella sua umanità ricolmata da Dio è venuto a galla, è esploso in superficie, ha sconvolto ogni tranquillità ed è stata la lotta e lo scontro, l'annuncio della speranza e della liberazione, la parola affrontata come vomere d'aratro a rovesciare la terra e a far luccicare le zolle ad una luce nuova. E un grande, continuo, incessante camminare, per le strade della sua terra - ed era tutta la terra - ad allargare gli spazi, a invitare ad avere un cuore più grande, occhi più chiari per vedere al di là del proprio cancello, a non ridurre il mondo al piccolo orto davanti la porta di casa e la vita ai pochi giorni compresi fra la culla e la tomba. A non fare della storia umana una storia di lotte terribili per possedere di più, avere di più, strappare di più gli uni agli altri: una proposta di una vita diversa, un vivere umano fondato unicamente sull'amore, sulla fraternità, sull'essere una cosa sola, tutti uguali, tutti figli dello stesso Padre, tutti chiamati alla sovrabbondanza della vita. Un cielo nuovo ed una nuova terra chiamati all'esistenza dalla potenza dello Spirito di Dio.
Ho profonda nostalgia di questo volto di Dio che Gesù ha rivelato e vissuto così pienamente nella sua storia cosi uguale alla nostra, eppure cosi carica di speranze infinite per una creazione che cresce e si rinnova al soffio dell'Amore di Dio che non si stanca di amare il mondo, la vita, i drammi e la sconfinata solitudine delle sue creature. Sento di poter accogliere - e quindi di potervi credere - il messaggio del Vangelo che squarcia la nebbia che copre il vivere umano e rivela a chi ha un cuore di povero la Presenza di Dio nel profondo di ogni esistenza.
«Nessuno ha mai visto Dio - dice Giovanni nel suo vangelo - ma il Figlio di Dio che vive in Lui ce Lo ha pienamente fatto conoscere»; Gesù di Nazareth è il volto di Dio entrato a far parte della nostra storia e di assumere il nostro stesso destino. Il volto di Dio è il volto dell'uomo, il volto di ogni uomo: per questo l'apostolo Giovanni scrive che è un bugiardo chi dice di amare Dio che non vede, mentre disprezza il fratello che vede. Non si può credere in Dio e opprimere, calpestare, distruggere la dignità dell'uomo: perché Dio e l'uomo, in Gesù, hanno preso lo stesso volto e la stessa storia.
C'è tutta una storia di Chiesa, di uomini di Chiesa, di metodi religiosi, di mentalità e di leggi che sono completamente al di fuori di questa verità essenziale e limpida che Gesù ha incarnato nella sua vita e rivelato in sovrabbondanza: il tempio dove Dio vuole abitare non è quello di pietra, ma la carne e il cuore dei suoi figli. Ogni uomo è il tempio del Dio vivente ed è in questo santuario che Egli aspetta di essere riconosciuto e amato.
Mi pare di sentire con urgenza questo appello a tenere gli occhi aperti sulla strada di ogni giorno, a non sciupare niente di ciò che mi è dato vivere, ad accogliere con profondo amore la storia di ciascuno dei miei fratelli perché il volto di Dio è certamente in attesa nel loro stesso volto E l'essere cristiano so che mi impegna a dare la vita e a lottare perché si comprenda che Dio e l'uomo sono raccolti in una medesima realtà sacra che è la carne e il sangue di Gesù Cristo.

