Questo accostamento lo ha fatto un quotidiano di qualche giorno fa e tutto l'articolo lasciava assai perplessi per la forza descrittiva e l'analisi spietata del come è sistemata la società del nostro tempo.
Organizzazioni potenti, rigidamente strutturate, tese a realizzare. le proprie finalità. Divisioni nette e precise di campi di influenzamento, quasi determinate da misteriosi accordi, sostenute da strani rispetti vicendevoli. Appoggi e sostegni intelligenti al momento opportuno, intrallazzi segreti, maneggiamenti scaltri per una disinvolta collaborazione, sempre però con l'intenzione di un vantaggio esclusivo.
E tutto sulla pelle del popolo. Tutti a rigirarsi fra i tentacoli il povero Popolo per tenerlo e mantenerlo nella posizione e nella condizione più favorevole per risucchiare il sangue.
Il feudo politico, questo arrogarsi il monopolio della politica a stabilire progettazioni e concretezze di divisione e possesso del modo. Come non mai nella nostra storia. Eppure queste stesse cose le ritroviamo, appena fuori casa, nella città, nel paesucolo, nel comune, nel quartiere, in tutti gli organismi amo ministrativi dove il popolo non conta nulla, altro che per essere sgabello dei piedi di chi nella politica è ben infeudato.
La mafia economica. Non la mafia dei mafiosi che punta sull'anonima sequestri, il contrabbando e il traffico della droga, a racimolare qualche miliardo. AI contrario la grande mafia delle multinazionali, della ragione economica assoluta e spietata, della ricchezza misurabile solo con i vuoti spaventosi di fame nel mondo. La mafia dell'insaziabilità più vampiresca, organizzata in onnipotenza: quest'invisibile dio che domina il mondo. Ne possiamo avere un piccolo segno nella banca all'angolo della strada, nell'azienda dove lavoriamo, nella caserma della città, forse anche nel negozio di fronte...
Ma lasciamo andare; non è dei feudi dell'assolutismo politico o di questa mafia che ci interessa parlare, tanto più che nessuno è disposto a lottarvi contro fino a morirvi, per la nascosta, istintiva speranza di passare in qualche modo e misura dalla condizione di sfruttato a quella di sfruttatore.
Le chiese e cioè la Chiesa, questa proprietà del religioso, questo assoluto del cristianesimo, questo monopolio dello spirituale. Di questo ci interessa enormemente parlare per tanti motivi, ovviamente, ma, in particolare perché questo rinchiudere Dio - l'infinito - nelle mani di pochi, ci sembra qualcosa di blasfemo, una negazione vera e propria della stessa idea di Dio.
. Almeno Dio non è di nessuno. E' unicamente di Dio. Gesù Cristo non è una proprietà privata, da amministrare sia pure saggiamente. Il suo sangue - la sua salvezza - circola nel cuore e nelle vene di tutta l'umanità. La sua Resurrezione e cioè la sua vita è nella vita di ogni essere umano, è vita di tutti gli uomini.
Quest'accostamento, quasi una correlazione come di entità diverse ma istituzionalmente identiche, ci è motivo di amarissima sofferenza, di disagio terribile. Feudi, mafie, chiese... non è insinuazione maligna o sacrilega denigrazione. Può essere constatazione spietata quanto si vuole, ma concreta e reale.
Ne abbiamo anche noi un'esperienza angosciosissima. Sappiamo bene che la Chiesa ha del feudo, ha della mafia.
Non intendiamo, sia chiaro, metter in dubbio i fondamenti della Chiesa, il primato del Papa o l'autorità dei Vescovi. La Fede è Fede e chi ci conosce sa quanto sia in noi chiara e precisa. D'altra parte però è anche vero che gli uomini sono uomini, compresi quelli in condizione d'autorità e responsabilità nella Chiesa. Essi, come uomini, portano in se stessi strane e impressionanti rassomiglianze specie con chi a loro si avvicina con chi, dunque, detiene il «potere». Sono queste rassomiglianze, ritrovabili nel Papa, nei Vescovi, nei parroci, nei cosiddetti «superiori», che noi intendiamo combattere per ritrovare, più che sia possibile, un'altra rassomiglianza infinitamente decisiva e cioè quella con Cristo, costruita a fuoco dallo Spirito di Dio.
Molte cose, è vero, sono cambiate a seguito del. la forzatura liberante dei tempi. Persistono comunque mentalità e prassi autoritarie nella Chiesa capaci di significarla come un vero e proprio gruppo di potere.
Il cristiano che cerca di responsabilizzarsi alle scelte della propria Fede non può che ritrovarsi in condizioni passive in tutto quello che decide del suo essere e del suo operare. Nell'andamento della sua Chiesa (dalla parrocchia alla Chiesa cattolica) la sua posizione è di numero da assommare ad altri numeri per operazioni religiose e temporali' accuratamente prestabilite e propinate. Soffrono i cristiani, quelli coscienti e vivi, di una sudditanza che non è di Fede perché Fede non può esistere in un rapporto di questo genere.
E si spenge la Fede nei giovani quando entrano negli anni di una coscienza di responsabilità personale. E - tanto più nei giovani - passa via, svanita da una paura di nullità e inanità personale giustificata da un'esperienza lampante, ogni possibile idea di vocazione sacerdotale e consacrazione religiosa, a meno che non si tratti di sogni di carriera e affermazioni ecclesiastiche, capaci soltanto di aggravare fino all'insopportazione i gruppi di potere clericale.
Per il non cristiano è difficile, spesso addirittura impossibile (è miserabile nascondersi, come fanno tanti difensori dello stato attuale della Chiesa, sotto l'ombrello dell'altrui cattiva volontà) distinguere la Chiesa dal feudo politico o dalla mafia economica. Non vedere la Chiesa ruota d'ingranaggio di tutto il sistema che macina il mondo a spremervi privilegi, vantaggi, ritorni, interessi specificamente fatti di autorità, di potere, di dominio. Gli intrallazzi fino ad osmosi vicendevole, tra feudi, mafie e chiese, risultano sempre più evidenti. Non tanto per un loro aggravarsi nel nostro tempo, quanto per una capacità visiva e critica della gente e per una sempre più spietata esigenza (grazie a Dio!) di una verginità religiosa e cristiana della Chiesa, nel cuore di tutti, credenti e no.
La Chiesa deve rompere con tutti i feudi e tutte le mafie e ritrovarsi sola, indifesa e libera. Così tanto fino ad essere contro ogni feudo ed ogni mafia.
