Evangelizzare, almeno così ci sembra riflettendo sull'enorme problema dell'insegnamento religioso, è cercare di calare e di introdurre la verità di Dio manifestatasi da Gesù Cristo nel pensare degli uomini. E' rivelare, manifestare il pensiero di Dio e la sua Volontà alla intelligenza e al cuore dell'umanità. E' tentativo di mettere in comunione il Mistero di Dio con il mistero umano attraverso Gesù, che noi crediamo vero Dio e vero Uomo.
E siccome la Parola di Dio si è fatta carne ed è ad abitare fra gli uomini da dopo che Gesù è nato e continua a vivere dentro la vita per la sua Resurrezione, evangelizzare è annunziare Lui parlare di Lui, manifestandolo e offrendolo a tutta la realtà della vita umana.
Evidentemente, trattandosi di Dio il suo annuncio non può essere una scienza o un trattato di cognizioni, di cose da sapersi. Trattandosi di Gesù Cristo, Dio fatto Uomo, il parlare di Lui è assurdo che possa significare soltanto un raccontare la sua storia, spiegare le sue parole, approfondire il suo pensiero.
Fare della evangelizzazione una predicazione è un grosso peccato di cui noi della Chiesa portiamo una pesantissima responsabilità. Perché abbiamo fatto del Cristianesimo una dottrina parolaia, un insegnamento verboso senza fine, un magistero che si conclude sempre e soltanto in un insegnamento.
Tutta la problematica pastorale più urgente e assillante è nell'inventare strumenti catechetici, nel tentare catecumenati per trovare spazi e tempi per un addottrinamento, creare occasioni per approfittarne e calarvi dentro la sapienza, organizzazione di corsi, incontri, aggiornamenti per espandervi teologie, conferenze e dibattiti e tavole rotonde per suscitare interessi e ai soliti gruppi ammannire raffinatezze bibliche ed esegetiche.
Senza considerare - anche perché il discorso potrebbe risultare molto strano e suscitare inutili e vuoti risentimenti - la sconsacrazione della liturgia facendole spesso perdere la sacralità dell'incontro con Dio, cuore a cuore, nel silenzio dell'adorazione e nella profondità della Fede, per farne un'occasione catechetica di un parlare e parlare, di uno spiegare verboso e fastidioso, sempre per insegnare, addottrinare, fino alla nausea, all'insopportazione.
La Chiesa (tutta la Chiesa, ma in questo caso la Chiesa della pastorale come soggetto) avrà tanti problemi e assilli e disperazioni, però sopra tutti ha l'angoscia inconsolabile che il popolo è e continua ad essere di un'ignoranza religiosa spaventosa, irrimediabile. Un abisso nero, buio, una materialità accecante, una sordità cupa, una insensibilità refrattaria.
Dopo secoli di teologia eccoci a che punto siamo.
E possono venire in mente molte cose, ma senza ombra di critica e tanto meno di polemica può anche venire in mente che tutto un metodo di evangelizzazione non sia stato quello giusto e cioè non sia stata semplicemente, così come dovrebbe essere, evangelizzazione.
E siccome si sente dire frequentemente che bisogna ricominciare tutto da capo (che pena che tutta quella oppressione di insegnamento dottrinalistico, predicatorio, teologico ecc. i tempi, con la spietata resa dei conti che sempre comportano, ci costringano a queste costatazioni di fallimento, mentre ad illuminare dovrebbe essere più che sufficiente la Parola di Dio...) è semplicemente doveroso cercare di confrontarci, serenamente e fraternamente, sul problema dell'evangelizzazione.
Sta il fatto che tutti siamo tenuti, in quanto cristiani, all'evangelizzazione. Guai a me se non avrò evangelizzato, ogni cristiano può dire con S. Paolo. La missione di evangelizzare fino agli ultimi confini della terra e cioè in tutta la realtà della vita, appartiene alla Chiesa, al popolo di Dio, al cristiano, a chiunque ha ricevuto il dono della Fede che è luce accesa per illuminare tutti quelli di casa e la casa è tutta la terra.
Evidentemente l'evangelizzazione non può che essere il rapporto cristiano che ciascuno ha con la vita, con i fratelli, con l'umanità. Perché un Cristianesimo passivo, ad uso personale, a ritorno sul se stesso, non ha senso: è negazione di Amore, e cioè un'assurdità.
L'evangelizzazione è quindi prima di tutto una presenza cristiana nella vita, nelle condizioni esi-stenziali nelle quali viviamo.
Anche per la Chiesa, anche per lo stesso Magistero, per i vescovi, per il clero, per la Chiesa cosiddetta docente, l'evangelizzazione è prima di tutto una presenza cristiana, una realtà concreta d'esistenza costruita, determinata dalla Fede cristiana, nelle condizioni storiche in cui la Chiesa sta vivendo.
E' da questo rapporto, da questa illuminazione, da questa provocazione esistenziale che nasce e si sviluppa e si realizza l'evangelizzazione fino alle misure della Parola, «al gridare sui tetti tutto quello che si è ascoltato nel segreto».
E' un vecchio discorso che può essere sbriciolato fino ai livelli deprimenti e spesso farisaici del buon esempio, elevato fino alla montatura vanificante della testimonianza; ma può essere anche formidabile indicazione del problema-dovere essenziale della evangelizzazione.
E cioè della necessità del rompere con tutto un mondo col quale è sincerità ed autenticità cristiana, semplice e normale, il rompere. E annunciare e cioè portar dentro una diversità e una novità che è per l'appunto il Cristianesimo, questa realtà di vita, di umanità nuova, pensata da Dio, realizzata da Gesù Cristo ed affidata per l'evangelizzazione nella storia alla Chiesa, popolo di Dio.
Esprimiamo con semplicità la nostra Fede cristiana, come è fatto il nostro Amore alla Chiesa come ci sembra che debba concretizzarsi (farsi carne e sangue e dunque Croce) il rapporto fra noi cristiani e il mondo in cui viviamo, filo d'impegno d'evangelizzazione che ci lega al nostro tempo.
E' di qui, da questa viva e profonda responsabilizzazione cristiana, che ci sembra che evangelizzare, prima ancora che predicazione, addottrinamento, insegnamento o se non altro nel frattempo, senza dubbio per poter realizzare le condizioni indispensabili per l'autenticità della Parola, voglia dire affrontare una lotta.
Quando Gesù diceva le sue beatitudini faceva un tremendo annuncio di lotta.
