In quest'occasione, del referendum è stata amarissima l'esperienza di Chiesa che abbiamo vissuto. Di tutta la Chiesa gerarchica, del clero, dei cattolici.
Soltanto il popolo della Fede cristiana non si è lasciato esaltare dalla grande battaglia, il popolo umile, lavoratore, cioè quello delle famiglie con lavoro duro, casa popolare e d'affitto, figli da mantenere, difficoltà quotidiane per far quadrare un bilancio sempre più pesante. Quel popolo per amore del quale si sono scatenate, da una parte le forze intellettuali e progressiste, dall'altra quelle della teologia e del calcolo politico.
Questo popolo - terra di scontro - non si è particolarmente impressionato, ha lasciato fare, assistendo passivamente come quando passa il giro d'Italia e il contadino, nel campo, raddrizza un attimo la schiena e si volta appena a guardare.
Vedremo questo popolo cosa ne pensa (scriviamo prima del referendum) di tutto questo vociare, di tutta la carta stampata, degli interventi della gerarchia cattolica, degli schieramenti dei partiti, lancia in resta a salvare tutti la famiglia .
Quello che a noi, comunque, preme e sul quale vorremmo particolarmente riflettere è la profonda delusione sofferta nella constatazione di una Chiesa che è sempre la solita Chiesa.
Una Chiesa, cioè, che si blocca in un voler essere a tutti i costi determinazione di modo di esistenza stabilendo vie obbligate attraverso le quali deve passare inesorabilmente il vivere e il convivere umano.
D'accordo il vivere cristiano, cioè il vivere la scelta di chi ha deciso di realizzare il proprio rapporto con Cristo attraverso il Magistero della Chiesa. Ma è temporalismo lo sconfinare in costrizioni esistenziali assolute del potere religioso. E' travisamento dell'annuncio evangelico.
L'evangelizzazione è tutta nella forza della testimonianza, della Parola: può essere accolta o respinta, al massimo può andarsene scuotendo anche la poivere dai piedi o rimanere, ma unicamente per morire in croce.
Non può e non deve altro, nemmeno pregare perché sia mandato fuoco dal cielo ad incenerire la respinta.
Sarà sempre fatto che sgomenta, in prospettiva di fede, una Chiesa che evangelizza un popolo, vi costruisce la propria abitazione, vi allarga il suo potere e impone la sua verità perché diventi legge per tutti. Questa è conquista, non evangelizzazione.
Appartiene al Vecchio Testamento come storia di un popolo, ma non alla Rivelazione del rapporto fra Dio e l'umanità secondo il Vangelo e la meravigliosa novità del Regno di Dio nel mondo.
Al pugno di lievito, al sale della terra, al piccolo seme, alla luce sul candeliere appartiene tutta una missione difficilmente conciliabile con una presenza di Chiesa pianificatrice di sistemi di vita, obbligante a forza d leggi, sia pure ispirate al suo annuncio di verità, ma divenute costrizione assoluta.
Non crediamo che la legge di Dio possa essere imposta come. legge di uomini e tanto meno pensiamo che il Vangelo possa diventare obbligante con la forza come le parole e le dottrine degli uomini.
E' necessario che la Chiesa ritrovi il coraggio di una evangelizzazione libera da ogni ingerenza di potere umano e libera da ogni tentazione di diventare e di essere potere temporali stico.
Non possono non maturare i tempi, per grazia di Dio nonostante i tentativi di arroccamento e di conservazione di mentalità e modalità teocratiche, nei quali l'annuncio evangelico sarà una proposta fortificata dall'autorità che le viene unicamente da Gesù Cristo e dalla fede in lui segno e realtà dell'infinito amore di Dio per tutti gli uomini.
Nella vicenda storica, fra i tanti motivi di speranza, c'è il fatto adorabile di un progressivo decantamento tra potere religioso e potere politico, compreso ovviamente quello economico e militare. Sta allargandosi nel mondo, dilatata da una seria ricerca di sincerità cristiana irriducibile alle forme dispotiche esistenti, una Chiesa libera, esposta allo scoperto nelle sue fedeltà popolari di liberazione e di salvezza.
Il referendum non può essere di più di una battuta d'arresto, dolorosa fin quasi al dramma, se riflettiamo a tutta una casistica di collusioni impressionanti e di interventi veramente pesanti di appoggio alla politica cattolica della classe dominante.
Per questo continuiamo in semplicità e chiarezza di fede ad ascoltare la voce dello Spirito e a seguire con fedeltà la sua opera di purificazione e liberazione della Chiesa da qualsiasi inquinamento di potere in modo da essere specchio tersissimo in cui sia possibile ritrovare nitido e chiaro il volto di Cristo.
La Redazione
Certamente una delle pagine più belle del Vangelo è quella che racconta l'avventura dei due discepoli di Gesù in viaggio per il piccolo paese di Emmaus. E' una storia piena di significati profondamente umani, carica di tutto il mistero della resurrezione di Gesù, della sua presenza nascosta nel destino della vita.
Quella strada che da Gerusalemme si snodava verso Emmaus, mi sembra tanto simile a quella sulla quale tanti uomini avanzano sotto il peso della fatica e della tristezza, della sfiducia che grava continuamente sul cuore. Perché le attese e le speranze, i sogni e la ricerca vissuta e affrontata con tutte le energie del proprio spirito uno se le vede mangiare e portar via - come i due discepoli di Emmaus - dalla tragicità della vicenda umana.
Poche ore, pochi avvenimenti e l'ombra della croce si alza a coprire di lutto le gioie più meravigliose. La speranza di qualcosa di nuovo, di giusto, di buono, di un mondo fraterno e umano ... e subito tutto in frantumi, come il lampo del cannone e il sibilo terribile del missile in picchiata. La pace... la pace desiderata, sognata, invocata per ogni angolo di terra, e subito gli occhi devono assistere allo spettacolo di morte che lacera il corpo dell'umanità, qua e là, in Vietnam, in Brasile, in Cile, nel Mozambico, in Palestina, all'Est e all'Ovest.
E' sempre la grande ombra della croce, il sangue che cola dai chiodi piantati dai soldati di tutti i tempi (servi obbedienti di ogni sistema oppressivo e atroce): è il grande giorno del Venerdì Santo del Corpo di Cristo che è l'umanità schiacciata ed oppressa. E non ci sono occhi capaci di vedere il Risorto, e non c'è cuore che abbia il coraggio e la forza di sognare un mattino di luce, un pezzo di pane mangiato in amicizia, un pezzo di terra (che sia tutta la terra) dove cresce sicura la libertà, la giustizia, l'amore.
