LOTTA COME AMORE: LcA ottobre 1973

La Parola di Dio è per oggi

Leggiamo una pagina di Sacra Scrittura, di Vangelo: avviene ogni domenica nelle chiese, nei gruppi di spiritualità e d'impegno cristiano, nella meditazione e riflessione individuale.
E' una Parola antica, di secoli e millenni. E' stata pronunciata in tempi e condizioni enormemente diversi dai nostri tempi e dalla nostra vita. E' stata scritta a seguito di interpretazioni di persone e di comunità che hanno fatta loro la Parola, vi hanno consentito e l'hanno vissuta fino a rac-contarne e scriverne l'esperienza.
E' pensiero di Dio fatto parola nella vita e nello scritto di altri, certamente credenti, che con sincerità e fedeltà hanno trasmesso l'accoglienza della manifestazione di Dio, riversandovi tutta la loro fede e il loro amore per quella Parola e cioè per il pensiero e la volontà di Dio.
Così è anche della Parola dì Gesù, anzi tanto più perché la Sua Parola è carne viva, esistenza concreta. E' Parola, cioè, da potersi toccare con mano, capace di offrire esperienza che, a sua volta, comunicata e annunciata dall'evangelizzazione apostolica ha creato altra esperienza, altra concretezza esistenziale, quella delle prime comunità cristiane.
La Parola scritta, quella che noi leggiamo, è stata parola pronunciata a viva voce in mezzo a degli ascoltatori che l'hanno accolta, vi hanno creduto e hanno cercato di renderla vita, esistenza quotidiana, giudizio per il tempo e la storia di quel momento, indicazione precisa, inequivocabile di respinta e di scelte, costruzione di vita nuova, diversa, cioè di una vita che nasceva direttamente da quella Parola. La manifestazione della parola come Parola di Dio ha, dunque, fra le caratteristiche essenziali, anche questa: dev'essere Parola che cade nell'oggi, scende nella realtà concreta del momento e produce i segni visibili di una vita nuova. Crea e mette in luce, cioè, un rapporto tra il pensiero di Dio, la sua volontà, il suo mistero d'amore e l'oggi, il momento presente, 1'attualità che viene vissuta. Rivelazione di questo rapporto è la Parola scritta della Bibbia, in particolare del Vangelo.
La Parola di Dio scritta, che leggiamo, come fu mezzo di conoscenza di Dio agli uomini, quando fu pronunciata e quando fu scritta, è di nuovo mezzo, aiuto, strumento, luce, grazia di conoscenza di Dio per noi che l'ascoltiamo o la leggiamo nel nostro momento storico. La cosa importante è decisiva è che quella Parola, letta o ascoltata in questo nostro momento, incida veramente e costruisca vita, modo di esistenza, mentalità e concretezza nuova, sempre più nuova. La Parola di Dio è creatrice, oppure non è Parola di Dio: è chiacchierare d'uomo o di uomini, ecclesiastici o no che siano.
E' responsabilità nostra, di credenti, rendere di oggi la Parola di Dio. Sentirla e farla sentire bruciare nella carne viva, affrontare la sua esigenza e le sue richieste, dilatare il cuore per il coraggio e la speranza che infonde anche se è spinta irresistibile alla compromissione e al rischio.
E' impegno di annuncio - di evangelizzazione - che non può essere sforzo nozionistico legato alla conoscenza di formule dogmatiche o di regole morali.
Evangelizzare è calare, è mettere dentro la vita la Parola di Dio davanti alla quale si è provocati a dire di sì, se la fede illumina a dire di sì, o a dire di no, se vince la vigliaccheria o la sopraffazione della paura per scelte troppo diverse e impegnative.
Ci sono molte cose di fondamentale importanza che spesso mancano nella proclamazione della Parola di Dio: dottrina, preparazione, autenticità, fedeltà, coerenza, ecc., tutte componenti di non poca importanza per una Parola che dovrebbe manifestare la Parola di Dio. Ciò che più manca è il legame tra la rivelazione dell'amore di Dio e i profondi problemi della vita, l'oggi storico, il momento attuale contenente l'esistenza umana nel suo groviglio di angosce e di ricerche.
L'ostacolo maggiore, forse, sta nel rigirare tra le mani questa Parola, sciacquarla e risciacquarla nella bocca, dirla rimescolata ad un'infinità di parole, discorrerci intorno. Viene fuori un parolume in cui la Parola è semplicemente introvabile, irriconoscibile, mentre anche l'oggi scompare. Ne risulta una Parola senza tempo e senza luogo che non è né del cielo né della terra, tanto meno degli ascoltatori. Tant'è vero che questi stanno diminuendo paurosamente fino a creare il problema della gente cui rivolgere la Parola.
L'evangelizzazione, dunque, non può perdere il suo significato e la sua essenziale caratterizzazione profetica pena il suo slavarsi in un cianciare inutile e vuoto, anche se forbito di disquisizioni esegetiche e teologiche e potenziato dalle più pregevoli strategie pastorali. Essa deve seguire le indicazioni e i modi dell'attualizzazione della Parola quando fu pronunciata, quando poi fu scritta.
A Nazareth, nella prima evangelizzazione di Gesù, egli, nella sinagoga si alza a leggere la Scrittura. «Gli fu presentato il rotolo di Isaia, e svolto che l'ebbe trovò il passo dov'era scritto: lo Spi-rito del Signore è su di me,... Arrotolato quindi il volume, lo restituì all'inserviente e si sedette. Gli sguardi di tutti i presenti erano fissi su di lui. Ed egli cominciò a dir loro: Oggi si è adempiuta questa scrittura in mezzo a voi» (Luca 4,14 ss.).
Possiamo affrontare, in conclusione, la «lettura» della Parola di Dio non tanto come un dato critico da attualizzare, ma come qualcosa di diverso, di più. E' sorgente di ispirazione, è forza che sostiene nel cammino, ne orienta le scelte e spinge a farle diventare esistenza quotidiana, accolta come ambiente o momento in cui l'uomo vive in comunione con Gesù Cristo e si lascia salvare in Lui e per Lui. .
Il criterio di interpretazione, senza voler sminuire l'importanza di una seria analisi scientifica, è il quotidiano vissuto e amato in comunità di vita in semplicità di accoglienza e di proposta, per una presenza di rottura e di opposizione alle strutture del male che contrastano e ostacolano l'incontro con Dio. Questa realtà si costruisce, si chiarifica e si espande in dialogo permanente con Cristo che ne illumina i risvolti più profondi e mostra la vera dimensione dei contrasti che ne rallentano lo sviluppo e il cui superamento diventa sorgente di luce e di impegno.
L'emergere di una comunità nella quale la presenza della Parola di Dio si esprime nella vita è criterio di lettura viva nella Bibbia. La vita umana trasformata è interpretazione vissuta della Parola di Dio; essa è non solo l'ambiente per accoglierla ma anche chiave di «lettura» globale sempre rinnovata e rinnovantesi della Scrittura.
Solo così è possibile che Cristo nella sua Parola, sia vivo e vivente in mezzo a noi, in questo nostro mondo nel quale stiamo vivendo in questo momento.
L'interpretazione, la «lettura» più ricca è l'uomo che vive.