Quando gridava i suoi «guai a voi» era un appassionato grido di Amore che lottava. Perché il suo essere segno di contraddizione; una realtà di rovina e di salvezza, un fatto di discriminazione e un crocevia nella storia di ogni uomo e dell'umanità, rientra e è parte essenziale nel suo essere il Salvatore del mondo, cioè colui che dà all'umanità di avere nella sua storia il bene totale e la respinta al male assoluta.
L'evangelizzazione ha bisogno di questa chiarezza, di questo «tutto nella luce» di Cristo. Quindi ha bisogno di lotta, non può fare a meno di lottare.
Perché la svincolazione della Parola in catene avviene soltanto attraverso la lotta. Perché l'uomo nuovo è sulla morte di quello vecchio che risorge. Perché l'adorazione a Dio e il servizio a. Lui solo è possibile soltanto calpestando e respingendo la potenza del mondo. Perché per piacere a Dio bisogna inevitabilmente rompere con Mammona...
L'evangelizzazione è l'annuncio di una scelta chiara, coraggiosa, irreversibile, pazza quando si vuole, ma che gioca tutto sulla Parola di Dio e a seguito del Mistero di Cristo. E per realizzare nel mondo, nella vita, nella storia, non una civiltà (che idea assurda e per lo meno equivoca questa della civiltà cristiana) ma una cristianità, cioè gente, poca o tanta che sia, libera e tutta nella luce, che richiami l'umanità a essere fa-miglia. di Dio e ne possa essere il segno e la garanzia.
L'evangelizzazione è l'annuncio di una lotta contro le sistemazioni più o meno legalizzate dal potere degli uomini, contro i valori furbescamente proposti come assoluti, contro gli imbrogli più o meno diplomaticizzati di chi decide tutto per quelli che non possono mai decidere nulla, contro le potenze delle tenebre che dominano il mondo e traboccano di schiavitù gli individui e i popoli...
Essa è l'annuncio, che non può non tradursi in lotta, che gli uomini sono figli di Dio, fratelli fra loro, uguali nei diritti e nei doveri umanità destinata alla pace, fatta per bontà, vera unicamente nell'amore, autentica soltanto nella libertà, umanità in cammino per una liberazione incessante e crescente, fino alla compiutezza del Regno dei Cieli.
Evangelizzazione come lotta perché occorrono delle scelte e quindi dei contrasti, ma non è possibile evitare lo scontro e logicamente il rimetterci tutto: la perdita di privilegi, il servire senza vantaggi, il morirci dentro...
Tutto quanto il cristianesimo deve sapere e non a discorsi evanescenti o a vacue esaltazioni, ma attraverso una evangelizzazione fatta di scelte da chi è il Magistero, da chi è l'insegnante, da chi è il catechista e quindi da tutto un popolo, se e in quanto è popolo che questa evangelizzazione raccoglie e vi consente.
Altrimenti bisogna scuotere perfino la polvere del calzari.
Pensiamo che l'evangelizzazione o affronta questa problematica di concretezze esistenziali storiche, capace di rendere chiaro, visibile l'annuncio oppure non rimarrà che rifarci eternamente alla catechizzazione dei bambini scervellandosi ad inventare nuove e più efficaci catechesi per il battesimo, per la cresima, per la prima comunione etc. con la certezza di ritrovarci sempre alle amarissime delusioni di quando i catechizzati arrivano a quindici anni (tanto per essere generosi) o mettono piede in una scuola superiore o in una fabbrica.
E' possibile o no evangelizzare la vita adulta responsabile, le condizioni normali dell'esistenza, portare il Vangelo,. cioè, dentro la realtà quotidiana della vita individuale, familiare, sociale e quindi della vicenda della storia?
Noi crediamo profondamente a questa realtà di evangelizzazione e chiediamo perdono di avere la presunzione di offrire agli amici questa nostra Fede.
La Redazione
7 - Un lebbroso
Un uomo va incontro a Gesù lungo una strada della Galilea, lo supplica, gli si inginocchia davanti. E' un lebbroso, costretto a vivere ai margini dell'abitato: immagine di tutta una situazione umana emarginata, affidata al proprio destino a morire di malattie giudicate inguaribili.
Poteva dargli fastidio quella figura che di umano doveva avere ben poco. Ribrezzo, forse.
Ed è sempre con difficoltà che accogliamo il problema fatto caso concreto dinanzi agli occhi, in persone che non chiedono, ma supplicano, non espongono la loro situazione con educato distacco, ma ti si appoggiano addosso e ti scuotono a dar forza a parole che sentono inadeguate ad esprimere tutto un dramma.
La storia di tutti i giorni per chi lascia la porta di casa aperta o va in giro per le strade mescolato alla folla come Gesù.
«Se tu vuoi puoi guarirmi»: un atto di grande fiducia. E mosso a compassione, Gesù stese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii guarito»: un atto di grande amore che non tradisce la fiducia. Poche parole tra i due, perché tutto è così chiaro che unicamente la nostra pigrizia e la nostra mancanza di fede hanno potuto inventare in simili occasioni un vocabolario di consolazione per poter continuare la propria strada senza disturbo alcuno.
Ma Gesù non si ferma a questo punto, rifiuta di considerare ciò che è accaduto come un fatto privato tra lui e l'uomo ormai guarito. «Guardati di non dir niente a nessuno, ma vai, mostrati al sacerdote e offri, per la tua purificazione quanto ha prescritto Mosè in testimonianza di fronte al popolo».
La Legge ha emarginato il lebbroso, la Legge deve riabilitarlo.
Gesù, rispettando le prescrizioni della Legge, pone questa di fronte ad un fatto nuovo che non può contemplare: non contro la Legge, ma certo fuori della Legge, oltre la Legge.
Un gesto di amore diviene gesto di lotta, teso a costringere le autorità e per esse tutto il popolo, ad emettere un giudizio sulla sua opera e la sua persona. Perché da questo ne venga un chiarimento anche se inevitabilmente ciò provoca un risentimento.
I sacerdoti, e con loro i farisei e gli scribi, sono costretti a sanzionare per la loro stessa Legge che i1 lebbroso è guarito. Farlo significa dar credito e stima a Gesù e soprattutto ammettere che in lui si compie la misericordia di Dio. Non farlo significa sopprimere le prove e non è cosa semplice. E' inevitabile lo scontro.