don Beppe

5 - Alla Santa Madre Chiesa

Vorrei raccontarti, cara santa Madre Chiesa, di un' assemblea di preti di cui forse non ti sei nemmeno accorta e se qualcosa ne hai letto sui giornali o sulle riviste. può darsi che di questo gruppo di preti che vive tutta una scelta particolare, lasciami dire - perché è vero - eccezionale, di partecipazione della realtà dei poveri, di cui la classe operaia è sicuramente il segno e il soggetto per una speranza rivoluzionaria, può darsi che di questo gruppo di preti, tu non te ne rallegri affatto, ma anzi tu ne abbia una profonda diffidenza, per non dire di peggio.
Non riesco a capire (e ormai sono tanti anni) perché, santa Madre Chiesa, tu continui a respingere questa ricerca, manchevole e insufficiente quanto vuoi, ma sempre però buona volontà e impegno di fedeltà al Vangelo, di preti che lasciano semplicemente cadere tutta una mentalità ministeriale, un ecclesiasticismo di separazione e di privilegio, un professionismo religioso e sacerdotale, per andare a mescolarsi fra gli operai, diventando uno di loro per raccoglierne tutto l'enorme, tremendo problema e viverlo nella propria anima, pagarlo nella propria carne, rischiandovi tutto a seguito di Gesù Cristo e del Vangelo.
Questi preti non li vuoi, santa Madre Chiesa, e se li sopporti è soltanto perché ti mancano ormai le condizioni indispensabili di autorità per respingerli e schiacciarli. E il fatto che ormai siano perfino -. anche se in modi molto limitati - organizzati, che si ritrovino tra loro a scambiarsi esperienze, a incoraggiarsi vicendevolmente, a ritrovare terreni comuni e specialmente a confrontarsi nella Fede, spinti da una ricerca di coerenza sempre più chiara nei confronti di tutta la realtà dei poveri, questo fatto lo senti e lo giudichi come un doloroso fenomeno da accomunarsi alle solite contestazioni che tu emargini tanto disinvoltamente.
Sentivo fortemente in quei due giorni del convegno, in quelle riunioni chiarissime di sincerità fraterna, nonostante le posizioni a volte così diverse e forse perfino contrapposte, vi sentivo, santa Madre Chiesa, uno Spirito nuovo, una vivacità di ricerca di Fede, di Vangelo, di sincerità cristiana, di cui avresti bisogno di raccogliere tutta l'intensità, la profonda violenza di Amore che non nasce, te l'assicuro, da stanchezze o delusioni, crisi personali o mania di novità o bisogno di scontro (come con tanta faciloneria viene generalmente giudicato il prete che va in fabbrica dai vescovi, dai soliti preti, dai buoni cattolici), ma è motivata da una voglia infinita di una Chiesa diversa, dal bisogno estremo di rompere finalmente una storia che dura da troppi secoli, non solo di separazione e di lontananza della Chiesa dalla classe operaia, ma addirittura di oppressione e quel che è peggio, di tentativo, strumentalizzando tutto, compresa la Fede, il Vangelo, i sacramenti e tutta la tua potenza di organizzazione e di persuasione, per sbriciolare, disgregare, contrapporre la solidarietà operaia, l'unità di classe, questo valore meraviglioso e formidabile di cui i poveri stanno sempre più prendendo coscienza.
Questa paura della Chiesa del mondo operaio, il tuo giudizio così pesante e la tua respinta, dall'impegno sacerdotale dei tuoi preti, del lavoro di fabbrica come incompatibile per il ministero sacerdotale, quasi fosse una dissacrazione, un decadere da una dignità, un perdere possibilità di piena e totale dedizione al cosiddetto bene delle anime, questo tuo modo di pensare, santa Madre Chiesa, e il tuo conseguente comportamento non possono non insinuare il terribile sospetto che quasi tu abbia orrore dei poveri, quasi una strana vergogna di essere anche tu povera, livellata alla condizione di chi non ha nulla e non può nulla, rivestita soltanto dei poveri stracci di un quotidiano faticoso e squallido, del guadagnarsi il pezzo di pane col famoso sudore della fronte.
Eppure, Santa Madre Chiesa, la stragrande maggioranza dei tuoi figli sono povera gente e i tuoi figli più veri, perché hanno sicuramente più chiara sincerità cristiana per il semplice fatto che ne hanno l'esistenza, sono i contadini, la gente di campagna, di montagna, le famiglie della casa d'affitto, del pane quotidiano strappato a forza di fatica di braccia, mangiato sulla tavola col companatico d'infinite incertezze per il domani... Se tu facessi, santa Madre Chiesa, anche in questi nostri tempi, ma non per ricercare nuove e più furbastre iniziative pastorali per irretire di più la povera gente, ma, con vero spirito di penitenza, per ritrovare di dove vieni, dove sei nata, e per chi sei destinata in questo tuo essere nella storia del mondo in perfetta conformità al tuo Gesù Cristo, se tu facessi un'inchiesta per scoprire identità dei tuoi figli, che è questo tuo popolo cristiano che ancora affolla le tue chiese e ti chiede i sacramenti e accetta ancora la tua parola perché ha bisogno di Dio e sente Gesù Cristo come carne viva di se stesso, vedresti - ma lo sai bene, anche se mostri così miserabilmente di dimenticarlo - vedresti che sono i poveri, la povera gente, le famiglie di lavoratori, questa classe operaia che nonostante tutto quello che hai fatto e continui a fare per separarla e allon-tanarla dalla Fede, continua tenacemente ad avere un' anima cristiana, un'ispirazione e una concretezza cristiana.