La Redazione

Gente del Vangelo

12 - Davanti ad una parola dura

«Questo è il pane disceso dal cielo: chi ne mangia non morrà!». «Avendolo dunque udito, molti dei suoi discepoli dissero: Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».
Mi sembra di cogliere sulla bocca di questi discepoli, un'assurda e irrefrenabile paura della morte: fino a tal punto da respingere l'offerta di vita di Gesù, chiudendosi in una disperata difesa della propria 'carne'. Colpisce il ritrovare tanto spesso, nella vita quotidiana, atteggiamenti simili: esistenze pietrificate, incapaci di abbandonarsi alla fiducia nutrendosi di speranza. .
E' tentativo vecchio di secoli per cercare una sopravvivenza alle durezze, ai problemi, ai misteri di questa nostra esistenza dove sembra prevalere, al di là di ogni buona intenzione, un solo tipo di rapporto tra gli uomini, ed è rapporto di sopraffazione vicendevole per un'illusione di vita strappata a chi ci precede verso la morte.
In un mondo dove chi non mangia è mangiato, ingoiato e digerito, carne e sangue di povera gente fatta denaro e prestigio di potenti, sapere che qualcuno possa, anzi desideri, essere mangiato per comunicare la vita con infinito amore, è al di là di ogni umana comprensione.
Chi supera questa linea difensiva, chi entra in questa logica impensabile, chi crede possibile una comunione senza veli d'interesse, è, in diversi modi e misure, mosso dal Padre.
«Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se ciò non gli sia dato dal Padre».
Non è facile per noi riuscire ad individuare con certezza l'opera di Dio nell'umanità.
Siamo spesso preda dell'attrazione di modelli che non ci permette di cogliere il soffio improvviso dello spirito eternamente creatore. Siamo, molte volte, così superficiali da dare timbri di autenticità là dove c'è solo sistemazione personale e tentativo di buttar fumo negli occhi. Viviamo in questa tensione tra fedeltà, tradizione e iniziativa in perenne rivoluzione, senza riuscire a stabilizzarci. Forse l'unico modo perché non avvenga di scandalizzarci di fronte alla vita che il Padre continuamente genera, è lasciarci muovere da Lui, affidarci alla sua Parola, prendere sul serio i suoi inviti, vivere e rischiare un rapporto con Lui che non dipenda da ciò che gli altri fanno. pensano o credono. Il misurarsi con gli altri quando l'unico punto di riferimento dovrebbe essere il Signore, è cosa tremendamente pericolosa: non può non portare ad inevitabili e irriducibili complicazioni.
«Tu solo hai parole di vita eterna»: ecco la risposta che diviene criterio di identificazione dell'umanità mossa e vivificata dal Padre nello spirito. Là dove la fedeltà non è pretesto per chiusure e paure strane, ma indicazione di scelte coraggiose che si innestano sulla stessa radice per una vera fruttificazione, là il Padre muove la realtà tutta per una lotta di liberazione in vista di una totale riunificazione.
Là supera ogni difficoltà, ogni ristrettezza, ogni piccineria, la nostra fede, e diviene luce serena e chiara ad illuminare l'invisibile traccia dello Spirito.

