La mia vita vi farà liberi, diceva Gesù al gruppetto di apostoli che gli si serravano intorno l'ultima sera, mentre si stava avvicinando l'ora delle tenebre, quella del tradimento; della sopraffazione, della violenza, della condanna a morte ... e certamente non capivano la gravità del discorso, la sua enorme, inimmaginabile importanza.
E' una delle affermazioni più potenti e programmatiche di Cristo.
Non può non risuonare questa parola nel profondo del cuore di ogni cristiano a segnare un destino di li-berazione per sé e per gli altri, per il mondo intero, dal quale è impossibile esimersi, pena una testimonianza negativa in ordine al fatto che Cristo è la verità e che questa verità è liberazione, è libertà.
Bisogna, è assolutamente indispensabile, che questa promessa, così solenne e sicura di Cristo, trovi realizzazione concreta, esistenziale, storica, in me, in te, intorno a noi, nella vita, nella concretezza delle cose, nei rapporti personali, di comunità, di Chiesa, di popolo, di umanità intera, fino al punto di essere costruzione di vita, di autenticità umana.
Dio non vuole altro se non che l'uomo sia vero, rispondente pienamente e più perfettamente che sia possibile al Suo pensiero, alla sua volontà creatrice.
Gesù Cristo, Dio che si fa uomo, realizza la salvezza dell'umanità nell'essere vivo, concreto, esistente, vero uomo. E' l'uomo lui come l'uomo è e deve essere. E cioè fino al punto di verità da sconfiggere e in lui nemmeno da dover fare un passo di più perché è già nel suo essere - di sconfinare nel mistero della realtà di Dio.
Per questa misura di verità costruente l'uomo secondo il pensiero di Dio, reso visibile, «da toccarsi con mano» in Cristo, bisogna passare da misure corrispondenti di liberazione fino a quella della libertà totale.
La verità di Dio, che è in Cristo, vero Dio e vero uomo, che non impegna in una liberazione e non realizza libertà, non è verità di Dio.
La liberazione che non scende, come luce dal sole, dalla verità di Dio che è Cristo, non fruttifica libertà, quella vera, costitutiva del vero essere uomo.
Non siamo teologi, né gente particolarmente illuminata, ma semplici cristiani e poveri preti. E discorriamo di queste cose non per fare disquisizioni e nemmeno particolari riflessioni. Non ci interessa quindi molto precisare teologicamente il concetto di verità e tanto meno quello ancora più intricato, di libertà.
Abbiamo Fede, con semplicità e umiltà, che la verità fondamentale, quella che veramente decide del sapere o no di Dio, dell'uomo, della vita, del mondo e di tutto il destino che segna di motivazioni l'esistenza, dal capello del capo che è «contato» alle innumerevoli stelle del firmamento che sono anch'esse ugualmente numerate, abbiamo Fede e crediamo che questa Verità è Verità rivelata.
Dio ha rivelato la Verità con la sua Parola compiendo la manifestazione quando la sua Parola si è fatta carne, in Gesù Cristo, fino ad abitare, a vivere insieme, fra gli uomini.
Crediamo che questa Verità, la sua Parola e la sua Parola fatta carne, è stata affidata alla Chiesa e al suo magistero fra gli uomini.
E' gioia magnifica, esaltante, essere venuti a conoscenza di questa Verità: è più che sentire battere il cuore questo palpitare nell'anima della Verità, è più che la sicurezza che c'è il sole questa luce a splendere nel destino della vita.
Abbiamo però anche Fede (e qui il discorso diventa rischioso e scomodo) che questa Verità, perché è Verità di Dio, così tanto esistenzialmente manifesta in Gesù Cristo, è Verità non speculativa, non a visione e nemmeno a contemplazione fine a se stessa, ma per costruzione di vita, di esistenza, di storia.
E' verità non a luce fredda, lunare, ma di sole riscaldante, fecondante: dà di poter nascere, vivere e morire, nella realtà più vera, a spiegazione totale dell'uomo e dell'umanità.
E' a seguito di questa potenza creatrice che la Verità deve necessariamente fruttificare la libertà, questa condizione assoluta dalla quale, e proporzionalmente l'uomo è uomo e l'umanità è umanità.
Il Cristianesimo è Verità e Libertà.
E' una fede che praticamente, a poco a poco, si è fatta strada nell'anima nostra. E quanto più l'abbandonarci e l'affidarci alla Verità ci ha dato misure di libertà per un progresso di liberazione dentro e fuori di noi a seguito di un convincerci sempre di più che il Cristianesimo può essere liberazione vera e totale di tutto l'uomo e di ogni uomo, tanto più la Fede è cresciuta e la gioia di essere cristiani e la gloria di essere preti.
E' veramente penoso e incomprensibile (a meno di non fare considerazioni spiacevoli) che la Gerarchia, il Magistero della Chiesa, che insegna la verità e autorevolmente e infallibilmente e quindi a richiesta di adesione totale, si sorprenda e a volte intervenga pesantemente nei confronti di un progredire di liberazione che inevitabilmente la Verità non può non fruttificare.
E' nella presa di coscienza della Verità insegnata e accettata che si maturano misure e valori crescenti di libertà.
Assolutamente inarrestabili o inquadrabili in limitazioni stabilite, se la Verità erompe e s'irradia fino a diventare sole alto all'orizzonte.
E logicamente, perché la Verità cristiana non è fatto personale, individuale, ma espansione universale, logicamente perché il lottare per una liberazione umana, per la costruzione di un'umanità liberata, è dovere di fedeltà, di obbedienza alla verità, alla «Verità che fa liberi».
La Chiesa ha lottato e tanto sofferto per la difesa e la conservazione esatta e fedele del deposito della Verità rivelata e quindi della Verità. Assai meno (per dire benevolmente del problema così spinoso e penoso) nella sua storia ha lottato e sofferto perché la sua Verità (che è quella di Cristo) significasse e realizzasse liberazione fino a essere libertà nel mondo (e non soltanto evidentemente a lottare per le proprie libertà, sia pure religiose).
