Agli amici,
avevamo promesso di continuare la riflessione iniziata con il numero di giugno sui sacramenti e tutto il problema della sacramentalizzazione, ricercando indicazioni pratiche, concrete, tirate su specialmente dalla nostra esperienza.
Ci siamo accorti però che l'esperienza in questo settore così decisivo del ministero sacerdotale e pastorale, - perché particolarmente costitutivo, - almeno così dovrebbe essere, - della vita cristiana individuale e comunitaria e quindi di Popolo di Dio, questa esperienza è enormemente limitata, fin quasi ad essere assurdo presentarla.
L'esperienza più grossa, più rimarchevole, che rischia spesso l'angoscia per manifestazioni quasi d'irrimediabilità, è che la ricerca di una sacramentalizzazione che abbia almeno un minimo di consapevolezza, di coscienziosità, sia in chi questi sacramenti amministra, sia in chi li riceve (i genitori nel caso del battesimo a bambini), è inevitabile che cozzi contro una consuetudine, un assuefamento, una tradizionalità passiva, piatta, burocratica, di intensità tale, o meglio, di densità tale, che è praticamente ostacolo insormontabile.
Ci si trova dinanzi come ad una nebbiosità religiosa che tutto ovatta, ravvolge impenetrabilmente: realizzare una concretezza è impossibile o quasi.
Seconda esperienza è l'assoluta inutilità delle riforme liturgiche. Fare riti nuovi, modificare formule, introdurre segni, letture, spiegazioni, formulari di preghiere, ecc., che dovrebbero sensibilizzare, creare attenzioni di coscienza e determinare incidenze particolari nella realtà dell'a vita, è pura e semplice illusione. E' tentativo facile, quasi sembra buono soltanto per mettere in pace una pastorale che si è accorta che occorrono riforme. E tutto è stato riformato con libri nuovi, rubriche nuove, ecc. Ma dalla riforma del rito alla sua capacità d'incidenza e anche soltanto di presenza nella vita, c'è di mezzo l'enorme spessore gommoso di una scoscientizzazione, di una pas-sività religiosa, di un devozionalismo tradizionalistico secolare, sul quale tutto, anche le più ardite (?) novità rimbalzano penosamente.
Terza esperienza. Anche tutta la fiducia così accentuata quasi che sia il toccasana, nella catechesi, non riusciamo a condividerla. Perché anche la catechesi è parlare, sia pure rifacendosi alla Parola di Dio. E il parlare è sempre parlare e il mondo e la gente ne è abbondata, come si dice da noi.
Ascolta, più o meno stupefatta e sorpresa se il discorso risulta come nuovo, acconsente rispettosamente, ma di lì a che qualcosa scenda dentro e ottenga un'idea e una mentalità nuova e diversa, e più ancora una modifica esistenziale, c'è la differenza dal dire al fare e cioè con in mezzo il mare.
Pensiamo che sia doveroso cominciare a rinunziare al cristianesimo di massa.
Giudichiamo che sia arrivato il tempo in cui l'annuncio della parola di Dio deve cominciare a fare paura e a sconcertare a seguito delle sue esigenze.
E' inevitabile che la Chiesa (il clero e la comunità cristiana) risulti una qualificazione di scelte e di impegno pratico, esistenziale, storico, assolutamente nuovo e diverso, dall'andazzo della vita secondo i canoni della nostra civiltà, cultura, buon senso, prudenza e saggezza di questo mondo. E' un discorso vecchio, è stata ed è la nostra battaglia.., i tempi ci danno, con buona pace di tutti, alquanto ragione.
Riguardo ai sacramenti l'importante è individuare il punto focale. essenziale, risolutivo: per esempio la nostra esperienza c'insegna che sia per il battesimo che per il matrimonio, il punto sul quale si decide o no del sacramento è la famiglia. Di qui, gravissimo e urgente, il problema della famiglia cristiana.
Offriamo le nostre riflessioni. Come sempre alla buona, come ci nascono dal cuore. Offriamo anche le nostre esperienze pur riconoscendone la limitatezza e la carenza.
Ognuno dà quello che ha e l'infinita onnipotenza della Grazia e dell' Amore di Dio supplisca ogni vuoto, piccolo o pauroso, che sia.
La Redazione
E' il Sacramento della consacrazione di una vita a Dio in Cristo. Un'esistenza, che dal suo inizio, dalla nascita, fino al suo concludersi, la morte, entra nel possesso pieno, assoluto di Dio e non secondo programmazioni e misure di questo e di quello, di un tipo di fede, di spiritualità, di devozione, ma di Gesù Cristo.
E Gesù Cristo è il chiaro .rapporto secondo un pensiero molto preciso e scelte inequivocabili (per chi non vuol giocare al giocherello della saggezza e della prudenza umana col Vangelo) con Dio.
Questo possesso di Dio che è già reale e concreto nel fatto che Lui è il creatore e padrone assoluto di tutte le cose, viene concretizzato in una scelta, in una decisione di accoglienza di Lui nella realtà di una vita e di una dedizione quindi di questa vita al suo Mistero e cioè al suo Pensiero, alla sua programmazione di rapporto con l'umanità, al suo Amore.
Il battesimo è questa scelta di specificazione di una vita, è questa qualificazione che avviene col concretizzarsi di una comunione piena e totale fra una vita e Dio: questa comunione è già avvenuta, è già stata vissuta e perfettamente compiuta in Gesù Cristo: il battesimo la rinnova, la continua, è segno e realtà della sua resurrezione, della sua presenza attiva e vivente e visibile fra gli uomini, per il semplice motivo che il battesimo fa «il cristiano».
Il che non vuol dire conferire al battezzato il biglietto d'ingresso al paradiso, con significazioni penetrate, a seguito di tutto un insegnamento e una prassi pastorale, nella religiosità popolare ed ecclesiale, quasi di esclusività, e quindi di privilegio, inevitabilmente tendente a concludersi in un rito, a una significazione magica, producente da se stessa l'effetto desiderato, svuotando così il battesimo di tutto il suo valore di costruzione di vita, d'esistenza cristiana, individuale e comunitaria.
Il battesimo fa cristiana una vita, la coinvolge in tutto il Mistero di Cristo, la travolge nei suoi rapporti con Dio, di appartenenza totale a Lui e nei suoi rapporti con l'umanità in una consacrazione alla liberazione o alla redenzione dell'umanità tutta, assolutamente nessuno escluso, nemmeno il nemico. Si tratta di un'offerta di sé a Dio che Lui raccoglie e segna di sigillo irrevocabile, identico a quello col quale ha segnato il Figlio suo Gesù Cristo.