don Luigi

Caino e Abele oggi

La riflessione sugli avvenimenti di questi giorni, segni dolorosi del travaglio dell'umanità nel suo cammino misterioso, porta a valutare con profondo senso realistico quello che i vescovi del Nord-est brasiliano affermano nel loro documento del 6 maggio '73: "Siamo convinti che questa è l'ora di scegliere Dio e il popolo. E' l'ora di essere fedeli alla nostra missione".
Ho ripensato a quest'affermazione del documento che testimonia la coraggiosa volontà di scelta e d'amore di questi vescovi, collocandola nel quadro delle vicende tragiche che affogano il cuore perché salgono come marea violenta da ogni angolo della terra. E mettono in questione tutto un modo concreto di vivere la fede in Dio, l'amore autentico a Gesù Cristo e all'uomo.
Per chi ha orecchi e cuore per intendere il senso nascosto di ogni movimento che attraversa la storia umana, non è davvero difficile avvertire che questi nostri tempi - forse molto più che per il passato e forse come sempre ad ogni generazione - richiedono la decisione per una scelta di cammino e di vita che si fa sempre più bruciante. E la necessità di questa decisione, di questa scelta di campo e di frontiera si riannoda da una generazione all'altra fino alle origini dell'umanità, ai drammi e alle lacerazioni che con essa sono nati.
C'è una vicenda angosciosa che attraversa lo svolgersi storico come spada fino a lacerare la nostra stessa carne e ferire il nostro cuore sbigottito di fronte alla realtà inspiegabile del male. La storia di Caino che uccide il fratello Abele non è novella da raccontare ai bambini del catechismo, ma dramma terribile che brucia la terra, insanguina la vita, scava solchi profondi di disperazione e di solitudine. Abele e Caino sono individui e sono popoli, sono singoli e sono nello stesso tempo gruppi, masse, razze, generazioni. Sono come la radice della storia umana, del suo tempestoso scorrere nel tempo e nello spazio: radice maledetta, segnata dalla morte, se fra le tenebre di questo dramma non si fosse accesa la luce, se Qualcuno non avesse posto per sempre la sua casa fra di noi. Per abbattere il muro della divisione, ricomporre l'unità, fare la pace, ristabilire la perfetta comunione, dar vita ad una nuova creazione e ad un mondo nuovo. Riconsacrare e riscattare lo spazio umano, la terra e il cuore, dalla maledizione di Caino: perché solo l'amore sia la nuova radice dei pensieri, dei sogni, delle lotte umane. Perché ogni uomo, ogni donna, ogni popolo sia unicamente amore per l'altro.
Così il dramma di Caino continua; ma dentro, nel profondo, nascosto come seme nella terra, come germe vitale in un seno di donna, si muove la vena d'acqua viva che può condurre ogni cosa a vita eterna. Che può impedire che l'umanità diventi deserto.
Gesù è quest'acqua viva, questa luce, questo germe di vita nuova. Dio calato, incarnato, nascosto nel seno dell'umanità, nel profondo mistero di questo dramma umano. La sua storia è storia di Abele crocifisso e ucciso dal Caino che siamo noi tutti, ma è anche vicenda di resurrezione, di vittoria sul peccato e sulla morte.
La storia è salva perché dentro di essa è stato radicato per sempre l'amore di Dio in Cristo e da Lui nasce una speranza che nessuno può distruggere, perché essa getta le sue radici di vita nel cuore degli avvenimenti. Se è annuncio di un futuro ricolmo della pienezza del regno di Dio, essa è anche energia viva per il presente, per condurlo più avanti e farlo crescere nel senso della liberazione dalla miseria e dall'ingiustizia, dall'oppressione della violenza e del potere.
Da questa certezza della presenza vivificante del Cristo risorto nel processo della storia scaturisce per i cristiani - per la Chiesa -- il dovere di testimoniare questa speranza di salvezza nell'intricato tessuto della vita quotidiana. Sperare non vuoi dire conoscere già tutto del futuro; ma saperlo accogliere come un dono. Tutto questo però esige di essere testimoniato nella negazione dell'ingiustizia, nella protesta per i diritti umani schiacciati e nella lotta per la pace e la fratellanza.
La speranza in Cristo se conduce da una parte all'accoglienza delle gioie dei fratelli, alla dolcezza dell'amore comune, porta anche allo scontro, alla lotta per le ingiustizie da sopprimere, per la schiavitù da cui liberarsi, per la verità da gridare ai quattro venti. Anche se spesso i quattro venti acquistano la dimensione concreta dei quattro angoli della croce.
Basta collocare questa riflessione - come a me è capitato - nella prospettiva concreta di ogni angolo di terra bruciato dall'odio fratricida, per accorgersi di quale tipo sia la scelta richiesta ai credenti in Dio che è amore.
Ho pensato al Cile: un angolo di terra insanguinata dallo stesso vecchio dramma appena appena adombrato dal racconto biblico. Qui Caino ha preso l'aspetto di uomini decisi a stroncare nel sangue tutta una ricerca di un modo diverso, nuovo, di impostare le relazioni umane, il lavoro, la cultura, il vivere insieme di un popolo. Caino - in Cile come in mille altri lembi insanguinati del mondo - ha il volto duro, il cuore di pietra, il pugno sprezzante dei militari. A Santiago imbraccia il mitra, guida i carri armati, dà ordini spietati, brucia le parole della speranza sulle piazze, fucila studenti, sindacalisti, operai, fratelli che cercavano e sognavano un mondo più umano e più giusto. Ed ha anche il colore tagliente dell'oro delle banche, delle grandi compagnie internazionali, dei piccoli interessi di chi preferisce uccidere piuttosto di perdere il proprio star bene. Caino è cresciuto, è diventato molto forte, ha dimensioni nuove; ma è sempre lo stesso, uguale al primo, perché come lui è assassino.
E' di fronte a questo volto drammatico di un'umanità che si fa omicida di se stessa, di uomini che si giustificano del sangue versato ("a scopo di libertà e di ordine") che diventa urgente compiere una scelta che nasca da un cuore pieno della fede in Dio, dell'Amore a Gesù Cristo, della volontà di essere fratelli e sorelle di tutti, specialmente degli ultimi degli uomini, dei rifiutati, dei respinti, dei crocifissi.
In Cile, come in Vietnam del sud col suo carico di prigionieri torturati e uccisi; come in Brasile, in Angola,in Palestina... come dovunque gli uomini decidono di affogare nel sangue lo sforzo di libertà e di costruzione di vita nuova.
La scelta richiesta ha un senso tragicamente chiaro per chi voglia compierla in fedeltà a Gesù Cristo, anche se essa costringe a uscire allo scoperto, a confessare nella concretezza del momento quella fede che era come luce nel segreto. E' allora che la Chiesa, la comunità dei credenti si mostra veramente per ciò che essa è. Chiesa di falsi pastori, di falsi profeti, di mercenari; Chiesa di testimoni di Gesù crocifisso e risorto, fedeli amici di chi per amore andò a morire fuori delle mura di Gerusalemme - la città della pace, la città santa - appeso alla croce. La diplomazia, la doppiezza, la saggezza e la furbizia sono smascherate dall'irrimandabile dovere di scegliere fra Caino e Abele, fra i crocifissi e i loro crocifissori. E lo scegliere è imposto da un amore così serio e autentico che abbraccia tutti e due - Caino e Abele - e che per amore costringe ad aprire la porta e scendere in strada dove il popolo dei poveri e dei perseguitati compie la sua marcia dolorosa.
A Santiago come a Saigon; a San Paolo come a Gerusalemme, come dovunque ci sono Erode e Pilato con i loro eserciti e il loro potere a processare e condannare a morte il popolo che grida e cerca la verità, la scelta mette a nudo la contraddizione dei credenti.
Perché non si può servire a due padroni, non si può stare con Caino e Abele nello stesso tempo; non si può rimanere nelle mura del tempio perché la casa di Dio è là dove si alza una croce "O con me o contro di me", è la proposta radicale di Gesù, quello di allora e quello di oggi: e ci chiama a sceglierlo nel suo volto di condannato, torturato, ridotto a una piaga sanguinante. Ed è allora che vorremmo tanto avere la grazia di riconoscerlo e di non rinnegarlo.