La tua gerarchia nella stragrande maggioranza viene su da famiglie povere, di gente da lavoro: cardinali, vescovi, preti religiosi che, pacchianamente tradiscono la povertà della loro famiglia di origine, la classe operaia dalla quale sono stati generati esattamente come la stalla di Betlem nella quale sono nati. E semmai se ne ricordano, è nelle occasioni di bisogno populistico, di ricerca d'effetto sciocco ed offensivo, che fanno sapere di essere figlio di portinaio, di un fabbro, di un maniscalco, di un minatore... Soltanto papa Giovanni ha continuato ad essere, per quanto gli è stato possibile, un figlio di contadini facendo il papa. Ma chissà perché certa novità, santa Madre Chiesa, la lasci cadere subito e ritorni alle solite, inveterate "tradizioni" di aristocrazia ecclesiastica, di potere clericale, di privilegio religioso. Mi convinco sempre più, cara santa Madre Chiesa, che la povertà (povertà nel senso più pieno, evangelico della parola) la consideri come una condizione assurda, quasi come una disgrazia, dalla quale è bene tirarsi fuori a costo di tutto, anche a costo di lasciare andare per la sua strada Gesù Cristo e per la loro strada i poveri, gli operai, gli oppressi, gli sfruttati e tu, santa Madre Chiesa, andare per un'altra, quella sulla quale tiri avanti ormai da secoli e secoli.
Mi commuoveva nel più profondo dell'anima in quel convegno di preti operai, sentire palpitare con violenza la volontà di essere poveri, di essere classe operaia e di essere classe operaia non per una mitizzazione assolutistica, ma semplicemente perché ormai la classe operaia è soggetto, l'unica speranza di portare avanti la liberazione del sottoproletariato, della condizione dei poveri in tutto il mondo, dei disoccupati, dei sottoccupati, degli sfruttati, degli affamati e degli assetati di giustizia insomma, di pane e di acqua e di uguaglianza umana e di libertà.
La gioia di dentro, di una fedeltà a Gesù Cristo, per una fedeltà ai poveri, ritrovando nella fabbrica il luogo della propria Fede, nella carne dei poveri il Figlio di Dio fatto uomo, la significazione profonda del proprio sacerdozio in questa universalizzazione (Dio e umanità) della propria scelta di vita.
Ho risentito e rivissuto, e spesso con profonda commozione, tutti i miei anni di vita operaia. E sono quasi vent'anni fa, quando una mattina di settembre, vestito a prete di tutto punto, talare e colletto bianco, sono entrato fra la folla di operai ammassati al cancello del cantiere per timbrare il mio cartellino. Mi hanno fatto largo, ma non per rispetto, ma, lo vedevo bene, per una sorda diffidenza, quasi con una specie di ribrezzo. Mi sentivo morire di dentro e quasi anche fisicamente mi dava coraggio il sapere che avevano ragione ad avere paura di un prete e che in fondo la prima cosa che dovevo fare in mezzo a loro, era di chiedere perdono. E non soltanto per me, santa Madre Chiesa ma specialmente per te, per le tue encicliche e le tue scomuniche, per il tuo essere con loro sempre matrigna acida e dura.
E quando negli spogliatoi mi sono sbottonato la talare, me la sono sfilata di sopra la testa e insieme al collare, l' ho appesa all'attaccapanni ammassandola coi vestiti degli operai e ho fatto la vestizione di un nuovo abito sacro, la tuta da lavoro, è cominciata per me un'altra storia, completamente nuova perché più totalmente colmata di Dio e di umanità, come quando il Figlio di Dio si è vestito della carne dell'uomo.
E da allora ho cominciato a sognare che qualcosa di nuovo, così come nella mia dolorosa e faticosa solitudine di quegli anni stavo vivendo, sarebbe avvenuto anche nella tua storia, santa Madre Chiesa, quando un buon numero di preti - trecento dicevo allora quando mi capitava di parlare dei miei sogni - sarebbero entrati nella classe operaia a raccoglierne gli immensi valori di umanità e di Vangelo per riversarli, con profondo Amore e Fede appassionata, nell' anima e nella carne viva della Chiesa, lievitandone la Fede e rivoluzionandone la storia.
Guardavo con profonda consolazione quel gruppo di oltre cento preti, segno concreto e vivacissimo di quei circa quattrocento preti al lavoro (operai, artigiani, infermieri, contadini... ), ascoltavo i loro interventi così sofferti e pagati e insieme calmi e decisi, accoglievo nell'anima tutta quella loro disponibilità, la loro amarezza, la loro terribile fatica di preti e di operai, con tutta l'enormità di problema che questa loro condizione comporta e sentivo anche la mia responsabilità di avere iniziato questa storia dei preti operai in Italia. Ma più che ogni altra cosa mi angosciava l'amarissima constatazione che tutto quello che ho sognato e continuo a sognare, nonostante tutto, sarebbe sul punto di realizzarsi perché i preti operai ci sono, eccoli lì, in tutta la serietà e libertà della loro disponibilità ad essere una presenza di Fede cristiana in tutta la realtà della classe operaia, se non fosse per via delle tue assurde paure, santa Madre Chiesa, che ti costringono a non accettare questa mediazione sacerdotale fra te e la classe operaia. E questa respinta, lo sai bene, è perché questi preti operai prima di rendere te presente e viva nel mondo del lavoro, vorrebbero che finalmente cominciasse a poter essere presente in te, in tutto il tuo essere Chiesa, realtà di Dio e dell'uomo in Cristo, la classe operaia, con tutta la sua problematica, le sue rivendicazioni, la sua ricerca di libertà, di uguaglianza, di giustizia: dovresti accettare di essere evangelizzata prima di poter evangelizzare.
E mi rendo conto quanto il problema sia complesso e insormontabile, fino a che tante tue muraglie di divisione e di difesa non saranno spazzate via dal cammino della storia e dalla violenza dello Spirito.
Ma mi sorregge e mi consola la Speranza perché so bene, e vi credo profondamente con tutta la mia Fede, che se è vero che la via dei poveri è lunga, tracciata da infinita fatica e bagnata di sudore e spesso anche di sangue, è però l'unica strada sulla quale corrono i rapporti di Amore fra Dio e gli uomini, è la strada sulla quale ha camminato la sua storia di passione e di Amore Gesù Cristo in cerca di esistenza umana nuova, diversa. E' di lì, lungo questa via dei poveri, che devi camminare anche tu, cara santa Madre Chiesa, se nel mondo vuoi essere, il Regno di Dio fra gli uomini.