E si cammina con il passo stanco, trattenendo quasi il respiro in fondo all'anima: si continua a camminare perché si deve, perché non ci si può fermare, perché bisogna andare. Ma Lui non lo vediamo, anche se insieme con noi, lungo il cammino, sulla stessa via qualcuno cammina a fianco e ci parla al cuore da uomo vero che conosce la verità delle cose. Vediamo il volto dell'uomo, ma il volto del Cristo risorto, vittorioso sulla morte (su tutto quello che è morte) non riusciamo a riconoscerlo.
Forse ne abbiamo dimenticato perfino la vera immagine, non sappiamo più come era veramente. E' come di coloro che abbiamo intensamente amato e che ci sono stati strappati con violenza dalla morte...
Ho pensato molto a Gesù in cammino sulla via di Emmaus; vi ho pensato nell'impegno quotidiano del lavoro nel cantiere, mescolato e perduto nella massa dei compagni operai: li ho sentiti molto vicini ai due antichi discepoli del Signore, delusi ed oppressi, sfiduciati ormai e quasi incapaci di credere che Lui sia davvero vivo, presente, realmente «compagno» di viaggio, diretto anche Lui allo stesso luogo.
Anch'io cammino con loro sulla stessa strada, raccogliendo nel cuore - con totale rispetto - le molte inquietudini e incertezze, .le nostalgie e le delusioni patite da tutta una storia, passata e presen-te di cristianesimo, di preti, di Chiesa ...
Sperare e avere fiducia che qualcosa rinasca: che la tristezza si cambi in gioia, l'incredulità si trasformi in fede la diffidenza e il disprezzo in stima sincera e profonda, tutto questo è doveroso e legittimo: ma la via è lunga - è una «lunga marcia» di liberazione - perché sono davvero tanti i discepoli di Emmaus che camminano portando sulle spalle il peso e l'ombra di una grande amarezza.
Il peso e l'ombra della passione e della morte, la delusione di un cristianesimo troppo spesso tradito da chi dovrebbe viverlo con coraggio e verità; la sfiducia in una Chiesa che troppe volte non è pronta a stare dalla parte del povero, dell'oppresso, dello sfruttato, di chi è come agnello sgozzato sull'altare della potenza e della ricchezza (ed è il Cristo stesso, divenuto a volte popoli interi, che continua la sua agonia).
Sono sicuro che l'unica cosa da fare è continuare a camminare su questa strada di Emmaus, strada degli sfiduciati e dei delusi, portando nel cuore il fuoco della fede, il calore e la luce dell'amore di Cristo, condividendo tutta la fatica del viaggio, senza difendersi da niente e da nessuno.
Nella certezza che solo «al momento di spezzare il pane» - come dice la parola del Vangelo -potrà avvenire la scoperta di Colui che ci cammina a fianco, ed ha il nostro stesso volto, le mani dure e callose del povero, il corpo ferito e piagato del perseguitato e dell'oppresso, e un cuore infinitamente più grande del nostro. Il cuore del «compagno Cristo», che fa la nostra stessa strada e la apre ad orizzonti nuovi, a libertà e a giustizia senza misura. Il nostro compagno Cristo: Lui che il Padre ha mandato nel mondo e che vi rimane per sempre, ogni giorno, a camminare vicino nella nostra notte.
don Beppe
Posso scriverti pubblicamente una lettera, santa Madre Chiesa: non vi può essere nulla di privato fra me e la Chiesa, tanto più che la Chiesa alla quale scrivo non è il Papa o il mio vescovo, o un'altra persona con la quale potrebbero esservi rapporti personali. Santa Madre Chiesa ti sento l'insieme di uomini consacrati a portare avanti nel tempo il Mistero di Gesù Cristo e che visibilmente si manifestano al mondo e quindi particolarmente a me, cristiano e sacerdote, come aventi autorità, cioè una missione di testimonianza e di parola, viva e storica.
Che siano riuniti questi uomini in concilio o sinodo o sparsi per il mondo. non ha particolare importanza, rimangano sempre uniti e facenti parte, almeno così credo, di un tutt'uno che può essere chiamato Chiesa, pur rimanendo vero che per essere Chiesa anche questi uomini devono essere considerati, e spero bene che anche loro si considereranno, in relazione, in rapporto, cioè a servizio del Popolo di Dio.
Sono oggi trentun anni che ti sono consacrato, come prete, santa Madre Chiesa. Una vita intera, ormai.
Da quel giorno non ho avuto mai nemmeno un'ombra di pentimento o di rincrescimento, anche se momenti e periodi di enorme sofferenza possono avermi angosciato e qualche volta fino a misure estreme. Ma l'Amore a Gesù Cristo, stranissimo Amore, così profondo e tenace, appassionato e ardentissimo, mi ha dato sempre di reggere bene questa mia appartenenza a te, santa Madre Chiesa che ho sempre sentita, misteriosamente nella Fede, realtà storica di comunione con Cristo.
E' per trovare possibilità concrete, pagabili a qualsiasi prezzo, di essere di Cristo, e a seguito di Lui, di essere dei fratelli, degli altri dell'umanità e di tutta la sua problematica umana e cristiana, che mi sono affidato a te confidando in un impiego di tutto me stesso nel Regno di Dio nel mondo (e questa parola racchiude tutto un sogno di umanità diversa, nuova, per la quale è adorabile vivere e lottare).
Ma tu, Santa Madre Chiesa (mi hanno sempre insegnato a sentirti e a chiamarti così e in fondo, nonostante tutto, mi piace ancora pensarti così), non hai saputo raccogliere il dono di una vita. Non hai saputo o voluto, non lo so bene, sta il fatto che non hai approfittato di me, racco-gliendo una vita e buttandola dentro, a perdersi, nel Regno di Dio nel mondo. Ciò che mi hai chiesto, non era il motivo che giustificasse l'affidarmi e il consegnarmi a te per un giocare tutto me stesso, al di là perfino di ogni coraggio e limite umano, nel problema di Dio e dell'uomo, raccogliendone la misura e il modo in Cristo, vero Dio e vero Uomo. Di quello che interessava a me e alla mia Fede e ragion di essere della mia vita davanti a Dio e agli uomini, non mi hai chiesto mai niente, santa Madre di Dio.
Niente che fosse, secondo Gesù Cristo, un compromettermi totale con Dio e con l'umanità, un rischiare anche l'impossibile, un mettere responsabilmente a repentaglio tutto me stesso.
