E' questione d'intenderci (e il discorso, chissà perché, diventa subito tanto complesso e difficile) su cosa significa Amore (non usiamo di proposito la parola «carità» ormai popolarmente disusata se non, a significare un rapporto caritatevole, una mentalità caritativa, sicuramente irrecuperabile alle sue originarie significazioni teologiche e mistiche).
Ma anche l'Amore, in un parlare cristiano, s'intende, è sentimentalizzato a rapporti sdolcinati, velati di riguardi e di rispetti, coperti di degnazione e di educazione, fino a precise falsificazioni personali, a nascondimenti della verità, ad arrotondamento di problemi, a sviamento di scontri, ad impedimento di lotta...
Pensiamo che l'Amore cristiano, questo rapporto deciso e determinato da una scelta cristiana del come essere uomini e donne nei confronti di altri uomini e donne, questo modo d'incontro o di scontro con la vita e con tutti i problemi che la vita comporta, imparato da Gesù Cristo, quell'Amore cristiano, pensiamo che non possa mai essere diviso dalla Verità..
Velare la Verità, o peggio ancora nasconderla, presentarne un'altra piuttosto di quella autentica, tradire insomma la Verità, non potrà mai essere Amore. Non si ama il prossimo non amando la sua Verità. Perché è la Verità il valore essenziale, costitutivo dell'uomo.
Camminare su una strada oppure su un'altra decide semplicemente dell'arrivare o no, là dove è decisivo giungere.
Pensare in un modo o diversamente, comporta una possibilità di determinazione esistenziale, con conseguenze inimmaginabili per se stessi e per chissà quanti altri.
Essere nella luce o nel buio vuoi dire semplicemente camminare e camminare con sicurezza oppure brancolare, andare avanti a tastoni.
L'Amore cristiano, prima che in ogni altra realtà di rapporto, si gioca tutto nei confronti della Verità.
Il Cristianesimo, la Chiesa, porta nel mondo, fra gli uomini, la pesantissima responsabilità di Amore all'umanità che si precisa e si realizza, con antecedenze assolute, nella Verità.
Non sono le opere buone che possono dare senso e valore al cristiano, al popolo cristiano, alla Chiesa, alla cristianità, ma è questa infinita opera buona di annunciare la Verità al mondo e di essere questa Verità.
E' adorabile in Gesù questa antecedenza assoluta della Verità, di annunciare la Verità e di esserla Lui stesso nei confronti di tutto quello che è la vita, compresi i miracoli.
Rimarrà sempre Verità splendida, stupenda, apologeticamente formidabile per una qualificazione di uomo, fino alle misure estreme di onestà, di rettitudine, di giustizia, ma specialmente di misura totale di Amore, quello che a Gesù devono dire a proposito del tributo i suoi nemici farisei ed erodiani: "Maestro, sappiamo che sei sincero e insegni la via di Dio secondo verità, senza preoccuparti di nessuno, perché tu non guardi all'apparenza degl'i uomini".
E' quest'Amore alla Verità, gridata scopertamente, dichiarata liberamente, che porterà Gesù in Croce: questa Verità, segno e realtà d'un Amore all'uomo e all'umanità, più forte della morte e reso vivente dalla sua risurrezione.
Ogni cristiano è giudicato continuamente da quest'Amore che si esprime in una vera evangelizzazione, in un autentico annuncio della Verità di Dio in tutta la realtà della vita, dell'esistenza, della storia.
Ogni sacerdote porta, fondamentale e decisivo nel suo destino, la consacrazione a quest'Amore verso l'uomo, vissuto nella e attraverso la Parola del Vangelo.
La Chiesa è questa violenza d'Amore nel mondo fatta di proclamazione della Verità, di libertà di annuncio della Parola di Dio, di incisione nella storia dell'umanità della storia del Figlio di Dio, Gesù Cristo.
Se l'evangelizzazione è Amore, non vi possono essere limitazioni, rispetti, compromessi, perché non può che cercare immediatamente e appassionatamente ciò che è la Verità di tutto e di tutti e cioè la Verità di Dio che è anche l'unica Verità dell'uomo.
Se l'Amore è evangelizzazione, gioca tutto e rischia ogni cosa per fedeltà alla Parola, nella ricerca di una chiarezza, di una libertà totale, di una immediatezza assoluta, puntando risolutamente e coraggiosamente alla salvezza, alla salvezza ritrovabile soltanto nella Verità di Dio.
Il Magistero di Verità che non rischia nulla, compromette la sua autenticità.
La parola che non brucia e non incendia, è più parola d'uomo che Parola di Dio.
L'evangelizzazione che non provoca crisi, respinte, contrasti, non è evangelizzazione di Vangelo.
Il Vangelo che lascia in pace, fasciando di sentimento religioso il facile compiacimento dei devoti e dei praticanti, può essere una buona omelia, ma non è Parola di Cristo.
L'annuncio che catechizza, istruisce, spiega, addottrina, fa cultura religiosa, è senza dubbio scuola teologica per gruppi specializzati, ma è totalmente un'altra cosa del gridare il Vangelo compromettendovi dentro la vita.
E facciamo un esempio, tanto per concludere queste riflessioni così amare e dure per noi cristiani e anche per evitare la tentazione (che sentiamo piuttosto forte) di parlarne più diffusamente, come forse sarebbe giusto.
Fino a dopo la firma della pace nel Vietnam, portare il discorso, la riflessione, la coscientizzazione, alla luce della Parola di Dio, su quella maledetta guerra, era fare politica, si rischiava di parteggiare da una parte, di calare le responsabilità sull'altra che, stranamente, non poteva essere esposta alla deprecazione, ecc.
Nemmeno un piangere insieme a quel disgraziatissimo popolo durante quegli spaventosi bombardamenti prima di Natale.
Niente Amore, quindi evangelizzazione perché impossibile dire la Verità.
Finita la guerra (e Dio voglia che sia finita), questo tirar su, sulla disgrazia degli altri, il buon cuore del popolo cristiano, la premurosa e paterna sollecitudine della Gerarchia, la caritatevole generosità della Chiesa, per la ricostruzione di quello che prima si è lasciato, senza alzare un dito, distruggere.
Però i milioni di morti, figli di Dio ammazzati nei modi più spaventosi da una lotta orrenda di fratelli contro fratelli, quelli non c'è carità cristiana che li possa risuscitare.
Vi si pianterà, sopra a questo immenso cimitero, pietosamente, una gran croce, e tutto sarà sistemato.