don Sirio

Notte d'ospedale

Ecco, si approda a quest'isola misteriosa, in penombra, qualche luce, accesa in qua e in là. E' un mondo nuovo quello che appare, diverso dal giorno, composto di implacabili dissomiglianze. Le stesse stanze, i medesimi corridoi, i letti e le persone uguali, eppure chi inizia il turno della notte, venendo dal di fuori, dalla vita, la casa, la famiglia, le cose di sempre, evidenti, sicure, - entrando in ospedale - ha la sensazione di approdare in porto straniero.
Frettolosi escono quelli del turno precedente, le parole scambiate sono poche, il grande corridoio centrale simile al ponte di una nave in navigazione (l'ospedale è un mondo a sé nella vita cittadina) è quasi deserto.
Si entra nel reparto e si approda nel mistero; nella penombra i contorni sono diversi, così gli oggetti anche i più usuali, tanto più le persone. La notte è liberante, si vive in essa una vita diversa. Faccio il giro delle stanze, un'abitudine che compio in silenzio, che pauso lentamente, possibilmente sola, un appuntamento che aspetto da una settimana all'altra, che nutrirà l'attesa di tutta una notte a volte immota, a volte agitata, rivestendola di consapevolezza profonda. Tornata dal giro, in piedi nella medicheria a preparare la terapia del giorno seguente, e poi seduta, in attesa, leggendo, o affannati dietro a ricoverati urgenti, la mente e il cuore si popolano di quei volti, di quei corpi appena visti.
Una per volta percorro le camere, quasi risalissi a una sorgente; le persone non sono più quelle: nell'abbandono del sonno, indifese riprendono le abitudini di sempre, le pose familiari, i modi di giacere di prima, la notte per loro il letto ridiventa amico: sagome appena distinguibili la cui vita si può percepire densa di fatti e di persone, in un abbandono pesante, sciatto, composto, eppure vivo più che nel giorno.
Percorro le stanze e qua e là vi è una donna seduta sul letto, tranquilla e quieta, chiusa in se stessa, aspetta qualcuno a cui consegnarsi - una presenza per la quale bastano poche parole simboliche «non dormo...» e .la solitudine è infranta. Si riannoda il legame con la vita.
C'è chi è sveglia con gli occhi sbarrati: chiuse nel loro male, un male che le devasta e che non sanno capire, la notte è la loro nemica, quasi un peso opprimente, un appuntamento temuto, uno spessore compatto da superare. Scarmigliate e ribelli o silenziose, mute testimoni della progressiva distruzione del loro corpo, sole della solitudine inaccessibile di chi si avvicina alla morte, abitanti uniche della loro vita ormai alla deriva, hanno bisogno di una coscienza che le tragga a riva, di un rapporto anche se breve: la presenza tessuta durante il giorno in parole, terapia, assistenza si rivela e trova significato durante la notte.
Bastano poche parole dense di un dramma che non osa svelarsi e l'incontro con chi non teme le notte e dissipa la sua densità per svelare un mistero nascosto, buono, profondo, che rivela l'uomo a se stesso.
La nave solca la notte; le tranquille, le insonni, le agitate, le pacifiche, le vite alla deriva, sono trattenute misteriosamente in vita da chi allaccia con loro fili invisibili.