E' arrivato il tempo (ed è il segno del crescere del Regno di Dio fra gli uomini e dell'essere la Chiesa sempre più concretezza storica, continuità del Mistero di Cristo e realtà visibile della sua Risurrezione) è arrivato il tempo in cui la Chiesa è chiamata (e Dio voglia che non declini questa chiamata a seguito del temporalismo degli uomini) ad annunciare con fermezza e chiarezza la Verità e a lottare perché questa Verità infallibilmente posseduta e in-segnata, porti e fruttifichi nell'uomo e nell'umanità la libertà, offrendosi come un pugno di lievito di liberazione, luce luminosa splendente di libertà, sale buono a liberare la terra, città sul monte alla quale guardare per imparare ad essere liberi.
Il discorso, lo sappiamo bene, può essere molto più precisato e quindi molto più chiaro. Lo facciamo intanto per abbandonarci a sognare la Chiesa testimonianza di Verità e lotta perché la Verità sia liberazione.
Sta il fatto che la nostra fedeltà alla Chiesa sul piano di Fede e nella concretezza della nostra vita. intendiamo viverla come cristiani adulti e preti convinti e cioè, presunzione a parte, come gente estremamente sicura che quel poco di libertà che si trova nella propria vita e quell'impegno di lotta, sia pure così tanto insignificante, per la liberazione dell'uomo e dell'umanità, lo deve all'avere accolto - chissà quanto poteva e doveva essere di più - la Verità di Dio e di Cristo come ragion d'essere della propria vita.
Non vorremmo fare - e ogni cristiano, ogni prete, ogni vescovo, tutta la cristianità e più che sia possibile ogni uomo bisognerebbe che non facesse come Pilato quando rivolse a Gesù la domanda: che cos'è la verità?
E non aspettò la risposta perché forse intuì che il discorso lo avrebbe scomodato assai: forse sospettò che Gesù gli avrebbe parlato di Verità che fa liberi
E ai pilati, gente del potere e dell'autorità, questa Verità che libera non piace troppo.
La Redazione
Ogni tanto mi capita di dover discutere con qualcuno - spesso dei preti - sull'amore per la Chiesa. L'accusa è sempre quella: di non amarla, di non sentirla parte viva della propria vita, di non avere il senso dell'obbedienza e del rispetto verso di lei.
Specialmente gli articoli del giornale (ma un po' tutta l'impostazione della nostra vita) sono portati come argomento probativo di questa mancanza d'amore.
Vorrei cercare di dire a cuore aperto ciò che sento in modo molto chiaro di tutto questo problema: perché è proprio per amore - e solo per questo che mi sento legato alla Chiesa, Corpo di Cristo e Popolo di Dio. Un amore che nasce dalla Fede: la Chiesa io " la credo", la raccolgo nel Mistero di Gesù, nel suo progetto di ricapitolazione di tutte le cose in unità, nell'opera creatrice che lo Spirito porta avanti nel tessuto della storia umana, dando forma a questa immensa massa di argilla che sono gli uomini di ogni epoca e chiamando all'esistenza della nuova creazione ciò che sarebbe - senza di Lui - materia amorfa e polvere della terra.
Credo con tutte le forze del cuore e dell'anima al sogno di Dio sull'umanità, sugli individui e sulla totalità delle creature, sogno espresso e manifestato in Gesù Cristo che è il sogno di Dio fatto vita umana. Vorrei tanto comprendere sempre di più quello che Gesù deve aver sognato, desiderato. raccolto nel!a profondità del suo essere figlio di Dio e figlio dell'uomo: questa visione che il Vangelo ci ha conservato con così grande purezza e che la storia della Chiesa - degli uomini che a Cristo e al suo sogno si sono riferiti -, non ha potuto spegnere né soffocare, nonostante il terribile groviglio che costituisce la trama storica in cui la Chiesa si è espressa.
Sento di amare e di credere appassionatamente - fino a dare la vita - questo mondo nuovo che si chiama il regno dl Dio. Credo e amo questa Chiesa che viene su da quello che Lui rivela attraverso il Vangelo, che si schiude nella realtà di Gesù Cristo, quella per cui Gesù ha dato tutto se stesso, il suo Corpo e il suo Sangue, la sua Parola, la sua nascita a Betlem, Nazaret, il suo camminare di povero pellegrino per le strade e nelle piazze, tra la folla e nella solitudine più profonda. Fino alle braccia aperte della croce, al suo Corpo dissanguato, alla tomba sigillata nella roccia e poi squarciata dal prorompere della Nuova Vita nella Resurrezione.
Tutto questo Gesù ha compiuto "per la Chiesa": perché nascesse dal cuore della storia umana il seme della Speranza, della Gioia, della Luce, della Fraternità, della Comunione. Perché da questa matrice che è la sua Carne e il suo Sangue sorgesse il Popolo dei figli di Dio, il piccolo gregge, il sale della terra, il lievito che fermenta tutta la pasta, la luce per la casa dell'uomo. Perché nascesse la Chiesa: la comunità costruita sulla roccia delle Beatitudini, dell'abbandono totale alla volontà del Padre, dell'offerta completa di se stessi per Amore, dell'accoglienza di Dio nel fratello affamato, solo, malato, perseguitato, oppresso. La comunità che si costituisce e si salda insieme nella forza che le viene dai segni sacramentali e che trova la sua piena comunione nell'Eucarestia, nell'aprirsi al dono del Corpo e del Sangue del suo Signore: per essere come Lui e con Lui il pane di Dio dato per la salvezza del mondo. Umanità nuova, quindi; terra riscattata dalla divisione e dalla frantumazione dell'egoismo; città senza più mura né fortificazioni, senza più niente da difendere per sé; ma casa aperta nell'accoglienza di ogni fratello affaticato o in cerca di una nuova amicizia. Umanità nuova, perché costruita interamente da Gesù Cristo, sulla sua misura e profondità di partecipazione all'esistenza; umanità di cui Lui solo è il Maestro e il Signore. C'è una Chiesa, invece, in cui sento di non credere. Pur continuando ad amare gli uomini che la tengono ancora in piedi, questa Chiesa sento che deve essere respinta, non accettata. Non si tratta di straccìarsi le vesti e di gridare che non c'è carità in questo: l'Amore , quando è autentico e sulla linea di quello di Dio, è fatto anche di rifiuto, di non accettazione del compromesso, di non condivisione di una scelta sbagliata.