Si chiederanno cento lire per la ricostruzione, e serviranno a mettere in pace le coscienze, a mettere in evidenza l'organizzazione cattolica della parrocchia, della diocesi, ammanteranno la Chiesa di carità, ma indicheranno anche una spaventosa ipocrisia: il tentativo di coprire di opera buona la terribile responsabilità di una evangelizzazione che non vi è stata, di una lotta per Amore fraterno che non è stata combattuta, di un orrore contro la guerra (e la guerra lo è sempre maledetta ed inutile) che non ha impegnate in una respinta appassionata la Chiesa e il popolo cristiano.
Evidentemente pensiamo e crediamo che l'evangelizzazione dovrebbe essere una realtà di Amore alquanto diversa.
La Redazione
9 - Pubblicani e peccatori
Sono solo nominati pubblicani e peccatori nel racconto della vocazione di Levi. Non conosciamo il loro volto, non sappiamo niente di loro se non che Gesù con i suoi discepoli mangiava e beveva con loro.
Possiamo pensare ed immaginare un rapporto molto semplice eppure così tanto vero per cui lo stare insieme di Gesù con i pubblicani e i peccatori stava a significare una partecipazione intensa, un mutuo scambio di destini. Colui che è senza peccato è stato infatti annoverato tra i malfattori, mentre il delinquente consapevole della propria colpa entra nella comunione con Dio. Destini che si intrecciano sulla croce, così come si intreccia ai nostri giorni la storia della salvezza e quella dell'egoismo tra gli uomini.
Il discorso del mondo che cura i propri interessi perché il potere generi il potere, la ricchezza produca ricchezza, la solitudine fruttifichi dall'egoismo per essere cibo di chi ha fatto suprema ragione d'esistenza il proprio «io».
La parola di Gesù che risponde in modo sorprendente allo scandalizzato interrogativo dei fa-risei, capovolge quest'ordine di valori mescolando in modo irrimediabile le strade dell'umanità. Non solo davanti a Dio siamo tutti uguali, per quanto gli uomini studino nel porre barriere tra loro, ma siamo l'uno per l'altro legati e incatenati per un dolce peso d'amore. «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma gli ammalati» perché salute e malattie si mescolino insieme senza timore, di-schiudendo il sogno unificante e vivificante dell'amore.
Gesù in mezzo ai pubblicani e ai peccatori chiama Levi, perché nella persona di colui che sarà l'apostolo Matteo, la miseria di quegli uomini incontri la benevolenza smisurata di Dio e ne scaturisca luce di speranza per gli emarginati su questa terra. Valore sacerdotale di un'esistenza che non si ver-gogna della propria povertà, che rifiuta la via del potere, che non si sente autorizzata a provvedere alla propria sistemazione per il solo fatto che Gesù l'ha chiamata, ma rimane nel proprio ambiente, mantiene inalterate le proprie amicizie perché Gesù possa essere presente a spezzare il pane tra i diseredati i ladri, le gente che vive di espedienti, i peccatori: «Mangiava e beveva con loro»: e noi, la nostra casa, la nostra tavola, il nostro cuore soprattutto, come partecipa questa indicazione di comunione e di amore? Forse è in noi lo scandalo dei Farisei.
don Luigi
"Riferite ciò che avete visto e udito: «i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi ci sentono, i morti risorgono, il Vangelo è annunciato ai poveri e beato colui per il quale io non sarò occasione di scandalo". (Lc. 7, 22-23)
Ci permettiamo riportare una lettera indirizzata dal Patriarca di Venezia, Mons. Luciani, a tutti i fedeli della diocesi. E subito dopo alcune riflessioni che ci sono venute su, raccolte dalla nostra Fede, dalla nostra scelta cristiana e dalla concretezza del nostro impegno sacerdotale.
Non è assolutamente per stabilire un confronto, e tanto meno per spirito polemico, che ci permettiamo di mettere accanto alle premure pastorali di un Vescovo le nostre povere e semplici riflessioni.
Ne va di mezzo l'evangelizzazione e cioè la presentazione della Parola e del Mistero di Cristo alla gente in mezzo alla quale viviamo, in questo nostro tempo, e pensiamo che almeno una complementarietà di apporti diversi sia indispensabile per una autenticità di annuncio evangelico.
D'altra parte nella lettera del Vescovo di Venezia avvertiamo affermazioni che con tutta la buona volontà non riusciamo ad accogliere nella nostra Fede, avvertendovi una visione alquanto limitata del Cristianesimo, anche se comprendiamo a seguito di tutta una forse più che giustificata apprensione e preoccupazione.
Ma se fatti, avvenimenti, comportamenti, persone, gruppi, ecc. possono suscitare perplessità e anche profonda sofferenza non si può e non si deve, per quanto è possibile, alle inevitabili parzialità di cui tutti siamo sospettabili, rischiare incompletezze o insufficienze di evangelizzazione.
Le nostre riflessioni non vogliono essere una risposta, tant'è vero che del testo della lettera è stato recepito l'insieme e non le singole affermazioni o respinte le diverse problematiche: sono semplicemente un tentare di respirare di nuovo con libertà a pieni polmoni, dopo la lettura della lettera, quella Fede che è apertura infinita di conoscenza e di Amore a Dio e di partecipazione totale alla esistenza umana, nella realtà e nel Mistero di Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo, Figlio di Dio e di Maria, fratello nostro e di tutti gli uomini, primizia dei viventi, l'uomo nuovo di un'umanità nuova, nella storia e nell' eternità.
Primo, non facile, e talvolta doloroso compito del vescovo è quello di proporre la parola del Signore nel suo senso giusto. Ciò spesso non sì può fare, se non si indica anche quali sensi siano sbagliati.
Ora, vedo farsi avanti qualche idea che, cristianamente buona in partenza, man mano che procede e si sviluppa, perde parte della sua bontà, si mescola ad ideologie estranee e finisce col diventare contraria alla lettera e allo spirito del Vangelo.
E' idea buona ed evangelica accordare grande importanza ai problemi sociali. Questo rientra anche nello spirito del Concilio, che fu detto "pastorale" proprio perché messosi in ascolto di quelli che sono i problemi maggiormente sentiti dalla gente, specialmente povera. Bene, dunque, e religioso il preoccuparsi della promozione delle classi diseredate, della giustizia e della pace internazionale, della disoccupazione, della difesa dei posti di lavoro, ecc.
II meno bene e il meno religioso possono venire dopo. Quando si dichiara che risolvere questi problemi diventa lo scopo assolutamente principale dell'attività religiosa (si badi: non politica o sociale, ma religiosa); quando si afferma che, altri problemi come evitare il peccato, essere amicai di Dio con una vita santa sostenuta dalla preghiera e dai sacramenti, sono, sempre sul piano religioso, problemi secondari o non hanno l'urgenza dei primi.