Maria Grazia

Obiezione di coscienza

Io sottoscritto Domenico AMBRUOSO nato a Torre Annunziata il 19 novembre 1953 e ivi domiciliato in via Melto n. 70 iscritto alla lista di leva della Capitaneria di porto di Castellammare di Stabia, ai sensi della legge n. 772 del 15 dicembre 1972 dichiaro di essere per imprescindibili motivi di coscienza contrario in ogni circostanza all'uso personale delle armi e alla guerra
Chiedo perciò di essere ammesso ad usufruire della legge che riconosce l'obiezione di coscienza e mi dichiaro disposto a prestare un servizio civile alternativo.
Sono cattolico, credo nella non violenza, e nell'obiezione di coscienza.
Posso dimostrare con documenti di avere preso parte già a gruppi, lavori, marce, organizzazioni religiose e no che si interessano di un vero sviluppo dell'uomo, sviluppo a tutti i livelli.
Dichiaro anche che dal momento in cui sono stato arruolato fino ad oggi, cioè da 17 mesi non ho mai preso parte ad esercitazioni armate, in altre parole non ho mai sparato un solo colpo di arma da fuoco.
Le motivazioni di questa mia decisione si basano sulle mie convinzioni religiose, credo che l'amore quale Gesù Cristo ha manifestato è l'unica vera forza che possa vincere il male, e cerco di seguire Cristo nella mia vita vivendo questo suo grande dono che è l'amore.
Egli ha rivelato che Dio è il padre di tutti gli uomini, quindi ogni uomo è mio fratello. Come posso io allora uccidere o imparare ad uccidere questo mio fratello.
Perciò non posso far parte di nessun esercito nemmeno come soldato senza armi. Voglio in-vece che si porti la pace tra tutti gli uomini attraverso l'amore e praticamente la nonviolenza affinché le guerre, le ingiustizie sociali, la fame e le discriminazioni non abbiano più ad esistere.
La mia decisione si fonda anche su una visione politica dei problemi di oggi, problemi che affliggono l'umanità tutta.
La società che abbiamo ereditato è basata sulla violenza e sulle più varie forme di coercizione.
La struttura militare è l'aspetto più evidente ed oppressivo di questo stato di cose. Difatti l'organizzazione gerarchica, l'annullamento della personalità individuale e la logica della violenza e della distruzione, che ne sono la base, costituiscono la negazione della libertà.
Da sempre gli eserciti hanno dimostrato di non rappresentare un istituto difensivo, bensì di essere uno strumento di oppressione contro i popoli, sia dentro che fuori i confini dei loro paesi.
Penso che non esistano distinzioni tra guerre di difesa e guerre di offesa, tra guerre giuste e guerre ingiuste: tanto maggiormente da quanto nei conflitti la maggioranza delle vittime è costituita da popolazione civile che muore sotto i bombardamenti a tappeto, napalm, armi batteriologiche, chimiche e atomiche.
Sono inoltre convinto che l'esercito basandosi su una struttura gerarchica ed autoritaria, opprima la coscienza dell'individuo e tramite il servizio di leva militare, istituisca un apparato diseducativo tale da porre la persona in condizioni che contrastano con i fondamentali principi di democrazia e di libertà.
Ho inoltre costantemente verificato come l'esercito sia sempre e dovunque uno strumento reazionario, sollecito in ogni occasione alla repressione del popolo.
Per tutti questi motivi, considero il servizio militare come un male dal quale ci si deve liberare il più presto possibile.
Pertanto io, Domenico AMBRUOSO il giorno 29 luglio 1974 mi asterrò dal presentarmi sulla unità su cui sono imbarcato, e quanto prima mi consegnerò volontariamente alle autorità giudiziarie.
Dichiaro inoltre che non ho consegnato domanda di obiezione di coscienza 17 mese fa, perché non ero a conoscenza dei termini perentori della consegna di tale domanda.
Chiedo che la mia domanda venga esaminata anche se presentata in ritardo ai sensi delle legge n. 249 del 21 maggio contenente applicazioni della legge n. 772 del 15 dicembre 1972.
Dichiaro inoltre di non essere titolare di licenze o autorizzazioni relativi alle armi indicate, rispettivamente negli art. 28 e 30 del testo unico della legge di pubblica sicurezza e di non essere stato condannato per detenzione o porto abusivo di armi. ROMA li 27 luglio 1974 .