Perché la Legge, e con lei tutti i suoi rappresentanti, perde l'aureola di estrema sapienza e di supremo ragionevole giudizio, riducendosi ad un ruolo complementare di servizio, quando è chiamata a sanzionare una sapienza superiore, un modo tutto diverso di affrontare i problemi.
Un pericolo che non possono correre coloro che di questa Legge si fanno garanti e difensori perché da questa Legge traggono potere e privilegio e sicurezza. .
Così anche oggi. Ed è dimensione questa, di un amore che si mostra e diviene lotta, che i cristiani non possono trascurare. Perché l'amore non chiede unicamente di realizzarsi nell'opera buona, nella consolazione fraterna, ma di manifestarsi come forza, come unica energia capace di vita nel mondo. Per un chiarimento, per un manifestarsi di luce che non può essere assolutamente nascosta sotto il letto, anche se inevitabilmente ciò accentua le tenebre e le rende più tenebrose. Forse tutto questo ormai l'abbiamo compreso e fatto nostro. Allora non resta che imboccare una strada ed attendere l'incontro.
don Luigi
All'inizio di qualunque riflessione sulla Chiesa, sul senso della sua presenza e della sua missione sul senso della sua presenza e della sua missione nella storia, credo che sarebbe molto giusto mettere sempre il testo di Luca che ci presenta in sintesi la missione di Salvezza realizzata da Gesù: "Lo Spirito del Signore è sopra di me per questo egli mi ha consacrato con la sua unzione.
Mi ha invitato ad annunciare il Vangelo ai poveri, a proclamare la liberazione ai prigionieri, a dare la vista ai ciechi, a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l'anno di grazia del Signore". Non ci può essere evangelizzazione se non nel senso di questo annuncio solenne che Gesù ha fatto a Nazareth, a coloro che pensavano di conoscerlo bene, di sapere perché era venuto al mondo: Egli scosta il velo che nasconde la sua apparente realtà "di figlio del fabbro", di povero carpentiere di un qualunque villaggio palestinese. Il segreto che si nasconde nell'intimo del suo essere è appunto quello di dover compiere una precisa missione. In sintesi, Egli è il Liberatore.
E a seguirlo con animo aperto, lungo tutto l'arco del Vangelo, è molto evidente questo motivo di fon-do che Lui porta nei proprio destino di Figlio di Dio venuto ad abitare fra noi. A chi gli obietta che di Sabato non è lecito guarire un povero paralitico - perché questa è la legge - Lui risponde deciso che il sabato è fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato. A chi domanda la guarigione dell'infermità del proprio corpo, gli annuncia con forza il perdono dei peccati. La sua Liberazione scende fino alla radice delle catene che tengono schiavo l'uomo, perché il cammino della Libertà sia completo. Dove l'amore si fermerebbe e metterebbe volentieri dei confini, delle misure, Lui indica che la misura è unicamente la Sua, capace di abbracciare tutto il mondo. la totalità degli esseri, fino ai nemici. Amore quindi liberato da ogni grettezza, cuore aperto a tutta l'accoglienza, mani che donano senza trattenere niente per sé.
Di fronte alla scelta che necessariamente ogni uomo deve affrontare, di decidere per quale padrone schierarsi, chi servire, a chi consegnare il proprio destino, Egli non ammette esitazioni. «Non potete servire a due padroni». La Liberazione passa da questa scelta cosciente di essere unicamente a servizio di Dio, di riconoscere Lui solo come Padre, di non avere altro Maestro che il Cristo. Liberazione veramente radicale perché ci rivela il senso profondo dell'esistenza personale e collettiva e mette nel groviglio intricato dell'esperienza quotidiana il lievito della Libertà dei figli di Dio. Libertà assoluta da qualunque potere, da qualsiasi obbedienza o divinità che non sia l'Unico Dio, il Vivente, Colui che è capace di far crescere la Liberazione dei Suoi figli fino alla pienezza della Resurrezione,
Per questo, Gesù invita i suoi discepoli a non temere quelli che possono uccidere il corpo e non possono altro, nella piena coscienza di avere la vittoria contro le tenebre e le angosce della morte: estrema frontiera della Sua Liberazione che sa di non precipitare nell'abisso, ma di essere sostenuto dalla potenza creatrice del Padre.
Nella salda certezza di poter riemergere per mezzo di Lui dalla solitudine della tomba, primo fra tutti quelli che dormono, primogenito di tutta la creazione, uomo nuovo a segnare l'inizio di una nuova storia liberata da tutte le maledizioni.
* * * *
E' di questo Gesù Cristo che la Chiesa - e quindi ognuno di noi - deve essere la continuazione, l'annuncio, la testimonianza storica, vivente. Ed è questa Liberazione che siamo chiamati a compiere, per spezzare le catene in cui ogni generazione si ritrova prigioniera, risucchiata dalle forze oscure che inquinano il processo della storia.
La Chiesa esiste unicamente per questa missione dl Salvezza; il senso della sua presenza è stabilito dal comando di annunciare il Vangelo a tutte le creature, rivelando a ciascuno il suo vero volto, sprigionando nel segreto del cuore umano il fuoco della Libertà sepolto sotto le ceneri di qualunque schiavitù.
Come Chiesa di Gesù Cristo - e che cos'altro possiamo essere dal giorno del nostro Battesimo nella sua Morte e Resurrezione? - il senso della nostra esistenza deve essere unicamente quello di «esistere per gli altri»: lucerna della casa umana, sale sfuso nella massa, lievito sepolto nella pasta della vita, sorgente d'acqua che aiuta la crescita della nuova creazione.
Siamo quindi chiamati ad essere questa Chiesa che non si preoccupa di se stessa, delle proprie si-stemazioni, della sua salvezza interna, dell'efficienza organizzativa: ci si salva - anche come Chiesa - a patto di perderci negli altri, donandoci, gettandoci nel fiume della storia umana. Bisogna uscire di casa, lasciare il caldo e la tranquillità e scendere nelle piazze e nelle strade, mescolarsi alla folla anonima, nel vento e nella tempesta, ad accendervi la Speranza, ad alimentarvi la fame e la sete di Giustizia, a consolidare l'Amore. Ad agitare la bandiera della Liberazione.
Non si può essere «Chiesa per noi», perché allora si diventa un ghetto, un parco privato, una riserva in cui può entrare soltanto chi ha il lasciapassare del padrone.