don Beppe

La mia crisi

In ogni tempo vi è sempre un carico di problemi che non può non dare un senso di sopraffazione in chi quel peso deve portare. Il suo esistere lo lega a quel preciso tempo, lo costringe a quelle situazioni storiche, gli viene inevitabilmente addosso la montagna che sta franando in quel momento.
L'esperienza della propria inutilità, o addirittura della propria pazzia a tentare di fermare la frana, accresce paurosamente l'assurdità della fatica, fino a ripiegarsi a condizioni di stupidità, stupidità personale e ideologica, di impegno individuale o di gruppo e di speranze a livelli di umanità.
Bisognerebbe avere la Fede - è l'unica possibilità di equilibrio - capace di dire a quella montagna: levati di lì e gettati in mare. Ma non sempre questa Fede pazza è possibile, e rifugiarcisi a cercare la forza per tirare avanti non sempre è facile. Forse impedisce questa Fede e l'energia che ne deriva, come l'acqua limpida da una sorgente dalla spaccatura della roccia, lo scontro quotidiano nella concretezza delle cose, la constatazione amara della legge - disumanità che domina il mondo e imperversa fino al punto che sembra rimediabile soltanto dalla stessa legge anche se con finalità opposta: la ricerca, la lotta per l'umano bisogna che passi inevitabilmente dal disumano.
L'Amore diretto, immediato, a cuore aperto, come mi viene sempre da dire, è sempre più un'utopia, se non si rassegna prima ad essere, almeno momentaneamente (cioè per il tempo necessario, e chi può stabilirlo questo tempo?) ad essere disamore, cioè odio per l'Amore, guerra per la pace, rivoluzione violenta per la giustizia, oppressione per la libertà, violenza per la vita, ecc.
E' la famosa legge dei contrasti che, applicata alla storia, si risolve in un ricominciare sempre da capo, appena che la terra ha finito di risucchiare il sangue, e una nuova generazione ha seppellito la storia tessuta dalla generazione precedente.
La mia Fede di sempre è in crisi. Inevitabilmente. Vi sono logoramenti che non si possono né si devono forse evitare.
Il passare degli anni approfondisce te capacità d'intuizione e piano piano si arriva sempre più allo scoperto, dove è impossibile non vedere immediatamente le cose, quasi con crudeltà, spietatamente, senza possibilità di ombre, di nascondigli, di un guardare da un'altra parte e tanto meno indietro.
L'avvicinarsi all'essenziale, fino a subirne la necessità e quasi rimanerne affascinati, è pericoloso, può essere drammatico, certamente è perdere la pace, la possibilità di starsene in pace.
E l'essenziale vuoi dire sapere ciò che è l'apparenza e la verità delle cose, qual'è il segno e il suo significato, cos'è ciò che si vive e cos'è ciò che decide.
A questo punto - e lo sto dicendo balbettando e quasi come a cenni - si aggiunge il passaggio obbligato dal particolare all'universale, e cioè da me, da te, da noi alle misure di umanità.
Quando la dimensione perde la concretezza, la possibilità di una misurazione, di un contenimento, allora entra nell'anima l'esigenza e il dovere di vedere sempre al di là.
L'accettare di avere i piedi qui e vivere in conseguenza nell'impegno totale di se stessi è un grande aiuto e risolve molto il problema della propria pace.
Il quotidiano è capace di contenerci e d'esaurirci: quando tutto va bene, possiamo anche arrivare ad essere soddisfatti di noi. Cosa importante per vivere con entusiasmo. Basta dimenticare che questo quotidiano porta già con sé la propria ricompensa e sta chiudendoci nel suo egoismo, nel suo limite e cioè nel poter esser tranquilli. Il quotidiano ci dà, per esempio, la gioia di essere stanchi, di esserci spesi tutti in una laboriosa, intensa giornata, assolutamente lontani dal considerarci «servi inutili» e cioè nemmeno servi ma padroni di se stessi, fino alla programmazione di come spenderci e esserci poi spesi fino all'ultimo centesimo. Allora si può chiudere la porta di casa, recitare le pre-ghiere della sera e addormentarsi in pace...
Ho creduto molto in questo cristianesimo e forse sotto sotto ci credo ancora e non vivo altro che di questo cristianesimo.
Però molte «sistemazioni» religiose, cristiane, sacerdotali, da tempo si sono rotte, frantumate.
Non è che sia venuto fuori qualcosa di nuovo e forse nemmeno di diverso, eppure molto è cambiato.
La soddisfazione di sé è molto difficile, ormai, e tanto meno la pace.
Un senso di vergogna mi perseguita come un'ombra e mi richiama continuamente a qualcosa d'altro che non so precisare, non so in che cosa può realizzarsi, ma so che esiste e mi provoca.
E' come sentirsi chiamati continuamente fuori casa, e poi fuori della propria città. La patria è valore assurdo, ormai. La ridicolezza dei confini insignificanza della propria gente, della cultura, della civiltà, ecc.
L'orizzonte è come un velo che si è alzato, una nebbia che si è dissipata, scoprendo la vastità del mondo.
E non soltanto in senso fisico, materiale, ma come umanità e umanità non vista in cifre, nemmeno in moltitudini sconfinate, ma come umanità unitaria, una realtà immensa, ma precisata in un valore unificato e così tanto da accogliersi in cuore, ma specialmente da rimanerne sopraffatti, inghiottiti, risucchiati.
Umanità sentita e vissuta come il proprio corpo, una presenza che raccoglie tutta l'attenzione fino a provarne ogni vibrazione, ogni sussulto, ogni emozione, ma specialmente ogni dolore, ogni disperazione.
Rimbalzano dentro perfino i millenni passati, è come se fossero oggi, anche perché ciò che è d'oggi è ciò che è stato nei millenni.
E' terribile perdere la propria identità e ritrovarla, sentirla chiara e viverla in quella del mondo, dell'umanità intera.
A questo mi ha portato la ricerca cristiana e la fatica di Fede e di Amore, a guardare sempre al di là delle cose che sono d'intorno, delle persone con le quali ho vissuto, delle realtà particolari nelle quali mi sono impegnato.
Guardare al di là secondo la misura dello sguardo di Dio e sulla linea del suo Mistero (così chiaramente precisato in Gesù Cristo) vuoi dire rischiare di perdere contatto con ciò che si vede e si tocca e cercare comunione con ciò che è molto più lontano dalla mano e perfino dal cuore, senza dubbio al di là di ogni possibilità di poter fare qualcosa in questa immensità, dove è dato e dove è possibile soltanto perdersi e cioè morire in croce per esservi seriamente dentro e viverci con un rapporto concreto.
Quando maturano queste sensibilizzazioni o si aprono queste visioni delle cose e il mistero della vita si svela in tutta la sua profondità (e forse perché Dio ha manifestato Se stesso e la Sua luce ha illuminato il mondo davanti ai nostri occhi) allora il minimo che succede è che ci si sdoppi, si cominci a vivere una doppia vita: quella di tutti i giorni, nelle solite cose, nella vicenda più o meno interessante o banale del quotidiano, e l'altra vita, quella che è smarrita nel mondo, ad ascoltare l'umanità, a raccogliere l'universale, a intuire la sintesi, a partecipare la drammaticità. Perché di tragedia si tratta, a vivere le cose del mondo.
L'inconciliabilità di una vita con l'altra (anzi spesso è un vero e proprio problema di contrasto, di opposti) diventa una sofferenza senza fine, tanto più che l'immediato, il concreto, il quotidiano si mangia tutto il tempo, tutte le forze in un tentativo implacabile e impietoso di succhiarsi tutto il vivere, anima e corpo, ideali, speranze, sogni ... fino al tentativo di spengere, di soffocare l'altra vita, quella che, in fondo, sentiamo come la vita vera, quella per cui si può e si deve vivere.
Il dovere immediato, le convenienze, l'ambiente, la mentalità, l'andamento stabilito, la forza delle cose, delle persone, delle mille difficoltà, ecc., e poi la paura, la vigliaccheria, il non sapere cosa fare, cosa decidere il rotolare da un giorno all'altro ... tutto uccide la mia vita, quella vera, quella per cui sono nato, quella che Dio ha segnato come mio destino. Sono già morto e forse da molto tempo.
L'ho visto bene quando si è trattato del Vietnam e poi del Cile e poi della guerra arabo-israeliana... per citare qualcosa di quello che avviene continuamente nella mia umanità, quella spaventosa e orrenda compravendita dei miei fratelli che avviene nella politica, nella ragione economica, nella guerra, nel benessere, nella fame, nell'oppressione, nella liberazione, nella vita, nella morte...
Mi sembra di stare a guardare.
Seduto su una comoda poltrona come al cinema. Oppure se ne parla, se ne discute come durante un gioco, anche se a carte scoperte.
Dopo, me ne ritorno alle mie cose. Contentandomi di un po' di S. Vincenzo dei Paoli nei miei rapporti con la storia, rassicurandomi nell'adempimento del mio dovere quotidiano.
Detesto ormai una Chiesa che mi aiuta in questo cristianesimo e a questo cristianesimo mi ha educato. E questo cristianesimo e questo sacerdozio unicamente mi chiede.
Ora sono in crisi. Le molte rotture non sono valse ad altro che a scavare profondità incolmabili di sofferenza e di vergogna. Perché mi hanno dato di conoscere una strada: da un pezzo mi sembra di non conoscerla più. Certamente non vi sto camminando.