La Chiesa in cui non credo è quella che ancora troppo spesso compare sulla scena degli avvenimenti ufficiali, mescolata agli uomini del potere economico e politico, preoccupata di andare d'accordo con quel mondo che non può essere amato se non rifiutandolo. La Chiesa della diplomazia, confusa nella grande babele delle strutture politiche nazionali, che si dà un gran d'affare per mantenere a galla i suoi privilegi, i suoi presunti diritti: che in fondo rivela la paura di essere la Chiesa dei poveri, la Chiesa povera, senza potere, senza oro né argento, senza difese di fronte ai potenti e ai saggi del mondo. Che ha paura dell'ombra gigantesca di tutti i Golia della terra e non si accontenta di lottare solo con poche pietre prese dal torrente del Mistero di Dio, ma cerca goffamente di rivestirsi di pesanti armature che finiscono per immobilizzarla fra le braccia dei suoi nemici.
La Chiesa che compare alle celebrazioni militari, graduata, stipendiata, messa ai primi posti alla tavola degli oppressori del popolo. La Chiesa che si copre di ridicolo - dolorosamente, perché impedisce ai piccoli, ai poveri di vedere il volto di Dio - organizzando ricevimenti ufficiali di capi di stato conferendo "collari d'onore", facendo sapere a tutti dalle pagine dei giornali che ormai non c'è più che da "consolidare l'armonia da tempo raggiunta nelle relazioni tra Chiesa e Stato" e che "fra i due istituti regna una felice intesa".
La Chiesa che parla nei congressi dei poveri, degli emigranti, degli operai e che poi va d'accordo - a diversi livelli - con chi i poveri e gli emigranti li fabbrica, gli operai li sfrutta e mangia loro la vita. Quanto tempo ancora ci vorrà perché dei vescovi invece di parlare di pastorale operaia, lasceranno i loro palazzi, le curie, i giuramenti allo Stato, gli stipendi e si nasconderanno nella terra grigia della massa operaia a lievitarvi la ricerca di Giustizia e d'Amore? A rivelarvi la Paternità di Dio, la Fraternità di Cristo, la Comunione umana attraverso il segno tipicamente cristiano della carne e del sangue...
La Chiesa preoccupata delle liturgie più raffinate, attenta all'ordinato svolgimento del culto del tempio e che poi non si ferma sulla strada di Gerico ad asciugare il sangue dell'uomo ferito dai banditi, a far proprio il dramma dell'umanità straziata e sanguinante per le guerre, le sopraffazioni, le torture, gli schiacciamenti più spaventosi. Quando faccio la professione di fede, nella liturgia eucaristica, non è in questa Chiesa che affermo di credere. Anche se sento di doverla amare, facendo il possibile e pregando ardentemente perché essa scompaia dalla trama della storia.
don Beppe
6 - La testimonianza dei demoni
Sono Marco e Luca a riportare l'episodio della guarigione di un indemoniato nella sinagoga di Cafarnao.
«Che vi è fra noi e te, Gesù di Nazareth? Sei tu forse venuto per perderci? lo so chi sei tu: il Santo di Dio», grida il demonio con parole in cui già risuona la disperazione per una lotta impossibile da sostenere, indicazione di una realtà nuova tale da determinare un vero e proprio capovolgimento di fronte nell'ambito dei valori presenti nella storia.
Non c'è niente che accomuni, in qualche modo, i demoni tesi a possedere gli uomini e Gesù, cresciuto a Nazaret in clima di piena libertà condividendo senza privilegi di alcun genere la vita e le responsabilità degli uomini.
Non c'è niente su cui poter far leva per cui tutt'un mondo posseduto dal demonio si ritrova impotente di fronte a chi, in perfetta libertà, si abbandona alla Vita. Tutt'un mondo di uomini abituati a trattare con gli altri sulla base dell'interesse, del denaro, mondo legato alla stessa strategia di possesso, di strano e terribile desiderio di un amore impazzito fino a compiacersi della schiavitù degli altri. Abitudine ormai incallita, che tutto ha un prezzo e tutto può essere comprato.
Gesù sfugge a questa logica e si propone agli uomini quale strada verso la libertà da tutto ciò che immiserisce l'uomo e lo rende oggetto da possedere, spazio da conquistare. In questo, la testimonianza dei demoni non poteva essere più precisa: «che c'è tra noi e te, Gesù di Nazaret?». Non c'è assolutamente nulla all'infuori dell'assoluta signoria di Cristo Gesù che sottomette anche la potenza dei demoni.
Ed è in questo clima che si sviluppa la lotta, scontro tra tenebre e luce che avvolge questo mondo. La unica lotta possibile è, per il mondo posseduto dal demonio, la lotta fino all'annientamento e alla distruzione. Com'è avvenuto contro Gesù. Gesto disperato di chi, sentendosi impotente nell'affrontare un problema, tende inevitabilmente a liquidarlo uccidendo e togliendo di mezzo chi si oppone a questo modo di risolver le cose.
Non c'è da attendersi un diverso atteggiamento oggi dal mondo del potere e del denaro verso chi lotta per una coscientizzazione ed una liberazione autentica degli uomini. Il morire, l'essere schiacciati giorno per giorno è dimensione di lotta da prendere molto sul serio: e bisogna esservi preparati per poter resistere. E' quasi destino inevitabile per chi si pone su una certa strada. E' insieme testimonianza delle tenebre sconvolte dall'apparir della luce.
L'essere diversi dagli altri, spesso in pesante solitudine, è dura fatica che prepara e accompagna questo morire per le violenze di un mondo che non vuole cedere. E' tattica ormai collaudata da parte di un mondo che non si ritrova con chi crede nella liberazione, l'isolare chi lotta perché questa liberazione avvenga. Fino a tendere il sottile agguato di un dubbio che si insinua nel cuore: perché sei diverso dagli altri? che sono queste parole e queste idee, da dove ti vengono? E poi tutta questa sicurezza nella verità di ciò che affermi, da dove ti viene?
Arte consumata per far crollare ed uccidere dentro il cuore ciò che in libertà vera vi cresce. Tentativo sempre ricorrente per ricondurre posizioni irriducibili al livello di differenze non più scandalose. Questo mondo di tenebre non può sopportare la luce. Questo mondo che si regge sul dominio del denaro e della proprietà non può sopportare chi vi giuoca la vita in piena libertà. Chi si sente chiamato a lottare è bene che non si illuda; non solo: deve considerare tutto questo come normalità d'esistenza, come il quotidiano da affrontare.
don Luigi
Con umiltà e semplicità di cuore, chiaramente nella luce della Fede e nella coscienza di una responsabilità di testimonianza cristiana e di evangelizzazione, da sempre ci siamo posti davanti alle problematiche, così serie e profonde, del rapporto fra Cristianesimo e il tempo in cui viviamo.