Si diviene una Chiesa-società, azienda, struttura terrena, livellata ai principi e alle ragioni delle organizzazioni del mondo, preoccupata di trovare equilibri, rapporti, intese con chi domina le nazioni e go-verna i popoli. Si entra inevitabilmente nella logica del potere; e si perde allora la capacità di generare la Libertà nel cuore e nella storia degli uomini.
E' da questa sterilità che preghiamo di essere salvati, per poter compiere in piena fedeltà la missione di Liberazione che avvertiamo chiaramente come essenziale al nostro essere Chiesa di Cristo, parte viva del suo Corpo, terra dove deve espandersi la Vita. Ed è questa Chiesa che speriamo tanto cresca e s'allarghi in ogni angolo de1 mondo a spingere avanti la grande famiglia umana nella lunga marcia verso la pienezza della Libertà.
don Beppe
LIBERAZIONE
Stringiamo con le due mani la bandiera della Liberazione.
Liberazione dall'egoismo e dalle conseguenze dell'egoismo.
Liberazione delle strutture di schiavitù.
Liberazione dai razzismi. Liberazione dalle guerre.
Liberazione della miseria che è la peggiore, la più ipocrita, la più cruenta di tutte le guerre. Liberazione dalle mezze soluzioni, dai riformismi, dal puro paternalismo.
Liberazione dalla paura e dalle false prudenze. Liberazione come quella che fu realizzata da Mosè, e da Dio personalmente condotta.
Liberazione che illumina col suo fulgore tutta la Storia Santa.
Liberazione del Popolo di Dio dalla schiavitù dei Faraoni.
Liberazione come quella realizzata da Gesù Cristo nella Croce affinché non ci siano superuomini o subuomini, ma semplicemente uomini, figli dello stesso Padre, affratellati nel sangue redentore, condotti dallo spirito di Dio.
Firmiamo il nostro patto di lottare pacificamente per la Giustizia e per l'Amore, ripetendo con forza: LIBERAZIONE, LIBERAZIONE, LIBERAZIONE!
Helder Camara, vescovo di Recife
In una considerazione attenta e coscienziosa del mondo in cui viviamo e nel quale come cristiani e come Chiesa dobbiamo realizzare l'annuncio del Mistero di Cristo perché è da questa Parola che viene la luce che illumina il mondo, perché è nel suo Nome che è dato agli uomini di sapere la salvezza, a seguito di questa riflessione non è possibile non porsi il problema della evangelizzazione. E cioè di portare il Vangelo in mezzo agli uomini, nell'esistenza quotidiana, fin dentro a tutta la problematica dell'uomo e dell'umanità, in tutta la vicenda della storia e cioè «fino agli ultimi confini della terra».
Dicendo «evangelizzazione» non intendiamo affatto l'opera di conversione al Vangelo, alla pratica religiosa, alla fedeltà al battesimo, a cambiare vita, da quella di peccato a quella cosiddetta di grazia ecc...
Giudichiamo la conversione opera di Dio assai più che fatica dell'uomo. Tanto più che ci fa sempre una strana impressione di fariseismo questo mirare alla conversione degli altri quando forse noi non abbiamo ancora cominciato la nostra. E rimane sempre vero che può essere più vicino a Dio chi è creduto lontano da colui che può sentirsi vicino o essere giudicato tale.
E non riusciamo a convincerci che le diverse forme d'insegnamento religioso, di catechesi sacra-mentale, di liturgia della Parola, compreso tutto lo studio teologico, biblico, esegetico... tutta questa immensa fatica nozionistica, tutto l'enorme lavoro di ammaestramento e di addottrinamento, possa essere una vera e propria evangelizzazione.
D'accordo con il catechismo ai bambini. La particolare preparazione, con tutti i ritrovati psicope-dagogici per un insegnamento infantile, alla prima comunione. Benissimo con l'invenzione del catechismo del catecumeno per riattivare la passività rituale della Cresima e le preparazioni indispensabili per tutti gli altri sacramenti.
Non discutiamo sull'insegnamento religioso nelle scuole, specialmente in quelle medie e medie su-periori (anche perché qui si incappa in quel formidabile problema economico del vivere di tanto clero e a sostegno delle curie diocesane, e quindi porre il problema è tempo perso, finché rimarrà in piedi l'impalcatura del concordato). In ogni modo si tratta sempre, nel migliore dei casi, di tentativo di addottrinamento ed è cosa sicuramente sempre lodevole.
E rimaniamo sempre nel campo dell'ammaestramento (Chiesa docente e Chiesa discente) nelle chiese durante la liturgia della parola. Ugualmente nelle riunioni dei gruppi più o meno spontanei con esigenze di spiritualità. Nella preparazione al matrimonio dei fidanzati, nei gruppi di famiglie disponibili alla problematica religiosa ...
E la pastorale, attiva e zelante, moltiplica le occasioni per una catechesi incessante approfittandosi di ogni minima possibilità.
La Chiesa, tutta la Chiesa, sta manifestando tutta la sua vitalità, impegna tutte le sue risorse, gioca tutte le sue disponibilità in questo sforzo enorme, convogliandovi tutte le forze reperibili di catechizzazione, di culturizzazione religiosa, almeno di informazione biblica, più che sia possibile, di nozionizzazione religiosa.
Non facciamo però questa constatazione per rammaricarcene e per criticare. Dio ce ne guardi. Non possiamo però non badare al misteriosissimo gioco (dove dentro è impegnato più che altro lo Spirito Santo) della evangelizzazione.
Perché l'evangelizzazione è altra cosa. O se non altro è assai antecedente a tutto questo enorme im-pegno di insegnamento, di addottrinamento. Almeno così sembra a noi e può anche essere che sia null'altro che un'opinione, un'impressione nostra.
Siamo sempre più nel tempo in cui il sapere suscita nausea. Di dottrine trabocca questo povero mondo e cresce la coscienza che le ideologie sono la rovina dell'umanità. Perché sotto la dottrina si nasconde la trama spietata di interessi spaventosi; dietro l'ideologia avanza il partito; sotto la propaganda si cela sicuramente il tranello.
E ormai la parola dal suo valore originario di espressione del pensiero è decaduta nella miseria di una strumentalizzazione finalizzata: è a servizio non della verità e quindi della giustizia, ma della persuasione intenzionalizzata, del convincimento interessato.
Quindi non ha più fiducia, né la parola parlata, né la parola scritta. Tanto più ha perduto questa fi-ducia la Parola di Dio parlata dagli uomini.