don Sirio

Storie di lavoro

Poco meno di un anno fa, sono entrato a lavorare in un piccolo cantiere navale del porto. Cu-riosità e timore mi hanno accompagnato, i primi giorni, passando da una condizione di lavoro avventizio, a giornata, senza limiti precisi, al lavoro scandito dal suono delle sirene, fatto in gruppo, assicurato e protetto da una organizzazione sindacale. Insieme, però, un grande rispetto per tutta la realtà operaia che so di amare con tutto il cuore fino a volerne condividere la condizione, la sorte, la lotta (quella quotidiana per il boccone di pane e quella di tutta la vita perché questo boccone sia sempre meno un'elemosina per divenire segno di una eguale dignità).
Mi sono trovato in un mondo particolare, non chiuso da muri o da cancelli. ma aperto, sulla strada, dove il lavoro si confonde con lo sciamare degli studenti in eterna vacanza, l'andirivieni dei camion, il traffico dei pescatori, il curiosare degli sfaccendati. Una grande bottega dai confini indefinibili che, a poco a poco, invade la banchina, straripa sulla strada, familiarizza con tutti, impone insomma la sua presenza.
Un gruppo di uomini - i miei compagni di lavoro -, messo insieme in qualche modo senza pretese d'ordine, il 'tu' e la familiarità con i padroni, uno stanzone in perenne disordine con un accenno di servizi: questa la forza che, sostenuta da elettricisti, pittori, muratori, falegnami, moto-risti, idraulici, ha aggredito una vecchia nave, sventrandola e riappezzandola a nave stalla per il trasporto di animali vivi.
Cinquanta, settanta, cento uomini, gomito a gomito, a tagliare, saldare, montare, verniciare, spazzare..., in un sovrapporsi continuo, a far disperare che si potesse recuperare il bandolo della matassa, per ultimare il lavoro e far partire la nave.
Poche macchine, molta forza di braccia, in un ritmo a volte blando che sotto il sole d'estate si fa serrato ad annebbiare di sudore la vista e il cuore, a maledire la propria sorte, ad imprecare contro chi ha la vita facile, a cercare quella riserva di rabbia con cui spingere al suo posto quella lamiera, tagliare con la fiamma i doppi-fondi marciti, asciugare le casse sepolte in fondo alla stiva.
Fino al giorno in cui, ed erano passati sette mesi, il risultato della nostra fatica ha preso il largo, incerto come un bimbo ai primi passi, per andare a stivare a Malta un carico di tremila maiali.
La banchina ha ripreso l'aspetto di sempre e sono tornati bene in vista i panfili da mezzo miliardo a ricordare, dopo questa parentesi inconsueta e per la loro nobiltà assai urtante, che negli affari le avventure contano poco e sono loro, segni di una ricchezza onnipotente, a dominare imperturbabili la scena.
Durante questi mesi, non credo di aver fatto grandi discorsi, anzi di avere parlato piuttosto poco per lasciare spazio ad un rapporto umano senza forzature.
Non sono entrato nella vita operaia con l'animo teso di chi si sente portatore di un'istanza rivoluzionaria, ma neppure per allivellare la mia vita a quella degli altri, per sentirmi uno come tutti. Da alcuni anni ho scelto una vita... di lavoro normale per essere, in questa condizione di esistenza, al servizio dì un'autentica comunione tra gli uomini, nell'accoglienza della volontà del Dio che «ha rovesciato i potenti dai loro troni ed ha esaltato gli umili, ha saziato di beni gli affamati e rimandato i ricchi a mani vuote».
Questi mesi di vita operaia mi hanno confermato in questa scelta. Anni e anni di storture, di menzogne, di sopraffazioni, di incomprensioni, di interessi, hanno aperto un baratro tra la povera esistenza umana e la fede religiosa, ridotta quest'ultima quasi un bene di consumo per chi ha un po' di soldi e di tempo libero.
Tentare di colmare questo baratro, significa accogliere la tensione tra fede e vita come convergenti tra loro, prima di tutto nella propria esistenza. Porsi nella condizione (non solo per quan-to riguarda il problema del lavoro, ma il quadro quotidiano della vita e le esigenze che ne possono nascere) dì poter leggere il Vangelo e non trovare niente che nell'esistenza propria vi contraddica apertamente. Perché Cristo torni ad essere, in qualche modo, credibile e vivibile e non un idealista crocifisso ed ogni giorno messo in croce proprio da coloro che se ne proclamano seguaci.
Perché rinascendo una fiducia nella parola e nella vita di Gesù, cresca anche la fiducia nell'affrontare a viso aperto la vita, allargando il cuore oltre il proprio problema personale e familiare. Piccolo fuoco a sciogliere il ghiaccio di egoismi e di chiusure impressionanti, piccolo fuoco nel cuore del testimone, del credente, del cristiano e, per tutta una partecipazione al mistero di comunione, del prete.
Non attraverso i discorsi e le chiacchiere più o meno azzeccate, ma con l'intera esistenza pronta a calarsi in altre esistenze per una comunione di vita.
In questa prospettiva è sufficiente un sorriso, un'occhiata d'intesa, un discorso colto a mezz'aria, due riflessioni messe insieme tra il rumore assordante e l'odore acre delle saldature. Ci vuole così poco perché avvenga una lenta, invisibile comunicazione di doni, di sensibilità, di valori, di energia per lottare la vita.
Ci vuole così tanto poco perché la vita parla quello stesso linguaggio fatto di sudore, di umiliazione, di fatica, di quel tirare avanti oltre ogni sopportabilità, quasi da bestie.
Ci vuole così tanto poco, eppure è fatica di anni. Come Gesù: non è apparizione miracolosa di Dio nel mondo a risolvere con un tocco di bacchetta magica tutti i problemi, ma lento penetrare nell'esistenza umana, accogliendo il ritmo della vita perché fosse autentico mistero d'incarnazione.
Ci vuole così tanto poco, eppure richiede una fedeltà umile e coraggiosa, una scelta di povertà senza compromessi, un'accoglienza della solitudine come condizione per un amore veramente libero.
Ci vuole così tanto poco, eppure sembrano storielle spirituali queste, di fronte a tutta una pastorale organizzata, di fronte a preti che pure da opposte trincee portano in tasca le soluzioni più ardite e decisive.
Una vita povera, dispersa, una verginità che la segna unicamente di fede perché sia indicazione del mistero di Dio. Ho capito che solo così potevo vivere la vita operaia e meritare, da uomo serio, quell'amicizia così sacra per me, così indicativa nei confronti dell'accoglienza del mistero di Cristo, sforzandomi nella vita unicamente di balbettarne la Parola.
* * *
A seguito di queste scelte mi trovo oggi in una condizione di lavoro di nuovo avventizia. Non più nella corrente di gente che al mattino si precipita al lavoro, per ritrovarsi sulla strada a mezzogiorno ed incrociarsi ancora la sera, ma con il problema quotidiano del lavoro da cercare, da chiedere, da inventare. Non più la busta paga a fine mese, ma le mille lire raccolte ora per ora a pa-gare il prezzo di una disponibilità maggiore per una lotta allargata e continua, senza soste, neppure quelle in cui si può lavorare in pace.
Un impegno serio cui mi trovo davanti con il timore di venire risucchiato da una vita tranquilla, senza scosse. Pure un impegno che voglio vivere in serenità di spirito, in fedeltà alla classe operaia, per scelta irrinunciabile al lavoro dei poveri e degli umili, al loro modo di campare la vita. Un impegno ad essere, nella povertà e nella incertezza di questa condizione, segno di fede in Dio ed in Lui solo.
Non poter rispondere qualcosa di preciso a chi mi chiede che lavoro faccio, è il segno della disponibilità affinché nulla che sappia di efficacia, salga su dalla mia esistenza, ma tutto possa richiamare il Dio cui nulla è impossibile.