Domenico Ambruoso

Tribunale Russell 2° - Appello

Pubblichiamo, anche se i nostri amici già lo conosceranno, l'Appello a tutti gli uomini di buona volontà lanciato a Bruxelles nel mese scorso alla fine della sessione del secondo tribunale Russell. E' un chiamare a gran voce, e sono parole di lacrime e sangue di popoli, la coscienza dell'umanità a svegliarsi. Perché è vero che l'oppressione dei regimi dittatoriali e militari su quasi tutta l'America Latina (il tribunale si è occupato particolarmente del Brasile, Cile, Bolivia, Uruguay) è il segno, uno dei segni più terribili, della disumanità del nostro tempo.
La nostra civiltà vive della necessità di oppressione, di sfruttamento, di schiavitù di popoli e di continenti. Il nostro benessere è prodotto dallo spremere sudore e sangue dalla pelle dalla povera gente: crudeltà vigilata e difesa dai regimi compiacenti, disponibili fino alle misure più estreme della tortura, del genocidio.
E il Tribunale - piccola ma formidabile coscienza dell'umanità intera - condanna con chiarezza e giustizia. E' un dito puntato a indicare responsabilità spaventose. E' una voce che grida con precisione nome e cognome, senza possibilità di equivoci. Gli Stati Uniti. Le imprese straniere. Le multinazionali (la TT dichiarata responsabile o corresponsabile di colpi di stato fascisti, come in Cile). I governi di queste quattro nazioni. Pinochet. Nixon. Ford. Henry Kissinger...
Un piccolo gruppo - questo Tribunale Russell - di uomini e donne, libero da ogni influenzamento, da qualsiasi intenzionalità propagandistica, che si riunisce, sorretto unicamente dall'appoggio dei poveri, per dare la possibilità ai torturati di denunciare i torturatori, agli oppressi di rivendicare la loro libertà, a chi non è nulla e non può nulla una voce capace di risonanza mondiale almeno nelle coscienze non ancora morte.
Questo Tribunale Russell è quel qualcosa per cui si può ancora sperare che l'umanità non sia vinta dalla disumanità, che il potere, la ragione economica, la violenza militare, la strapotenza della ricchezza non abbiano ad affogare e strangolare la dignità e la libertà dell'uomo.
Come cristiani non possiamo non ringraziare lo Spirito di Dio che non si lascia ipotecare da nessuno e quando la profezia (nel valore più sacro e biblico della parola) è lasciata cadere da chi dovrebbe essere il profeta, lo Spirito nella sua libertà di Amore, la offre a chi sa salire sul monte per giudicare la storia. La Chiesa pensiamo che avrebbe molto da imparare da questo umile e onesto Tribunale, nel suo essere nel mondo - come è la sua missione - maestra di verità, custode della giustizia, affermazione di libertà, la libertà dei figli di Dio.
Nell'Appello non troviamo una parola, un invito ai cristiani e tantomeno alla Chiesa. Ci è sembrato questo silenzio quasi una sfiducia che, perché riconosciamo ben meritata, ci ha profondamente addolorato.
Accogliamo però ugualmente a gran cuore questo appello come fratelli di chi soffre e lotta, accetta torture e versa il suo sangue per la libertà: siamo consapevoli - anche se non nella misura che sarebbe giusta e doverosa - che quella lotta è anche per noi, forse è combattuta al posto di noi che, capaci di tante parole, di troppa teologia, di ricerche pastorali, di Signore Signore e di tempio, tempio di Dio, ancora dobbiamo imparare quella violenza che unicamente realizza il Regno di Dio e quell'Amore capace di rendere ogni uomo figlio di Dio e fratello di tutti.