Il se stesso viene completamente superato, risucchiato e disperso a camminare nelle vie infinite di Dio, senza più una motivazione personale, una possibilità d'iniziativa personale, se non in relazione ad una ricerca di una sempre più totale fedeltà, di una risposta di crescente coerenza a questo essere creatura di Dio, uomo e donna segnati indelebilmente nella propria vita da un destino cristiano.
Il battesimo, è chiaro, significa e comporta una scelta, una scelta di motivazione esistenziale e di metodo di vita, esattamente come in Cristo, realizzata per costruire un vivere umano dove Dio ha preminenza e antecedenza assoluta, non soltanto, ma dove Dio diventa ed è a pieno diritto. il costruttore di quel vivere, fino ad esserne la spiegazione, la giustificazione e in una misura tale che al di fuori di Lui e di Cristo, quella vita non potrebbe che risultare un assurdo, senza senso, una pazzia.
Perché affrontare la vita e tentare di viverla a seguito di un altro che te la chiede tutta, te la impegna fino anche a limiti estremi, quelli che si dilatano al mondo intero, entrano nei valori invisibili, si allargano oltre la morte e si perdono nell'infinito che è Dio, sempre, ma specialmente ai nostri tempi, è semplicemente una pazzia. Sia che il problema si guardi da .destra, dal centro, da sinistra, da dentro o fuori la Chiesa.
E possiamo dir questo per lunga e faticosissima esperienza, nonostante tutti i limiti e le mediocrità d'impegno cristiano e sacerdotale. ;
Lasciamo da parte il problema del battesimo a bambini o a persone adulte. E' tutto un discorso che in questo momento non c'interessa, tanto più che noi siamo convinti della legittimità della decisione da parte dei genitori di battezzare il loro figlio sullo stesso piano della decisione di comunicargli la vita.
Nelle considerazioni che stiamo facendo e anche a seguito della nostra sia pur limitata esperienza, noi intendiamo approfondire il problema del battesimo a bambini centrandolo in una ricerca di maggiore responsabilizzazione dei genitori e non tanto riferendoci alla decisione del battesimo, quanto alla scelta di famiglia cristiana che la decisione di battezzare il proprio figlio comporta per la famiglia.
Ciò che conta e decide della sincerità (giudichiamo essenziale per un sacramento questa sincerità e cioè non cerimonia, non rito, non liturgia,ecc., ma atto di Fede e quindi realtà di scelta fatta davanti a Dio e quindi estremamente responsabilizzata) per questa sincerità nel battesimo a bambini è condizionante (non vogliamo discutere, per carità, sulla validità o non del sacramento) è indispensabile la coscienza chiara, illuminata, decisa dei genitori.
Il battesimo dei propri figli è scelta e decisione e volontà di famiglia cristiana autentica, scopertamente in ricerca continua e appassionata di fedeltà a Cristo, pagando tutto quello che c'è da pagare per realizzare una famiglia che sia veramente e totalmente comunità familiare in nome di Dio in Cristo, in questo nostro mondo, tra le braccia di questa nostra civiltà, dentro la bambagia che spesso sono le parrocchie e il devozionalismo imperante.
Perché è semplicemente inconcepibile che una famiglia battezzi i figli e non cerchi con ogni buona volontà di realizzare l'ambiente dove questo battesimo si troverà a cominciare e, per gli anni più decisivi della vita, ad essere vissuto, come comunità costruita sulla Parola di Cristo come un'esistenza segnata da Lui e dominata dalla sua presenza.
E' di qui che il problema del battesimo si sposta, o meglio introduce e obbliga al problema della famiglia cristiana.
Pensiamo che quando si celebra un battesimo, il padre e la madre e quindi gli sposi e il loro matrimonio e tutta la comunità familiare, viene battezzata, immersa di nuovo nella morte e risurrezione di Gesù Cristo, in una coscientizzazione sempre maggiore per una ricerca sempre più intensa di sincerità cristiana.
La nascita di un figlio in una famiglia cristiana, non verniciata ma sostanziata di cristianesimo a tutti i livelli e senza compromessi, in una chiara e libera impostazione di Fede, oltre logicamente a tutto il valore umano realtà di vita e Amore fatto carne, che vuol dire e è un figlio, comporta e realizza un ritrovarsi a faccia a faccia con Dio, scopertamente davanti a Cristo, perché quel figlio e ogni figlio e tutti i figli ripropongono - e a volte, lo sappiamo bene in maniera drammatica da quanto enorme è il problema in questi nostri tempi - ripropongono il problema di una scelta cristiana di vita e non più soltanto per sé stessi, ma per altri e nientemeno per dei figli.
Il battesimo amministrato a bambini ha il suo immenso valore e la sua grandissima importanza perché costringe la famiglia cosciente del cosa vuol dire «cristiano» e onesta per non accettare un cristianesimo di maniera, devozionale, tradizionalistico, ma cogliendolo responsabilmente nella Parola di Dio e nel profondo della propria coscienza, costringe, per una inevitabile coerenza, a cercare di essere autenticamente famiglia cristiana.
Tanto più che la gravità della decisione di dare il battesimo o no che pesa sulla famiglia non è tanto nel sacramento che viene amministrato o no, quanto nella scelta di ambiente e di tipo di educazione che inevitabilmente deve essere compiuta (e dove questa scelta non è fatta non si può parlare di famiglia).
Ciò che conta con responsabilità terribile è che nella propria famiglia i figli abbiano possibilità di respirare serenamente in un clima di chiarezza, di sincerità, di coerenza.
Se la famiglia battezza i figli, vuol dire semplicemente che la famiglia intende di essere cristiana e ne realizzerà una ricerca di autenticità nella quale è giusto coinvolgere i figli e cioè tutta la comunità familiare, costi quello che vuol costare, in se stessa, in relazione ai parenti, all'ambiente di vita, alla cultura, alla civiltà, agli impegni umani, sociali, politici, ecc.
Se la famiglia battezza i figli e non ha e non intende affrontare questa ricerca di cristianesimo e ne abbandona la formazione e la coscientizzazione alla comunità, parrocchiale o no, alla scuola, alla Chiesa, ecc. realizzerà in loro disorientamenti, smarrimenti e più che tutto un clima di falsità, di superficialità capace anche di squilibri gravissimi.
E' preferibile la famiglia che non riconoscendosi sinceramente comunità cristiana da potere, con sincerità e responsabilità, consacrare a Dio e a Cristo, in una destinazione esistenziale cristiana, se stessa e i propri figli, non chiedere alla Chiesa il sacramento del battesimo.
Sarà sempre una famiglia dove si respira una sincerità, una chiarezza di idee, un clima di libertà, di coerenza.