don Luigi

Questa nostra Chiesa di oggi

La Chiesa ha caratterizzato il mondo e battezzato ogni cosa, fino al punto che in un modo o in un altro si è sostituita, o ha tentato di sostituirsi, se non altro infiltrandovi qualcosa di Dio e di Cristo, a un'infinità di cose puramente di questo mondo, terrene, temporali.
Ne è venuta fuori una strana mescolanza di sacro e di profano, deve è molto difficile,se non, in molti casi addirittura impossibile, fare un lavoro di liberazione e di purificazione, in modo che risulti chiaro ciò che è di Dio e ciò che di Dio non è, né può essere.
Senza considerare nel problema le interferenze vicendevoli a danno di un valore, quello religioso, dell'altro, quello non religioso: perché in questa ricerca le constatazioni sono semplicemente terrificanti e sconcertanti. La confusione e l'intorbidimento che ne è seguito è senza dubbio enorme. E tutto sempre per la smania di battezzare ogni cosa e di fare cristiano, a costo di tutto, questo mondo.
Da quando le croci furono messe in cima alle aste dei labari guerreschi di costantiniana memoria, è cominciato l'andazzo di cristianizzare ogni cosa.
L'elenco storico è senza fine e si allarga fino ai confini del mondo.
Ne è venuto fuori un mondo cristiano?
E' successo che il cristianesimo si è andato diluendo, diventando un ingrediente mescolabile dovunque con qualsiasi cosa, col risultato di non modificare, ma anzi di peggiorare il cristianizzato, togliendogli la sua chiarezza e la sua sincerità, quello che veramente è e dev'essere, e col risultato di riversamenti sul cristianesimo, di contaminazioni e inquinamenti da renderlo irriconoscibile, come cristianesimo; come cioè qualcosa che abbia a che fare con Gesù Cristo.
Due esempi, tanto per chiarire,
Fu battezzato il 25 dicembre, solennità pagana, celebrandovi la nascita di Gesù. E a poco per volta - lasciamo andare la considerazione sulle responsabilità - a poco per volta è il giorno cristiano più pagano, più festaiolo, più sfruttato e sfruttabile che esista nel calendario.
L'ultimo battesimo di un giorno è quello del 1° maggio di operaia memoria, fatto diventare dalla chiesa giorno di S. Giuseppe, e l'acqua benedetta l'ha lavato così tanto da renderlo irriconoscibile, senza senso, senza ricordo e senza insegnamento di quei valori propri del 1° maggio.
E' una fatica, questo battezzare tutto, che impegna enormemente la chiesa da secoli, e il nemico, cioè il cristianizzabile, risponde freddamente, con calcolo. Si lascia battezzare volentieri, accetta di essere "santificato", ma porta dentro la chiesa, e quel che è peggio, dentro il cristianesimo, tutta la sua forza seducente e convincente e ribattezza in senso contrario chi l'ha battezzato, cioè rende pagano chi l'ha fatto cristiano.
E' un'osmosi terribilmente pericolosa, una comunione autenticamente sacrilega che avviene da secoli: ora, nel nostro tempo, la mostruosità di un mercanteggiare utilizzazioni vicendevoli fra chiesa e mondo sta venendo allo scoperto. E la rottura di questi rapporti di adulterio è irrimandabile. - Battezziamo il denaro: è necessario per le opere di carità, assistenziali, missionarie, organizzative, ecc. E il denaro battezzato diventa capitale, la chiesa diventa capitalista, una potenza economica con tutto quello che di paganesimo inevitabilmente consegue.
Domanda: Mammona è diventato cristiano o il cristianesimo ha tutte le sembianze di Mammona?
- Battezziamo l'industria, la produzione, il problema sociale, cristianizziamo i padroni e possibilmente gli operai, ecc. - E giù tutto un impegno di sacramentalizzazione e di evangelizzazione, dall'unione industriali cattolici ai cappellani di fabbrica, dalle encicliche alle ACLI, ecc.
Domanda: la Chiesa risulta dalla parte degli operai, degli oppressi, degli sfruttati, oppure sembra assai di più dalla parte dei ricchi, degli industriali, del potere economico? Il Papa, tre o quattro anni fa a Taranto, la notte di Natale, parlando a 15.000 operai, riconosceva che fra la Chiesa e la classe operaia c'era un abisso di separazione. Perché? Eppure di battezzamenti ce ne sono stati tanti!
- Battezziamo la politica e finalmente ci sarà una politica cristiana. E un partito è stato battezzato «cristiano» e come cristiano è sempre stato presentato e imposto.
Domanda: questo partito cristiano ha fatto veramente cristiana la politica o tutta una certa e ben individuabile politica ha utilizzato il cristianesimo, sfruttandolo fino al midollo, con la conseguenza di presentare un cristianesimo come qualcosa di cui è bene soltanto liberarsi, identificato come si ritrova con tutta una politica?
Angoscia fino all'impossibile che quella democrazia, che è carica di responsabilità tremende per il golpe militare nel Cile, si chiami democrazia cristiana.
- Battezziamo l'esercito. Un Vescovo è generale di corpo d'armata: colonnelli, maggiori. capitani, tenenti, ufficiali, ecc. sono sacerdoti, cappellani militari. Messe al campo, in caserma, cresime, comunioni, benedizioni, cerimonie, stipendi, gradi, militarizzazione vera e propria di chiesa, opera di santificazione dell'esercito che in se stesso non può che essere una maledizione, una disgrazia - sono la sciagura permanente dell'umanità gli eserciti!...
Domanda, piuttosto attuale dati gli avvenimenti: se domani venisse un golpe militare, naturalmente per rimettere ordine, pace e giustizia, cosa farebbe tutto l'apparato chiesa, tutto il personale ecclesiastico militarizzato, dal suo vescovo fino all'ultimo cappellano militare? Battezzerebbero anche il golpe?
Dove vi è un regime militare, da che parte sta la Chiesa gerarchica e la diplomazia vaticana?