Perché non mi sono dato a te perché tu facessi di me un burocrate dello spirituale, un amministratore dei sacramenti, un parlatore della Parola, un tuo dipendente a servizio di un apparato ecclesiastico. E tanto meno perché tu, coprendomi della tua ombra, facessi di me un privilegiato, un sistemato.
Dopo tanti anni di lotta e di contrasti, arrendendomi a quella che nel profondo di me non potevo non giudicare Volontà di Dio, lasciandomi ordinare prete ed entrando quindi a servizio totale della Chiesa, era per perdere la pace, per poter non pensare nemmeno ad un'ombra di privilegio, era per rinunciare a tutto di me e delle cose mie, per essere liberamente disponibile a qualsiasi impegno, a qualsiasi rischio, a qualsiasi sacrificio.
Santa Madre Chiesa, quello che di più terribile mi hai chiesto è stata l'obbedienza. Ma tu sai bene che è stata una obbedienza non di fare qualcosa, ché non mi hai comandato mai niente di qualcosa che fosse seriamente un fare, un fare secondo il Vangelo, ma l'obbedienza che mi hai sempre comandato è stata quella di non fare. Hai sempre cercato di spegnere quello che lo Spirito, a volte senza dubbio con tanta fatica ,aveva acceso in me.
Perché se qualcosa ho avuto in mente e ho cercato di concretizzare, non mi è stato suscitato e indicato da te, santa Madre Chiesa, ma non so da che cosa, può darsi dalla mia inquietudine, quella propria del prete, dalla mia stranezza o pazzia che fosse, ma posso anche pensare dalla Volontà di Dio, dato che tutto è sempre stato qualcosa da pagare e pagare duramente.
Nei miei confronti di quest'unica cosa, non riesco a perdonarti, santa Madre Chiesa, di non avermi provocato al di più, ma di avermi quasi costretto al di meno, a starmene in pace, quieto e rassegnato al quotidiano vissuto da buon dipendente come da un' agenzia di assicurazione per la pace di qui e la pace di là. Di avermi raccomandato sempre di pregare, di pregare tanto, dimenticandoti, cara santa Madre Chiesa, che è a pregare, questo cercare il volto di Dio e questo penetrare nel Mistero di Cristo, che ci si appassiona al Vangelo e quindi all'umanità e ai valori della libertà, della giustizia, dell'Amore, della fraternità, e non è più possibile vivere che tormentati e riarsi da una voglia infinita, incontenibile di giocare tutto, di rischiare ogni cosa.
E' andata così e ora comincia ad essere tardi, anche se è vero che tutto può anche essere realizzato all'ultimo respiro. Ma se mi viene da invidiare qualche volta chi ha lasciato la tua mano e ha cominciato a camminare da solo, è perché mi viene il dubbio che forse era più Fede in Dio e forse anche più Amore per te.
Perché, santa Madre Chiesa, anche se qualche volta, in qualche momento decisivo della mia vita e nella ricerca di sincerità del mio essere cristiano e prete, mi è capitato di piangere sotto il torchio dell' obbedienza e altre volte mi sono risentito e ho polemizzato con scelte che possono esse-re sembrate di rottura, con parole che potevano avere apparenza di critica ringhiosa e maldicente, puoi essere certa, santa Madre Chiesa, che è stato sempre (e sarà sempre) per Amore di te, di tutto il tuo Mistero di continuazione di Cristo nel mondo, sacramento di visibilità della sua risurrezione e della sua presenza fra gli uomini.
Avrei da dirti ancora molte cose, santa Madre Chiesa, riguardo al tuo essere nel mondo, nei confronti del tuo essere maestra di Verità, segno e realtà di Gesù Cristo, annuncio della sua Parola, dispensatrice della sua salvezza... insomma tutto quello che Cristo portava nel cuore nell'istituirti e che l'umanità giustamente si aspetta da te. Tante cose raccolte nel cuore della gente, della povera gente, della classe operaia specialmente, di cui ho conosciuto profondamente l'anima e l'ansia nascosta di averti viva e sincera fra i suoi problemi, nella sua lotta di liberazione, nel suo diritto alla giustizia.., tante cose scoperte nelle ore di preghiera, di riflessione sulla Parola, da solo, insieme a comunità e gruppi di cristiani e di preti, scoprendo il miracolo di Dio, che tu dovresti essere nel cuore dell'umanità e nella sua storia...
Ma una cosa, specialmente in questo momento, sento di doverti chiedere e non tanto per me, che ormai ho superato il problema, ma per gli altri, cristiani o no che siano: Santa Madre Chiesa, non chiedere troppa Fede per credere in te, aiuta specialmente la povera gente coll'essere un po' più credibile. Cerca di non aggravare i motivi di diffidenza di insopportazione, di respinta.
Permettimi di ricordarti che non è la dottrina che salva, ma l'Amore, non è il potere ma il servizio, non è il capitale ma la croce: tutte cose che tu sai benissimo perché insegnate dal tuo e nostro Maestro, l'unico Maestro.
E i tuoi figli che te lo ricordano, santa Madre Chiesa, e cercano quasi di costringerti ad essere immagine vivente di Cristo, non giudicarli ribelli, non condannarli, sono quelli che veramente ti amano e, a differenza di tanti, non ti chiedono altro che di dare tutto di se stessi per la tua verità di Chiesa fra gli uomini.
Eccomi, santa Madre Chiesa, poco o tanto che abbia da vivere ancora, sarà sempre nel vivo del tuo Mistero, fedele e obbediente all' Amore per te e quindi anche pronto alla lotta contro di te. Perché l'Amore non è passività, compiacenza, lasciar andare: è dare tutto e chiedere tutto.
E' Gesù Cristo ciò che ti chiediamo, soltanto Lui, in tutta la sua verità di Dio e di Uomo, vivo e vivente in ogni uomo e in tutta l'umanità per una liberazione totale, quella che soltanto da Lui può venire. E noi che viviamo fra la povera gente, fra il popolo, la conosciamo bene questa li-berazione.
Che io ti senta chiedermi una Fede assoluta in Dio e nell'uomo e un Amore appassionato capace di lotta, anche fino alla Croce. La mia gioia è vederti compromessa, a seguito di Cristo, nei destini dell'umanità e così coraggiosamente da coinvolgere nella tua lotta tutti i tuoi figli: non aspettiamo altro, Santa Madre Chiesa e insieme a noi tutto il popolo.