Pensiamo che sia più facile che fiorisca una scelta di cristianesimo e quindi del battesimo, nel figlio divenuto adulto, in questa famiglia, piuttosto che maturi una scelta cristiana attraverso una presa di coscienza personale del battesimo ricevuto e cresciuto in una famiglia cristiana ma senza una serietà di cristianesimo.
Noi diciamo chiaramente e senza annebbiamenti che la decisione di battezzare il proprio bambino non è tanto una scelta in relazione a lui, ma piuttosto una scelta cristiana della famiglia, un decidersi alla vita cristiana, con tutto quello che vuol dire per una famiglia.
E' chiaro che un prospettare il battesimo con queste chiarezze sconcerta, sgomenta e spesso fino a rasentare la paura: ma si tratta dell'accogliere Dio e di entrare in comunione con Lui secondo tutto il Mistero di Cristo, che si specificherà poi e si compirà attraverso gli altri sacramenti e attraverso il terribile e misterioso sacramento della vita.
E' ovvio che la prassi pastorale dei battesimi in massa impedisce una coscientizzazione cosi profonda.
Bisogna avere il coraggio (e sempre più matura questa inevitabilità) di non tenere più in considerazione le statistiche, le percentuali al cento per cento, il numero delle pagine dei registri della parrocchia, ecc....
Dobbiamo tutti, Chiesa di Cristo, riprendere la sua esortazione e cominciare a credere che la sua Parola è dato di intenderla «a quelli che hanno orecchi per intendere» perché: «non a tutti è concesso di conoscere i Misteri di Dio».
Probabilmente la pastorale della sacramentalizzazione di massa, ha fatto il suo tempo, diversamente dalla evangelizzazione che sempre più deve diventare ed essere annuncio e testimonianza a misura di umanità.
don Sirio
Nel tentativo di contribuire alla riscoperta de valore sacro di ciò che Dio ci ha donato in Gesù Cristo. dei segni d'amore e di comunione con Lui e fra di noi che Egli ci ha offerto come prolungamento nella storia della Salvezza e della Liberazione da Lui compiute, ho pensato di mettere a confronto due «racconti» che riguardano l'Eucarestia e che mettono in stridente risalto la gravità delle situazione religiosa a cui siamo giunti.
Questo nella speranza che una simile riflessione non sia giudicata cocciuta e ostinata volontà polemica e distruttrice, ma servizio sincero per la ricerca della Verità, per la comprensione più autentica possibile del dono di Dio.
Parlare del problema dei sacramenti nella Chiesa, soprattutto partendo da motivazioni pastorali senza guardare in faccia il tradimento storico che di essi, in alcuni casi, è avvenuto, sarebbe certamente contribuire a seppellire nella tomba la Resurrezione di Cristo e a spengere la forza vitale del seme del Regno di Dio.
Il confronto aperto di certi fatti può essere motivo per una presa di coscienza alla luce della Fede della necessità di un profondo cambiamento di mentalità per tutti noi che ci dichiariamo discepoli del Signore morto e risorto.
Non possiamo chiudere gli occhi sulla realtà di compromesso in cui spesso - anche nelle nostre chiese, nelle nostre solenni liturgie - celebriamo l'Eucarestia riducendola a puro rito commemorativo di un dono d'amore pagato da Gesù Cristo a prezzo di sangue e di croce.
Dono d'amore vissuto giorno per giorno nella offerta totale di sé, del proprio corpo e del proprio cuore, come pane e vino lasciati alla fame e alla sete di tutti.
I fatti che proponiamo, o la vergogna che ne dovrebbe seguire, sono esattamente per la crescita di questa capacità di dono in ciascuno di noi.
Ai genitori
.. Purtroppo non ci hanno autorizzato ad avere la messa per Natale e Capodanno. E' incredibile che, in un paese che si dice cristiano, i carcerati non possano partecipare al sacrificio del Signore. Nessuno può impedirci di pregare, di ringraziare Iddio per tutto ciò che abbiamo vissuto a somiglianza del suo Figlio.
Non potete farvi un'idea di come sono stato felice di sapere che papà ha ricevuto l'Eucarestia. E' stato il miglior regalo di Natale nella nostra famiglia. Per molti anni ho pregato per questo e adesso il Signore ha accolto le nostre preghiere. Viviamo un Natale permanente, perché stiamo rinascendo nello Spirito. Sarei disposto a subire altre prigionie affinché altre famiglie potessero ricevere la stessa grazia. L'anno scorso meditai molto sul mistero dell'Eucarestia. Fu istituita da Gesù nella sua ultima cena con gli apostoli, quando parlò loro delle sofferenze che avrebbe affrontato per la nostra redenzione. Gesù prese in mano ciò che esiste di più semplice sulla mensa degli uomini, il pane e il vino, e li consacrò. «Questo è il mio corpo che sarà dato per voi. Questo è il mio sangue che sarà sparso per voi. Fate questo in memoria di me». Cosa significano queste parole di Gesù ripetute nella Messa? Significano semplicemente che la consacrazione è fatta in memoria di Gesù, come ricordo del suo sacrificio? No. E' vero che la messa rende attuale per noi il suo sacrificio, ma è anche vero che costituisce un appello a ripetere il gesto redentore di Cristo, affinché siamo suoi imitatori. Quando il sacerdote ripete il gesto nella messa e aggiunge: "Fate questo in memoria di me", io intendo che Gesù ci dice: «Vi ho amati radicalmente, al punto che ho accettato di morire per voi. Ho dato tutto quello che avevo per liberarvi. Mi restava soltanto la vita, e non l'ho risparmiata, l'ho data, anche per insegnarvi che il limite dell'amore è amare senza limiti. V i ho dato il mio corpo e il mio sangue. Ho fatto di questo gesto un sacramento, affinché possiate ricevere, in qualunque luogo e epoca della storia, la mia vita in voi. Affinché possiate ripetere la mia vita nella vostra. Quando ho detto "Fate questo in memoria di me" non volevo dire soltanto che dovete ricordarvi di ciò che ho fatto. Intendevo dire che dovete fare lo stesso. Che anche voi dovete dare il vostro corpo e il vostro sangue per la redenzione degli uomini. Così come nella messa ricevete il mio corpo e il mio sangue, allo stesso modo .nella vita, dovete dare il vostro. Fate questo affinché il mio gesto sia sempre presente e attuale attraverso il vostro. Quindi, se mi ricevete nell'Eucarestia, altri dovranno ricevere voi nella vita. Così saremo in comunione».