La Fede oggi.
E' il problema che spinge ad esaminare con particolare attenzione la propria Fede, quella a seguito della quale, io, tu, noi crediamo, cercando di coglierne le motivazioni illuminanti, le argomentazioni più convincenti, ma specialmente per prendere coscienza del dono di Dio che nel destino della nostra vita ha accesa questa luce di Fede.
E perché è un dono di Dio, la Fede, più che ogni altro valore, responsabilizza ad un diffondersi, ad un offrirsi, ad un comunicarsi: cioè costringe ad una realtà di servizio nei confronti della Fede stessa che è luce per illuminare fuoco per essere acceso ed accendere, lievito per lievitare, salvezza che deve salvare...
Tanto più oggi chi ha il dono della Fede e ha compiuto una scelta cristiana e sacerdotale per la motivazione della propria esistenza, deve richiamarsi a questa urgenza e provarla appassionatamente nella propria vita, di impegnarsi in un giocare interamente se stesso nei modi e nelle misure che la ricerca di autenticità nella propria Fede gli dà di scoprire nella quotidianità della vita e nelle grandi problematiche della storia.
La Fede oggi.
E' una costatazione, può anche essere soltanto un'impressione, ma per noi è gravissimo problema che il presentarsi della Chiesa in tutta la sua complessità teologica, liturgica, pastorale, risulti sempre più, nel giudizio popolare e specialmente nella sensibilità della gioventù del nostro tempo, come una realtà estraniata, separata, disincarnata dalle concretezze della vita e dalla spietatezza dei suoi problemi e delle sue esigenze. Ne consegue un giudizio, con tutte le conseguenze facilmente constatabili, che il Cristianesimo è una religione delle tante religioni, un complesso di valori religiosi rispondenti a richieste devozionali, sentimentalistiche, bigottistiche e beghinesche. E la Chiesa un apparato temporalistico, burocratico, sistematicizzato...
Le chiese di questa Chiesa sono una realtà indicativa indiscutibile: basta varcarne la soglia e cattedrale gotica o romanica o di qualsiasi paesucolo, manifesta apertamente il carattere devozionalistico del cristianesimo-religione. E' più che sufficiente partecipare alle liturgie, rinnovate quanto si vuole, per riportarne impressioni di impegno religioso spiritualizzato fino alla disincarnazione più nebbiosa ed evanescente.
La Fede oggi.
La realtà dell'esistenza umana, in questa nostra civiltà del benessere, borghese e autosufficiente, va sempre più organizzandosi e andiamo verso vere e proprie sistemazioni, a compiutezze o a speranze tali di valori, dalle quali rimane escluso sempre di più il problema di Dio e della Fede in Cristo e tanto più una possibilità di significato di una scelta seriamente religiosa.
Dove invece - ed è il tremendo problema dei giovani - la ricerca di una presenza più efficace nella vita matura responsabilizzazioni ed esige realtà di impegno e serietà di lotta, l'abbandono della Fede, il lasciar cadere le enormi possibilità che la scelta cristiana può offrire di autentico coinvolgersi nella vita o nella storia, è come una inevitabilità, assolutamente irrimediabile, quando i giovani oltrepassano i vent'anni o varcano la soglia che dal chiuso di una pro-spettiva a sistemazione borghese personale e familiare, li costringa all'aria aperta, a cercare per se stessi e per gli altri valori di liberazione, di giustizia, di autenticità umana.
La Chiesa è subito vista come un ostacolo e automaticamente la Fede cristiana (come del resto la Chiesa vuole) viene giudicata un tutt'uno col sistema ecclesiastico, fino all'impossibilità di distinzione fra Gesù Cristo e il papa, i vescovi,i preti, le parrocchie, le chiese, le liturgie, le processioni, le devozioni e tutto il popolo cristiano della domenica, i gruppetti di pensionati cattolici, i furbi profittatori della politica cristiana e dell'arrivismo economico e decorativo...
* *
Penso che nessuno possa rimproverare chi di tutta questa problematica (e l'approfondirla può essere senza fine) che investe tutta la visione cristiana della vita e decide di un rapporto fondamentale fra Cristianesimo ed esistenza umana, di cui la Chiesa porta la spaventosa responsabilità, ne vive l'angoscia nell'anima e se ne sente bruciare il cuore per un desiderio appassionato che la propria vita e tutta la realtà della Chiesa diventi e sia l'umanità attraverso la quale Cristo, con tutto quello che lui è e significa per la salvezza del mondo, viva dentro il vivere degli uomini, si carichi ancora di tutto il problema della vita umana, portandone la Croce, per morirvi inchiodato e risorgervi continuamente la Speranza, l'Amore, la libertà, la vera dignità umana, l'essere tutti figli di Dio.
E' da questa Fede per cui si crede che comunione vi deve essere fra Cristo e tutta la vita umana perché è da questa comunione che è nato il Mistero meraviglioso di Dio che si fa uomo perché l'uomo si faccia Dio, così pienamente compiutosi in Gesù Cristo e affidato, nella sua continuità storica, alla Chiesa. questo nuovo corpo (umanità storica) di Cristo, è da questa Fede che nasce l'impossibilità a starsene in pace, rassegnandosi passivamente all'andamento delle cose.
La Chiesa è questa porta di passaggio, di comunione, fra l'umanità e Dio: bisogna che rimanga aperta, spalancata, perché l'uomo, l'umanità, con tutto quello che l'umanità è, ma specialmente - e Gesù ne dà l'indicazione esatta - in tutto quello che l'umanità ha perduto dei suoi valori essenziali, possa incontrarsi col suo Dio e ritrovare in lui la salvezza, cioè il suo essere vero, il suo esistere autentico, come Dio l'ha pensata facendola nascere dal suo sogno infinito.
Crediamo che l'umanità sempre più stia esasperando questa ricerca della propria identità, fino a rischiare gli orrori più spaventosi.
Bussa ormai ad ogni porta, anche a quelle dove pare o si immagina che possa esservi accesa la sia pur minima speranza.