Che una nuova Pentecoste ti renda ancora, santa Madre Chiesa, pellegrina, senza due tuniche, senza borsa e senza sandali..
Con tutto l'Amore il tuo povero figlio e sacerdote
don Sirio
PRESENTAZIONE
Ci sentiamo responsabili - a seguito della nostra scelta cristiana - di tutta la problematica re-ligiosa ed in particolar modo di quella del nostro tempo.
Abbiamo cercato, attraverso una realizzazione teatrale a carattere tipicamente popolare, di portare nelle chiese, davanti al popolo cristiano e a chiunque abbia sensibilità ed interesse verso i problemi dell'uomo e della storia e nei confronti di una visione cristiana della vita, una indicazione chiara e coraggiosa del progetto esistenziale proposto all'uomo e all'umanità dal Vangelo.
Questo nostro lavoro converge tutta la sua attenzione sul Battesimo.
Pensiamo che la chiarificazione di tutto il significato ed il valore del Battesimo come inizio e cammino di vita nuova e diversa, sia fatto decisivo per una Chiesa, per una cristianità che vuoi essere regno e realtà vivente, storica di Gesù Cristo e quindi forza capace di lievitare il mondo.
Ci sembra onesto e doveroso che chi è battezzato non seppellisca il suo battesimo nel libro dei ricordi, ma lo viva ogni giorno in rinnovata coerenza fino anche alle misure estreme. Chi, al contrario, ha deciso di lasciarlo cadere, è giusto che sappia, nel modo più chiaro possibile, che cosa non ha voluto raccogliere.
Per i genitori che hanno battezzato e intendono battezzare i propri figli è indispensabile una seria riflessione sulla responsabilità di questa scelta che comporta necessariamente per se e per i figli un progetto di vita cristiana da concretizzarsi nella propria famiglia.
Tutta l'azione sceneggiata è a seguito di questa precisa elaborazione tematica, in cui viene calato l'episodio culminante della vita di Jagerstatter, un contadino austriaco ghigliottinato dal regime nazista il 9 agosto 1944 a Berlino (vedi «Il testimone solitario» edizione Gribaudi).
La Comunità del Porto
Da «Una fede che lotta» a «Il cristiano dice: no», dall'aula magna della media «Jenco» alla Basilica di S. Andrea: ecco il cammino di un anno (o poco più) del teatro religioso popolare di don Sirio Politi, prete operaio della comunità del porto di Viareggio. La prima rappresentazione de «Il cristiano dice: no» ha avuto luogo la sera del Venerdì Santo nella Basilica si S. Andrea, appunto, ed è stata replicata la sera successiva nella chiesa parrocchiale di Bicchio, riscuotendo un successo caloroso, appassionato, diremmo partecipato per lo sforzo di un «collettivo» di giovani di buona volontà di portare alla folla dei presenti il messaggio della passione e della morte del Cristo, che si rinnova ogni volta che un uomo subisce il martirio perché sorretto fino alle estreme conseguenze dal coraggio della propria scelta.
Al di là delle deficienze tecniche, di una certa improvvisazione, delle limitazioni strutturali e logistiche insite in iniziative di questo genere, non possiamo non ammirare la determinazione con cui la comunità del Porto di Viareggio porta avanti il suo discorso di impegno religioso attraverso il congenialissimo mezzo della comunicazione diretta. Spettacolo incerto, quindi, ma quanto mai efficace, tanto più esaltante se si pensa che ha potuto finalmente essere offerto al pubblico nella propria sede naturale, legittima diremmo: la chiesa.
Quella di don Sirio non è un'azione contestatrice in senso stretto: è un'azione di ricerca della genuinità dello spirito religioso attraverso la sofferenza, che non può esimersi dal dire di no alla legge della guerra, al sistema, alla violenza del capitale, alla sopraffazione di ogni potere, ad ogni egoismo. Di qui la necessità di «rivalutare» il sacramento del Battesimo che, come viene chiaramente specificato nella presentazione del testo, dev'essere considerato «come inizio e cammino di vita nuova e diversa».
E la prima delle tre parti in cui si divide «Il cristiano dice: no» celebra appunto la liturgia del Battesimo per cinque bambini, figli di altrettante coppie di diversa estrazione sociale e che per bocca di uno dei due genitori esternano il proprio punto di vista sulla religione e, di conseguenza, sul senso del Sacramento.
Nella seconda parte scoppia il dramma dell'uomo e del cristiano nella sua più alta accezione. E' Francesco - uno di quei battezzati - figlio di contadini, e contadino pure esso, che si ribella all'imposizione, all'ordine che afferma di rispettare, e di seguire, i principi informatori della stessa fede, ma interpretati secondo ben altra angolazione. Incompreso, deriso, additato come traditore, si allontana verso il patibolo al grido: «O Dio, perdona loro, non sanno quello che fanno: non hanno avuto la luce, la grazia...».
Nell'atto conclusivo la tragedia si è già conclusa e ciascuno è posto di fronte alla propria coscienza. Le ultime parole sono della moglie di Francesco, e se apparentemente sono di disperazione, in effetti sono di speranza, perché suo marito ha avuto il coraggio di dire di no a tante cose, anche a costo della vita. Ed è da questi no, ripetuti non alle canne sbattute dal vento, ma agli uomini creati ad immagine e somiglianza di Dio, che può prorompere il sì purificatore, rigeneratore: «Sì al tuo Dio, insieme e nel nome di Cristo, e poi sì alla libertà, anche se al prezzo della morte, sì alla giustizia nel mondo, sì alla libertà, anche se al prezzo della morte, sì alla giustizia nel mondo, sì a incoraggiare ogni uomo a liberarsi da ogni oppressione per una diversa umanità, delle donne e degli uomini nuovi. Sì, sì, sì, sì... ecco, è possibile credere... sperare è dovere, è dovere, è dovere lottare, non rassegnarsi, non subire».
Ringraziamo don Sirio per questa nuova autentica testimonianza di fede, tanto più significativa perché rivolta dal popolo al popolo, con parole semplici, d'immediata ricezione. Dobbiamo inoltre dire che è stata proprio l'imperfezione del mezzo di comunicazione, nell'austera cornice della Basilica di S. Andrea, che ci ha fatto maggiormente apprezzare un lavoro che andrebbe diffuso capillarmente e che per noi vale molto di più di ogni rito indetto tradizionalmente per la Settimana Santa.