Purtroppo molti cristiani ignorano che la messa si vive, non ci si assiste, e si vive nella misura in cui accettiamo di sacrificarci per la liberazione degli uomini. Invece di essere una sofferenza, questo sacrificio è la suprema gioia, perché in esso troviamo l'amore in tutta la sua trasparenza, e diventiamo sacramento di Dio nel mondo ...».
(Dai sotterranei della storia, pag. 12; ed. Mondadori)
Questa lettera del padre Betto, chiuso con i suoi compagni nella cella del carcere di S. Paolo non ha bisogno di commento. Essa è una testimonianza vivissima di una situazione realmente euca-ristica, di uno spazio umano così vicino al mistero di Cristo da trovarsi in perfetta sintonia con la ce-lebrazione della memoria della sua Morte e Resurrezione.
Le sue riflessioni, che nascono dal concreto di un' esistenza che si trova "in catene" per amore del Vangelo e quindi dei fratelli oppressi, sono fortemente indicative di quale contenuto dovrebbero avere le nostre riunioni eucaristiche. Di quale realtà nuova, liberata, risorta dovrebbero essere il segno tangibile, la liturgia vivente.
Il fatto che questa celebrazione sia stata impedita alla "chiesa del carcere" è significativo di come certa realtà cristiana scoperta, coraggiosa e sovversiva del disordine costituito possa diventare immediatamente segno di contraddizione.
Il confronto, perciò, con i fatti di casa nostra è tanto più stridente e provocante.
Roma, 8 maggio '73
«Alla presenza del ministro dell'interno, è stata celebrata stamani, all' accademia del corpo della guardia di pubblica sicurezza, la festività di S. Michele Arcangelo, patrono della polizia italiana.
Dopo aver passato in rassegna uno schieramento, nel quale, con in testa la bandiera del corpo, erano rappresentati tutti i reparti e specialità di stanza a Roma, oltre all'Assoc. nazionale guardie di sicurezza in congedo, il ministro dell'interno ha raggiunto il palco d'onore dove si trovavano altri funzionari del ministero e ufficiali del corpo.
La cerimonia si è quindi conclusa con una Messa al campo, officiata dal primo cappellano militare capo del corpo delle guardie di pubblica sicurezza».
(da AVVENIRE del 9.5.'73)
Mi sembra onesto e doveroso chiederci che cosa vi possa essere di comune fra l'Eucarestia sopra descritta e il mistero di amore, di dono totale di sé di cui il Signore Gesù ci ha chiesto di fare memoria.
Come è possibile che nel processo della storia cristiana le cose si siano così aggrovigliate fino a giungere all'assurdo così dolorosamente evidente di questo fatto?
L'aver messo a confronto diretto questi due racconti - separati da diversissime vicende stori-che - vorrebbe semplicemente aiutare a mettere in luce la gravità di un problema che viene continua-mente rimandato, non affrontato allo scoperto. Credo che nessuno possa a cuor leggero ammettere con piena sicurezza che la Messa al campo celebrata nell'accademia della polizia sia stata veramente una "memoria" autenticamente realizzata di quella lontana Cena pasquale in cui Cristo offriva il do-no del suo corpo e del suo sangue perché si compisse la nuova alleanza nell'Amore. Siamo così lontani da quel clima, dalla profondità di quel gesto di Gesù che lo compie radicalmente nel comando di amare come Lui ha amato, di dare la vita come Lui l'ha data, di essere gli uni i fratelli degli altri, che a confrontare i due avvenimenti par quasi di udir risuonare una bestemmia. E altrettanto impressionante risulta il confronto con la situazione descritta nelle lettere di. padre Betto traboccanti di sofferenza di croce, di passione dolorosa, d'amore e di comunione con l'umanità povera e oppressa.
Dico questo senza l'ombra del più piccolo sentimento di disprezzo per nessuno, nel rispetto di ogni persona: ma non si può chiudere gli occhi e il cuore di fronte alla realtà drammatica di certi fatti che ci inchiodano alla nostra responsabilità di Chiesa di Cristo, di discepoli e testimoni del Risorto così compromessi nel servizio agli idoli sempre risorgenti nella trama della storia. Fino al punto di celebrare tranquillamente il mistero della Morte e Resurrezione del Signore nel contesto di una struttura di potere politico repressivo e oppressivo.
Accettare serenamente che tutto questo sia buono, sia fedeltà al comando di Gesù di spezzare il pane e dividere il vino come segni di una reale comunione con Lui morto e risorto, mi pare sarebbe tradirlo nuovamente ai piedi della croce, nel cuore stesso del mistero cristiano. Sulla croce Gesù ha inchiodato per sempre il peccato dell'uomo, l'inimicizia, la divisione, la sopraffazione, la violenza delle potenze delle tenebre: dalla sua tomba, insieme con Lui, sono risorti l'amore, la comunione, la pace, la libertà, la vita nuova dei figli di Dio.
Chiedere che il gesto più sacro che noi compiamo in perenne memoria della morte liberatrice di Cristo fino al suo Ritorno sia liberato da tutti i compromessi in cui - spesso inconsciamente - lo abbiamo seppellito, penso che sia un doveroso atto di Fede che dovremmo fare tutti insieme per rendere autentica e credibile la testimonianza della sua Resurrezione.
don Beppe
E' sempre un grosso problema e quasi, direi, un'angoscia strana, quello che avverto quando mi capita d'incontrare due giovani. Vedo bene che mi cercano e capisco a volo di cosa si tratta: ci vorremmo sposare e siamo venuto a cercar lei, perché... e i motivi sono sempre tanti.
Sempre, ma specialmente da qualche tempo questo celebrar matrimoni mi tira su dal profondo dell'anima un terribile senso di responsabilità.
Si tratta di matrimonio religioso e cioè di un cercare, dichiaratamente, e scopertamente, la presenza di Dio a realizzare quest'unione, quest'unità di uomo e di donna, l'unica realtà nella creazione capace, secondo il pensiero di Dio e la sua destinazione di essere l'immagine e la rassomiglianza di Lui cioè segno e realtà di ciò che Dio è: l'Amore.
E' impegno di matrimonio cristiano e cioè realtà umana - quella dell'uomo e della donna è la più fondamentale, sta alla radice - da realizzarsi nel nome di Cristo, da concretizzarsi attraverso le sue scelte, la sua Parola, il suo Mistero: la pienezza di Cristo a ottenere compiutezza di vita umana in tutto la realtà naturale e soprannaturale, nei rapporti vicendevoli d'integrazione e di completamento, nei rapporti con il mondo esterno, con l'esistenza umana e la sua storia, i suoi valori, i suoi problemi.