Risposta classica: sta al di fuori e al di sopra. Non si interessa del tipo di regime che governa il popolo. E questo vuol dire che la Chiesa battezza o cerca di battezzare ogni regime e cioè di entrarci dentro, responsabilizzandosene, anche se per scopi di favorire l'evangelizzazione del popolo.
Potremmo continuare, per esempio, con la scuola, lo sport, il cinema, la stampa, il turismo, ecc., e continuare fino ai santi protettori per qualsiasi attività, anche le più banali, per le quali - ma con quali motivazioni seriamente religiose e cristiane - si sono scomodati santi e madonne, per arrivare a questo «lustrare» di acqua benedetta ogni cosa. Questo consacrare e battezzare, questo cri-stianizzare facilone e irriverente questo povero mondo, comporta il risultato di immiserire e devozionalizzare la serietà della Parola di Dio, del Mistero di redenzione e di salvezza operato dalla morte in croce e dalla risurrezione di Cristo, dell'impegno carico di terribile responsabilità di tra-sformazione della vita, che pesa sulla Chiesa, popolo di Dio, per una proposta e un progetto di umanità nuova e diversa, raccolto dal Pensiero di Dio che ha creato il mondo e dalla realtà di Cristo che in se stesso l'ha rinnovato e redento.
E' da tempo che riflettiamo su questo problema e non per polemica, per mancanza di carità, come spesso ci ammoniscono fino alla noia. Per noi è un immenso motivo di Amore quello che ci costringe a denunciare molte, troppe contraddizioni in quest'opera di evangelizzazione e di sacramentalizzazione nella quale la Chiesa giustamente è impegnata, nell'adempimento della sua motivazione fondamentale.
E non è un criticare amaro e negativo: per noi sono proposte vere, autenticamente cristiane, se è vero che la conversione è valore cristiano, la penitenza, la purificazione. la liberazione dal peccato e cioè la creazione delle condizioni indispensabili, decisive, di vita nuova, secondo Dio e il Mistero di Cristo e secondo le aspettative dell'umanità, così ben chiarite dai segni dei tempi.
Pensiamo che perché il battesimo sacramento riacquisti tutto il suo infinito valore, bisogna sconsacrare tanti e tanti battezzamenti, spazzar via tanta assurda e vuota cristianizzazione: una lotta, cioè, perché il battesimo sia di nuovo con chiarezza e serietà la proposta che Gesù faceva a Giacomo e Giovanni, quando gli parlarono di star seduti su dei troni accanto a Lui, nella sua gloria, alla sua sinistra e alla sua destra (già loro non facevano distinzioni e tutto andava bene, trattandosi di privilegi): «Potete voi bere il calice che io berrò o ricevere il battesimo con il quale io sarò battezzato?».
*

* * *

I vescovi del Brasile

«... Dobbiamo mettere in evidenza che non possiamo concepire la Chiesa come realtà separata dal mondo, come un ghetto isolato. La chiesa è al servizio del mondo, è orientata al mondo. In certo modo addirittura si identifica con esso, in quanto esprime quella dimensione di grazia e di amore di Dio insita nella realtà umana, che fa il mondo. E' questo e solo questo il luogo della salvezza di Dio che, di fatto, ama tutti gli uomini indistintamente. L'amore vivificante dello Spirito di Cristo opera nel cuore dell'umanità, lungo il vasto percorso della storia degli uomini. Potremmo essere assenti dal mondo? Come potremmo essergli indifferenti o contrari se non per combattere il peccato, la miseria, la schiavitù?
Insieme all'aspetto personale e interiore, non esiste liberazione totale dell'uomo che non implichi l'aspetto politico, che non presupponga un contesto economico e sociale. Per questo, la liberazione secondo i disegni del Padre si fa attraverso e in mezzo al popolo, dove si verifica la dimensione politico-sociale dell'uomo. Dio salva ogni uomo dentro un popolo, il popolo di Dio, oggetto del suo amore.
Come al tempo di Mosè, un popolo che cerca di promuovere se stesso e di scuotere il giogo della sua schiavitù, realizza un aspetto dei disegni di Dio, e anche senza saperlo chiaramente, diventa segno della salvezza che Dio opera in lui (cfr. Es. XII).
E' evidente che i detentori del potere schiavizzante, come il Faraone, non ammettono di riconoscere i valori salvifici nella lotta del popolo. Non vogliono vedere la presenza di Dio nell'indomita energia dei poveri. Ma questi, «i poveri di Javeh», sono il luogo privilegiato della rivelazione di Dio, la cattedra quotidiana della sua Parola, negli avvenimenti di ogni giorno, nella speranza che non illude, nelle aspirazioni di liberazione, di pace, di fraternità...
Dobbiamo riconoscere, con spirito di vera umiltà e penitenza, che la Chiesa non è sempre stata fedele alla sua missione profetica, al suo compito evangelico di stare sempre dalla parte del popolo. Quante volte, coinvolta nelle maglie dell'iniquità che anch'essa ha posto in questo mondo, la Chiesa ha fatto il gioco degli oppressori, ha favorito i potenti del denaro e della politica contro il bene comune, si è nascosta sotto maschere ingannatrici, per ingenuità o con cavilli, deformando dolorosamente il messaggio evangelico. Ma la Parola è data alla Chiesa in ogni momento della sua esistenza, perché si penta, si converta e torni "al suo primitivo fervore" (Apoc. 11,4).
Siamo convinti che questa è l'ora di scegliere Dio e il popolo. E' l'ora di essere fedeli alla nostra missione. Certamente, il prezzo della scelta è sempre stato la persecuzione camuffata da "servizio di Dio" (Giov. XVI, 2). Ma abbiamo chiara davanti a noi la strada da percorrere, quella stessa già percorsa dal Maestro nelle sue istruzioni missionarie ai discepoli, come racconta Matteo al cap. X del suo Vangelo.
Alla luce dunque delle nostra fede, e con la coscienza dell'ingiustizia che caratterizza le strutture economiche e sociali del nostro paese, entriamo in revisione profonda circa i nostri gesti di amore verso gli oppressi, la cui povertà è l'altra faccia della ricchezza dei loro oppressori...