Il Telegrafo - mercoledì 17 aprile 1974
Loris Montani
La mamma di Francesco
Dio, non so, ma ho tanta paura!
Insieme ad una gioia infinita
Mi dilaga nell'anima un'atroce paura.
Sono felice che questo mio figlio diventi di Dio
Ma è carne della mia carne, è sangue mio,
è il mio Amore fatto carne, come è scritto della Parola di Dio.
Eccolo, Dio mi perdoni, ma è mio questo mio figlio:
io non voglio darlo a nessuno,
io sono sua madre, lui è suo padre
una consacrazione fatta di sangue ci unisce,
unità che niente può separare, nemmeno la morte.
Mi perdoni Dio, ma la paura mi vince.
Compatitemi, perdonatemi, abbiate pazienza
Ma almeno datemi tempo perché possa capire.
Battezzare è consacrare a Dio la mia creatura,
dalle mie braccia passa alle sue e sono infinite
dal mio Amore entra nel suo Amore, senza misura.
Se diventa cristiano è di Cristo e più non è mio.
Ho imparato che Gesù Cristo è il figlio di Dio
Venuto a strappare i figli dal cuore di un padre e di una madre
Per farne figli di Dio, umanità
Capace di chiamare Dio Padre e fratelli gli uomini,
ma il prezzo è non conoscere più né padre né madre
né fratelli di sangue né sorelle
nemmeno un pezzo di terra, né una pietra
c'è soltanto una croce che aspetta
e quattro chiodi per esservi appeso.
O Cristo, se tuo Padre ha voluto per te
Questo destino che, è vero, è destino d'Amore
Perché tu chiami e vuoi anche mio figlio?
Se tu ti strappasti dalle braccia di tua madre
Perché ora strappi dalle mie braccia mio figlio?
Mi si lacera il cuore, fratelli, sorelle,
voi non avete paura, non sentite l'onnipotenza di Dio,
non conoscete voi la violenza dell'Amore di Cristo?
O Chiesa, o Sacerdote di Dio, non tremi
A celebrare questo Mistero tremendo
Di una creatura che passa nel dominio assoluto di Dio?
Sì, Cristo Signore Dio, vieni a prendere nostro figlio
Sarà possesso tuo, qualcosa di te e se vuoi anche te stesso
E insieme a te se ne impossessino tutti,
amici e nemici, buoni e cattivi,
e sia uomo di libertà, servo della giustizia,
segno di pace e infinita realtà d'Amore:
Giovanna: (la sposa di Francesco)
No, no.. la luce,... la luce.. non spengete,
non spengete..non voglio..non spengete
quella candela..quella candela dev' essere accesa...
..fu accesa un giorno qui...
Me lo ha detto sua madre...
Per il suo battesimo...
Non si spenga la sua luce...
Anche se lui è morto...
La sua luce, la sua luce
Splende e si accenderà sempre di più...
Come il sole al mattino..
Dopo il buio della notte..
Ecco, è qui la sua testa..
troncata sotto la lama...
(la alza)
E' il suo No alla legge della guerra,
E' il suo NO all'esercito
il suo NO al sistema
il suo NO alla violenza del capitale
il suo NO alla sopraffazione di ogni potere
(con immenso dolore)
... il suo NO anche a me, ai suoi figli...
ad una vita tranquilla
ad un pezzo di pane
ad un pezzo di cielo
(grida)
il suo NO ad una vita di pace
ad un pensare soltanto a se stèsso
. .. il suo NO ad ogni anche sacrosanto egoismo
(piano e crescendo, con dolcezza e con passione)
il suo no, no, no... per poter dire di sì!...
Sì, amore mio, alla tua coscienza...
sì al tuo Dio, insieme e nel nome di Cristo,
e poi sì alla libertà
anche se a prezzo di morte,
sì alla giustizia nel mondo,
sì, a incoraggiare ogni uomo
a liberarsi da ogni oppressione,
per una diversa umanità,
delle donne e degli uomini nuovi ...
Sì, sì, sì, sì...
ecco, è possibile credere... sperare
è dovere, è dovere lottare,
non rassegnarsi, non subire.
(gridando)
O uomini, o donne
e grido all'universo:
una ribellione non per odio ma per Amore,
risvegli la coscienza dei popoli
contro la guerra e ogni esercito sia maledetto.
contro la fame e sia annientata la ricchezza dei ricchi
contro ogni schiavitù e sia liberata la libertà dei popoli,
e anche contro chi grida pace, pace
a stagnare il putridume
di un pantano che domina il mondo,
la pace, sì ma liberazione dell'uomo
e giustizia e libertà, libertà e Amore...
(si volta lentamente verso l'altare, alza l'involto insanguinato, a poco a poco, come un'offerta)
Padre, tuo figlio Gesù
l'accogliesti insanguinato sulla croce
dalle mani di sua madre.
Accoglilo ora questo tuo Cristo
dalle mani di questa donna,
come se fossi la Chiesa
perché sono la sua sposa...
Un gruppo di giovani, insieme alla Comunità del Porto, offre agli amici la propria disponibilità per eventuali rappresentazioni.
Dato il carattere specificamente religioso del testo il luogo naturale dove può essere rappresentata è solo una chiesa. Occorre inoltre un gruppo di giovani che partecipino con il canto all'impegno degli attori. A chi volesse realizzare la rappresentazione - recitazione e canto - con un proprio gruppo, può essere inviato, dietro richiesta, il copione.
Parlavo, nel numero passato, di una certa pastorale dell'Ordinariato militare per l'Anno Santo. Leggo ora sull'Osservatore Toscano (settimanale interdiocesano che arriva a noi con il titolo di «Esare Nuovo» con pagina di cronaca di vita lucchese) di una pastorale in senso inverso che il ministro della difesa Andreotti opera nei confronti della stampa cattolica per catechizzare i cristiani sulla bontà, lo spirito di sacrificio e la lealtà delle nostre Forze Armate. Siamo ormai abituati a vedere su Famiglia Cristiana la propaganda a favore dell'arruolamento volontario con ferma prolungata. Nel numero del 5 maggio lo Osservatore Toscano a sua volta ci tranquillizza di fronte alle polemiche e alle discussioni sul ruolo e le funzioni che le Forze Armate hanno nella vita del Paese e sull'enorme peso che rappresentano per il bilancio dello Stato: «Formare dei buoni cittadini lo scopo delle scuole militari», questo il titolo. in buona evidenza dell'articolo che riporta la rassicu-rante dichiarazione di un giovane capitano dell'Accademia dell'Esercito di Modena: «La prima cosa che insegniamo agli al1ìevi è la totale ed assoluta lealtà alla Costituzione; per noi giovani ufficiali, ma anche per quelli più anziani e più elevati di grado, è assurdo anche solo il pensiero di un colpo di Stato dei militari».