La famiglia cristiana è l'immenso, inimmaginabile valore, al quale è affidata e consegnata la dignità umana in tutta l'ampiezza e vastità dei valori individuali e universali capaci di realizzare l'umanità nuova, l'uomo nuovo; il rinascere continuo, incessante della speranza, il concretizzarsi di una Fede che si precisa e si sostanzia nel credere nella vita, il toccare con mano, l'esperienza di ogni giorno che l'amore è possibile e è bellissimo, è motivo che giustifica l'essere al mondo, è realtà di felicità. E' segno, indicazione, riprova adorabile che Dio ha fatto veramente molto bene tutte le cose.
Diversamente, è rischio terribile di mediocrità, di superficialità, di banalità, è rischio causante un riflettersi di sfiducia, di depressione, di sconforto perché è riconoscere e dover accettare una sconfitta: rabbuiano sempre la luce del sole i disastri familiari, riflettono sul mondo e sull'umanità ombre nere di egoismo capaci soltanto d'intristire, immiserire non solo gli interessati, ma tutti l'uomo e la donna in se stessi, l'umanità nei suoi motivi più determinanti.
D'altra parte vi è tutto il problema di una consuetudine, di una formalizzazione sacramentaria che nel matrimonio raggiunge, già nella celebrazione del sacramento, i limiti di una banalità, di una superficialità impressionanti.
Generalmente la famiglia cosiddetta cristiana inizia con un atto di falsità, cioè con una vera e propria falsificazione, perché quella celebrazione di matrimonio è un grosso imbroglio vicendevole che gli sposi fanno fra loro, nei confronti dei partecipanti alla cerimonia, e viceversa, nei confronti del sacerdote e della chiesa che del resto consapevolmente accetta questo inganno. L'unica sincerità è che tutti e due (e i motivi sono sempre individuali, e spesso molto diversi, e a volte in maniera impressionante) hanno deciso di sposarsi in chiesa. Hanno fatto i documenti ed eccoli lì, emozionatissimi sotto i lampi dei fotografi e delle cineprese, fra fiori e musiche e i sorrisi più o meno di convenienza degli invitati.
Il sacerdote è il ministro del culto. La cerimonia, il discorsetto, la Messa, le firme. Gli auguri.
E così da secoli, con aggravanti estremamente spiacevoli, anche se in via di estinzione, almeno dove il senso sociale si è affacciato in qualche spiraglio di sagrestia: ma ancora resistono, abbarbicate ai diritti di stola bianca e nera, differenziazioni di apparati e di rituali secondo l'estrazione sociale degli sposi.
E' tutta una storia di autentica scoscentizzazione da parte della Chiesa e del suo ministero pa-storale e liturgico e quindi logicamente degli sposi.
Era per non avere matrimoni civili, famiglie di concubini, di associati, di conviventi, senza rendersi conto che era anche il modo di non avere famiglie autenticamente cristiane, almeno nella celebrazione del loro matrimonio.
Ma torniamo a noi.
Vinta la prima impressione di sgomento (anche in vista, bisogna che lo confessi, di tutta un'immensa fatica per la preparazione, nel caso che si prospetti la volontà di un ricerca di sincerità per la celebrazione del proprio matrimonio) è bene che ci parliamo subito con grande franchezza con i fidanzati in cerca di un sacerdote per il loro matrimonio.
Nonostante le apparenze e il giudizio di chi non mi conosce bene e non sa le cose esatte della nostra comunità, dichiaro subito di non essere il sacerdote-funzionario per celebrare matrimoni. Non passo sopra disinvoltamente a quello che giudico, secondo la mia coscienza, essenziale per una sincerità religiosa e cristiana del matrimonio e della famiglia.
E propongo tre soluzioni: 1° matrimonio civile. E' modo semplice, chiaro, onesto di sposarsi quando per l'Amore degli sposi e la loro unione è sufficiente la legge civile. Se il proprio matrimonio si adatta ai livelli di valore puramente umani, va benissimo il matrimonio civile. E' chiaro che la Fede o non esiste o non avanza esigenze da risolversi nel matrimonio religioso. Con tutto un serio rispetto derivante da una profonda comprensione, consiglio di celebrare il matrimonio con questa sincerità e chiarezza. Del matrimonio religioso se ne può parlare in seguito, se ne nascerà l'esigenza, e rimaniamo disponibili per incontri, discussioni, ecc. in un clima di assoluta amicizia.
La seconda soluzione è tutta nel consiglio di cercare una parrocchia, un sacerdote e una chiesa, dove non si manifestano particolari esigenze, si è disponibili alla celebrazione di matrimoni con un adattamento, che può essere anche apprezzabile - ognuno ha la sua coscienza di quindi merita ogni rispetto -, alle esigenze manifestate dagli sposi.
La terza, nel caso d'insistenza e intuendo motivi e valori che possano dare fiducia, va bene, sono d'accordo a celebrare il matrimonio. Rimane chiaro però che nel caso che gli sposi siano disposti a consegnarsi alla mia sensibilità e responsabilità di sacerdote per la loro preparazione, si resta d'accordo di sentirsi totalmente liberi, anche dopo conversazioni di preparazione, ma specialmente di approfondimento del valore e della portata del matrimonio religioso, di decidere se celebrare o no il matrimonio.
Più che di una preparazione si tratta di prendere coscienza, il sacerdote e gli sposi, vicendevolmente, di questa responsabilizzazione che nasce dalla celebrazione del matrimonio. E' necessario quindi conoscerci seriamente, stabilire un fatto di autentica amicizia e impegnarsi insieme nella realizzazione di una famiglia cristiana, in se stessa, secondo la Parola di Gesù Cristo e nei suoi rapporti all'intorno, nell'ambiente, nel contesto sociale, nella realtà della problematica umana, così vasta e così terribilmente insidiosa e spesso maledetta, specialmente nei confronti di una famiglia che intende essere famiglia cristiana. per decidere quale soluzione. Bisognerà pure che i fidanzati parlino e discutano del problema della scelta. Normalmente i fidanzati, anche in prossimità del matrimonio, parlano di tutto, si dedicano a tutto, nei casi più democratici, trattandosi di figli di papà, ecc., imbiancano insieme le stanze dell'appartamento, si scelgono i mobili, attaccano i quadri ecc. e non parlano mai, non si comunicano mai i loro problemi interiori, la problematica religiosa, non rivelano affatto uno all'altro le loro anime, non si conoscono per nulla nei valori più importanti e più decisivi, cioè il loro vero se stessi, quello nascosto nella profondità della loro coscienza, del loro spirito, della loro sensibilità interiore e quell'esistere, quella personalità comunitaria, fatta da due che saranno uno, quell'uno che avrà inizio d'esistenza e dovrà essere il vivere quotidiano, cominciando dal momento del matrimonio. Il figlio, i figli che nasceranno ne sono il segno, la realtà materiale, bellissima di quest'unità di anime, di questa interiorità di Amore, di questa comunione che nasce dall'interno e si realizza come pienezza, come completamento nell'unità dei corpi.