Evangelizzazione vuol dire lasciare che la Parola di Dio sia parlata più che sia possibile da Dio e il meno possibile che la Parola di Dio si smarrisca (anche se è per essere spiegata di più) in innumerevoli parole parlate dagli uomini.
Evangelizzare è semplicemente portare il Vangelo nella vita, metterlo dentro l'esistenza degli uomini. Proporlo, offrirlo nella sua semplicità, nella sua schiettezza, nella sua interezza. Se vi fossero state meno parola di spiegazione, di commento, di delucidazione, di presentazione della verità e di smascheramento dell'errore, di considerazioni personali, di studi esegetici, di esplicitazioni storiche... tutto quello insomma che è calato di inframmettenza umana (con tutto quello che l'umano comporta) in quelle poche pagine scritte dagli evangelisti, sicuramente si avrebbe, anche dopo duemila anni, il Gesù chiaro, semplice, forte meraviglioso, vero Dio e vero Uomo, che camminava per le strade assolate della Palestina e incantava e affascinava e trascinava le folle, che moriva sulla croce, sommerso dal furore dei suoi nemici, ribellati contro la sua potenza di liberazione, schiacciato dalla maledizione che schiaccia l'umanità nel dono di salvezza per tutti gli uomini e a glorificazione di Dio, Padre di tutti.
Invece a forza di studi c'è un Gesù Cristo che è difficile vederlo con chiarezza. A forza di predica-zione e di catechesi ,di libri e di conferenze, di devozioni e di liturgie, è come non esistente nel cuore della gente, nel vivo della vita, nelle vicende della storia.
Non decide di nulla nelle scelte. Non determina l'esistenza. Non costruisce un tipo di vita.
Non ad inquietudine per un essersi incontrati allo scoperto con Dio. Non provocati a qualunque rischio, fino a quello di perdere se stessi, per il fatto che il Mistero di Cristo è calato dentro la vita, a sconvolgerne perfino i fondamenti per sostituirli con la propria pietra angolare, quella scartata da tutti i costruttori della vita e della storia.
Evangelizzare vuol dire gettare il Vangelo dentro le saggezze umane per scardinarle, dentro le situazioni borghesi e pacioccone per sconvolgerle.
Certo, è vero, deve fare paura il Vangelo, fino ad essere respinto, contrastato, detestato perché è contro, è nemico, è un pericolo, un guastafeste inopportuno. Terribile segno di contraddizione..
Come deve poter essere sentito un alleato, un appoggio sicuro, una speranza valida e forte, qualcosa capace di reggere e giustificare qualsiasi rischio e dare senso e valore specialmente a quello dei poveri, dei perseguitati, degli oppressi, dei ribelli, dei liberatori dalla schiavitù e dall'ingiustizia.
Una motivazione colmata di ciò che di più è impossibile perché di Dio stesso, per poter lottare, amare la libertà, vivere e morire per la giustizia e nella realtà dei popoli, nelle concretezze della storia.
Evangelizzare vuol dire portare (e riportare) nel cuore del cristiano e in quello del popolo di Dio, il Vangelo e cioè tutto Gesù Cristo, vivo e vivente, a costruire la vita secondo la sua resurrezione, cioè per il suo rimanere vivente, realizzazione di vita, dentro l'umanità.
Per realizzare una vera evangelizzazione è indispensabile concretizzare scelte spiegabili unicamente a seguito del Vangelo.
Sempre sta venendo il tempo e è sempre di più nel quale deve manifestarsi un contrasto, ma è più chiaro dire, uno scontro, fra i diversi sistemi di vita che possono determinare l'esistenza dell'umanità, decidere del come si farà la storia.
In questo scontro (a livelli mondiali ma in maniera identica fra due famiglie abitanti in due appartamenti uno accanto all'altro, fra popolo e popolo e ugualmente fra gli operai della stessa fabbrica, fra civiltà e civiltà, e nello stesso modo fra due insegnanti della stessa scuola, Gesù direbbe fra padre e figlio, fra madre e figlia, fra suocera e nuora, perché Lui è venuto a dividere perché nella divisione si possa fare lo spazio per l'unità realizzabile unicamente dal Suo Amore) in questo scontro di sistemi di vita che tutta l'umanità sta agitando e sconvolgendo, deve potere emergere, chiara e ben precisata l'offerta cristiana, l'indicazione ideale ed esistenziale del Vangelo.
Chiediamo alla sincerità di ricerca della nostra scelta cristiana questa chiarezza di manifestazione delle prospettive offerte dal Vangelo. Senza mezzi termini, senza compromessi, senza paure. Ma se Fede è, Fede deve essere. Non religiosità sentimentale e devozione sospirosa.
Al clero, all'episcopato, alla Gerarchia, alla Chiesa chiediamo un magistero chiaro e forte, la Parola di Dio e un essere Pastori sulla linea di Gesù, l'unico Pastore, come l'unico Maestro.
E quindi il proporre il Vangelo, tutto il Vangelo, nelle sue concretezze storiche, vitali ed esistenziali, da vedersi e da impararsi sulle pagine della Chiesa viva, di ogni Vescovo, di ogni prete, di ogni religioso e di tutto l'insieme dell'umano consacrato a Dio, perché a Dio possa servire esclusivamente e totalmente e agli uomini sia parola di Dio scritta e leggibile sulla carne e non sulle pietre di una chiesa, o sui libri di una biblioteca. L'Evangelizzazione non è problema di cattedre, di encicliche, di lettere pastorali e omelie, di liturgie e catechesi, di addottrinamento o di conquistare spazi alla televisione e alla radio, di quotidiani, riviste, pubblicazioni, teologie, incontri, studi, aggiornamenti e tutte le cosiddette iniziative dove l'unica attività è sempre il parlare, il parlare, il parlare, o se meglio si vuole, studiare e studiare...
Si tratta invece di rompere mentalità, diplomazie, rapporti, intrallazzi, sistemi, costumanze eccle-siastiche, modi di vita, problemi finanziari, furbizie economiche, attenzioni e prudenze politiche..e chissà quanto altro ancora. Bisogna trovare le liberazioni indispensabili, costruirsi di Vangelo e presentarsi al mondo, subito dietro Gesù Cristo, spazzando via la distanza che si è frapposta di venti secoli, con tutto quello che si è accumulato nel frattempo, in modo che sia come oggi che Gesù Cristo è nella vita e gli uomini ascoltino la sua parola e vedano ciò che è cristiano di Cristo e non della Chiesa del 1972.