Il perché di questo interesse della stampa cattolica per il buon nome del mondo militare è spiegato nello stesso articolo: «Per ovviare all'assenza e alla scarsità di informazioni, il Ministero della Difesa ha organizzato - con la collaborazione dell'Unione Cattolica Stampa Italiana e con l'adesione della Federazione dei settimanali diocesani - un viaggio conoscitivo per direttori e giornalisti dei settimanali nelle tre accademie militari (Pozzuoli, Livorno, Modena) Si è aggiunta anche la visita alla Scuola Allievi Carabinieri di Roma, alla «città militare» della Cecchignola (sempre a Roma) alla 46.a aerobrigata di Pisa ed al comando NATO del Sud Europa a Bagnoli (Na-poli)».
Diamo atto all'onorevole Andreotti delle sue capacità. Con questa iniziativa ha ancora una volta allontanato il «pericolo» (per il cosiddetto Ordine costituito) che sulla stampa cattolica si creassero spazi per un discorso sull'esercito autenticamente cristiano. A certa stampa cattolica (Famiglia Cristiana, Osservatore Toscano... ) riconosciamo il «merito» di saper affrontare lo stesso problema nel modo meno evangelico possibile.
ZELUS DOMUS TUAE COMEDIT ME
Potrebbe essere questo. ("Lo zelo della tua casa mi divora") il motto del Cardinale Poletti e del Vicariato di Roma a seguito del comunicato con cui, oltre ad allinearsi al provvedimento dei benedettini riguardo a Franzoni, ne aggrava la posizione con affermazioni molto decise. Fa impressione soprattutto il tempismo che ha caratterizzato l'uscita del breve documento. Si può essere forse più benedettini dei superiori di Franzoni, o forse più papisti del papa? E' certo che l'uno-due è stato portato con la scelta di tempo degna di un pugile campione. Si può pensare a tante manovre dietro le quinte, ma non può sfuggire che con Franzoni non si è voluto punire una condotta poco degna del sacerdote, quanto un modo di esser nella Chiesa estremamente scomodo per chi soprattutto ne ha fatto un proprio feudo e vuol dare un preciso avvertimento a chi intendesse scuotere tale posizione di privilegio.
Si è scelta nella Chiesa italiana una ben precisa linea politica (Referendum e soprattutto Concordato e non si vuole assolutamente che possa essere forzata la mano da chicchessia. Il provvedimento va al di là di una manovra «esemplare» per rinfocolare l'ardore della battaglia ai tiepidi cattolici del «sì»; sarebbe bastato per questo un documento pubblico dove respingere le tesi di Franzoni. Si è voluti scendere al provvedimento disciplinare per far quadrato in una battaglia che va al di là del 12 maggio.
Questo lo ha capito anche il nostro Osservatore Toscano che comunica la notizia in questi termini: «Così è arrivata la sospensione «a divinis», cui si è aggiunta una grave dichiarazione del Vicariato della Diocesi di Roma: la Diocesi del Santo Padre non accetterà fra i suoi sacerdoti Don Franzoni, poiché è uscito dall'ordine dei Benedettini, gli proibisce quindi di esercitare entro i suoi confini il ministero sacerdotale». Prosegue l'articolo, non firmato e quindi redazionale, «La sospensione «a divinis» da parte dei Superiori dell'ordine benedettino e la dichiarazione del Vicariato di Roma sono fatti estremamente gravi. Dispiace profondamente che un religioso, che ha disimpegnato ufficiali importanti nello ordine, venga così emarginato dalla Chiesa, in cui avrebbe potuto fare tanto bene: ma è inconcepibile che un sacerdote resti nella Chiesa di cui non condivide più le dottrine e vi resti per seminare errori e contestazioni». Questa frase, fortemente lesiva della figura sacerdotale e religiosa di Franzoni, dilata arbitrariamente e in modo intollerabile la stessa censura ecclesiastica. E' modo di scandalizzarsi tipicamente farisaico.
Ecco come si mette con le spalle al muro un uomo facendo pressione sulla coscienza di fede. Lo si convince della sua eresia contando sulla sua rettitudine e sulla sua obbedienza, lo si induce a conclusioni secondo una logica che può esser vera se la Chiesa è una associazione qualsiasi. E' il metodo di tutte le purghe di questo mondo attraverso l'autocritica e il suicidio morale. Metodo che opera in guanti bianchi, secondo la tattica più moderna, con discorso ipocritamente sofferente e responsabile: «La Chiesa ha una sua dottrina, un suo magistero, una sua disciplina. Se uno non si sente più di accettare la Chiesa così com'è, se ne vada; non pretenda di rimanervi per sovvertirla: è questione di lealtà, di correttezza e innanzi tutto di intelligenza... Ha fatto bene la Chiesa, uscita dal Concilio vaticano secondo a dare a sacerdoti e laici cattolici libertà di espressione, ma fa anche bene a riprendere chi abusa di questa libertà».
Laici cattolici e sacerdoti, sembra voler affermare l'Osservatore Toscano, sappiate che il concilio vaticano secondo ha allungato molto benevolmente i vostri guinzagli, ma il collare è ancora ben saldo intorno al vostro collo e se non vi comportate bene è sufficiente che il «padrone »dia uno strattone per riportarvi sulla retta via, e per qualcuno può esser pronta anche una buona randellata: «E' da sperare che la lezione valga anche per altri sacerdoti e laici che hanno perduto la genuinità della fede e si fanno maestri di errori. Nella chiesa purtroppo non c'è solo Don Franzoni a seminare zizzania...» (puntolini nel testo, forse pronti ad essere riempiti da un elenco di nomi già nelle mani dei novelli e ringalluzziti inquisitori).
Così conclude l'Osservatore Toscano, organo ufficiale di molte diocesi toscane, portando un suo contributo all'opera di riconciliazione che caratterizza quest'Anno Santo. Gli siamo grati dell'avvertimento in nome di quella carità cristiana che a noi forse proprio manca. Uomo avvisato mezzo salvato.
don Luigi
Abbiamo appena celebrato la Pasqua rinnovando la nostra fede in una tomba vuota, quella di Cristo risorto. Di Lui, il Vivente, il Primogenito dai morti: la sua tomba vuota è il segno massimo della potenza dell'amore di Dio e la ragione della nostra gioia.