E' misteriosa indicazione la solitudine di Gesù Cristo. Il suo rapporto con i feudi e le mafie del suo tempo è stato unicamente di lotta e in questa lotta ha riversato tutto il suo Amore.
E' in questa capacità di solitudine che la Chiesa può purificarsi e liberarsi da ciò che di feudo e di mafia i suoi uomini le hanno incrostato sulla sua storia. Fino a ritrovare la sua originalità di comunità di servizio, di umiltà, di dono, di un morire dentro la vita per un'umanità diversa.
E' responsabilità terribile quella che pesa sugli uomini della Chiesa per il loro non essere capaci della adorabile originalità di Gesù Cristo: il loro mutuare, in modi così raffinati fino a divenire «maestri», la sapienza degli uomini di questo mondo feudale e mafioso, è il rinnegamento e il tradimento più detestabile che possa essere perpetrato contro Cristo e il popolo di Dio.
La Chiesa in questo momento penitenziale dell'Anno Santo, nella considerazione pastorale del sacramento della penitenza, sarà bene che rifletta seriamente sulle parole di biasimo e di respinta di Gesù a Pietro, dopo che aveva parlato ai discepoli di passioni e di morte: Via, lontano da me, satana! Tu mi sei di scandalo perché non segui i pensieri di Dio, ma quelli degli uomini» (Mt. 16, 23).
La Redazione
Credo che l'impressione che ci accompagna in questo momento della nostra storia sia la comune constatazione di vivere in tempi di tragica e assurda violenza.
Chiunque di noi vive il proprio cammino quotidiano lasciando il cuore e la coscienza aperti all'insieme degli avvenimenti vicini e lontani, a dimensione individuale o collettiva, non può non rendersi conto di vivere in una situazione storica satura di spirito di sopraffazione, di distruzione, di disordine stabilito.
Sembra quasi di trovarsi in una stanza - grande quanto il mondo - ormai invasa da un gas invisibile che la più piccola scintilla può far esplodere distruggendo ogni cosa. Viviamo realmente immersi in un'atmosfera inquinata da uno spirito di violenza distruttrice dalla quale non si vede proprio come sia possibile uscire, per quale via trovare uno spiraglio verso la luce.
Siamo prigionieri in questo carcere senza sbarre, ma che qua o là ogni tanto si rivela, manifestando quale capacità di morte racchiude nel suo misterioso e terribile potere.
La violenza di cui tutti più o meno siamo le vittime ha un fronte molto ampio, e noi siamo come un esercito allungato su una frontiera troppo estesa per essere difesa. Violenza sanguinosa sui campi di guerra, nelle prigioni, nei moderni campi di sterminio, nelle celle di tortura. Violenza individuale, di chi cerca la propria libertà facendone pagare il prezzo a persone innocenti. Violenza collettiva, organizzata e legalizzata, a volte quasi invocata e benedetta, di chi giustifica la morte altrui come un mezzo adeguato a custodire il diritto, la giustizia, l'ordine. Violenza quasi impercettibile nei nostri cuori incapaci di vero perdono, di vero amore, che vorrebbero che Dio mandasse il fuoco dal cielo su chi disprezza la verità e la legge; o che per lo meno gli uomini usassero la loro capacità di morte (la «pena di morte») su chi - come Caino - uccide il proprio fratello.
Penso che non è possibile tirarci indietro da questo scandalo del nostro tempo, del nostro mondo considerato ciecamente cristiano (come a dire liberato e benedetto) e che invece si manifesta profondamente malato, sepolcro imbiancato che ogni tanto si scopre e rivela la realtà di morte in esso nascosta. Una civiltà esaltata e propagandata come espressione massima del progresso umano che si infrange e si sbriciola contro questa muraglia fatta di creature spazzate via dalla cieca furia dell'odio e della sopraffazione.
La strage dei fedain a Maalot, in Palestina; la rappresaglia israeliana nei villaggi libanesi dei profughi palestinesi; la tragedia del carcere di Alessandria, le rivelazioni terribili delle esecuzioni in Cile e in Mozambico; gli attentati spaventosi a Dublino, in Irlanda, e l'ultima folle strage terroristica e fascista di Brescia: questo non è altro che un elenco opprimente degli ultimi anelli di una catena fatta di sofferenze indicibili, inspiegabili, che mostrano quale «follia» si nasconda sotto il volto del nostro mondo moderno, della nostra progredita civiltà.
Di fronte a una simile realtà il primo sentimento che esplode nel nostro povero cuore è la disperazione, l'angoscia di chi avverte con estrema chiarezza l'importanza a fronteggiare simile situazione. Viene alla mente il pianto di Gesù - quasi il segno del suo sgomento e della sua desolazione - di fronte alla bellezza di Gerusalemme, simbolo di ogni creatura e di ogni popolo, destinata ad essere distrutta, a non rimanere pietra su pietra, per non aver voluto accogliere l'invito alla vena liberazione, per aver rifiutato l'appello di Dio ad uscire dall'ingiustizia e incamminarsi sulle vie della pace. Cuore duro, come di pietra, che rifiuta di lasciarsi prendere dalla mano di Chi potrebbe impastarlo di nuovo e farne un cuore di carne...
Credo che se vogliamo creare seriamente una via di salvezza, un varco verso la luce, una strada di liberazione, non ci rimanga altra scelta che non sia quella proposta dal Cristo Signore, venuto a restituire chiarezza di visione ai nostri occhi spenti, a indicarci le vie di Dio così diverse dalle nostre. Non mi sembra possibile puntare su nessun'altra forza che non sia quella che nasce dalla sua Croce, da Lui che si è mescolato alla nostra storia, caricandosi del nostro dolore, ed ha accettato di percorrere la strada della vita a mani nude, lottando a forza d'amore, di verità, seminando senza stancarsi la pace e la giustizia; respingendo i forti e i potenti, togliendo loro la maschera di perbenismo e di onestà, e indicando ai poveri il sentimento della vita.
«La nostra speranza più sicura è Cristo, che si è fatto uguale a noi nel dolore, non essendogli stato riconosciuto il diritto a un giudizio giusto e non fu ascoltato nella sua legittima difesa.
Egli non si è servito di raggiri o di raccomandazioni per salvarsi. Soltanto Cristo, fortemente odiato dagli oppressori di tutti i tempi, è l'unica forza per noi che non ci appoggiamo sui carri armati o sulle mitragliatrici, né sulle bombe, né sul terrorismo, né sul denaro per i delatori. ..