Sappiamo bene quanto questo discorrere sia sognare e c'è certamente chi giudica perfino offensivo per la Chiesa questo sognare. E tanto più scrivere questi sogni è inopportuno, irrispettoso, pensano tanti.
Ma sono considerazioni (e Dio sa quanto sono affliggenti e angosciose per via di tutto quell'Amore che abbiamo per la Chiesa e per tutto quello che la Chiesa dev'essere per la povera gente) sono riflessioni che vengono su da constatazioni quotidiane e a seguito di quest'ultima esperienza che abbiamo fatta con quel teatro popolare «Una Fede che lotta».
Ci ha scavato nell'anima un problema terribile il fatto che tutto quel nostro discorso (forse pre-suntuoso abbiamo pensato che fosse evangelizzazione perché più che un parlare sono fatti, e fatti così drammatici, come la morte sul lavoro e l'orrore della guerra, portati ad essere visti nel Mistero di Cristo e giudicati dalla sua Parola) tutto quel discorso sia stato respinto dalla Gerarchia perché presentazione di un Gesù Cristo non secondo il Vangelo e la Fede cristiana e nella nostra città i giovani (nella loro quasi totalità) l'abbiano respinto perché discorso troppo religioso, troppo catechistico e nei dibattiti, dopo la recitazione, viene sempre fuori accesa e tenace questa respinta: «L'ideale cristiano è senza prospettive, senza possibilità d'incidenza, non compromette nelle condizioni storiche, non serve a nulla, altro che a mantenere ed a conservare il sistema del privilegio ecc.... .
Pensiamo che il Vangelo, ora come non mai, abbia bisogno di un'edizione che non siano pagine ma Chiesa. Parole non fatte voce e inchiostro, ma carne e sangue e vita.
E' certo che prima che possa costruire individui, famiglie, gente, popolo, il Vangelo deve costruire, in esistenza pratica, concreta, distruggendone la struttura ed edificandone il corpo, la Chiesa.
Diversamente siamo una pietra d'inciampo e i primi a scandalizzarci di Lui, di Cristo.
la comunità del porto
Come esempio pratico (uno fra i tantissimi) del come intendiamo il problema della evangelizzazione, ci permettiamo di riportare una lettera di due nostri amici di La Spezia. Allargando questa problematica e assumendola, la Chiesa potrebbe realizzare una precisa e forte evangelizzazione. Così ci sembra.
«Lettera aperta al Vescovo della diocesi di Luni» ( SP)
Siamo due cattolici che, dopo una lunga riflessione, hanno ritenuto giusto chiedere a Lei, signor Vescovo, tramite la persona del vicario, l'autorizzazione a separare nel nostro matrimonio il rito religioso (matrimonio in chiesa) da quello civile (matrimonio in comune).
Solo dopo il concordato stipulato tra la Santa Sede ed il regime fascista nel 1929 ed accettato poi nell'attuale costituzione repubblicana, in Italia il matrimonio celebrato in chiesa ha assunto valore di rito civile ed il prete è diventato così anche ufficiale di stato civile.
Questo è uno degli aspetti del reciproco appoggio fra l'autorità ecclesiastica e lo stato, al fine di mantenere in vita un ingiusto ordinamento, E' infatti per il concordato che abbiamo:
- l'insegnamento della religione nella scuola (per noi la religione si vive, non si insegna a pagamento); - lo stipendio ai preti (congrua);
- esenzione dei preti dal servizio militare;
- eccezione dalle tasse di tutti i beni, rendite, azioni, della Chiesa, istituti religiosi, ecc...
Attraverso questi privilegi, che sono solo i più evidenti, la chiesa diventa ricca e potente e preferisce fare affidamento più sul potere civile che sulle parole di Dio.
Noi ci sentiamo di dover rifiutare il concordato proprio perché cristiani e proprio perché crediamo che la chiesa debba restare fedele all'esempio che Cristo ci ha dato.
Cristo infatti ha scelto la povertà perché i poveri capissero che il suo messaggio è destinato soprattutto a loro e che ha per scopo la costruzione del regno di Dio tramite la liberazione degli oppressi.
Nella predicazione del suo messaggio Egli ha rifiutato sempre ogni privilegio ed ogni alleanza, insegnando ai suoi discepoli a fare altrettanto, e per amore della verità non ha avuto paura di mettersi contro i potenti di allora, tant'è v'ero che il potere religioso ed il potere politico alleati, lo hanno mandato a morte. Alla nostra richiesta lei ha risposto negativamente.
Le sue motivazioni sono state esclusivamente di tipo politico e giuridico e il nostro tentativo di richiedere motivazioni evangeliche è stato del tutto disatteso.
Di fronte a questo rifiuto, la nostra coscienza che ritiene più importante la coerenza col Vangelo che una regolamentazione giuridico-istituzionale, non può accettare il concordato e quindi il matrimonio celebrato in chiesa con effetti civili.
Pertanto essendoci stato impedito di celebrare il matrimonio in chiesa nella forma in cui la nostra coscienza richiedeva, siamo costretti a sposarci solo civilmente. Nella sofferenza di questa nostra decisione pensiamo di dover sottolineare che la nostra scelta vuole costituire un atto di amore verso di Lei e verso la chiesa, poiché crediamo che accettare passivamente una imposizione, secondo la nostra coscienza, antievangelica, impedisce la crescita del popolo di Dio, mantiene in vita strutture ecclesiastiche che tradiscono il vero senso del Vangelo, svuota di senso ogni richiamo all'unità, che non può esserci, quando alle persone non si chiede un'adesione cosciente e responsabile, ma solo una supina obbedienza.
Proviamo sofferenza per il fatto che la chiesa istituzionale abbia rifiutato di aprire un dialogo con noi e con quelle persone che condividono le nostre posizioni; tuttavia, mentre confidiamo che questo atteggiamento di rifiuto possa domani cessare, consapevoli che l'amore di due persone è di per sé il fondamento e la sostanza del sacramento del matrimonio, cediamo che la nostra unione abbia ugualmente valore sacramentale e che in essa operi la presenza reale di Gesù Cristo.
Fraternamente,
Umberto Marciasini e Luciana Corsi
(8 luglio 1972)
Parlavo giorni fa con un carissimo amico, una delle poche persone con le quali la comunione è tale da prendere forma in parole che non impoveriscono il pensiero, così da permettere una semplice e chiara totalità di dialogo.