Anche alla porta della Chiesa. Non si può stare a discutere, ad esaminare, scuole teologiche alla mano, sfogliando il codice di diritto canonico, consultando le enciclopedie pastorali, spolverando osservanze liturgiche e tanto meno tenendo d'occhio diplomazie furbesche, equilibri temporalistici... e discutere ed esaminare se è conveniente, prudente, contemplato, secondo le consuetudini, ecc. aprire uno spiraglio oppure tenere sprangata la porta.
Oppure spalancare i battenti, toglierli anche di sui cardini ed essere semplicemente accoglienza, realtà di comunione, incontro continuo, incessante, del figlio con il Padre.
"Una fede che lotta" è una composizione a spettacolo popolare per tentare di fare qualcosa per ricomporre questo rapporto fra Dio e l'umanità attraverso il Mistero di Cristo, il mistero della Chiesa, popolo di Dio, nel luogo appositamente costruito che sono le chiese.
Il teatro è indiscutibilmente il mezzo comunicativo più efficace: la visione scenica ricrea la realtà della vita e offre le condizioni più vere per farvi scorrere il discorso a impostare i problemi e cercarne i chiarimenti e la parola a viva voce ha indubbiamente potenza persuasiva particolare.
Spettacolo popolare e cioè problematica vissuta in mezzo al popolo fino a renderlo, più che sia possibile, parte attiva, come lo è realmente nella vita. Attori che siano gente del popolo, voce comune, reperibile nelle strade, nelle case, nelle condizioni comuni di vita. Il canto come raccolta di voci a esprimere quello che spesso a parole parlate è quasi impossibile esprimere, ma non può che prendere l'avvio musicale, come per accendere di più il cuore e credere di più nell'ideale.
Le chiese, per il loro essere il luogo particolarmente indicato per l'incontro con Dio. E' dove la liturgia esprime il ricercarsi di Dio e dell'uomo e dove Gesù Cristo si offre realtà adorabile per questo incontro nel suo Corpo, nel suo Sangue e nella sua Parola. Le Chiese, per riaprirle quando la giornata è chiusa e sono al buio, per riaccendervi possibilità di assemblee popolari ad affrontare tutta la realtà. della vita, umana o disumana che sia, per giudicarla nella luce di Dio e nella verità della sua Parola. Nelle chiese, per turbare la pacioccona devozionalità che le svanisce e le svuota d'interesse e di vita e coscientizzare il popolo di Dio ad un Cristianesimo e ad una scelta cristiana che si allarghi, dalla limitata problematica religiosa personale o familiare, alle missioni universali di umanità, partecipandone tutta le realtà "fino agli estremi confini della terra".
Le chiese, per tentare che tutto quel popolo che vi circola intorno e ormai si guarda bene dall'entrarvi, sia richiamato a ritornarvi perché nella chiesa vi si riversa il mondo e la vita, vi si respira libertà, si tratta di giustizia, tutto è allo scoperto, liberato da ogni intenzionalità, veramente luogo di popolo, perché là è accesa a illuminare il mondo, la luce di Dio. Gesù Cristo è a mescolarsi nella vita di tutti, la Chiesa è realtà di fratelli a cercare di essere famiglia del Padre di tutti.
Un sogno, d'accordo e un sogno dal quale siamo stati anche bruscamente svegliati, ma niente e nessuno può impedire che il Regno di Dio cammini su quella strada che porta il popolo di Dio ad essere quel sale della terra, quel pugno di lievito, quella luce accesa....
Vi crediamo profondamente, nonostante tutto.
La comunità del porto
Riportiamo una brevissima sintesi di uno spettacolo popolare a impegni pastorali. Il testo è di don Sirio. E' stato realizzato a Viareggio da un gruppo di giovani.
1.a parte: il lavoro.
Una chiesa. Qualche cenno di inizio di liturgia. Gli spettatori seguono, unendosi alla celebrazione. Improvvisamente l'urlo di una sirena di autoambulanza, si spalanca la porta e gli attori sparsi tra il pubblico si precipitano a vedere cosa è successo. Una barella con un corpo inanimato coperto da un lenzuolo. Una voce grida: "Portatelo in chiesa, a insanguinare un altare,
a macchiare la tovaglia che il Corpo e il Sangue di Cristo ogni giorno raccoglie".
E' un operaio, uno delle diverse migliaia all'anno, ucciso da un infortunio mortale sul lavoro.
Gli operai raccontano cella inumanità del lavoro e processionalmente cantando portano il compagno caduto sull'altare. Dietro segue la moglie e alcune donne con lei.
"O Cristo Signore Dio, fratello di tutti, immagine eterna di noi,
nato dal seno di Dio e dal grembo immacolato di donna, sei tornato crocefisso ancora una volta ... ."
E prorompe lo sconforto della vedova, la ribellione, l'accusa violenta e appassionata contro tutto il sistema che ha portato alla morte il marito e conclude:
"Non so dove lo potrò ritrovare ma, credo, sempre su quest'altare:
il suo sangue mescolato con il tuo, (quello di Cristo) la tua innocenza simile alla sua:
insieme vi chiamerò Amore mio,
perché unico Amore insieme allo sposo mio sei tu Cristo Signore Dio!".
Un canto operaio, insieme a considerazioni pessimistiche del gruppo di operai, conclude lo sconforto, la desolazione, l'abbattimento che ha dominato tutta la scena. Ma all'improvviso si accende un canto giovanile a ravvivare la fiducia, a infiammare la speranza:
"Non a seppellire qui siamo venuti ma risuscitare insieme compatti.
Siamo qui a raccogliere il Sangue di Cristo e tutto il Sangue di tanti poveri cristi,
perché rossa di sangue è la nostra speranza!".
E il canto continua e è come una luce nuova colmata di fiducia e di speranza e mentre "l'uomo vecchio" g,rida:
"Vi scongiuriamo, non imparate da noi a costruire la casa a gabbia dorata
per una fetta di potere a tradire il fratello,
per un pugno d'oro a schiacciare il compagno, per ideali diversi a mangiarci tra noi".
"L'uomo nuovo", la giovinezza, nata dal sacrificio, richiama all'impegno di essere creazione nuova:
"La morte ci ha chiamati tutti alla vita usciamo di qui come nuovi dal lavacro di sangue
di Cristo e di un nostro fratello".