E' problema enorme questo, psicologico, di comunicabilità o di incomunicabilità, .estremamente decisivo per una convivenza matrimoniale (e ovviamente non solo quella!), ma, e tanto più, è problema di valore religioso, di necessità assoluta religiosa e cristiana, perché è semplicemente assurdo costruire un vivere insieme in nome di Dio e di Cristo e Dio e Cristo non sono l'incontro più alla radice dell' Amore, non sono terreno comune dove ritrovarsi nella luce chiara e limpida che la Fede. nello stesso Dio e l'Amore allo stesso Cristo logicamente accende nella vita così totalmente comunitaria (fino al niente escluso) di due sposi, diventati uno solo nell'onnipotenza della Grazia sacramentale del matrimonio.
Se dopo questo ripensamento viene fuori la decisione di un matrimonio da realizzarsi a seguito di una coscientizzazione più che sia possibile religiosa e cristiana e nella comunione di responsabilità di un sacerdote, allora si può cominciare a parlare, a discutere, ad aiutarci insieme per celebrare quel matrimonio, il sacerdote e gli sposi, con la maggiore sincerità possibile e quindi giustificatamente davanti a Dio e davanti agli uomini.
E' chiaro che ogni coppia ha la sua posizione religiosa, la sua estrazione familiare, le sue sensibilità o difficoltà, la sua problematica, realmente impossibile di identificare con un'altra. D'altra parte la costruzione di famiglia, l'autenticità dell'Amore, le possibilità di comunione ecc. nascono da motivazioni personali e si realizzano sempre in condizioni particolari.
La preparazione collettiva difficilmente può andare più in là di un fatto nozionistico, colmabile e rimediabile unicamente dal fatto di un conoscersi e di una amicizia che può realizzarsi fra le diverse coppie. Rimane sempre però tutto un insieme di valori assolutamente particolari, propri di ogni coppia e forse anche gelosamente custoditi, e con giusta ragione.
Pastoralmente viene fuori il problema delle grandi parrocchie ecc. dove i matrimoni sono fre-quentissimi.
Pensiamo però che l'offrire possibilità di scelte chiare e responsabili rimane un dovere di considerazione di rispetto verso gli sposi, liberandoli dalle necessità e doverosità oggettive sacramentarie; comporta il giusto apprezzamento e la seria valorizzazione del sacramento, il dovere di scoperta e di spinta alle possibilità di famiglie capaci di autenticità cristiana, l'impegno sacerdotale e pastorale di lottare contro tutto un tipo di famiglia cristiana dove il sentore di verniciatura s'inizia al primo giorno di matrimonio e permane nauseante e stomachevole nella casa dove vive la famiglia - cosiddetta cristiana - e dove logicamente si battezzano i figli costringendoli (fino a che non se la squagliano spalancando la porta) a respirare una verniciatura sempre accuratamente rispennellata.
Del resto il racconto, la descrizione, la presentazione e la santificazione di questa famiglia è facilmente riscontrabile, è a portata di mano, anche all'ingresso delle chiese parrocchiali, venduta in milioni di copie: il periodo cosiddetto «famiglia cristiana». Ma questo è un altro problema, anche se non è di minore importanza.
don Sirio
pompe funebri?
So che dovrei dire, più correttamente. "sacramento degli infermi", ma la prassi è ancora talmente legata all'imminenza del trapasso che ogni tentativo di diversa interpretazione cozza contro una mentalità solidificata.
D'altra parte non ho motivi per pensare che una adeguata catechesi non possa contribuire a creare un atteggiamento diverso.
Non mi interessa quindi un discorso teso a rivalutare questo discusso sacramento, quanto riflettere sull'attuale situazione, raccogliendo alcune riflessioni sorte dall'esperienza pratica.
Anni fa era normale nascere e morire nella propria casa ed essere sepolti dai propri amici,anche se già i bisogni dell'anima erano affidati all'istituzione ecclesiastica. Ora invece cominciare o finire la vita in casa propria è diventato un segno di estrema povertà o di posizione eccezionalmente privilegiata. Il morire e la morte sono passati sotto la gestione istituzionale dei medici e degli impresari di pompe funebri. Che poi sotto questa gestione ci sia una delle mafie più redditizie non è cosa nuova: basta seguire la trafila che parte dall'infermiere premuroso di aiutare i parenti affranti fornendo telefono o indirizzo di agenzie funebri, sicuro della percentuale che scivolerà nelle proprie tasche.
Non vorrei neppure dilungarmi troppo su questo malcostume se non per dire che questo lavoro da "avvoltoi" è a volte (non poche) svolto dal sacerdote che assiste il morente e che accumula così alla busta della famiglia, il "regalo'' volta a volta o "una tantum" dell'impresario riconoscente.
Che sia uno schifo e, quando c'è di mezzo un prete o una suora, una specie di avvilente simonia, è cosa certa e spesso lamentata. Solo che non mi sembra possibile "moralizzare" 'l'ambiente se non ridando coscienza alla gente di un diritto-dovere di fronte alla morte di un parente o di un amico, affinché tutto si svolga in serena familiarità e la pietà verso i defunti sia il segno di una matura coscienza sensibile ai valori della storia personale di ciascuno in quanto immersa nella storia di tutta un'umanità. L'atteggiamento dolente che affida ad altri questo compito col pretesto di restar soli con il proprio dolore mi sembra contrasti con un serio atteggiamento di fede e sia spesso il segno di un egoismo e di un pretesto perché l'attenzione converga sul pianto dei parenti.
Anche di questo dovremmo tener conto pensando quanto il latino del sacerdote che accompagnava l'unzione dei cinque sensi abbia sostituito tutta una preghiera familiare, segno di una fede che diventa condizione indispensabile all'amministrazione dei sacramenti.
Certo è che corone di fiori, parati neri o violacei, carro di II o di I, veli neri, volti stravolti, il ricordare che "munito dei conforti religiosi" il congiunto è "piamente" deceduto, fanno parte di un unico apparato imposto al povero popolo ignorante, proposto ( per questo le distinzioni di classe) alla vanitosa borghesia, perché anche nel momento della morte non si prenda coscienza della fondamentale dignità della persona che si esprime in libera responsabilità, ma si offra incenso (e denaro) alla istituzione capace di sicura protezione (pensa a tutto). Senza riflettere magari, che questa protezione estesa in quasi tutti i campi della vita sociale. non fa che accentuare la dipendenza della gente e renderla sempre più incapace di organizzare la propria vita sulla base delle proprie esperienze personali e delle risorse disponibili nell'ambito delle rispettive comunità.