Si parlava, come spesso ci capita, della verginità, di come essa sia pienezza di vita quando passa attraverso un incontro di amore fra l'uomo e la donna - a patto che lasci poi che questo amore prenda forma e vita non in figli ma in opere, in una vita che si genera e porti in sé valori umani diversi e complementari, ma che cresce tanto da obbligarci a scomparire: bisogna che io diminuisca perché Lui cresca. Fino a trovarci senza nulla, e forse nemmeno per scelta precisa, se non quella di lasciarci invadere senza difenderci dalla realtà del vivere, completamente perduti in un mistero più grande per amore del quale si è smarrita la propria identità: chi sono io, cosa mi ha reso un giorno donna, quei'è il mio posto nel mondo - sino ad esserne a propria volta plasmati per un rinascere di creatura là dove non vi è più né uomo né donna; fino a non avere più termini di paragone, né valori fondamentali che illuminino il cammino (reso difficile dal dubbio: è tutto per avere camminato fedelmente nell'amore in verginità di cuore, o per avere troppo poco amato?) soltanto l'avvenire, la complessa assurdità dell'esistenza nella quale non si ha più nulla se non Dio .
Sto ripensando in questi giorni, rimeditando lentamente quasi senza accorgermene, al cammino di questo amore che si trasforma e cresce, solo che gli si permetta di non cristallizzarsi in una giovinezza illusoria, ma lasciandogli piena libertà di espandersi come vuole, e mi domando se questa terribile legge del vivere per morire, e della morte come unica possibilità di esistenza, sia legge cristiana, uguale perciò anche per coloro che si sposano, o se le modalità dello svolgersi della loro vita siano diverse.
. Penso a loro perché è tanto che vorremmo aprire un dialogo con gli sposi che cercano in qualsiasi senso o direzione, ma che siano vivi della vivezza di chi non accetta di camminare su sentieri già battuti, tanto da essere largamente deformati. Sono tanti gli sposi che conosciamo e che ci hanno domandato di aiutarli in questa possibilità come famiglia: se tutti oggi stiamo cercando un volto nella chiesa e nel mondo, questo è tanto più vero per la famiglia a1la quale secoli di cristianesimo non hanno saputo offrire una pienezza e varietà di valori, soffermandosi troppo spesso come dinamica interna, sul problema della fedeltà (spesso soltanto fisica) e sul numero dei figli che è andato variando in epoche diverse fino alla «paternità responsabile» di oggi. '
E' stato l'andamento storico che ha costretto la Chiesa ad uscire da sé per cercare una identità che il cambiamento di ruolo imposto dai tempi ha fatto smarrire. E' il tipico caso del prete che dolorosamente e faticosamente cerca cosa sia il suo sacerdozio. Così è per tutti gli altri, così per le famiglie la cui crisi coincide in parte con la crisi della donna che per la prima volta può cercare la propria identità a patto di abbandonare i lidi sicuri e tranquilli di una «femminilità» riconosciuta da tutti; col logorio della quotidianità che non lascia spazi per una ricerca profonda; con lo scontro con una realtà insensibile a certi valori fino a trovare solamente in un impegno politico una possibilità di incisione effettiva. Parlando con amici sposati viene quasi sempre fuori - oltre al problema del. rapporto fra i due che non si esaurisce certo in quello di un appagamento emotivo fino a formare «la coppia felice equilibrata armoniosa» - quello di un impegno al di fuori della famiglia.
La vita che nasce da questo rapporto di coppia può essere solo «i figli»? E l'impegno con l'esterno proprio perché espressione e conseguenza di una vita a due deve avere le caratteristiche di entrambi o può essere vissuto solo da chi più lo sente?
Una delle fatiche maggiori per chi cerca è il senso della solitudine che nasce dal non conoscere altri che cercano come noi. Per questo forse gli amici ci hanno domandato di fare da tramite alla loro ricerca, attraverso possibilità di incontro con noi e fra di loro, così da potersi offrire e scambiare esperienze, allargando il proprio discorso in quello di altri. Per potere capire meglio tutti insieme a cosa siamo stati chiamati.
Maria Grazia
...L'aiutante militare: Voi sapete, Santità, dei negoziati sulla Sicilia del vostro predecessore Niccolò IV con re Carlo e con Jacopone d'Aragona. Vi è una continuità storica da salvare. Oltretutto la Sicilia è sotto la sovranità feudale della Santa Sede.
Celestino V.: Il mio primo dovere, come papa ,è di salvaguardare un'altra continuità, quella della fede cristiana. Se ora acconsentissi ad alcune esigenze del re la tradirei. '
L'aiutante: Vi riferite all'invito di benedire le truppe in partenza per la Sicilia?
Celestino V.: Avete indovinato.
L'aiutante: Voi sapete che è una spedizione legittima. Persistete nel vostro rifiuto?
Celestino V.: A qualunque costo. Ve lo ripeto una volta per sempre: non posso benedire alcuna impresa di guerra. Sapete a che cosa riduce l'insegnamento morale di Cristo? Dovreste saperlo perché anche voi vi chiamate cristiano: ma ve lo ricordo per il caso che l'abbiate dimenticato. Si riduce a due parole: vogliatevi bene. Vogliate bene al prossimo e anche ai nemici, Noi nomini siamo tutti figli dello stesso Padre.
L'aiutante: Santità, nessuno intende censurare i vostri pensieri e sentimenti nell'atto della benedizione. Ma per il re e per l'esercito è importante che essa abbia luogo. Essa sarà significativa anche per gli altri regnanti di Europa.
Celestino V.: Cercate di capirmi, vi prego. Perfino se in un momento di debolezza io consentissi a impartire la benedizione che mi chiedete, mi sarebbe poi fisicamente impossibile eseguirla. Perché? Figlio mio, non dovrebbe essere difficile immaginarlo. Il segno della benedizione cristiana è quello della Croce. Voi sapete vero, che cos'è la Croce? E le parole della benedizione sono: in nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo. Se ho ben inteso voi mi avete suggerito di dare la benedizione ai soldati in procinto di partire per la guerra, pensando ad altro. Avete voluto scherzare? Sarebbe un orribile sacrilegio. Col segno della croce e i nomi della Trinità, si può benedire il pane, la minestra, l'olio, l'acqua, il vino, a volte anche gli strumenti di lavoro, l'aratro, la zappa del contadino, la pialla del falegname e così di seguito: ma non le armi.