Tutti si fanno intorno all'altare e alzano verso l'alto la barella con il caduto, in un gesto di offerta e di consacrazione:
"Popolo, popolo, popolo, famiglia infinita di Dio!
Dio ti chiamiamo da ora e per sempre, per noi e per tutti e tu chiamaci Figlio!".
2.a parte: la guerra.
Ancora la chiesa. l'altare. Sulla barella vi è ora un soldato caduto in guerra, coperto da un lenzuolo e un giubbotto militare. Un soldato per piangere e ribellarci contro la guerra, contro tutte le guerre.
Musiche militari. Una voce che grida proclami di guerra, discorsi patriottici, ecc. Tre o quattro soldati, seduti per terra, sugli scalini dell'altare, visibilmente depressi, si lasciano andare a contestazioni violente contro tutto quello che è opera di guerra.
"E' un nemico della povera gente chi parla incitando alla guerra
prepara la morte anche se parla di pace, di onori, di gloria!".
"Ci han benedetti per balzare all'assalto perché Dio ci aiutasse a uccidere l'altro
e ci dicevano che santa era la guerra quest'orrore infangato d'acqua benedetta!".
Prorompe un canto di risveglio antimilitaristico della coscienza cristiana:
"...O popolo popolo, distruggi i cannoni e come il sogno che Dio ha sognato
di spade e di lance fai attrezzi da grano".
La mamma (segno e realtà di tutto il dramma di dolore che la guerra scatena nella famiglia fino a sconvolgerla tanto violentemente) inizia e descrive il suo dolore, la sua disperazione, affronta però tutto il suo problema della guerra nella sua spaventosa disumanità, spiegata e giustificata soltanto dalla spietatezza della ragione economica, politica e militare:
"Lo posso gridare, io sono la mamma che siete voi a vestire di nero,
voi che le armi per i vostri sporchi guadagni fabbricate
voi, sfruttatori della disperazione del mondo, che poi le vendete,
voi della politica, che sulla potenza militare campate,
voi che dell'esercito siete i padroni, generali di corpo d'armata".
"O mamme, o mamme gridiamo,
ladri e assassini a chi vuole le guerre".
"O mamme, o mamme, se contassimo i figli
che le guerre han divorato:
sono i figli della povera gente
chi ha versato il sangue in tutte le guerre!..".
Le si stringono intorno donne e giovani ragazze che si uniscono alla mamma fino a respingere il folclore dei canti di guerra:
"Non mescolateci ai vostri cannoni
non cantateci con cuore che odia
con la mano tenendo il fucile
a uccidere l'amore di una nostra sorella!
No, no, non ci batte più il cuore
quando passa e canta il reggimento ..".
Si leva un canto di ribellione alla guerra:
"Ribellati o popolo alla legge di guerra
lavati il sangue che le mani ti macchia
se vuoi che Cristo ti senta fratello
e il Padre del cielo ti consideri figlio ....".
Segue la lettura di alcune condanne al carcere di obiettori di coscienza. Immediatamente tra il pubblico tre giovani si dichiarano obiettori di coscienza:
"Signor generale,
quando la gloria non sarà più sangue sul campo di battaglia,
ma sarà gloria la strada, la scuola, il campo arato, la casa popolare,
tutta la storta di gloria e di boria conquistata a vostro comando
a chi la racconterete? Io ve lo domando....
"Non voglio sferragliare un carro armato
o alzare il tiro di un cannone puntato:
un trattore colmato di sole e di azzurre, ho sempre guidato".
''Vi sono ospedali e scuole e case da costruire,
non voglio scavare trincee, imparare ad uccidere e seppellire dei morti,
voglio cantare canti di pace
e lavorare dove c'è bisogno di braccia giovani e forti".
Uno dei soldati, compagni del caduto, visibilmente scosso dal problema, si alza, si toglie il giubbotto militare gettandolo sulla barella del caduto:
"Non voglio divise di guerra
Non voglio essere uomo di morte.
Voglio lottare contro una legge di patria
Che ti condanna se uccidere non vuoi
Che ti condanna se rifiuti di essere uomo di guerra!".
Tutti gli obiettori si uniscono insieme e gridano:
Siamo obiettori di coscienza..
Giudicateci come volete, generale di corpo d'armata,
la nostra risposta è una sola: no alla guerra e a chi la prepara".
Riprende fortissimo e appassionato il canto: ribellati, o popolo.. che a questo punto anche tutto il popolo canta.
3.a parte: il giudizio
Ancora la chiesa e l'altare dal quale è stata tolta la barella. Ora vi verrà innalzata una croce. E' davanti alla Croce, sulla parola di Cristo, che è il giudice dei vivi e dei morti, di ogni giorno e dell'ultimo giorno, che l'uomo e l'umanità verranno giudicati: l'impegno di ogni cristiano è di lottare perché la giustizia, secondo questo giudizio, sia fatta nel mondo.
Questa ultima parte deve avere chiarissimo un andamento liturgico, profondamente religioso.
Una musica d'organo. Una voce proclama il brano di Vangelo di Mt. 24,29-31.
Dall'ingresso avanza una processione di giovani che portano una grande croce e cantano:
"Portiamo una croce, la croce del mondo, vi è sopra inchiodato un nostro fratello: si chiama Gesù e lui è tutti i fratelli crocefissi su tutta la terra... ".
Arrivati all'altare, la croce viene issata sopra a dominare tutta la scena.
Una voce proclama:
"Alziamolo su, su questa pietra, pietra che è tutta la terra,
è ancora rossa del sangue della nostra morte in pace e in guerra".
Rivolto alla croce:
" ... ascolta, o Cristo, le nostre parole, ci mettiamo a nudo qui davanti a te e tu giudica il nostro peccato
e ognuno di noi si porterà nel cuore il tuo Amore o la tua maledizione".
S'inizia un dialogo, più che altro rivolto al Crocefisso, riprendendo le sue parole e verificandole nell'andamento della vita e. della storia. Il ricco (e la ricchezza) il povero (e la povertà), l'operaio (e la condizione di sfruttamento del lavoro), il potere (con tutto l'ingranaggio spietato della potenza politica, il perseguitato dalla cosiddetta giustizia (il sistema legislativo e giudiziario sempre a servizio di una giustizia unicamente a sostegno di realtà terribili d'ingiustizia).