Gesù, il cui nome significa «Dio libera», che è venuto per annunziare la buona novella ai poveri, liberare i prigionieri e dare la vista ai ciechi, ci apra gli occhi in questo momento di oscurità e aiuti il nostro popolo a trovare la strada della libertà. La libertà dei figli di Dio», (Documento di 99 cristiani boliviani) .
Credo che questi nostri tempi così carichi di violenza e di spirito omicida, costituiscano un appello molto serio, pieno di responsabilità per quanti di noi vogliamo essere veramente Chiesa di Dio e Corpo di Cristo.
Come cristiani, portatori del Vangelo di pace - la pace del Cristo povero, crocifisso e risorto - non quella offerta dai tiranni e dai dittatori di questo mondo, dobbiamo testimoniare coraggiosamente come la pace vera può nascere solo dalla giustizia. La fame, la divisione in classi e l'oppressione sono i più efficaci predicatori della violenza, quella illegale e quella legalizzata.
E neppure possiamo illuderci che sia possibile sradicare il seme della violenza da un mondo dove una delle industrie più fiorenti, in regimi capitalisti e socialisti, è quella delle armi; dove alla forza delle armi - anziché alla potenza della verità e dell'amore - è affidata la difesa della libertà; dove gli eserciti diventano una minaccia costante e sempre più terribile, pedina facile da manovrare dai gruppi di potere in campo economico e politico.
Così come non si può pensare che fiorisca la giustizia, la fraternità e quindi la pace sociale in una terra divisa dai fili spinati della proprietà privata, delle frontiere nazionali o razziali, dell'oppressione ideologica e delle più elementari libertà della persona umana.
Credo che sempre più l'essere cristiani in tempi come i nostri, accerchiati da una violenza dai mille volti e colma di crudeltà senza misura, diventi scelta seria e impegno decisivo per una vita che si getti in pieno nella mischia della storia, per essere là dentro - perduta e sopraffatta da tutto il pro-blema umano - pugno di lievito e granello di senape del regno di Dio.
Essere cristiani oggi, vuol dire certamente non illuderci di poter avere delle soluzioni o delle ricette prefabbricate su come guarire il male che rispunta ad ogni passo. Comporta senza dubbio il ri-schio di sentirsi come portati via dal dramma della creazione scossa, come dice S. Paolo, dalle doglie del parto, travagliata dal grido d'angoscia che sale dalle viscere dell'umanità chiamata ad una nuova nascita.
Più si penetra nella conoscenza del mistero della vita umana, più il rischio dello sgomento, dello sconforto, della disperazione ci può prendere se non sopravviene il dono dello Spirito di Dio che ci renda capaci di intravvedere il volto dell'uomo nuovo che sta emergendo, come una nuova terra, in mezzo a ribollimenti drammatici.
E' unicamente dallo Spirito che ci può venire il coraggio e la lucidità di un impegno e di una lotta cristiana vissuta senza furbizie e saggezze, senza diplomazie e filosofie, ma nella semplicità e stoltezza evangelica.
Forse ciò di cui abbiamo bisogno più di ogni altra cosa è di credere che la montagna dell'odio, della violenza e dell'oppressione può essere abbattuta solo da una fede grande appena come un granello di sabbia.
Se avessimo questa fede forse scopriremmo che la lotta da combattere per una nuova umanità non è «contro la carne e il sangue», non è l'uccidere, non è la rivoluzione sanguinosa né la rappresaglia (l'occhio per occhio, dente per dente), non è la guerra.
Forse comprenderemo che il vero nostro nemico non è l'uomo - il singolo uomo o gli uomini messi insieme - e non è davvero con l'uccidere qualcuno che si può ottenere la salvezza di tutti. «Sangue chiama sangue»: è una legge antica e spietatamente vera.
Sento che bisogna chiedere con tutta la forza del cuore questa briciola di fede autentica e vera nella resurrezione e nella presenza storica di Gesù, nella sua lotta di vita e d'amore: per offrire il nostro essere come segno concreto di unità, di incontro, di comunione fraterna. Per essere una Chie-sa, appunto la Chiesa di Cristo, che sprigioni dal proprio esistere la potenza liberante e rinnovatrice della Resurrezione del Signore, di Lui vittima della violenza e della morte di croce.
don Beppe
La pace è qualcosa che bisogna non solo mantenere, ma produrre, e produrre a partire dalla verità, dalla giustizia, dall'amore e dalla libertà; a partire dalla coscienza politica dell'uomo.
Non è quindi compatibile con l'"ordine" a spese della verità, della giustizia, dell'amore e della libertà: non è repressione, non è paura, non è silenzio, non è morte.
La pace è l'uomo e l'uomo è il cuore della pace.
Manuel Viera Pinto
Vescovo di Nampula
per un servizio sociale
Un gruppo di nostri amici, da anni personalmente impegnati nel difficile problema del disadattamento minorile, sta affrontando un discorso comunitario per una proposta ed una possibilità di accoglienza sempre più seria ed autentica.
Si è presentata loro l'occasione di una cascina rustica (una grande casa colonica con terreno) che era già stata data in concessione ad un ente costituito per il recupero dei disadattati, dal Comune di Milano che ne è il proprietario, contro l'onere di provvedere ai primi restauri per una spesa (calcolata nel 1970) di Lit. 17.500.000.
Essi sono entrati a far parte del Comitato Promotore dell'ente per non complicare le cose dal punto di vista giuridico, facendo in modo che !'impegno sociale del Comitato stesso si precisasse in un' esperienza ed in una ricerca di proposta alternativa al problema del disadattamento dei minori, per una maggiore presenza ed incidenza 'nella società, nella prospettiva della costituzione di una Comunità di persone.
Presentiamo questa proposta come contributo ad affrontare un problema che anche a noi sta molto a cuore. Invitiamo i nostri ami. ci, specie quelli di Milano, cui la cosa può interessare a mettersi in contatto con coloro che promuovono l'iniziativa anche in vista di una collaborazione che può risultare molto interessante.
Pubblichiamo, intanto, alcune linee programmatiche della Comunità che sta muovendo i suoi primi passi in questa nuova direzione.
Lentamente, ma speriamo con certezza senza ritorni, è maturata in noi la convinzione che la nostra fede nel Signore morto e risorto ci impegna direttamente sul piano politico-sociale. Viviamo i rapporti indotti dalia struttura economico-sociale del capitalismo, come trasognati, in un'impossibilità reale di superare la frammentazione e la dispersione che vengono richieste dalle inumane leggi del profitto. Perciò ci sentiamo uniti strettamente a tutte quelle forze che militano per «immaginare», almeno, dei possibili superamenti. Militanza reale però, non solo contributo alla lucidità teorica pure indispensabile.