Se avete un assoluto bisogno di un rito propiziatorio, cercatevi qualcuno che lo faccia in nome di Satana. E' stato lui ad inventare le armi...
L'aiutante: Voi sapete che altri papi, prima di voi, hanno benedetto delle guerre.
Celestino V.: Non sta a me giudicarli. Io posso solo pregare Dio di avere misericordia di essi.
L'aiutante si alza in gran fretta, fa un rigido saluto militare e va via in gran fretta mentre sulla scena si fa buio.
(da «L'avventura di un povero cristiano» di Ignazio Silone - Ed. Mondadori).
Forlì, 16 novembre 1972
I carabinieri di Bellaria, in esecuzione di un mandato di cattura trasmesso dalla procura del tribunale di Verona, hanno arrestato l'obiettore di coscienza Luigi Zecca, di 26 anni, da Morbegno (Sondrio) laureato in matematica, ed attualmente insegnante presso l'istituto medico psicopedagogico «S. Maria del Mare» di Igea Marina.
Laureatosi quest'anno all'università di Milano, lo Zecca aveva inviato lettere alle autorità militari e civili per illustrare la sua convinzione di «dovere servire il prossimo direttamente (nel suo caso fra i ragazzi) che gli impediva di rispondere alla chiamata militare».
La direttrice dell'Istituto, dottoressa Marisa Galli, ha dichiarato che i] giovane insegnava senza compenso da circa cinque anni presso gli Istituti della Piccola Opera della Salvezza del Fanciullo, di cui fa parte il «S. Maria» di Igea, con sede centrale a Milano.
Lo Zecca è stato tradotto al Forte Boccea di Roma, a disposizione della magistratura militare.
(dal corriere della sera)
Ottawa - Canada
Cara Dorothy Day, sono un disertore dell'esercito americano, e vivo in Canada dall'Agosto del '69, da quando ho ricevuto l'ordine di andare nel Vietnam. Vorrei che i lettori del Catholic Worker sapessero che io e i miei amici disertori, siamo felici perché abbiamo dei motivi interiori. Molti americani pensano che soffriamo di rimorsi, e che siamo pentiti, specialmente ora con la crisi di lavoro esistente.
Non è il nostro caso. La maggior parte di noi è felice di essere povera. Quelli di noi che hanno trovato lavoro aiutano quelli che non lo hanno, e facciamo del nostro meglio, per dividere quanto abbiamo con chiunque sia nel bisogno. Alcuni di noi stanno pensando a un progetto di fattoria comunitaria, e credo che lo realizzeremo, seguendo l'esempio di chi di noi, più dotato di fede, ha già cominciato. Siamo una vera famiglia, molti dei miei amici sono qui da due o tre anni, viviamo in piccole comunità nei diversi quartieri della città: dividiamo pensieri, sentimenti, esperienze e volontà di amare: siamo contenti di potere aiutare gli altri ad aiutarsi, o ad essere aiutati se questo è necessario. Tentiamo quotidianamente di darci conforto, aiuto, allegria. Siamo venuti in Canada per i più diversi motivi politici, personali, religiosi, ma per ognuno di noi non obbedire era un atto di coscienza, e Dio ci ha benedetti.
Nella nostra famiglia fanno parte anche diverse ragazze americane che si sono unite a noi perché deluse della politica governativa: alcune sono sorelle di qualche disertore, altre mogli o fidanzate, altre sono venute sospinte da motivi di ricerca personali.
Abbiamo sentito dire che il governo ha deciso l'amnistia per la maggior parte di noi, ma siamo dell'avviso che continueremo a vivere in Canada finché l'amnistia non coprirà tutti e senza condizioni, anche i nostri amici in prigione perché presi mentre tentavano di visitare le loro famiglie. La mia famiglia è di St. Louis ed è arrivata capirmi ed accettarmi in modo nuovo e la loro comprensione mi è motivo di sostegno.
Vorrei chiedere ai lettori del tuo giornale, sul quale mi sono formato fin dal liceo, di pregare per noi - che qui in Canada serenamente facciamo il lavoro che Dio ci h affidato: dividere quello che abbiamo.
Nell'amore e nella pace di Cristo,
Michael Camp
dal «Catholic Worker», aprile 1972.
Con una lunga nota dal titolo "La Chiesa fa politica", il vescovo Huyghe di Arras (Francia) ha spiegato il significato del suo appoggio alla lotta operaia nella sua zona. Dice il vescovo: «La Chiesa non è il vescovo. Essa è nelle mani di ogni battezzato. Se egli è cosciente delle sue responsabilità, la rappresenta, o meglio, la costruisce ovunque... Il vescovo non è colui che mantiene la buona coscienza di tutti facendo niente, non scegliendo o benedicendo tutto. Egli sta con quelli che si sentono responsabili dei loro fratelli a motivo della loro fede in Cristo; con loro egli è la Chiesa, e non lo è senza di loro».
Quante; al suo gesto d'appoggio agli operai in lotta egli è molto chiaro: «La fede non è disincarnata, isolata dai doveri della vita quotidiana. La fede in Cristo vivo esige un'apertura permanente del cuore ai bisogni dei fratelli... Altrimenti la fede è un'evasione dalla vita quotidiana, un appello alla passività, una ricerca della consolazione e della rassegnazione Di fatto non è più una fede, si degrada in religione, si riduce ad una pratica. Diventa un oppio».
Potete legarmi mani e piedi
togliermi il quaderno e le sigarette
riempirmi la bocca di terra
la poesia è sangue del mio cuore vivo
sale del mio pane, luce nei miei occhi
sarà scritta con le unghie, lo sguardo e il ferro
la canterò nella cella della mia prigione
al bagno
nella stalla
sotto la sferza
tra i ceppi
nello spasimo delle catene:
ho dentro di me milioni di usignoli
per cantare la mia canzone di lotta.
Mahmud Darwish
Autorizz. Tribunale di Lucca - Decreto N. 228 del 7.3.1972
55049 - Viareggio Tel. 46.455
Spedizione abb. postale gruppo III/70
Redazione: Lungo Canale Est, 37
Direttore Responsabile: Don Siro Politi
Nella testata: "la sciabica" di Inaco Biancalana
Tip. Marchi - c. 3.000 - Dicembre 1972
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455