Si fa poi un altro passo. Constatato che i problemi sociali sono strettamente connessi coi problemi politici, si pretende che ogni apostolato (anche di sacerdoti, religiosi e suore) sia inutile e vano, se non fa - usa dire così - delle «scelte politiche» le sue scelte prioritarie. Questa affermazione stupisce e spesso allarma i fedeli ed allora si cerca di giustificarla, interpretando il Vangelo in chiave politica e pretendendo scorgere in Cristo non l'agnello, ma il lupo di Dio, il ribelle venuto a liberare gli uomini da tutte le oppressioni, di cui essi sono le vittime.
Si va più avanti ancora, Si. dice: 1) tutte le oppressioni vengono dall'organizzazione capitalista della società; 2) i governi di adesso non fanno che sostenere - quasi tutti - le classi possidenti; 3) la stessa dottrina della Chiesa s'è lasciata pervadere dall'ideologia capitalista. Conclusione: non si attua il Vangelo, se non ci si impegna a cambiare radicalmente le strutture dello Stato, ove occorre, anche con la violenza; si è falsi cattolici se non si dà mano a coinvolgere tutta la Chiesa in questa azione rivoluzionaria.
Miei fratelli! Non ho intenzione di occuparmi di politica: ma non mi stancherò mai di richiamare la vostra attenzione sul vero significato della missione di Cristo. Gli evangelisti - tutti e quattro - affermano che Egli è venuto a preparare e svolgere un'opera soprattutto spirituale e interna alle anime. Nel deserto, dopo essere stato tentato, egli ha vinto. Ma fu combattimento e vittoria spirituale, non sociale o politica, e così sono state poi tutte le battaglie della sua vita. Vincerete - ci ha insegnato - «con le preghiere e il digiuno», Cristo è si un liberatore, ma direttamente e prin-cipalmente, libera dalla schiavitù del peccato. San Paolo lo dice chiaramente: «Voi, già schiavi del peccato, vi siete sottomessi di cuore a quel codice di dottrina (il Vangelo)... e affrancati dal peccato, siete diventati schiavi della giustizia».
Se questo è vero, ed è vero, bisogna che restino in piedi tutte le verità fondamentali della nostra fede. Se invece mi negate il peccato originale e dite che l'unico peccato è l'oppressione dei poveri, cade ogni necessità di affermare che Cristo è venuto per liberarci dal peccato. Cade anche la necessità dell'aiuto divino e della preghiera per evitare il male o per risorgere da esso. Se con Cox affermate che le potenze cosmiche diaboliche, di cui parla San Paolo e contro cui dobbiamo lottare, sono né più né meno le forze politiche - sociali imprigionanti e condizionanti le libertà umane, avete ragione di ridurre la religione a politica. Se nel figliol prodigo, nella pecorella smarrita, nella dramma perduta - sintesi magnifiche dell'amore salvante di Cristo - volete vedere altra cosa che il peccatore: se, soprattutto ammettete che Cristo sia stato solo uomo «tutto per gli altri», e non anche «tutto per il Padre», non vero Dio, non capace di rimettere i peccati, non venuto a cercare e a salvare quello che era perduto, allora è tutto l'edificio che crolla. Allora, il cattolicesimo è stato sino all'ora presente uno sbaglio colossale: da duemila anni in qua tutti si sarebbero ingannati o ci avrebbero ingannato.
Chi si rifiuta di accettare queste paurose conclusioni e vuol restare nella vera fede, deve dunque ridare alla missione di Cristo il senso di una volta e di sempre, tenendo che egli è venuto soprattutto a liberarci dal peccato con una liberazione spirituale, interiore, che riguarda l'anima di ciascuno di noi.
A chi afferma queste verità capitano oggi addosso biasimi e accuse di "alienazione", di "integrazione nel sistema" e di "difesa del potere" anche da persone in buona fede. Se capiteranno a me, non mi impediranno, spero, con la grazia del Signore, di compiere il mio dovere. Spero che con me lo possano compiere tutti i sacerdoti, che da me ricevono l'incarico di spiegare la parola di Dio al popolo.
Preghiamo tutti che il Signore ci illumini ed aiuti.
Mons. Albino Luciani
Nella ricerca, a volte così intensa e appassionata, di un chiarimento e d'un approfondimento della Fede cristiana, responsabilizzandosi più che sia possibile nei confronti del significato e della portata di una scelta di Dio e di Cristo che deve decidere della propria identità, del proprio rapporto con Dio e con il mondo nel quale si vive, è comprensibile che possono succedere eccessività, acutizzazioni di problemi, accentuazioni particolari e anche smarrimenti e disorientamenti.
Vi sono secoli di tutta una spiritualità, di tutto un modo più o meno standardizzato e sistemato della vita cristiana, che si stanno scontrando con valori di nuovi, con prospettive diverse.
Non c'è da stupirsi né da spaventarsi se la coscienza cristiana si sta sensibilizzando fortemente a problematiche prima raramente percepite e senza dubbio non avvertite come valore normale, logico di Fede, come semplice attualizzazione d'impegno cristiano, come condizione indispensabile e decisiva (perché completante) della propria sincerità cristiana.
E' di qui, da questa formidabile ricerca di autenticazione della Fede cristiana, che la scelta, per esempio, politica sta diventando un concretizzarsi di rapporto fraterno, un dare una possibilità di essere viva, vivente alla Fede, un giocare i valori sociali, materiali, fisici, storici insieme e in maniera unitaria, senza quindi assurde e stranissime scissioni, al proprio spirito, ai valori spirituali, religiosi, cristiani, soprannaturali.
Del resto (e questa è una parentesi che non vuole entrare nel discorso) la Chiesa, gerarchica, ecclesiastica e cattolica dal '46 fino a pochi anni fa (per riferirei a esperienza vissuta), negli avvenimenti elettorali e nelle scadenze dei mandati politici, si rifaceva a questo insegnamento "unitario" di Fede e scelta politica, se è vero che il voto è un'azione politica, come ci sembra innegabile. E le pressioni attraverso lo «spirituale» fino alle scomuniche a livelli popolari, non è per fare i cattivi, ma è semplicemente doveroso ammettere, che era tentativo di superare e scavalcare, specialmente negli ambienti poveri e operai, la separazione dello spirituale dal temporale.
Non si vede perché questa realtà unitaria non debba e non sia doveroso in coscienza che il cristiano la continui anche in un progredire di visione delle cose, e può darsi anche in un possibile venire di più (ogni giorno di più lo Spirito Santo lo porta avanti) del Regno di Dio.