"La storia continua come sempre
e tu, Cristo, sei nell'ingranaggio del potere
e gravi anche tu sul popolo
anche tu a mettere fiori nelle sue catene!
Sei morto in croce allora
non so se sei risorto,
la tua morte ci conviene
detestiamo la tua risurrezione.
E se gridi le tue antiche parole
a ribellare la schiavitù della povera gente
non ti lasceremo in pace, o Cristo risorto,
ti arresteremo, ti flagelleremo, a morte ti condanneremo
ai quattro chiodi degli angoli del mondo,
ad agonizzarvi l'agonia dei poveri
e a morirvi la morte di tutti i giustiziati...
a meno che di paradiso parli
o d'Amore, ma dopo la fine del mondo!.. ".
E dopo un appassionato richiamarsi a Gesù Cristo da parte del perseguitato dalla giustizia, si fa buio e una voce grida la chiamata al giudizio:
"Giorno verrà ed è oggi, che tutto è chiamato a giudizio!
C'è un tribunale, o uomo, che non si compra e non si sbaglia... ".
Riprende una musica d'organo. Si accende una luce su un gruppo di ragazze che portano un grosso volume del Vangelo.
Lo intronizzano su un leggio; in mezzo, davanti all'altare dove è sopra la croce e vi si raccolgono ai piedi, intorno al leggio. Cantano accompagnandosi con una chitarra, quasi salmodiando, le Beatitudini, brani del Vangelo, tutto in una viva e scoperta attualizzazione della Parola di Dio.
Ad ogni brano cantato, seguono letture parafrasate del Vangelo da parte di giovani:
"Beatitudine sia con voi che ora patite afflizione
perché non potrà mancarvi la gioia della consolazione.
Venite, benedetti, dove l'Amore è l'unica legge
voi che divideste il pane della gioia con chi moriva di fame
e offerto avete a tutti la sorgente d'acqua a cui voi avete bevuto!".
"Guai a voi, uomini di governo,
che pulite il di fuori del bicchiere e del piatto
e coprite il di dentro
che è pieno di rapine e di ogni lordura!
Guai a voi, ipocriti della politica,
perché siete come sepolcri imbiancati
belli di fuori e marciume di dentro
ripieni di ossa di morto."
"Beati voi che avete la fede di lottare e di morire
senza vedere quale sarà il frutto della vostra fede
e ciò che nascerà dalla vostra morte!...
"Maledetta sia la nazione che con la forza dei suoi militari
ha crocefisso un innocente e povero popolo
e schernendolo ai piedi della croce
se ne divide le spoglie.
E maledetto sia il regime
che la libertà ha chiuso nel sepolcro
e i sigilli vi pone e alla polizia si affida
per impedirne la resurrezione... ".
S'inizia una musica d'organo, sempre in crescendo insieme alle voci del gruppo di giovani e ragazze che incalzano affermazioni appassionate del Vangelo, concludendo a gran voce:
" .. .il piccolo seme che cresce a dominare la storia
il sale che dà sapore alla terra
il pugno di lievito che lievita il mondo... ".
A questo ultimo grido si sovrappone il canto finale:
"Venite, fratelli vi sono parole
da gridare nel mondo gridiamole insieme
e le ascolti tutta la terra".
E continua il canto, mentre il gruppo che ha realizzato la rappresentazione ritorna tra il pubblico.
Il gruppo dei giovani, insieme alla Comunità del porto, offre agli amici la propria disponibilità per eventuali rappresentazioni.
Occorrono semplicemente condizioni di luogo adatte ad una rappresentazione a carattere popolare e un gruppo di giovani che partecipino col canto - possono essere inviate registrazioni per la musica - all'impegno degli attori.
A chi volesse realizzare la rappresentazione -recitazione e canto - con un proprio gruppo, può essere inviato, dietro richiesta, il copione.
Scrivere per qualsiasi delucidazione (o telefonare) all'indirizzo del periodico.
la comunità del porto
«La religione deve avvolgere tutto l'uomo. Essa ha seppellito se stessa dentro i dettagli del rituale e dei dogmi, i problemi dell'organizzazione ministeriale e dell'infallibilità dei testi e delle persone. Ha strangolato se stessa, precipitando nella simonia e nel sacerdotalismo»
(prof. Malalasekera, buddista).
Accade spesso di iniziare un discorso, specie con gruppi di giovani, che, attraverso varie fasi, arriva a stringersi nell'esigenza di un impegno. A quel punto, inevitabilmente, è d'obbligo rifarsi alla parabola dell'invito a nozze: chi ha comprato cinque buoi e ha da venderli, chi ha preso moglie, chi è in viaggio, ecc.
Tutto crolla come un castello di carte messo su con gran buona volontà, ma incapace di resistere al primo alito di vento. Si riesce a prenderci gusto, perfino a scaldarsi in dialoghi serrati e problematiche universali, ma poi? Come chi torna dal dolce far niente delle ferie, si ritrova, svegliato di colpo dal suo sogno, nel bel mezzo delle preoccupazioni quotidiane, così ci ritroviamo legati da mille obblighi fino ad esserne praticamente soffocati.
Finisce sempre che le scelte fondamentali della vita si fanno sulla base di criteri di convenienza secondo una logica tutta nostra, avvallata da un quadro che la società si offre in assoluta normalità. Ci troviamo celibi o sposati, ingegneri o impiegati, più o meno benestanti a cercare di far quadrare questa situazione con la vocazione e l'impegno cristiano. Ed è beato chi riesce a far tornare i conti di una vita in cui l'opera cristiana ha il suo bravo posto a rifinire una esistenza felice ed equilibrata, assicurata contro ogni incertezza, contro ogni dramma. Per molti, al contrario, questo costituisce spesso una frustrazione continua, un senso di scontentezza per una tensione che si presenta difficilmente componibile. Le spiritualizzazioni della parola di Dio sono i 'calmanti' più usati per una vanificazione dell'impegno ridotto a problemi di etica professionale o familiare. E' rarissimo incontrarsi, invece, con chi ha ribaltato questo ordine di valori e la cui esistenza fluisce, sia pure come continua lotta, da una riflessione seria sulla fondamentale vocazione cristiana.