Più o meno vivacemente legati al movimento operaio, ne condividiamo le rivendicazioni, le richieste di riforme globali, e ci pare di rendere un servizio al movimento operaio se ribadiamo che in questa dimensione globale anche le carceri, anche gli istituti di raccolta e di rieducazione devono far parte di una strategia del cambiamento.
Il sistema ha previsto gli istituti come basi di rifugio per coloro che la menzogna e la irresponsabilità delle relazioni umane ha disintegrato. Non possiamo accogliere questi fenomeni solo come indicazioni di debolezze psicologiche o di fragilità caratteriali. Sono soprattutto la manifestazioni più chiara dell'ingiustizia del sistema stesso, capace di emarginare gli individui più deboli dopo aver contribuito a rendere cronica la loro stessa debolezza.
Tutto ciò ha contribuito a renderci attenti a cogliere le occasioni che man mano si presentavano per un impegno sempre più coerente sulla linea di una alternativa all'istituzionalizzazione del reinserimento dei minori. L'occasione-cascina è l'ultima in ordine di tempo ed insieme quella che ci sembra decisiva per una ricerca ormai tutta allo scoperto. Un'alternativa che oltre tutto si rende concreta proprio per la realtà sociale in cui si è inseriti, la zona 13 di Milano.
Mentre siamo impegnati a dare un volto presentabile a quella che sarà la nostra casa e di quanti potremo accogliere nella nostra vita, abbiamo steso alcune linee che ci servono come orientamento per le scelte della nostra comunità,
LINEE GENERALI DI UN PROGRAMMA
Il disadattamento minorile è in larga misura da ascriversi a carenze affettive più o meno gravi, in gran parte di origine socio-familiare.
E' sembrato pertanto valido il costituirsi di una piccola comunità di famiglie, che offra il minimo di accoglienza indispensabile per un reinserimento dei minori disadattati.
D'altra parte le difficoltà intrinseche ad un recupero ci rendono convinti dell'assai più urgente necessità di un intervento preventivo che eviti nel limite del possibile il crearsi di situazioni di disagio: perciò questo secondo fine diviene preminente rispetto al primo.
Esperienze già avvenute da parte di tutti gli interessati a questa proposta ci rendono convinti che soltanto una «comunità adulta», duttile e aperta, possa efficacemente intervenire per gli scopi accennati.
Si intende per «comunità adulta» un insieme di persone, che comprende certamente anche delle famiglie, che condividano, oltre ad una attività comune, una scelta di rapporti stabili e continui, originati da alcune premesse di valori di fondo comuni, e indispensabili per l'attività stessa.
E' per questo che alcune famiglie e altre singole persone decidono di mettersi insieme, condividendo beni culturali ed economici (secondo norme generali interne) rendendosi comunitariamente disponibili per alcuni interventi nel campo dell'emarginazione, pur lasciando spazio ad una giusta autonomia dei singoli.
La Comunità provvede alle necessità economiche delle singole famiglie o delle singole persone mediante il lavoro di suoi membri, ritenendo indispensabile una autonomia economica per la libertà della loro stessa attività educativa.
La Comunità, la cui realizzazione rientra in uno degli scopi del Comitato Promotore «Campi Internazionali di Lavoro» è giuridicamente come Cooperativa, in modo tale che non si configuri puramente come iniziativa privastistica (Es. Ente Morale), pur non essendo un Ente pubblico.
E' sua esplicita volontà di operare in contatto con gli Enti pubblici e gli operatori sociali, impegnati nello stesso problema dell'emarginazione (Commissione Assistenza del Consiglio di Zona, Ripartizione Comunale, Eca, Ippai, Tribunale dei minorenni,..) e più globalmente con tutte le organizzazioni sociali, politiche e con tutte le Amministrazioni regionali, provinciali e comunali.
In particolare l'impegno diretto si vuole precisare come segue:
1) Intervento sociale e politico nelle strutture del quartiere (edilizia sociale, scuola, assistenza psicosanitaria, ecc...) da attuarsi in collegamento col Consiglio di Zona e di Quartiere, in modo da operare socialmente in radice sulle strutture emarginanti, in quanto si ritiene che l'emarginazione come fenomeno sociale sia da superare propriamente nella società, in massima parte.
2) Per quanto riguarda le situazioni di emarginazione esistenti, si prevedono:
a) affidi temporanei di minori del quartiere, particolarmente per casi di emergenza, onde evitare ricoveri in istituti, che comportano lo sradicamento dal proprio ambiente sociale, ritenendo questa una proposta alternativa per una prevenzione del disadattamento.
b) affidi di minori istituzionalizzati, da valutare nel caso della Comunità, in collegamento con gli Enti pubblici interessati e sopra indicati, per un tentativo di rieducazione e di reinserimento.
c) campi di lavoro, gestiti dalla comunità e con l'intervento diretto e a pieno tempo almeno uno dei suoi componenti, con un duplice scopo:
- fornire un'attività provvisoria e di eventuale reinserimento graduale nel mondo del lavoro a coloro che per diversi motivi si trovassero impossibilitati ad una attività lavorativa regolare.
- offrire la possibilità di esperienze comunitarie di lavoro, per quanti, particolarmente tra i giovani, ne fossero interessati, per un servizio sociale.
Cfr. nota aggiuntiva.
d) Rimane aperta la disponibilità ad una ospitalità in generale; da verificare nella sua concretizzazione di volta in volta dalla Comunità.
L'operazione-cascina richiede anche investimenti economici. Se è augurabile, anche in un futuro non lontano, una autonomia e sufficienza economica, gli attuali restauri, sgomberi, agibilità ecc. ci chiedono uno sforzo economico superiore alle nostre attuali risorse. Vogliamo tentare però, senza illuderci ma con rischio consapevole, e chiediamo quindi a tutti coloro che condividono questa prospettiva di darci una mano. L'investimento sociale senza restituzione (i nostri padri la potrebbero chiamare elemosina) è una tradizione cristiana talmente antica che ci sentiamo di poterla serenamente sollecitare.
Per diversi motivi non vorremmo passare un altro inverno senza iniziare a vivere nella cascina. Chi volesse aiutare può farlo mediante vaglia postale intestato a Danilo Rasia, via S. Capsoni II, 20161 Bruzzano - Milano.