Per noi è motivo di gioia e di profonda speranza (una delle più grosse che custodiamo nel cuore) che la conoscenza di Gesù Cristo e di tutto il suo Mistero di vero Dio e di vero Uomo sempre più comporti pienezze di vita cristiana e capacità d'impegno e di responsabilizzazione a misure sempre più totali della vita umana e a misure sempre più universali, «fino agli ultimi confini della terra», cioè di tutto l'uomo e dell'intera umanità.
E che l'impegno e la lotta e cioè il sentirsi responsabili del fratello nelle sue problematiche ter-rene, umane, sociali, politiche, diventi ostacolo e comporti inevitabilmente un rapporto, come si dice soltanto orizzontale, con l'esclusione, volere o no, del rapporto verticale e cioè dei valori spirituali, religiosi, soprannaturali, di vita eterna, ecc., è immaturità religiosa, è ottusità cristiana, è quella vi-sione parziale della vita e della storia contro cui è doveroso lottare con una incessante evangelizzazione, con una vita cristiana intensa di preghiera, di sacramenti, di comunione col Cristo e di fedeltà a tutto il Vangelo e cioè una vera e seria, incessante conversione.
La paura non costruisce niente. Raggomitola nel proprio guscio. E dà di uscirne per strumentalizzazioni, fin troppo scopertamente e soltanto a proprio ritorno.
* * *
Gesù del resto giudicherà gli eletti e i non eletti, non sopra e circa problemi spirituali, interni alle anime, sulle preghiere, i digiuni, i sacramenti, il peccato originale e tutte le teologie, i codici di diritto canonico, le pastorali, ecc.: giudicherà semplicemente sul rapporto col prossimo, se è stato di Amore o di egoismo.
E dare il pane a chi ha fame, da bere a chi ha sete, la casa a chi vive in una topaia, come dare il vestito a chi è nudo, accogliere il pellegrino, andare a vedere chi è malato e porsi i problemi della malattia e affrontarne le matrici sociali, visitare il carcerato e sensibilizzarsi ai motivi della sua carcerazione e sollevare e agitare problemi di liberazione da troppo carcere, spiegabile spesso soltanto dalle ingiustizie della società o specialmente da sopraffazione politica... Tutto questo è giudizio su un comportamento sociale, in ordine a precise scelte politiche, nei confronti di valori umani, terreni, di storia concreta, di quotidianità della vita, con in più e per un potenziamento d'Amore, e quindi di serietà d'impegno, derivabile dall'identificazione dell'oggetto di questa azione sociale e politica con la stessa Persona del Cristo "ogni volta che l'avete realizzato (o no) questo rapporto di Amore con uno di questi piccoli (sono i poveri, gli indifesi, gli emarginati, gli sfruttati, il sottoproletariato, il terzo mondo, i popoli di colore, i popoli schiacciati dalle dittature, dalle grandi potenze, dalla ragione economica e cioè chi ha fame, sete, è nudo. senza casa, malato, imprigiona-to...) l'avete fatto (o no) a me".
Intendiamo così il Cristianesimo. Siamo fuori del Vangelo, mettiamo in pericolo la Fede, stiamo minando la Chiesa?
* * *
Non neghiamo il peccato originale, Dio ce ne guardi, e poi perché? Anzi lo affermiamo con una constatazione che coll'andare avanti della storia cresce di più. Perché non è possibile non rendersi conto delle conseguenze così spaventose di questo primo peccato che sta già all'origine dell'esistenza umana e cresce, come un fiume, ad ogni giorno che passa.
Crediamo nel peccato originale, ma crediamo anche, quindi, in tutte le sue conseguenze che sono realtà storica, concreta. contro le quali dobbiamo lottare, se è vero che il battesimo indica che vi è stata già in noi, a seguito di Cristo, questa lotta vittoriosa contro il peccato originale che logicamente deve continuarsi contro tutto quello (e è spaventoso) che il peccato originale ha scatenato nel mondo.
E ognuno con la misura di responsabilità secondo quello che Dio gli fa affidato di impegno nella vita e secondo i doni di grazia di cui Dio l'ha ricolmato per sostenerlo in questa lotta.
Quindi il peccato originale, e tutto quello che nasce, come da radice maledetta, dal peccato originale, non si può non chiamarsi e non essere peccato altrettanto capace di dannazione.
Ne facciamo un piccolo elenco, di quei peccati da combattersi senza dubbio con la preghiera e il digiuno, i sacramenti, il pentimento, ecc., come vanno combattuti e vinti i peccati d'ordine individuale e personale (anche ammesso e non concesso che vi possano essere peccati senza un riflesso e una risonanza, almeno soprannaturalmente, a misure universali). Vi sono peccati personali che però diventano collettivi: quando succede che vengano commessi da molte persone, diventano peccati di un gruppo, di una società, di una classe, di una cultura, di un popolo, di una razza ... diventano cioè peccati sociali, organizzati, classisti, politici. Bisogna combatterli con la preghiera e il digiuno, i sacramenti, ecc., questi peccati, è vero, ma forse anche con una lotta sociale, organizzata, politica.
Anche se, senza dubbio, sulla linea del Vangelo e secondo la Parola e il metodo di Cristo, e cioè nell'Amore, e per Amore, giocandovi anche la vita e rischiando tutto, anche la Croce. Il che non può non succedere quando seriamente si prega, si frequentano i sacramenti, ecc. Ma è però lotta, è scontrarsi, è uscire all'aperto, è operare delle scelte, è rischiare... Perché così è fatto l'Amore e precisamente l'Amore cristiano. Valore ancora molto da scoprire, ma che il mondo, guidato dallo Spirito Santo, sta costringendoci a scoprire, se vogliamo cogliere i segni dei tempi.
Peccato originale e cioè: il se stesso come valore assoluto, l'egoismo in tutto il suo esprimersi: l'appropriarsi e diventare il padrone. L'accumulare, e cioè la ricchezza, e quindi lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. La necessità del potere, e quindi l'inevitabilità di usarlo a costo di oppressioni fino alla disumanità. La disuguaglianza sociale, il capitalismo e il proletariato, il razzismo, il nazionalismo, la sopraffazione e quindi la distruzione di popoli, di regimi dittatoriali, la provocazione di rivoluzioni, le guerre, sintesi e scatenamento di ogni malvagità che è la guerra, sempre, maledizione e dannazione di povera umanità.