La pietra del sepolcro di Gesù, ribaltata dalla forza della Resurrezione, è indicazione precisa dell'appello che in Lui ci è rivolto a spezzare tutte le pietre che sigillano gli innumerevoli sepolcri dove la vita, la libertà, la giustizia vengono continuamente rinchiuse e lasciate marcire.
La nostra Pasqua è Cristo: è Lui che ci prende per mano - se noi lo vogliamo - e ci conduce sulle vie dove può avvenire il «passaggio» dalla schiavitù alla libertà, dalla morte alla vita.
Ma il Cristo che risorge, spaccando la pietra del suo sepolcro e quella dei nostri cuori, è il Cri-sto piagato e ferito a morte, lacerato e appeso alla croce. I segni della sua resurrezione, i segni che testimoniano della sua tomba vuota .sono le sue mani e i suoi piedi, il suo petto trapassati dai chiodi e dal colpo di lancia. Il prezzo della sua vittoria sulla morte - e su tutto ciò che porta alla morte è la frantumazione del suo essere (come pane spezzato e diviso), l'annientamento della croce. La tomba vuota, nel primo mattino della settimana come nel primo giorno del nuovo universo - emerge dalla notte tremenda e sanguinosa della sua passione. Come a dire che senza passione non vi può essere vera resurrezione ...
Penso a quella enorme tomba che è l'oppressione, lo strangolamento dei popoli da parte dei potenti: catene ribattute dai chiodi dello sfruttamento economico, politico, militare... Croci di fame, razzismo, sottomissione, tortura. Voglio raccogliere alla luce della Pasqua appena vissuta tutto questo grande dramma della passione universale del corpo del Signore beffeggiato e crocifisso. Dramma che si rifrange a misure più piccole in estensione ma non certamente in intensità - in ogni angolo di terra, nei quartieri e nelle periferie sovrappopolate delle città, negli ospedali e nelle carceri dove l'uomo è ridotto a numero, ingranaggio, oggetto di mercato, di profitto. Sono davvero tanto numerosi i cimiteri umani nei quali la vita, l'amore, la misericordia, l'amicizia, la dignità dell'uomo e della donna soffocano in attesa di chi li chiami alla luce, alla libertà.
E' dovere cristiano spezzare le pietre dei sepolcri dove l'uomo è prigioniero della morte per aprire il cammino verso la resurrezione: è fedeltà a quel primo giorno della settimana di cui parla il Vangelo in cui gli amici di Gesù furono invitati a non cercare fra i morti Coluri che era vivo. La lotta cristiana trova qui la sua più vera ragion di essere, la sua autentica radice,
Penso a una delle ultime tombe che si sono scoperchiate per il coraggio di alcuni discepoli di Gesù che hanno affrontato con coraggio «il duello fra la morte e la vita» (come dice un antico inno della liturgia pasquale).
Una tomba che si chiama MOZAMBICO, ultimo scandalo del colonialismo portoghese, storia di stragi, di distruzioni in massa, di massacri di uomini che lottano semplicemente per il diritto di essere se stessi, un popolo libero nella propria terra e con la propria cultura.
Per il coraggio di alcuni cristiani la pietra che serrava quella tomba è stata rotolata via ed ora lascia vedere chiaramente i segni della vita che dentro vi pulsa. Un potere politico che si era finora dichiarato cattolico, difensore della «civiltà cristiana» (come in Spagna, in Vietnam del Sud, in Brasile, in Cile) è stato così messo a nudo da uomini di chiesa che finalmente hanno trovato nel proprio cuore, nella propria scelta di fede, nel messaggio stesso di cui erano stati consacrati portatori l'energia capace di rompere il cerchio di morte ed aprire una strada di liberazione.
E' la luce della Pasqua, il chiarore forse ancora tenue, ma deciso e sicuro del mattino della Resurrezione. «Un imperativo di coscienza» è il titolo del documento che ha provocato l'espulsione dei missionari e del vescovo della diocesi di Napula Manuel Vieira Pinto, Ma questa dolorosa vicenda, carica di sofferenza e d'ingiustizia, è diventata una forza necessaria a spezzare la facciata di pietra della dominazione portoghese all'insegna dì una presunta civiltà cristiana: il cristianesimo ridotto a maschera di un sistema oppressivo non può reggere quando all'orizzonte della storia comincia a manifestarsi lo splendore della Pasqua.
La stessa Chiesa del Monzambico si è trovata come colta di sorpresa da questo improvviso bagliore della resurrezione del suo Signore che non è riuscita a riconoscere. Eppure essa è costretta ad uscire dal sepolcro del compromesso, dell'appoggio, del silenzio intorno ad un potere politico che schiavizza tutto un popolo chiamato a libertà. «La vocazione degli evangelizzatori ha, come assenza, l'annuncio della giustizia... Abbiamo fatto un esame di coscienza e abbiamo detto: da oggi in avanti non possiamo più tacere su questi problemi». E' uno dei missionari espulsi a dire così: il documento da essi inviato a tutta la Chiesa del Monzambico è un appello pressante a prendere tutti insieme coscienza del dovere profetico che incombe sulla Chiesa di Cristo che deve annunciare nella situazione reale, presente, la verità liberatrice di Gesù.
La sua Pasqua di vittoria sulla morte sull'egoismo, sulla sopraffazione, attende di essere im-messa come sangue nuovo nel corpo malato dell'umanità per comunicare la nuova vita. La sua è la Pasqua della distruzione del muro di divisione che impedisce agli uomini di riconoscersi fratelli figli di Dio.
«Rinunciando alla sua missione profetica, la Chiesa annuncia di essere opprimente, legata con lo Stato... essa diventa come una contro testimonianza davanti al popolo del Monzambico»., Questi sacerdoti, questo vescovo costretti con la forza all'esilio perché fedeli più alla legge di Dio che a quella degli uomini, preoccupati dell'uomo assalito dai banditi più che delle solenni liturgie del tempio, hanno manifestato a prezzo personale che il Cristo è forza vivente nella storia umana. Hanno aperto la pietra in cui la Chiesa era rinchiusa - oggi come allora «per paura dei giudei» - e l'hanno forzata ad uscire dalla tomba dove marciva insieme al popolo oppresso.