Siamo sempre disponibili a render conto dello uso che faremo di ciò che verrà dato.
Ci siamo costituiti come cooperativa di gestione per obbligarci alla pubblicità dei bilanci.
Ci rifaremo vivi su questi fogli per raccontarvi come vanno le cose, per chiedervi di venirci a trovare, per comunicarvi l'esperienza che stiamo iniziando.
«Comunità di Milano»
via Corelli, 124
Non ci sono, forse, molte parole il cui significato sia svalutato quanto la parola «perdono». Non solo nel linguaggio profano, ma anche nel linguaggio religioso. Significa, per lo più, l'atteggiamento di magnanimità richiesto al paternalismo del potente o il tranquillante dato al povero sfruttato mettendolo all'ombra del Gesù morto o della Madonna addolorata. Cosicché quando nella predicazione si invita al perdono, il ricco, il sistemato che si sente ormai librato sulle ali del successo sociale, si guarda intorno soddisfatto di poter esercitare la virtù del perdono, mentre il povero, lo sfruttato preso quotidianamente a calci, si sente stomacato fino a perdere la fede, oppure fa violenza a se stesso e «perdona» divenendo una larva d'uomo.
L'invito al perdono rischia di apparire quindi ambiguo e qualunquista, quasi il simbolo di una religione che aliena l'uomo dalla costituzione di un mondo radicato nella ricerca di un'autentica giustizia.
D'altra parte il sistema non perdona, E'sufficiente deragliare un momento dalla strada comune per divenire un emarginato senza possibilità di reinserimento. La consapevolezza di questo rischio alimenta la spirale di violenza di modo che la legge del più forte e la mentalità da giungla d'asfalto non concedono spazio al perdono.
Che senso ha quindi soffermarsi e riflettere su una parola che appare svuotata di ogni contenuto?
Vi sono a volte tracce di piste ormai abbandonate da tempo che suggeriscono tuttavia nuovi tentativi perché strade sia pure scoperte da poco sembrano già battute fino alla noia. Può essere solo questo il motivo, ma forse al fondo c'è l'intuizione di un valore di cui l'umanità oggi può avere estremo bisogno, una volta restituito alla sua limpidezza e alla autenticità originale.
Ci proponiamo questo tentativo nel quadro di tutta una riflessione sulla Penitenza, con sguardo aperto alla vita e ai problemi di questa umanità.
Iniziamo con un discorso che potremmo chiamare di metodo perché sia chiaro il punto di partenza radicato in una contemplazione fiduciosa del mistero di Dio.
don Luigi
Certe verità, come certi valori che sono fondamentali, devono essere colti al loro principio, quasi al momento stesso del loro nascere: perché è allora soltanto che se ne può afferrare la purezza.
Non è possibile discernere il valore vero desumendolo dalla casistica di ogni giorno e tirandolo fuori dalle contaminazioni che l'esistenza comporta inevitabilmente, dalle complicazioni più o meno interessate e quindi più o meno deformanti che vi vengono riversate fino a farne realtà intorbidate, di colore incerto e di sapore indefinibile.
Uno di questi valori che vanno colti all'inizio, nel loro principio, fin dal loro primo manifestarsi ed offrirsi, è il perdono.
Dopo non è più possibile una vera e seria comprensione e forse nemmeno una semplice intuizione; tanto più che si tratta del perdono, valore così esposto alle interpretazioni sfacciate dell'egoismo, alle deformazioni a tutti i livelli e più ancora per l'incrostazione a spessori impressionanti che la storia vi ha sopra, sempre più, accumulato.
Perché il perdono nasce di là, da quella sorgente luminosa.
A questo ritorno, così difficile per noi che abbiamo la realtà dei valori contaminati nell'esistenza, all'intuizione di come tutto era al principio, ci aiuta, - e non sta qui la sua redenzione e l'averci dato la salvezza? - Gesù Cristo.
Il suo atteggiamento pieno di misericordia è per aiutarci alla riscoperta del perdono e darcene la misura concreta e quindi la sicurezza che non è sogno o utopia, ma esistenza storica, quindi possibile e visibile ad ogni uomo di buona volontà.
La sua difficoltà concreta, o, se vogliamo, la sua «impossibilità» (Gesù direbbe impossibilità per gli uomini, ma non per Dio), non deve fare velo ed ostacolare la comprensione del perdono e tanto meno aiutare a ridurre a dimensioni di mediocrità esistenziale Il suo valore in assoluto.
Semmai potrà essere argomento convalidante lo scoprire la bontà concreta e la validità esistenziale del perdono ogni volta che arriva ad essere sostanza di vita e storia di uomini. O, se non altro, la percezione di un sogno meraviglioso di un'esistenza in esso e per esso costruita e determinata.
Nella realizzazione cristiana della vita, il sognare non è un illudersi o un perdersi utopistico. E' spesso l'unica sincerità che la nostra vigliaccheria e la miseria del mondo in cui viviamo, per le misure estreme della sua mediocrità, ci permettono.
Il perdono, come ogni valore, ha bisogno di questa ricerca e di questo innamoramento per la bontà, la verità, il segno di Dio, la realtà di Gesù Cristo, il fondamento dell'esistenza cristiana, che, volere o no, il perdono significa e realizza:
Fino al punto che è possibile affermare che:
DOVE C'E' PERDONO, C'E' DIO
Non è possibile, infatti, volgere l'attenzione del cuore e dalla mente al mistero di Dio e non riconoscervi una fondamentale dimensione di reciprocità in un continuo donarsi del Padre e del Figlio nello Spirito. Percepiamo appena la formidabile realtà del mistero trinitario, ma in misura sufficiente a comprendere una presenza che si offre incessantemente per una accoglienza totale, senza veli, fino al punto che non è possibile scorgere scissione ed è adorabile il nostro Dio, Padre e Figlio e Spirito.
E' lì che dobbiamo cercare di comprendere la radice del perdono, da questo donarsi incessante, sempre nuovo eppure sempre in misura assoluta che non accetta in quanto gli sono impossibili, ostacoli di qualsiasi genere. E' sorgente purissima di vita, luminosità senza ombre, dono misteriosamente inesauribile di una realtà identica a se stessa.
IL PERDONO, SEGNO DELLA SOVRABBONDANZA DI DIO
Guardando alla creazione e alla storia dell'umanità nei suoi rapporti con Dio scopriamo i segni di questa radicazione del perdono nella realtà stessa di Dio, attraverso la continua possibilità offerta all'uomo di iniziare un cammino in novità di vita.