La ragione economica, il gioco finanziario dei gruppi economici che provoca le guerre, sfrutta fiumi di sangue. Le fabbriche di armi. Il colonialismo. Tutto quello che sta combinando ai danni dell'umanità intera questa ormai odiosa razzaccia bianca, per il suo benessere, il suo dominio fino all'uso infame, quando gliene viene un tornaconto, una possibilità di sopraffazione, di violenza e di prepotenza, e quindi di sfruttamento della sua scienza, della sua cultura, della sua civiltà... E l'elenco di questa orrenda storia di peccato si allunga quanto la storia dell'umanità, quella che si legge sui libri, ma specialmente quella che gronda dalla marea di lacrime che ha affogato il mondo, che straripa dalla fiumana di sangue che ha dilagato ogni angolo della terra: e tutto continua con una volontà e una violenza capace di macinare ogni resistenza e vanificare ogni ricerca di realizzare un mondo diverso.
* * *
Il cristiano che vuol essere cristiano, a nostro parere, si carica di questa umanità, porta nel suo destino questa storia che, è chiaro non deve aggravare con i suoi peccati personali dai quali deve convertirsi, come la pecorella che torna all'ovile e come il figliol prodigo, ma non per starsene poi in pace nel tepore dell'ovile e negli agi della casa paterna, quanto per alleggerire dei suoi peccati il peso di peccato che grava sul mondo e poi allargare la luce nel buio dell' esistenza, essere pugno di lievito che lievita l'umanità, il sale che dà sapore alla terra, la pietra angolare sulla quale costruire «il nuovo cielo e la nuova terra».
Il cristiano deve caricarsi del peso dell'umanità nei suoi destini terreni ed eterni e piangere, ma anche lottare contro il peccato che fa di questo mondo un inferno di qui (e non soltanto metaforicamente), tentando le misure estreme della disperazione del mondo per realizzare le condizioni per un inferno anche di là.
Il cristiano, e tanto più il sacerdote, il religioso, il Vescovo, evidentemente, deve caricarsi della fatica impossibile in se stessa, ma possibile per virtù di Cristo, di tentare e di lottare perché l'umanità sia la nuova creatura, l'esistenza diversa, quella sognata da Dio che l'ha creata e realizzata dall'umanità di Suo Figlio Gesù Cristo.
Deve il cristiano, a seguito e in obbedienza della sua Fede, coinvolgersi nella lotta, compromettersi, uscendo dal guscio dell'ipotetica, perché egoista, salvezza personale, dalla sua passività, dal suo tirare avanti per la sua strada come il sacerdote e il levita della parabola, e rischiare. Perché senza rischio non c'è Fede e non può esserci Amore. Rischiare portando dentro la gran lotta, che travaglia e entusiasma gran parte dell'umanità, l'Amore di cui lui solo è capace, l'onnipotenza di Dio di cui lui soltanto può essere testimone, la parola e la realtà di tutto il Mistero di Cristo di cui lui unicamente è la continuità nella storia.
E perché troppi valori sono stati travolti e travisati, strumentalizzati e sfruttati (macchiati sacrilegamente di peccato), non è detto che non siano, purificati e liberati da tutto ciò che non è Amore, segno e realtà di Dio, valori cristiani, da affermare e testimoniare e per i quali quindi lottare nel mondo.
La libertà sarà sempre il dono supremo di Dio.
La giustizia, l'uguaglianza saranno sempre realtà di fraternità. La pace, il pane quotidiano, la casa per la famiglia, un lavoro dignitoso, il diritto allo studio, ed essere uomini e donne e popoli e razze allo stesso livello di valore umano, con gli stessi diritti e doveri, su parità assoluta... saranno sempre condizioni essenziali rispondenti al Pensiero di Dio creatore e realtà di salvezza di Cristo redentore. Questa umanità che è famiglia di Dio, quest'umanità che tutta può chiamare Dio Padre.
* * *
E' in quest'umanità che il Figlio di Dio si è fatto Uomo. E uomo vero, con una storia precisa di uomo, incarnazione autentica, compromissione con tutta la esistenza, assunzione di tutta la realtà umana nella propria storia. Che è storia concreta, raccontabile, fatta di avvenimenti di persone, di folle, di Amore infinito, di lotte tenaci e durissime, di offerte a cuore aperto sulla misura di Dio e di respinte implacabili, fino alla morte di Croce.
E' tutta una storia che è la storia della salvezza dell'umanità dal peccato, di riconciliazione con Dio, è storia che converge tutta assolutamente in Dio raccogliendovi l'umanità intera. Lo crediamo profondamente e con infinita gioia.
E' anche però storia di un Uomo diverso, di un Uomo nuovo, di un Uomo che è anche Dio (e questa Fede comporta misure impressionanti di convincimento al discorso) che ha fatto le sue scelte le ha vissute per coerenza assoluta, ha affrontato' il suo tempo (e quindi tutti i tempi) con una potenza di Amore e di lotta inimmaginabili, si è incontrato e scontrato con l'umanità della sua terra (e quindi di tutta la terra) nella ricerca appassionata di renderla nuova, diversa, in una liberazione totale rendendola umanità vera, possibile ad essere figlia di Dio. E' in questa lotta (che solo in Lui può essere sempre unicamente Amore) che è stato sopraffatto nella violenza dei potenti, dalla prepotenza del potere, dalla ragione economica e politica e si è lasciato inchiodare alla Croce, in una fedeltà semplicemente adorabile alle sue scelte e cioè a risposta totale alla Volontà del Padre.
E' questa storia di Cristo vero Uomo che è necessario raccontare nel nostro tempo. Perché raccontata sotto questa visuale, diciamo così, sociale e politica, si è dimenticato, nell'evangelizzazione, di annunciarla. E se si è raccontata, è stato per spiritualizzarla fino al sentimento più banale, per soprannaturalizzarla fino allo svisamento, estraniandola (e è responsabilità terribile) dalla coscienza del popolo e dalla realtà concreta delle lotte per la sua liberazione da tutto il peccato, e cioè da tutto quello che non è Uomo e non è Dio, contro l'Uomo e contro Dio.
Torniamo ora a raccontarla e a entusiasmarcene cercandovi una possibilità di concretezza storica e una possibilità di presenza cristiana insieme a tutti i nostri fratelli, umanità in cerca di essere umanità e di realizzare umanità vera per tutti, per chi è disumano e per chi è sottoumano.
Logicamente e nella misura della Fede di cui c'è il dono. nella gioia profonda, letteralmente esaltante di ritrovare e di credere che nella storia di quest'Uomo, Gesù Cristo, è anche la storia di Dio, perché è la storia di Dio quando si è fatto Uomo.
E dovrebbe essere la storia di chi di questo Cristo è cristiano.
Che quest'impegno sia difficile e vi siano compromessi, annebbiamenti, tradimenti, strumentalizzazioni, confusionismi ecc. ecc., è comprensibile, ci sembra a chi appena avverte l'enormità del problema.