(dal documento dei vescovi del nord-est brasiliano, del 6 maggio 1973)

Dolore

Uomini di carta
freddi bagliori
uomini di carta
che cadono nel vuoto,
gli occhi rivolti alla terra
stringendo nel pugno, ancor caldo
un poco di sabbia.
Ti han detto che un freddo fucile,
un fucile di morte
ti dava la vita,
che dal tuo grido
sarebbe nato un canto,
ma solo il silenzio
raccoglie il tuo pianto.
Ti han detto che oltre il tuo sguardo
c'era una terra chiamata libertà
ma davanti a te
non trovi che un uomo
il petto squarciato
il cuore ancor caldo
un uomo di carta
che cade con te.

Giulia

Il nuovo Cile

I morti sono decine di migliaia solo a Santiago. Per legge marziale si uccide chi si vuole e come si vuole.
Si tortura in modo orribile. Il Brasile ha fatto scuola.
Tutti i giorni la radio chiama decine e centinala di nomi. Devono presentarsi altrimenti - ipso facto - sono fuorilegge e qualsiasi soldatello può fucilarli se li trova. Quelli che si presentano sono torturati, maltrattati o uccisi (vedi SS tedesche).
Si vuol farla finita con tutti i leaders di sinistra. (Rispetto all'ideologia!).
Si entra nelle case alla caccia di documenti marxisti (basta che in un foglietto sia scritto la parola «socialismo» e la famiglia va tutta in prigione. Meglio: non in prigione, perché sono piene e non c'è più posto, ma allo stadio, a dormire per terra e - per alcuni giorni - senza mangiare né bere. A questo proposito: il superiore del padri del S. Cuore di Santiago, fatto prigioniero solo perché cercava di salvare un sacerdote, ha passato 6 giorni allo stadio: è calato 10 kg).
Si cerca di denigrare gli ex-leaders marxisti. Ti fanno vedere alla TV montagne di armi che tenevano nascoste. Montagne di cibarie ecc... Vere bugie perché una casa enorme non potrebbe contenere tante cose!
Si va alla caccia di armi solo nelle poblaciones miserabili. Si rovinano tutti i materassi e i pavimenti. Nessuno finora ha pensato di dar la caccia alle armi nascoste nel famoso Barrio Alto di Santiago.
Quanto al rispetto dei diritti degli operai, un esempio. In una fabbrica di S. Bernardo (vicino a Santiago), fabbrica passata in mano degli operai una settimana prima del golpe, sono entrati i militari alla caccia di armi. Hanno formato due file: la fila della UP e la fila dell'opposizione. Tutti gli appartenenti alla UP hanno .perso il posto ed oggi sono sulla strada (più di 30 persone). Per rispettare il diritto che la legge dà agli operai, hanno dovuto nominare un interventor. Senza chiedere niente agli operai si è nominato l'ex-padrone!
Nella campagna. Posso parlare solo dei luoghi dove io vado.
Aumenta 1'odio. Alcuni sono felicissimi della caduta di Allende. Altri piangono sconsolati. Non si salutano più. E' in voga un'ondata di delazione. Si inventa che Tizio e Caio hanno armi, hanno nascosto gente ... e si chiama la polizia. Questo per vendette personali, però tutto ciò è tremendo attualmente, perché si rovinano famiglie intere.
Si perde la speranza. Domenica scorsa, dopo una messa, mi sono firmato a parlare con un gruppo di contadini. lo cercavo di infondere speranza. Uno di loro mi dice: «Padre, avevamo speranza. Ma quando stavamo per uscire dalla merda, viene il ricco e ci schiaccia. Forse Dio si è dimenticato dei poveri».
Veramente c'è tutto da ricostruire da zero. Si è chiuso con tutti i sindacati.
In questi giorni sto meditando sulla famosa frase che Enzo ha scoperto in una latrina del Bra-sile: «O dia em que merda fòr dinheiro pobre nasce sem cù». Vedo che per il Cile di oggi, questa è una verità sacrosanta.
Dice un proverbio cinese: «Non c'è nessuna vacca tanto nera, che non abbia qualche pelo bianco». La vacca nera della dittatura fascista ha alcuni peli bianchi:
- più lavoro. Si dovrà lavorare di più.
- fucilazione a chi fa mercato nero.
- sono abbassati i prezzi.
Ma a che prezzo? Tutto ciò è costato e costa la libertà di un popolo e la morte di migliaia di figli di Dio.
La lotta continua. Il MIR, socialisti e MAPU più altre persone stanno organizzandosi. Proprio ieri sera un giovane del MIR... mi diceva: « Il bello vien fra 5-6 mesi. Quello che è successo ora non è niente».
Sarà puro idealismo? La realtà di questi giorni pare dire che fra mezzo anno non ci saranno più miristi o socialisti che combattono in Cile. Stiamo a vedere.
Forse questa lettera vi sembra una lettera di mezzo disperato. Ma se voi foste qui, vedreste un popolo umiliato, prostrato, minacciato, pieno di paura.
E sulla paura si ergono a comandare i 4 coglioni delle forze armate e carabinieri.
Però non ho perso la speranza. Ho fede in Dio e nei contadini cileni che potremmo costruire insieme un mondo nuovo. Costi quello che costi.
Ciao.

(lettera firmata) da «Il Regno», 15-10-73

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