Il sacramento, legato a questo carrozzone, non potrà mai liberarsi, con le più raffinate catechesi di questo mondo, da un equivoco sostanziale che cozza contro il carattere personale, libero, creativo ed insieme comunitario della fede. Non potrà essere pienamente "segno di fede".
Un mio caro amico ha perduto nel volger d'un anno la moglie molto giovane e la mamma. L'estrema unzione è stata amministrata nel modo più tradizionale, in un clima di autentico dolore, ma è stato uno dei momenti di attenzione, innumerevoli, della famiglia e degli amici verso la morente. Alla morte i parenti hanno pensato a tutto con estrema semplicità e dignità, non atteggiandosi a "famiglia duramente colpita", ma compiendo quei gesti con serena pietà, come quando la mamma a casa riordina tutto anche la sera a mezzanotte, e il babbo sente il dovere di por-tare fuori tutta la famiglia anche se è stanco per il lavoro. Ordinare la cassa, denunziare il decesso al Comune (quante storie e scandalizzate esclamazioni di sorpresa da parte degli impiegati che non volevano neppure dare il modulo necessario! E' dovuto intervenire il capo-ufficio a vedere questi contestatori di un mondo il più tranquillo e silenzioso, di una parrocchia di morti!), fissare l'ora della messa...
Tutto con serena compostezza non certo imposta da educazione o da convenienze, ma da chiaro e semplice atteggiamento neppure scosso all'arrivo al cimitero di Lucca dall'accoglienza frettolosa, sciatta e irrispettosa di un giovane cappuccino (?) che ha brontolato in latino quattro frasi e se n'è andato ad aspettare il "prossimo".
E' stata quella la prima volta in cui come sacerdote non mi sono sentito a disagio, senza essere mescolato ai professionisti (con tutto il rispetto per la loro buona fede e buona volontà) della morte. Tutto era fatto in grande 1ibertà, ed è oggi (o, sempre?) l'unico terreno in cui può attecchire la fede.
Su un piano sociale un taglio deciso alla tariffa d'agenzia e a tutto quel sottobosco di guadagni era stato fatto anni fa, qui a Viareggio, dalla Croce Verde, e credo che specie per la povera gente sia stato un gran bene. E mi sembra ovvio ricordare che la Croce Verde non è certo un'organizzazione simpatizzante per la religione! Sarà dunque vero, anche qui, che Dio può far nascere figli suoi anche dalle pietre?
don Luigi
Qualsiasi consacrazione, sia quella del matrimonio cristiano, quella dei voti o quella dell'imposizione delle mani è già la consacrazione radicale del Battesimo o rischia di essere sterile se non è legata al fuoco che il Cristo ha gettato sulla terra: nel fuoco della sua passione accesa nella bottega di Nazareth, ha bruciato l'iniquità della crocifissione dell'uomo da parte dell'uomo e fa trionfare la vita sulla morte per riunire la massa umana in un solo corpo.
Questo fuoco deve continuare a estinguere l'ingiustizia della terra dove Caino continua ad uccidere Abele e i Faraoni fanno schiavi i popoli dei poveri.
Ogni consacrazione ha il fine di diminuire la sofferenza degli uomini, di lottare contro lo sfruttamento dei deboli da parte dei forti e di permettere cosi ad ogni uomo di volgere il suo cuore verso l'Autore del Mistero: al richiamo della Parola il mondo si è messo a vivere, deve crescere...
Se tutte le consacrazioni non sono legate a questo fuoco divorante, guai a noi, i ricchi, una minaccia ci sovrasta. Perché allora le nostre consacrazioni, come quelle dei grandi sacerdoti, vengono prostituite davanti al denaro e alla potenza, contribuiscono a crocifiggere Gesù di Nazareth e a perseguitare il suo corpo intero. Non basta dire «venga il tuo regno»: noi siamo responsabili uno per uno della crescita del suo corpo in questa nostra epoca; questa responsabilità è grave e pesante per tutti gli uomini, ma specialmente per i consacrati: il giudizio sarà fatto sulla divisione del pane, del vestito, dell'amore.
«Padre, non ti chiedo di toglierli dal mondo, ma di preservarli dal male....
«Consacrali nella verità...
« E per loro io mi offro perché siano consacrati nella verità», (Giov, 15, 19).
Beati i consacrati che lottano contro l'ingiustizia e partecipando loro stessi alle sofferenze della nascita dell'umanità fanno respirare e vivere il suo Corpo, profeti ed evangelisti della sua Resurrezione.
Suor Marie-Terese, in « La femme et l'evangile »
L'Occidente ha colonizzato il mondo, lo ha sfruttato e lo strutta.
La sua classe dirigente lascia anche il lusso della libertà ai suoi figli, tanto sa che questi sceglieranno per forza di ripetere la vita dei loro padri.
INFATTI: non sanno lavorare manualmente, e anche se lo sapessero si spaventano di farlo per degli anni. Tutti gli sfruttati invece lavorano manualmente.
- da quando sono nati sono stati abituati a considerare essenziale e inevitabile ciò che è accessorio e inutile: il comfort, l'ambiente perfettamente asettico, le medicine per la più piccola malattia e per nutrirsi, la macchina per spostarsi, il guadagno mensile di un operaio asiatico per il divertimento, vivere in una città con un milione di abitanti per arrivare a farsi degli amici, sapere ogni giorno con minuti di ritardo tutto ciò che avviene nel mondo, ogni anno mesi di vacanze per riposarsi (da che?). Per gli sfruttati invece i bisogni del corpo sono la misura dei bisogni dell'uomo.
- da quando avevano sei anni sono stati forzati dalla scuola e dall'ambiente ad essere intellettuali, astratti, più contenti di aver concepito una cosa che di averla realizzata. Tutti gli sfruttati sono invece estremamente concreti, la fame e i bisogni li hanno abituati a questo.
- nella vita sociale, come sono stati emarginati e inscatolati i delinquenti e i pazzi, cosi sono state eliminate le opposizioni concrete che potrebbero dare un senso diverso alla idea di vita che il giovane si può fare a 18 anni:
Danilo Dolci, Nomadelfia, Don Milani, il Vietnam, le cooperative, le comunità, la religiosità alla Papa Giovanni. Casomai se ne parla meno quando muoiono per imbalsamarli e metterli nel museo delle buone intenzioni.