Dalle promesse a seguito del peccato originale, al segno dell'arcobaleno dopo il diluvio, al popolo scelto per illuminare le genti, ai profeti inviati a rinnovare Io spirito dell'alleanza, fino a Gesù Cristo e al suo Spirito, tutta una storia d'amore e di lotta che non accetta sconfitte, che non disarma, anzi, ritrova nel perdono l'arma che le è propria. Come in Dio, Padre e Figlio sono incessantemente l'uno per l'altro Padre e Figlio, così nel rapporto tra Dio e l'uomo c'è questo momento così decisivo in cui Dio perdona l'uomo, gli dona cioè ancora una volta come sempre, di essere davanti a Lui immagine e somiglianza, raffronto esemplare della creatura al Creatore, strappando le maschere che via via velano i segni di questa somiglianza.
Nasce quindi il perdono dall' amore di Dio ed è momento culminante del suo lottare per un mondo nuovo. E' fuoco che purifica ed insieme brucia il cuore di chi è perdonato perché il suo popolo non si fermi all'ombra del primo albero, ma coraggiosamente, affronti la sua strada. E' mano potente che appiana i monti perché sia possibile contemplare orizzonti nuovi. E' sogno che non svanisce di fronte ad alcuna difficol1tà, ma trova il coraggio di rinascere sempre nuovo nel segno della Risurrezione. Non è il rimettere le cose com'erano prima: è il modo concreto di significare la vera ed autentica sovrabbondanza di Dio, la sua misura eternamente traboccante.
(continua)
Continuo a scriverti lettere, santa Madre Chiesa: mi piace parlare con te, a cuore a cuore e non trovo modo migliore, più capace di esprimermi, con semplicità e chiarezza, ma anche con tutto l'Amore di cui trabocca l'anima mia per te, che scrivere povere e umili lettere, da inviarsi poi attraverso questo foglio stampato a tutti i miei amici, almeno a quelli di cui ho l'indirizzo, e che sento tanto Chiesa, qualcosa di questa santa Madre Chiesa, questo seno misterioso e verginale - così bisogna che sia - che continuamente concepisce e porta alla luce Gesù Cristo, in ogni angolo della terra, in ogni momento della storia.
Spediamo questo foglio a tutti i Vescovi e quindi più direttamente ancora sento di scrivere a te, santa Madre Chiesa, perché i Vescovi sono Chiesa, per fede so che sono gli apostoli e gli apostoli sono la Chiesa sognata e realizzata da Gesù e dallo Spirito Santo.
Non mi nascondo, santa Madre Chiesa, che anche questo scrivere, come tanti altri modi di ricerca, di comunione, non serve a niente. Scrivo e quasi nessuno risponde: è come a volte allargare le braccia e non stringere nulla, aspettare che arrivi qualcuno e l'attesa non finisce mai, tendere l'orecchio, ma specialmente il cuore, e non percepisci il minimo suono, nemmeno un'eco lontana.
Sono anni che scrivo e in fondo, ripensandoci, ho sempre scritto a te lunghissime e appassionate lettere, santa Madre Chiesa. E se ti considero e ti sento gli amici, povera gente, persone che cercano... ho avuto tanta risposta, riconoscenza umile e dolcissima, ma specialmente la gioia dell'accoglienza della verità e la richiesta pressante, urgente di andare avanti, di cercare di più, di rischiare di più sulla via di Dio.
E' bellissimo, santa Madre Chiesa, quando nella comunione due o più si incontrano col parlare e lo scrivere (e tanto più col vivere insieme). E' il mistero di Dio a svelarsi, è Gesù Cristo che emerge a poco a poco a dominare e vincere tutto lo spazio d'amicizia che è andato realizzandosi e tutto diventa e è l'adorabile regno di Dio, luminosissimo del suo Spirito. Allora tutti i problemi, anche i più concreti e immediati, alla radice hanno motivazioni cristiane e è adorabile coinvolgervi dentro l'amicizia, l'Amore, la speranza. Succede allora il miracolo di una esperienza di pienezza, di sovrabbondante esistenza in cui il se stesso diventa comunità, spazio, immensità cioè Chiesa.
Se però, santa Madre Chiesa ti considero vescovi, preti (all'infuori di pochissimi), religiosi, ecc. devo confessarti che mai c'è stata una risposta. E non soltanto al mio scrivere da anni, una risposta scritta (conservo lettere di vescovi che sono soltanto una penosissima amarezza) ma tanto meno una risposta d'incontro, d'intesa, di ricerca insieme.
Sei come un vuoto, santa Madre Chiesa, non viene nulla da te che sia gioia del cuore, qualcosa di amicizia profonda, di comunione d'ideali, che riscaldi, che accenda, che entusiasmi alla Fede, al dono di sé, alla gioia del rischio... Vengono soltanto delle encicliche dottrinali, aride per tanta scienza teologica e pastorale, prammatiche ed esatte, studiatissime, da sembrare soltanto parole. Lettere pastorali, documenti sinodali, riforme liturgiche, proposte organizzative, circolari per nuove iniziative che sanno tanto di progetti d'architetti faticati al tavolo da disegno. Rapporti amministrativi, cara santa Madre Chiesa, buoni soltanto a ridurmi al livello del funzionario o se vuoi dell'attento amministratore del sacro e del prudente funambolo del profano.
Sei tanto capace, santa Madre Chiesa, e non so quanto e se avverti di essere questo terribile pericolo, di ridurre le persone ad essere senza cuore, inaridite, come prosciugate di dentro, automatizzate su schemi prefissati, quasi disumanizzate dal comune valore umano e ricostruite artificialmente: è difficile descrivere il clero, gli ecclesiastici, i preti, i vescovi, se non pensando a uomini che non sono uomini, ma esseri particolari, quasi una specie umana a sé, inconfondibili.
Santa Madre Chiesa, non so perdonarti a cuor leggero quei lunghi anni di seminario organizzati appositamente per demolirmi come uomo e fare di me un prete. E ringrazio sempre la dolce bontà di Dio che mi angosciava l'anima in quegli anni, di problemi terribili, così tanto che quasi nemmeno avvertivo quel mondo a landa raggelata e a deserto riarso.