Crediamo però che sia il caso di ricordare la raccomandazione di Gesù: «chi è senza peccato scagli la prima pietra», quando si tratta del problema di evangelizzazione del vero e autentico Mistero di Cristo.
La Comunità del Porto
Spero che questo mio intervento in merito all'intervista con l'Ordinario militare per l'Italia pubblicata da "Avvenire" del 10/2/73 trovi possibilità di pubblicazione, per un fraterno ma chiaro confronto circa il problema della presenza sacerdotale nell'esercito.
Mi è difficile restare indifferente di fronte ad affermazioni come quelle contenute in tutta l'intervista, che non lasciano dubbi sulla sicurezza che la presenza dei sacerdoti cattolici nella struttura militare sia un'ottima cosa, un servizio altissimo ai giovani di leva, agli ufficiali, sottoufficiali e militari delle varie specialità (polizia, carabinieri, finanza ecc.). Il vescovo militare è sicuro della missione affidatagli nella Chiesa e la difende con passione, additando all'ammirazione i cappellani militari che stanno portando avanti un'importante compito pastorale che si potrebbe definire come "evangelizzazione dell'esercito".
Poiché è detto - sempre nell'intervista - che sono gradite "le critiche costruttive, i consigli che ci aiutino a purificare questa nostra presenza, a conservarla nella sua essenzialità evangelica... ", vorrei offrire il mio modesto contributo per un chiarimento del problema affrontato. Credo che sia anche un giusto e doveroso servizio alla ricerca della Verità, a cui i lettori di "Avvenire" penso abbiano diritto; ed anche un modo per tentare di far diventare il giornale sempre più uno strumento di autentico dialogo fra credenti. Premetto che queste mie riflessioni nascono unicamente da motivi di Fede, gli stessi che stanno alla base della mia vocazione sacerdotale e quindi dell'impegno di comunicare ai miei fratelli il messaggio di Liberazione e di Amore del Cristo Gesù.
EVANGELIZZARE I MILITARI
L'intervista meriterebbe di essere ripresa e considerata nei suoi vari punti, perché in ognuno di essi vi sono delle affermazioni che io sento di dover totalmente respingere. E questo partendo da ragioni di Fede, dai valori che il Vangelo di Gesù e la Chiesa propone a coloro che vogliono essere i discepoli del Figlio di Dio. Ragioni e valori che spesso purtroppo - come accade nella vita individuale - vengono smentiti a livello delle scelte concrete che facciamo dentro le strutture della vita sociale.
Non potendo esaminare punto per punto tutto il discorso dell'Ordinario militare, vorrei chiarire quello che mi sembra essere il centro del problema, il nodo che tiene tutto il resto della complicata matassa. Qual'è il ruolo, la missione del sacerdote di fronte agli uomini dell'esercito? Che parola ha da dive, da rivelare, da annunciare? E' dalla risposta che si dà a questo interrogativo che discendono le conseguenze di ciò che occorra realmente fare.
Per me è chiaro - ed è triste notare come il vescovo non ne faccia il minimo cenno - che agli uomini che si addestrano alla guerra, all'uso delle armi, alla disciplina militare, al "signorsì", il sacerdote non possa dire che una parola: "Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio. Amate i vostri nemici". "Non c'è amore più grande di chi dà la vita per coloro che ama". "Voi siete tutti fratelli". Una parola, ma che in fondo è tutto il Vangelo, quello scritto dagli evangelisti e molto più quello vissuto da Gesù Cristo, da Betlemme alla Croce, alla Resurrezione.
Una visione della missione sacerdotale nel popolo degli uomini (e quindi anche fra gli uomini della guerra) che non parta da questo annuncio della Liberazione cristiana dal mostro della violenza, dell'odio, del demone della guerra (la violenza e l'odio più terribili, perché organizzati, studiati, propagandati come amor di patria) non può aiutarla a compiere quella conversione di cui come Chiesa abbiamo bisogno di fronte al problema della presenza nella struttura militare.
Il sacerdote cristiano che vuol veramente testimoniare il Cristo Morto e Risorto, non può tranquillamente benedire tutta una realtà di uomini, di mentalità, che si trova strutturalmente fuori del progetto del regno di Dio. C'è un mondo con cui la proposta evangelica non può andare d'accordo, con cui il Cristo non può entrare in comunione se prima non viene abbattuto il muro di divisione. E' questo muro che occorre distruggere perché l'incontro col Cristo Liberatore e Salvatore sia possibile: la missione sacerdotale è ordinata prima di tutto a questo (poi viene il ministero dei sacramenti). Ora, in ordine agli eserciti di qualunque specie, il sacerdote non può che apparire come l'uomo del rifiuto di Dio di tutta una costruzione ordinata alla morte, alla distruzione, allo sterminio delle coscienze prima, delle vite umane poi. Di fronte ai capi che tengono in piedi la macchina della guerra, è tradimento venire a patti, cercare in qualche modo di mettersi d'accordo: il servizio fedele del Vangelo obbliga il sacerdote ad invitare ad uscire dalle mura della città vecchia, per incamminarsi verso la nuova, tutta da costruire. Egli non può che ripresentare - senza mutarla - l'antica proposta di Isaia: cambiare le spade in falci, le lance in aratri, i cannoni, i carri armati, i missili nucleari in trattori, case, scuole, ospedali; gli arsenali di guerra in pane per la fame dei fratelli. Qualunque altra proposta non è proposta cristiana, perché non nasce dal cuore di Do come ci è stato manifestato in Cristo, ma è frutto delle mille compromissioni della saggezza umana. Saggezza che non genera il regno di Dio: anzi - in questo caso - è la radice di una tragedia che vista in retrospettiva assume i caratteri di un dramma terribile. Di fronte a tutta la storia di guerra, ai milioni di uomini che si sono affrontati e sterminati sui campi di battaglia, al sangue sparso come ad affogare la speranza, la parola di Verità e di Liberazione che i sacerdoti cristiani non hanno annunciato rimane come una tremenda accusa. Perché non fu detto! Non andate. Disobbedite. Non combattete. Distruggete le armi o siate maledetti?
In un'epoca come la nostra in cui cresce sempre più la possibilità di violenze atroci, in cui la tecnica è capace di mettere a punto le armi più raffinate (il Vietnam non ha insegnato nulla?) credo sia giunto il tempo di non continuare a sostenere dei ruoli che non sono quelli pensati e voluti dal Cristo, a cui soltanto dobbiamo servire.