Per non essere più uno sfruttatore, allora il giovane occidentale dovrebbe diventare un antisociale, uno sporco, un rozzo, un poco intelligente, un retrogrado, un poco originale, un insufficiente. Dovrebbe prendere sul serio (grave peccato per questa società) ciò che tutti accettano come curiosità o come maniera di «vedere» i valori spirituali (i paesi sottosviluppati, la critica alla guerra, la povertà, la preghiera contemplativa, ecc. ).
E invece cosa c'è di concreto e che fa maturare la propria vita? La ascesa sociale, valutabile in stipendio raggiunto, e di conseguenza il potere sociale tra quella gente che ha il potere del mondo.
«Che facciano pure chiasso e contestino, che richiamino i grandi principi e c'insultino; noi vecchi ne parleremo tra noi, ne discuteremo e diremo ai giovani: bravi, siamo con voi, perché anche noi quando eravamo giovani.
... Ma poi il matrimonio e la professione ... Ma, adesso, siamo concreti, non vedete che il mondo, così com'è si regge sui nostri valori: Denaro e Potenza?».
- che la malizia non è cattiva, l'intelligenza è il saper fare, e invece l'innocenza è la stupidità.
-. che la divisione tra chi sta in alto e chi sta in basso e tra i popoli della terra è Ordine.
- che l'accumulo di ricchezze si chiama Civiltà, e che gli sfruttati sono la Materia Prima che produce la Ricchezza, che porta la Potenza, che porta come frutto il Progresso delle Nazioni.
- che le Scienze devono essere la luce che illumina questa civiltà e debbono separarla dai primitivi e dalla gente da niente, servire il Denaro e amare il Potere, snaturare le cose e manipolare la gente, che la Potenza genera le armi per difendersi e propagarsi: armi, crescete e moltiplicatevi, riempite i cieli e la terra dei vostri giri e dei vostri scoppi.
- che il Progresso dà le macchine senza le quali non sappiamo fare più niente.
- che occorre mettere tutti gli imbecilli, i bisognosi, gli innocenti al servizio delle macchine, affinché queste li costringano ai loro tempi e diano loro la vita, li riducano a meccanismi; e che essi abbiano rispetto e cura di loro e le considerino la immagine e somiglianza dei loro padroni che essi servendo loro servano noi per realizzare il Paradiso in terra; e questo è vero e santo perché abbiamo la Chiesa con noi».
Tonino Drago
Di fronte alle migliaia di morti per le strade e nelle fabbriche del Cile, dei nostri fratelli caduti sotto i colpi di un esercito nazista, è questa la domanda che vorrei fare a tutti i cappellani militari del nostro esercito, per evangelizzare i nostri soldati, e soprattutto al loro vescovo che si può gloriare del titolo di generale di corpo d'armata: non vi vergognate proprio delle stellette?
Non vi brucia sul cuore il sangue sparso in terra cilena da un esercito fatto di assassini a pagamento, che richiama alla mente la feroce determinazione dei nazisti di Hitler e di tutti i tempi («non lasceremo pietra su pietra» ha detto uno di loro)?
Le fabbriche sventrate, gli operai maciullati nei loro stessi posti di lavoro impegnati a difendere la legalità costituzionale rovesciata con l'assassinio più vigliacco e brutale, la fucilazione per direttissima, non vi lacerano la coscienza come un grido di rivolta contro l'enorme mostro che è l'esercito sempre pronto a servire i padroni del momento, la legge del denaro, dello sfruttamento, del potere e dell'ordine stabilito sulla pelle del popolo?
Cosa direte (cosa avete già detto) nelle caserme, nei raduni, negli incontri con i soldati affidati alle vostre cure pastorali? Avrete il coraggio di gridare forte, in piena luce, la verità su un delitto di massa compiuto da un esercito che pretende di farci credere che il sangue sparso era come acqua necessaria a far crescere e vivere la pianta della democrazia e della libertà?
Vorrei poter credere che direte ai soldati, agli ufficiali, ai generali, che in Cile circolano assassini vestiti in divisa militare e che forse nessun tribunale terreno processerà per lo sterminio di migliaia di uomini. Vorrei poter credere che direte chiaro che il dovere di un soldato, in un caso come quello cileno, è di rifiutarsi con ogni mezzo di eseguire gli ordini di chi gli comanda di assassinare il proprio popolo. E che la patria da difendere sono i poveri, gli oppressi, gli sfruttati, tutti quelli che sono schiacciati dai ricchi e dai potenti; che fra l'uomo e il denaro (e chi il denaro cerca e adora come un dio) è sempre l'uomo che bisogna scegliere.
Dire tutto questo è certamente il minimo richiesto dalle esigenze di quella Verità di cui diciamo di essere servitori e testimoni, finché non venga il giorno in cui vi deciderete (e ci decideremo tutti nella Chiesa) a maledire ogni esercito, ogni arma, ogni guerra, ogni uomo che uccide o insegna ad uccidere il proprio compagno di destino e di vita.
Perché cessi lo scandalo di una Chiesa legata al carro della violenza legalizzata, oppressiva e omicida com'è quella militare. Di cui quella dell'esercito cileno, massacratore del proprio Popolo, non è che l'ultimo atroce esempio.
... orrore di una chiesa
Santiago, 19 settembre
"Posti di fronte all'alternativa: anarchia o autoritarismo abbiamo preferito scegliere il secondo ... preghiamo il Signore perché non vi siano né vinti né vincitori e per questo offriamo tutta la nostra incondizionata collaborazione a coloro che in ore così difficili, hanno assunto la pesantissima responsabilità di guidare i nostri destini...
Insieme all'amore per la libertà (!!) esiste in noi l'amore e il rispetto della legge. Riteniamo che la legge rappresenti la. migliore salvaguardia della nostra libertà e il migliore stimolo per il nostro sviluppo. Abbiamo sempre rispettato la legge. Abbiamo sempre preferito l'ordine al disordine l'autorità alla Anarchia, il dialogo all'imposizione, la giustizia alla Violenza, l'amore all'odio".
Il Cardinale R. S. Henriquez, primate della chiesa del Cile al canto del Te Deum dopo la sepoltura della libertà compiuta dalla legge dell'esercito.
Non credeteli. Copriva
il loro volto la stessa maschera:
la lealtà nella bocca,
ma nella mano una pallottola.
Infine, gli stessi in Cile
che in Spagna.
Ormai tutto è finito. Ma la morte,
la morte non finisce nulla.
Guardate! Hanno ucciso un uomo.
Cieca la mano che uccide.
Cadde ieri. Ma il suo sangue
già oggi stesso s'innalza.
Rafael Alberti
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455