Dopo molti giorni dedicati all'analisi della situazione politica, economica e sociale dell'America Latina, ascoltate le testimonianze di uomini e donne che hanno denunciato ai giudici e al pubblico le loro tragiche condizioni, le persecuzioni e le torture subite in Brasile, Cile, Bolivia, Uruguay e altri paesi, il Tribunale ha pronunciato una sentenza meditata e documentata di condanna di tutti i responsabili dei crimini fisici e morali, economici e politici che si commettono ogni giorno contro i popoli latino-americani. La condanna si estende dagli alti capi dell'imperialismo nordamericano sino ai torturatori uruguaiani.
La sentenza pronunciata e la presentazione di studi e testimonianze sia da parte di esperti riconosciuti per la loro serietà scientifica sia da parte di uomini e donne perseguitati per il solo delitto di professare idee o difendere posizioni contrarie a quelle degli sfruttatori dei loro popoli, danno una idea di ciò che il Tribunale Russell rappresenta per l'America Latina: l'unica tribuna a cui i popoli possono accedere per difendere la propria causa, per presentare le prove del proprio martirio, ed esprimere la propria speranza. Le Nazioni Unite (ONU) e l'Organizzazione degli Stati Uniti Americani (OEA) sono organismi in cui hanno diritto di parola solo i governi: il Tribunale Russell è il solo luogo ove possono parlare i popoli.
Ma se i popoli latino americani possono rivolgersi al mondo attraverso il Tribunale Russell, spetta a loro stessi e a tutti i popoli del mondo trasformare in fatti politici, economici e sociali positivi quanto emerge di pesantemente negativo per l'America Latina nella sentenza del Tribunale.
Il potere di cui il Tribunale dispone per rendere efficaci le proprie sentenze risiede nei popoli del mondo organizzati nei partiti, nei sindacati, nelle associazioni professionali, di giovani e di donne, artisti, intellettuali, ricercatori democratici. Essi ed essi solamente attraverso la mobilitazione delle masse popolari, sono chiamati a far si che le deliberazioni del Tribunale Russell si trasformino prima in appelli di lotta per essere poi conquista dei popoli.
Il Tribunale Russell si rivolge perciò alla classe operaia e alla sue organizzazioni sindacali nel mondo intero e chiede loro di unirsi alle altre forze popolari per intensificare la lotta politica ed economica contro i governi responsabili di ciò che sta succedendo in America Latina e contro le compagnie multinazionali che operano come alleate degli stessi governi, e chiede a questi sindacati di boicottare ogni rifornimento di armi e di materiale militare destinato alla repressione dei popoli latino americani.
Il Tribunale Russell chiede a tutti i partiti politici che prevedono nei propri programmi la lotta contro l'imperialismo e le oligarchie nazionali, di dedicare attenzione ed energie alla lotta per la liberazione dei popoli latino americani; fa appello al popolo nord americano perché esiga la fine di ogni forma di intervento degli organi del suo governo contro gli interessi di altri popoli perché imponga la sospensione immediata di ogni aiuto militare, politico e economico alla dittatura cilena perché prosegua con forza una campagna di solidarietà con il popolo cileno; perché aiuti e sostenga la presentazione davanti ai tribunali nord americani di inchieste da parte di istituzioni e cittadini cileni colpiti dalla conseguenza del golpe.
Il Tribunale Russell chiede agli intellettuali democratici di rompere il tessuto di menzogne che l'imperialismo e i suoi agenti hanno posto intorno all'America Latina per nascondere al mondo i crimini commessi contro quei popoli; chiede ai giornalisti e a tutti coloro che lavorano nel campo dell'informazione di difendere il più largamente possibile le conclusioni del Tribunale: si costituirà così un'opinione pubblica capace di controbattere le menzogne e le calunnie con cui la stampa controllata dalle imprese multinazionali e dalle classi dominanti cerca di ingannare i popoli nascondendo la verità sulla situazione latino americana.
Il Tribunale Russell chiede ai professionisti e ai tecnici di tutti i paesi di denunciare lo stato deplorevole in cui versano in America Latina la salute, il diritto, la giustizia, la tecnologia: di denunciare l'analfabetismo e l'arretratezza culturale in cui vivono le grandi masse dell'America Latina, chiede ai giovani del mondo di denunciare il terrore praticato nella maggior parte dei paesi latino americani, chiede alle donne delle società «avanzate» di contribuire a porre fine allo stato di schiavitù di fatto in cui vivono le compagne delle classi popolari di questa bella e desolata regione del mondo.
H Tribunale Russell chiede alle Università di rifiutare scambi scientifici o di altra natura con centri culturali e di ricerca fedeli agli ordini di governi fascisti, chiede agli scienziati, ai ricercatori e ai professori democratici degli Stadi Uniti che si oppongano a progetti «culturali» proposti dal Pentagono, dalla CIA e da altre agenzie del governo nordamericano tendenti a rafforzare la dominazione economica, militare e politica dell'America Latina, e si uniscano in questa azione alle forze intellettuali degli altri paesi industrializzati.
Il Tribunale Russell chiede ai pittori e scultori di rifiutarsi di esporre le loro opere, ai musicisti di rifiutarsi di dare concerti alle compagnie di ballo di non fare rappresentazioni nei paesi latinoamericani sottoposti a regime dittatoriale, e chiede alle associazioni sportive dì non partecipare a competizioni e tornei in quegli stessi paesi.
Infine, il Tribunale Russell chiede a tutte le forze democratiche e agli uomini liberi del mondo di porre in atto tutti i mezzi che hanno a disposizione per ottenere la rottura delle relazioni diplomatiche dei loro paesi con la Giunta Militare del Cile, la quale detiene il potere violando il diritto internazionale e le norme del suo stesso diritto nazionale e chiede alle Nazioni Unite l'abolizione di ogni forma d aiuto tecnico ed economico, e la espulsione della Giunta militare cilena.
Che l'azione di tutti gli uomini e le donne libere del mondo possa tradurre in fatti concreti ciò che il Tribunale Russell ha affermato nella sua sentenza come espressione della realtà latino-americana.