Il problema dei cappellani militari non è un problema personale; discutendolo non si vuol discutere la bontà individuale, l'impegno, la dedizione o il sacrificio che ognuno mette nel suo servizio. E' un problema di sostanza di un aumento di Liberazione che non viene fatto, di una contraddizione che non emerge, di un mondo da distruggere - per la forza della Parola di Dio - che invece viene incoraggiato, sostenuto e benedetto.
Credo che l'umanità abbia bisogno di una presenza sacerdotale che riproponga tutto intero il messaggio dell'Amore cristiano, che non eviti lo scontro - duro ma salvifico - con il regno del peccato. Non si tratta di togliere al mondo militare la presenza dei sacerdoti cristiani (questa è una semplice conseguenza della logica evangelica): si tratta di invitare questo popolo di schiavi (chi potrebbe dire che la guerra non è schiavitù terribile) ad incamminarsi verso la terra promessa della pace e della fraternità. Per questo viaggio è indispensabile partire decisi a non venire a patti con l'uomo vecchio, col vecchio lievito della forza, della sopraffazione, dell'uomo lupo dell'uomo, Se il sacerdote non propone questo cammino di Liberazione, accettando i rischi del deserto, egli rimane complice di tutte le ingiustizie, le torture, la morte con cui i Faraoni di tutti i tempi hanno sempre affogato il popolo. Il mondo militare è veramente un paese da esodo, una terra dalla quale occorre uscire coraggiosamente per andare incontro al Dio vivente: la missione sacerdotale dovrebbe di continuo alimentare questa marcia verso la luce.
Una Chiesa che non riesce a prendere coscienza di questo sacro dovere, rimane senza dubbio ancora tanto lontana dal segno del suo unico Signore e Maestro. Per questo il problema dei cappellani militari non riguarda loro individualmente. E' tutta la Chiesa - siamo tutti noi ad essere chiamata in causa: il non volerci assumere le nostre precise responsabilità storiche, può diventare una contro-testimonianza per chi ricerca il volto di Dio fra le pieghe dell' esistenza.
Non sono molto sicuro che - come dice l'Ordinario militare nel chiudere l'intervista - qualora lo si volesse mettere sul banco degli accusati, "migliaia di combattenti caduti nelle grandi guerre o ad esse sopravissuti sorgerebbero a difendere ii loro cappellano militare perché in lui essi hanno conosciuto e amato il Cristo".
E' difficile e molto rischioso tentare di sapere quello che i morti potrebbero dire; soprattutto quelli affogati dalla tempesta della guerra, sepolti sotto le pietre, disintegrati dalle bombe, chiusi dentro i ghiacciai o dispersi nel mare.
Potrebbe anche darsi - e un Giorno lo sapremo sicuramente - che essi sorgano insieme al Cristo Signore e puntino il dito verso di noi - Chiesa di Dio - per avere accompagnato e benedetto i soldati mandati al macello su tutti i campi di guerra, invece di gridare loro l'unica Parola di Salvezza: "Non andate. Poiché sta scritto: TU NON UCCIDERE".
Giuseppe Socci, sacerdote
Comunità del porto - Viareggio
N.B. Questa lettera l'Avvenire, per quanto ci risulta, non l'ha pubblicata. Ci addolora molto questa "parzialità" del quotidiano cattolico, anche se non ci sorprende, purtroppo.
don Beppe
Permettendoci di fare alcune riflessioni, che pensiamo di Fede e di offrirle agli amici non intendiamo affatto di mancare di rispetto a chi nella Chiesa, nella lunghissima storia della Chiesa, ha faticosamente lavorato - la diplomazia, si sa, è sempre dura, travagliosa pazienza - ai trattati, ai concordati fra la S. Sede e gli Stati, i diversi regimi, i più svariati governi.
Tutto il rispetto a chi credette, con il concordato nel '29, di aver ridato l'Italia a Dio e Dio all'Italia. Anche se questo scambio, e quindi questa comunione, è un po' azzardato pensare che potesse e tanto più possa avvenire con un concordato, dei fogli di carta pieni di «ti do, mi dai», firmati dalla S. Sede e dal regime fascista.
A quel tempo avevo nove anni e avevo fatto la Cresima da un paio di mesi. Mi ricordo soltanto che da allora cominciò ad essere vacanza 1'11 febbraio.
Sono ormai tanti anni che l'Italia, a seguito dei «patti lateranensi», è di Dio e Dio è dell'Italia.
Eppure a poco a poco si sta maturando la convinzione (è già un pezzo, veramente, che si rimugina in fondo alla coscienza questo problema, e ne cresce l'angoscia) che questa storia dei concordati sia un fatto giustificabile per la soluzione e la sistemazione di un perdurante temporalismo della Chiesa sempre desiderosa e bisognosa di aggiustarsi e sistemarsi al riparo di patti e concordati, cioè di vere e proprie contrattazioni, con gli stati, le nazioni, i popoli e i regimi al potere, più o meno dittatoriali. E quindi, nel frattempo, cresce il disagio, la pena, l'angoscia che di questo temporalismo ne faccia le spese, sempre, la libertà della Parola di Dio, la possibilità di autentica evangelizzazione, le condizioni indispensabili di un giudizio motivato unicamente dal Regno di Dio, un incontro o uno scontro maturatosi dall'andamento delle cose, dalla vicenda degli uomini, dallo svolgersi della storia.
E' unicamente rifacendoci a motivi di Fede (pazza, ingenua, astratta, assurda, ognuno ci metta quello che vuole) che non ci sentiamo di poter approvare l'istituto dei concordati.
Abbiamo il diritto di usare della Fede cristiana per giudicare di quello che la Chiesa fa, e che poi i cristiani e il popolo cristiano è chiamato a vivere.
Non ci interessano né tanto né poco le ragioni giuridiche, le problematiche degli studiosi da una parte e dall'altra, le programmazioni d'intese a base diplomatica e giuridica, i vantaggi e i privilegi, anche religiosamente parlando, sopraggiunti.
Noi crediamo che la libertà ci viene dall'essere uomini, si compie nella scelta cristiana fino alle misure totali che provengono dal diventare e dall'essere Figli di Dio.
E sappiamo anche che questa libertà non ci dev'essere concessa a seguito di un benevole accordo che lo Stato si degna contrattare - per tutti i suoi tornaconti - con la. S. Sede.
E nemmeno siamo d'accordo che la S. Sede paghi allo Stato con una moneta che non è d'oro o d'argento, ma di pagina di Vangelo, di Ministero di Cristo fra gli uomini, d'indipendenza totale di magistero e di pastorale, e quindi di testimonianza chiara e scoperta di ciò che è il Cristianesimo nel mondo, paghi allo Stato delle libertà condizionate, dei privilegi che sono un controsenso, dei vantaggi che somigliano spesso più a speculazione che ad evangelizzazione, un rispetto delle sue istituzioni assai più spesso a livello umano che valori cristiani, ecc.