E dopo, a camminare tra la gente come un fantasma, come piovuto da un altro mondo, un emigrato che non conosce la lingua, le usanze, un venditore che tira avanti possibilmente con nuove furbizie, una vecchia farmacia ricca di antichi ricettari, come quelle che si trovano nei monasteri,
Chissà, santa Madre Chiesa, perché hai sempre voluto che i preti affoghino nella solitudine? Perché la solitudine li divora, li risucchia piano piano. Vi sono nati e cresciuti, si è come incarnita nell'anima la solitudine. E tu stessa ve li condanni perché ce li immergi e ce li abbandoni: li porti nel deserto e li lasci a gridare, a chiamare, diventi anche tu così lontana, da non accorgerti nemmeno più del loro stesso richiamo.
E la solitudine disperante non è la verginità, santa Madre Chiesa, non è il problema di sensi che reclamano, di cuore che grida un nome, di sentimento che implora... è solitudine d'umanità, di valori umani, del non essere uomo fra uomini, d'inutilità, di vuoto di ragion d'essere... di Fede, dirai tu santa Madre Chiesa, ma non lo dire, te ne prego, perché questo pu6 essere soltanto il tuo tentativo di coprirre e di alienare col solito, specioso ritornello, le tue responsabilità di madre: perdonami, ma te lo devo dire, di madre che concepisce i suoi figli, li mette alla luce e li abbandona sugli scalini di una porta di chiesa.
Il risveglio, il rendersi conto, è sempre un dramma, santa Madre Chiesa, un'angoscia che scende fino al midollo e sgomenta, disorienta, spesso fino a misure di sofferenza impossibili. Soltanto l'impermeabile e impietoso mondo ecclesiastico può non accorgersene. Ognuno di noi preti sa quanto sono soffocazione, come d'impossibilità a vivere, queste solitudini paurose.
E se ne esce, santa Madre Chiesa, perché non è possibile non uscirne pena il manicomio, se n'esce nel modo più comune e disinvolto, diventando perfettamente degli ecclesiastici, dei preti sistemati ottimamente, tranquilli nel ministero sacerdotale, imborghesiti nella mentalità, il buon clero davanti a Dio e davanti agli uomini e anche davanti a te, santa Madre Chiesa ché spesso ti vanno bene quelli che al massimo ti chiedono una scuola di religione, un aumento di congrua, una buona parrocchia. E se ti considero Chiesa, popolo cristiano, ti vanno bene quelli che dicono la Messa in orario, fanno buone liturgie, amministrano senza complicazioni i sacramenti e magari sono in condizione di poter fare una buona raccomandazione all'onorevole o al sindaco.
O se n'esce da questa solitudine, meglio ancora sembra di uscirne, lasciando cadere il proprio sacerdozio in un vuoto assoluto di valori: tutto svanisce, specialmente nella propria interiorità a poco a poco e poi nel concreto, in rapporto con la vita, col mondo nel quale non è possibile vivere senza una motivazione di una qualche validità. E tu, santa Madre Chiesa, sei vista e sentita sempre più un'istituzione oppressiva: e diventa inevitabile la liberazione da un immiserimento di valori umani, fondamentali per una normalità di esistenza: e diventa urgente sostituirti oppure tentare di integrarti, raccogliendoli e vivendoli questi valori. E succede ancora - ma ogni figlio che si allontana ha particolari motivazioni anche se è vero che il problema è unico - e succede ancora che all'atto pratico, all'analisi storica antica ma specialmente a quella attuale, ti manifesti, santa Madre Chiesa, come una pesante strumentalizzazione del religioso per potenziamenti temporalistici, economici e politici, per alleanze incompatibili con la tua missione, per scelte di consensi e di appoggi all'opposto del Vangelo, e allora matura in tanti figli il dovere di combatterti a guerriglia serrata, come dei ribelli... anche se non sono, come sembrano, figli snaturati: credono soltanto che la disobbedienza sia l'unica fedeltà possibile alla Chiesa, popolo cristiano.
E se n'esce ancora da questa solitudine camminando avanti lungo la strada di Dio e di Cristo che tu indichi con la Parola; sia pure nei tuoi modi, a volte un po' artificiosi, consuetudinari, tu, santa Madre Chiesa, sei la luce di Dio a illuminare il mondo e alla tua luce è possibile conoscere il mistero di Dio rivelatosi in Gesù Cristo e scoprire il vero e totale valore dell'uomo, conoscere il senso della vita e della storia, e maturare una coscienza di rapporto con l'umanità - ogni uomo e tutti gli uomini - fino a diventare l'umanità la propria ragion d'essere.
Mi ha sempre stupito fino a non sapermene capacitare, come sia possibile che tu, santa Madre Chiesa insegni e sei maestra di verità così rivoluzionaria da agitare il mondo fino al punto che dovresti essere sempre una forza da rovesciare l'umanità da così a così e nemmeno tu stessa ne rimani travolta e sconvolta, anzi tutt'altro. Manifesti e riveli Dio agli uomini, immetti con la violenza dello Spirito, con la potenza della Parola e la grazia dei sacramenti, il mistero di tutto Gesù Cristo nell'umanità e tu non rimani abbacinata da tanta luce, quasi impazzita, portata via in una realtà di storia, adorabile rivelazione di Dio.
Non ti sorprendere almeno se i tuoi figli convinti dalla scoperta di Dio, ma specialmente appassionati dall'Amore di Cristo e da Lui accesi e bruciati dall'Amore all'umanità, si trovano spesso tanto a disagio in casa tua: è una casa troppo aggiustata, sistemata, dove non manca nulla, ma dove è tanto faticoso respirare, muoversi, dove è ancora più difficile accogliere per troppe finestre e porte chiuse.
C'è un buon odore di stalla che vien voglia di respirare a gran cuore, viene in mente una povera casa dove si mangia col sudore della fronte, nasce la passione della povera gente con la quale condivide re tutto e lottare allo scoperto, costi quello che vuol costare, anche un pezzo di croce, se necessario, ma con la gioia di rompere con qualsiasi sinedrio, spezzare ogni oppressione e allargare nel mondo la libertà dei figli di Dio. Allora è proprio inevitabile desiderare, cercare, lottare per coinvolgerti in questa passione di Regno di Dio nel mondo, bruciando tutte le prudenze, le saggezze, le diplomazie, le pastorali, i codici, i trattati... tutto quello che ti rende Chiesa a scapito del tuo essere Popolo di Dio.