Operai, non costruite più armi!

Militari, sempre più militari
dovunque; milioni di militari
all'ovest, milioni e milioni
di militari all'est, sull'Ussuri sull'Everest.
Uomini, per una divisa
vendete la vostra libertà?
Tutti indietro verso la grande foresta.
Uccidiamoci subito
prima che sia tardi.
Militarismi nazionalismi razzismi
d'ogni specie, classismi:
come da principio come da sempre.
E Cristo è venuto
ma è come se non fosse venuto..
Operai, lasciate le fabbriche di armi!
Tutti insieme, in un sol giorno,
queste fucine di morte:
insieme provvederemo alla vostra busta paga.
Lasciatele ad un giorno convenuto,
tutti gli operai del mondo, insieme.
a un ordine da voi convenuto.
E scendete sulle piazze, tutti gli operai,
E andate sotto le «Case Bianche»
di tutte le capitali
e urlate tutti insieme, operai d'ogni specie,
questa sola parola: non vogliamo
più armi, non facciamo più armi!
Solo questo urlate insieme
nel cuore di tutte le capitali.
E poi vediamo cosa succede.
Per salvarci non c'è altro ormai.
Allora sarete voi i veri salvatori;
operai, fate questo
e vivrete. E vivremo.
E sarete invincibili...
Non c'è altra via di scampo:
non fare armi, operaio,
non fare armi!
Allora sarai tu il nuovo Cristo che viene.
Neppure a difesa di Dio
si deve prendere le armi.
"Metti via la spada"
Gesù Cristo
di armi non ne ha bisogno..
Immaginate, operai, per grazia vostra
nessun'arma che spara sulla terra,
nessuna portaerei che naviga sui mari
nessun fragore di bomba dal cielo.
Per grazia vostra, operai:
nessuna sirena che urla
nessun reggimento che marcia
in nessuna direzione,
perché non ha armi.
Nessun lamento di uccisi:
il silenzio, la pace!
In grazia vostra, operai.

(un brano da «Salmodia contro le armi», n. 3 di «Alternativa» 1971)
David Turoldo


menù del sito


Home | Chi siamo |

ARCHIVIO

Don Sirio Politi

Don Beppe Socci

Contatto

Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455

Link consigliati | Ricerca globale |

INFO: Luigi Sonnenfeld - tel. 0584-46455 -