Crediamo che la libertà, quella. vera, piena, autentica, totale, va conquistata ogni giorno: e ogni cristiano, ogni sacerdote, ogni Vescovo bisogna che se la conquisti semplicemente attraverso una fedeltà totale a Cristo e al suo Vangelo: non può provenire da un concordato, cioè dalle misure e dai condizionamenti che un patto, un contratto sempre inevitabilmente comporta.
Fra Dio e il mondo non vi può essere concordato. Dio non può scendere a patti.
Gesù Cristo non si mai messo a mendicare un accordo, con nessuno, nemmeno con i discepoli, con i suoi fratelli, con sua madre. Fino al rischio di essere giudicato un pazzo.
Tanto più è stato violento nella respinta delle possibilità «d'intendersi» al momento delle ten-tazioni. Contro ogni concordato sta quella pagina terribile di Vangelo. E se sarà vero che lo Stato, il regime e il partito non saranno Satana (ma basta ricordare a memoria d'uomo che razza di satanassi erano e sono certi concordatari), sicuramente sono alternativa a Cristo e a tutto quello che il cristiano deve significare nel mondo.
Scendere a patti, concordare, vuol dire mercanteggiare, si tratta d'un dare e un avere, non certamente mai sulla base della Fede, davanti a Dio, nella Parola e nel Ministero di Cristo, ma nelle convenienze, nei vantaggi vicendevoli, nei privilegi ben dosati.
Tanto più poi che dal grosso concordato, dal patto base, pullulano innumerevoli concodartelli a livello locale, viene su la dottrina del «troviamoci d'accordo», fiorisce il sistema del «non diamoci noia» e le strette di mano risolvono tante cosette che non dovrebbero essere risolte, il «passiamoci sopra» raddolcisce e arrotonda doveri di scontro e «una mano lava l'altra e tutte e due lavano il viso» diventa un buon sistema di coesistenza pacifica. E l'autoritarismo trionfa sempre, trova sempre soste-gni e appoggi anche là dove invece dovrebbe scontrarsi con la Parola, fare i conti con la rivendicazione di una libertà, sentirsi ridimensionato da valori chiari e sicuri.
Una Chiesa che corre sulla via dell'accordo, dei patti, dei concordati è un po' faticoso sentirla ed accoglierla continuità del Mistero di Cristo, vero e autentico popolo di Dio che va avanti in un esodo incessante dalle schiavitù di questo mondo, dalle pastoie della politica, dalle tentazioni della sistemazione. Questa Chiesa pellegrina, ma spesso d'un pellegrinaggio puramente verbale, letterario, retorico. Questa Chiesa povera e nel frattempo così potente da fare patti e concordati con le potenze di questo mondo che S. Paolo identificava «con i principati e le potestà demoniache, dominatrici di questo mondo di tenebre».
Questa Chiesa depositaria e custode di quell'unico concordato che è Gesù Cristo. Lui è veramente e unicamente «il patto nuovo» da proporre fra gli uomini e Dio, la nuova alleanza, «l'unico nome sotto il cielo nel quale è possibile sperare salvezza».
Vi è un concordato già scritto e ben testimoniato che unicamente può regolare il rapporto fra Chiesa e Stato, fra cristianità e popolo, fra il cristiano e il cittadino, all'interno della propria coscienza e nei rapporti esterni di convivenza: è il Vangelo.
L'unico concordato sul quale giocare la speranza e la ricerca d'intesa, di accordo.
Ogni altro concordato è sostitutivo del Vangelo e necessariamente, nonostante tutta la buona volontà di Fede che vi può essere messa nella ricerca concordataria e nonostante tutte le più consolanti risultanze che ne possono venire, ogni concordato è senza dubbio «non ragionare secondo Dio, ma secondo gli uomini».
E a chi gli faceva questa proposta, - era Pietro - Gesù diceva chiaro e forte: «Vattene lontano da me, Satana».
Evidentemente, se Gesù si arrendeva a stipulare un certo accordo, un minimo di concordato, con Pilato che, oltre a tutto, si dimostrava piuttosto disponibile, non sarebbe andato a morire in croce.
Ma l'umanità avrebbe avuto un concordato di più, ma non ci sarebbe stata la Croce e cioè la sua salvezza.
Capisco bene che discorrere così, nel clima ecclesiastico di pacifica serenità, di compiacimento dell'andamento politico, che a parte alcuni dispiaceri più o meno amari, ma abbastanza sopportabili perché, oltre a tutto, crescono, per altri versi, privilegi e soddisfazioni e buone speranze, discorrere così mi pare quasi di raccontare novelle, storielle da bambini che sognano o che mettono a parlare delle cose dei grandi.
Ma la Fede è una cosa seria e chiedo scusa se alla mia già avanzata età ho ancora bisogno di rafforzarla e crescerla con chiarezze e liberazioni sempre maggiori. E chiedo scusa ancora se poi queste motivazioni di una Fede di una scelta di Dio e di Cristo, ancora più totali, mi permetto offrirle agli amici. A chi cioè penso che insieme a me sia disposto e desideroso a realizzare la comunione - così fondamentale per là salvezza di tutti - fra Dio e l'umanità, non in pezzi di carta firmati da uomini che hanno deciso di mettersi, per motivi loro, d'accordo, ma piuttosto su pagine segnate dal Sangue di Gesù Cristo e da innumerevoli fratelli e sorelle che, a seguito di Lui hanno preferito e preferiscono il disaccordo al concordato.
don Sirio
Alzatevi, voi che giacete in ginocchio
Andate e spezzate
La marcia prigione dello Stato!
E a un tratto
Come rombo di tuono
E come la venuta al mondo di Cristo
Insorse,
Calpestata e crocifissa,
La bellezza umana.
Sono io
Che vi invito alla verità e alla rivolta
Che non voglio più servire
E spezzo le vostre nere pastoie
Intessute di menzogna.
Sono io,
Dalla legge incatenato,
Che grido il manifesto umano!
E non importa che il corvo
A colpi di becco
Mi incida sul marmo del corpo
Una Croce.
Jurij Galanskov
Nella testata: «la sciabica» di Inaco Biancalana
Spedizione abb. postale gruppo III/70
Redazione: Lungo Canale Est, 37
Autorizz. Tribunale di Lucca - Decreto N. 228 del 7-3-1972
Direttore Responsabile: Don Sirio Politi
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Tip, Marchi - c. 3500 - Febbraio 1973
Luigi Sonnenfeld
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