Possiamo essere sicuri che da questa ferita, ancora aperta e sanguinante (e chissà quanto do-vrà durare ancora questa via crucis), la fame violenta di giustizia che agita da anni il popolo del Monzambico troverà nuovo vigore per una resurrezione nella libertà. Le ferite di questi nostri fratelli, insieme a quelle dì tutto il popolo per cui essi lottano, sono - in questo tempo pasquale - una delle grazie più serie a cui siamo chiamati a partecipare.
don Beppe
Io cerco un vecchio
che mi dia la mano
e mi conduca
sulle orme del tempo
io cerco il suo volto
bruciato dal sole
nel fondo dell'acqua nel cielo.
Portami lontano
su quella spiaggia bianca
dove le conchiglie calcificate
suonano ogni volta che l'acqua
le sfiora
dove gli alberi pietrificati
stanno nel silenzio
immoti
lungo la china
del monte incantato
su quella spiaggia bianca
dove i sogni di ieri
ritornano veri
dammi le tue mani
e riportami lassù
ogni volta che muoio.
Piera
Scrivo ora, a pochi giorni dal referendum, quello che mi passa nell'anima di cristiano e di prete. .
Ci siamo, noi della nostra comunità, tenuti fuori volutamente dalla mischia e non perché non avessimo idee chiare e decisioni precise, del resto indicate, anche se brevemente, nel numero precedente di questo nostro foglio. Tanto meno è stato per paura di interventi d'autorità, di sospensioni, ecc.
Ci siamo tenuti fuori unicamente perché questo confronto cosiddetto "civile", diventato invece aspro scontro religioso-politico, l'abbiamo risentito ancora una volta battaglia provocata dal clero, combattuta dal clero, a sistemi e metodi tipicamente clericali. E questo clero che si agita e si rimescola dentro problematiche costrette a significare lotte di religione, scontri di cristianesimo, dispute dottrinali, impegni pastorali, ecc., non riusciamo a digerirlo.
Se referendum doveva esserci (e non doveva assolutamente) la Chiesa-Clero bisognava che lasciasse ai laici una buona volta le proprie responsabilità e le proprie scelte. .
L'evangelizzazione è un fatto che comporta un giocare tutto in una testimonianza e in un annuncio: una vittoria in un referendum (che dovrebbe essere la massima manifestazione della sovranità del popolo e quindi della sua libertà) non ha niente a che fare col Regno di Dio nel mondo, non salva nulla di quello che il Mistero cristiano deve salvare nel mondo, semmai lo compromette assai e così tanto da renderlo irriconoscibile come Regno di Dio.
Tanto più che in tutto questo marasma del referendum non può non venire da pensare che la famiglia concretamente non interessa a nessuno dei contendenti: tutti la vogliono salvare e è un ombrello sotto il quale si riparano gli interessi più oscuri.
Chi ne ha fatto le spese, e in maniera e misura da sgomento, è la famiglia salvata da tutti e sputtanata da tutti, come messa in vetrina scoprendone tutti i mali e le vergogne, raccontandone tutte le casistiche più toccanti in una sentimentalizzazione da nausea.
E il Cristianesimo?
E' il grande sconfitto da tutta questa orribile storia del referendum. Strumentalizzato, bistrattato, profanato da tutti. Stiracchiato mani e piedi ancora una volta perché arrivasse ai buchi prestabiliti per i chiodi, povero Cristo.
Ancora una volta ha fatto le spese il Cristianesimo all'inciviltà, alla violenza, alla spudoratezza dei gruppi di potere, asservendolo e umiliandolo ad essere contro il popolo, contro la fraternità, la libertà, la pace. Usandolo come un'arma per offendere e schiacciare, costringendolo ad essere difesa e affermazione della legge, Lui, Gesù Cristo, morto in croce a seguito della legge, perché liberava dalla legge, e per convincere l'umanità a credere ad una sola legge, che non è una legge, ma Dio stesso,1'Amore.
Tutti, cominciando dalla Chiesa fino all'ultimo gruppuscolo, dai vescovi fino ai conferenzieri del dissenso, a strapparsi Gesù Cristo di mano uno con lo altro per dichiararsene il vero possessore, l'autentico annunciatore, in una tristezza teologica, intenzionata e banale, da nauseare fin nel più profondo dell'anima.
La Chiesa?
La Chiesa (intendo la Chiesa gerarchica perché la Chiesa, popolo di Dio, è altra cosa e forse solo lo Spirito Santo la conosce e Lui soltanto la porta avanti in Regno di Dio che viene incessantemente) la Chiesa ancora una volta ha preferito essere legge invece che Amore, divisione piuttosto che unificazione, scontro invece che incontro, dottrina invece che annuncio di Vangelo.
Una lunga, immensa fatica che vuol dire papa Giovanni, Concilio Ecumenico, e cioè lo sforzo appassionato costato ricerche pagate da sofferenze terribili, attese fatte soltanto di speranza, di Amore senza fine per anime profetiche, per gente e popoli ansiosi di rinnovamento, per una Fede liberata, per una passione di fraternità, per un Amore di Chiesa, segno e realtà di Cristo fra il popolo e fra i popoli.. tutto stroncato ancora una volta. A vuoto. Inutile.
Verrebbe in mente che è stata tutta una tremenda illusione la speranza di una Chiesa diversa. C'è da sentirsi giocati ancora una volta, dopo innumerevoli volte e di avere giocato anche gli altri, convincendoli alla speranza.
Chi ha vissuto gli anni delle crociate del dopoguerra, delle lettere pastorali, delle scomuniche, dei comitati civici, delle guerre di religione, sa molto bene quanto ci siamo ritrovati di nuovo, come ricaduti di colpo, a quei tempi.
Con tutta l'angoscia delle divisioni, dei risentimenti, degli odi, dei fedeli e degli infedeli, di buoni e di cattivi cattolici e di una Chiesa respinta, insopportata e insopportabile.
Con tutta l'immensa crisi religiosa e cristiana che ne consegue fino a rendere sempre più problematica una evangelizzazione, svuotata praticamente di contenuti evangelici, inaridita in dottrinalismi troppo facilmente scambiabili con strumenti di potere.
Riflessioni amare, ma non per polemica ma unicamente per sofferenza terribile motivata da appassionato Amore a Gesù Cristo, da tenace fedeltà alla Chiesa, da una voglia infinita di Regno di Dio fra gli uomini. Null'altro che un po' d'Amore in questo mondo dove è tutto violenza di sopraffazione, un po' di liberazione mentre sempre più si stringe alla gola dei popoli e dell'umanità il cappio della schiavitù.
don Sirio
Luigi Sonnenfeld
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