Perdona, santa Madre Chiesa, tutte le parole forse troppo segno di lunga sofferenza come cicatrici dolorose, ti prego di vedere in fondo al cuore e di cogliervi quell'immenso Amore che vi palpita per te e per tutto il tuo mistero nel mondo.
don Sirio
C'è qualcosa di molto essenziale che ogni giorno ci è dato di scoprire nel ritmo pesante, monotono e faticoso della vita di lavoro; anche per chi - come me - è solo un manovale, come a dire uno che non conta nulla, che si può sempre rimpiazzare in qualche modo, che non ha influenze particolari.
Sono manovale nel cantiere, perché non ho nessuna specializzazione, non ho un «mestiere»: il mio lavoro mi piace anche perché sono a diretto contatto con i miei compagni, mi sposto qua e là sulla nave, sono «a servizio» di chi ha bisogno del mio intervento.
A questo livello, molto basso e poco appariscente, ci sono cose che crescono dentro, in fondo all'anima, come alla radice della propria vita: il senso della fraternità, il sentirsi veramente «compagno» di tutti, il ritrovare una dimensione tipicamente cristiana e sacerdotale come è la condizione di uno che serve, non con animo servile (gli operai dicono «da ruffiano») ma con la dignità di chi sa stare al proprio posto.
Così mi è successo di sparire dentro la massa del popolo che lavora, quasi succhiato dalla condizione della classe operaia: sento che la proposta di essere lievito per il regno di Dio mi trova preparato quasi «fisicamente»: il mio essere lì è unicamente giustificato e sostenuto dal dono di Dio. Dono di essere presi e incamminati su strade che da soli non avremmo certamente mai cercato e sulle quali si rimane in forza del suo amore e della Sua fedeltà.
Sento molto chiaramente - e gli anni che sono passati hanno rafforzato questa convinzione - che la mia vita appartiene interamente a Dio, è possesso di Gesù Cristo esistenza fruttificata dal suo amore misterioso e spesso incomprensibile. Ed è tanto vero quello che non sono niente, quelli che non contano e che agli occhi dei furbi sono considerati gente di nessun peso. Come a dire «zero».
La vita operaia, anche se sono mesi che la vivo direttamente, mi ha confermato in questa convinzione: proprio essendo niente perdendo tutto il potere e i privilegi della classe sacerdotale, entrando a far parte del grande popolo di coloro che servono con il loro lavoro il bene di tutti, è possibile recuperare la libertà di annunciare il Vangelo senza compromessi, di sentire la propria vita perduta per amore di Cristo e dei compagni.
Sento che il mio sacerdozio è qualcosa che Dio ha voluto collocare molto in basso, perché fosse il dono suo per la povera gente, seme nascosto nella loro vita e nel loro cammino faticoso, assoggettato alla legge del pane guadagnato col sudore della fronte: mi sembra che sia la posizione buona da cui si può partire per offrire ai propri fratelli il dono di fede, di speranza e d'amore - il sogno di un mondo nuovo, di uomo nuovo - ricevuto dalla bontà di Dio, radicato nel mistero della morte e della resurrezione di Cristo.
La vita operaia è diventata come lo spazio benedetto per comprendere come soltanto nella più totale «debolezza», nella condivisione dello sfruttamento, dell'egoismo, dello svuotamento interiore che pesa sul popolo lavoratore, e sull'intera storia umana, si possa recuperare la possibilità di accogliere il messaggio di Dio, la sua proposta di liberazione e salvezza, il suo progetto per un mondo costruito a misura del suo amore.
Mi pare di capire che Dio ha bisogno di manovali per il suo lavoro: non di «capi», di «maestri», di saggi e di furbi, di gente altamente qualificata e specializzata. Vuole creature disposte a perdersi nel deserto del vivere umano, a sparire come gocce d'acqua nella terra assetata, a lasciare i piedistalli che separano dalla vita dei poveri: per essere disponibili a qualunque servizio richiesto dall'amore, dalla verità, dalla fame e sete di giustizia e di libertà. Gente disposta a non contare nulla, perché Lui sia tutto nel cuore della creazione.
Manovale nel cantiere, mi sento manovale anche nella Chiesa: so benissimo di non avere «voce in capitolo», nessuna possibilità di influsso su una struttura organizzata in modo da eliminare i «testimoni scomodi» (come in un processo troppo scottante).
Il lavoro che svolgo nella Chiesa è come se non esistesse: sono undici anni che sono sacerdote, più di cinque anni che vivo di lavoro, mai nessuno di quelli che avrebbero dovuto interessarsi al mio impegno sacerdotale mi hanno chiesto niente. Il vescovo non è mai venuto a trovarmi, per sapere come stavo, le difficoltà, i sogni, le speranze, il condividere un po'di fatica, fare insieme un pezzo di strada, cercare insieme una pista nuova...
Avrei voluto essere, nella Chiesa, la voce dei miei fratelli contadini, pescatori, operai dire quello che loro non riescono a dire, ma che la vita che fanno manifesta chiaramente a chi ha occhi per vedere e orecchi per sentire: ma non c'era nessuno a raccogliere la voce (anche se c'era senza dubbio il cuore di Dio aperto e pronto a tutta l'accoglienza e la partecipazione).
Eppure, nonostante tutto, sono rimasto un manovale innamorato del suo lavoro, fedele al proprio impegno: sento di amare profondamente la Chiesa, il corpo di Cristo, il popolo di Dio. La Chiesa storica, così com'è con tutti i compromessi ed i tradimenti, legata al carro del denaro, invischiata nelle maglie della diplomazia, dei giochi di potere, paurosa spesso di gridare il Vangelo dall'alto dei tetti. Sento di amarla questa Chiesa, per il dono di Dio, per la grazia dello Spirito Santo: voglio dare il mio contributo di manovale perché essa cambi, si liberi, da tutto ciò che l'appesantisce e le impedisce di testimoniare la libertà e la giustizia di Dio fra gli uomini.
don Beppe
Vedevo nel sogno paesi
fino ai quattro angoli dell'orizzonte
sottomessi alla riga,
alla squadra, al compasso;
falciate le foreste, distrutte le colline,
nei ceppi valli e fiumi.
Per quanto è grande la terra vedevo paesi
sotto una griglia di ferro tracciata
da mille rotaie.
E poi vedevo i popoli del sud
formicaio in silenzio al lavoro.
E' santo il lavoro
ma non va più col gesto
ritmato dei tam-tam
e dalle stagioni che tornano.
Gente del sud nei cantieri, nei porti,
nelle miniere, nelle officine,
segregati la sera
nei borghi miserabili.
Accumulano
montagne d'oro rosso,
montagne d'oro nero:
e muoiono di fame!
Leopold Senghor
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455