Eppure quest'ultima sembra essere la condizione alla quale siamo stati chiamati e consacrati per il battesimo che abbiamo ricevuto. Fino al punto che a chi mi chiedesse spiegazioni sul mio modo di affrontare la vita e le scelte che essa comporta non dovrei trovare normale rispondere che, per esempio, sono sposato e lavoro in fabbrica, ma che sono 'cristiano'. Il che non avviene per tutta una squalificazione che il termine 'cristiano' (e stendiamo un velo pietoso sul 'cattolico') ha avuto ad esclusiva responsabilità di chi portandolo lo ha sentito più come doveroso titolo di merito che valore determinante della propria esistenza.
D'altra parte, per chi cercava un minimo di qualificazione del proprio essere cristiano, si spalancavano le porte di conventi e seminari pronti ad inquadrare di nuovo la vita imprigionandoli in schemi di assoluta sicurezza.
Mi sembra che ciò che è richiesto, da sempre e quindi per noi oggi, sia di operare una scelta, prima di tutto, di fronte all'essere 'cristiano'. Non ci si battezza, ed è chiaro, per essere iscritti nel libro dei buoni e garantirsi la paternità di Dio. L'essere battezzati, e più in generale ancora l'esser 'cristiani' non è l'esser segnati su un registro parrocchiale o fare la propria offerta alla Chiesa, non è qualità che una volta acquisita rimane, ma esistenza alimentata da Cristo stesso, fino a chiamarsi 'cristiana' non perché costellata da opere cristiane, ma perché viene proprio da Lui, dalla sua Parola, dalla sua vita.
Nella fede e nella conoscenza di questo grande mistero può crescere la consapevolezza di camminare all'ombra della Croce in una conformazione che significa assumere nella propria esistenza tutta una lotta ed un'autentica liberazione.
Non lotta per la vita, a rivelare tutta una serie di piccole o grandi meschinità per la conquista di un posto, la ricerca di appoggi, la necessità assillante di raggranellare qualcosa, la difesa della propria intimità, l'egoismo nei propri affetti.
Non lotta per la vita, ma vita per la lotta, esistenza allargata oltre ogni problematica a ritorno personale. incapace di preoccuparsi delle cose per uno spirito sacerdotale che cresce fino alla consacrazione della propria esistenza come spazio e tempo in cui avviene questa lotta e questa liberazione a dimensioni universali, e vi è annunziata per la speranza degli uomini.
E questo partendo da qualsiasi situazione purché si abbia il coraggio di rompere con le proprie paure, le inettitudini, le sicurezze. Non ci sono strade preordinate: solo l'indicazione di risalire alla sorgente della nostra vita per riprendere freschezza e vigore gettando via ciò che grava per stanchezze indicibili sul nostro rapporto con Dio e con gli uomini.
Uomini e donne preparati per una lotta cristiana in questo mondo, catechisti capaci di prendere sul serio le parole di Gesù: «Ecco, io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi... ». Preti, frati, suore, diaconi? Non so e neppure davvero sconto questo soffocante inquadramento ecclesiastico cui poco importa l'annuncio del Regno dato che la più grande preoccupazione è quella di rimpinzare di catechesi libresca il popolo 'cristiano' blandito e viziato da tutta un'attenzione che nel Vangelo non riesco proprio a rintracciare.
E' una responsabilità che ci coglie alla radice da cui tutto deve crescere, anche il modo di impostare la vita, il rapporto con la Chiesa e con il mondo. .
Chissà chi si sentirà su questa linea, quanti saremo, se sarà possibile incontrarci, fare insieme un poco di strada? Già da anni, ormai, questa luce è posta su in alto anche se accompagnata da tante amarezze, delusioni, fallimenti.
Intendo riaccenderla ancora perché sia di richiamo a chi cerca, a chi è sulla strada. Seme gettato di nuovo perché marcisca nel cuore di chi lo accoglie. La grazia di Dio porterà il suo frutto.
don Luigi
Entrando nella vita operaia, il nostra progetto dichiarato è rimasto identico in venticinque anni: vivere secondo il vangelo, testimoniare Gesù Cristo vivo e contribuire - come preti - alla nascita di una chiesa nella quale i lavoratori si riconoscano a casa loro e responsabili...
Accettando la condizione operaia, abbiamo risposto ad un appello interiore e persistente dello Spirito che ci chiede di contribuire a radicare la chiesa in un popolo per il quale essa resta, per lo meno, estranea. Si tratta dunque per noi di vocazione personale, ma per la realizzazione di un progetto ecclesiale collettivo. Perché, ta-gliandosi fuori dalla massa degli umili, non solo la chiesa è infedele alla sua missione di "portare la buona novella ai poveri", ma contemporaneamente essa perde la linfa evangelica e lo spirito del regno di cui Dio l'ha fatta depositaria (S. Giacomo). Come potrebbe essere sacramento di salvezza per essi, segno credibile dell' amore che Dio porta loro e del destino divino che loro promette se essa non s'immerge nell'esistenza quotidiana della gente, nella loro sofferenza, nel loro desiderio di giustizia e anche nella loro lotta, quando la condizione imposta impedisce loro di vivere e come uomini e come figli di Dio coscienti? ...
A causa dell' asservimento del lavoro, noi apparteniamo totalmente al popolo, senza diaframmi di amicizia, di linguaggio, di cultura con lui. Più avanziamo in questa condivisione di vita, più pensiamo che è d'importanza capitale per noi, preti, non essere più dei chierici... Noi siamo nella condizione migliore per renderci conto di quello che il lavoro ci ha dato in termini di conoscenza dell'uomo, di arricchimento interiore e d'umiltà su noi stessi: là abbiamo appreso come eravamo ignoranti e come avevamo bisogno dei compagni per nuovamente apprendere tanto l'abilità manuale quanto la lettura dei salmi e del vangelo....
Noi viviamo nella lotta delle classi. Questa è una situazione di fatto, imposta ai lavoratori. Essere assunti, significa diventare una macchina di produzione di cui altri dispongono a loro piacere e profitto. In tale situazione, non c'è altra soluzione umana che quella di resistere. Amare significa difendere gli altri e unirsi. Educare le coscienze, significa svegliarle alla consapevolezza dei loro diritti e all' azione collettiva. L'amore che, come cristiani, vogliamo universale, passa necessariamente per una opzione in favore dei poveri. Come termine ultimo la lotta contro lo sfruttamento dei lavoratori tende a liberare l'oppressore e l'oppresso: l'uno dalla schiavitù del denaro e della corsa al guadagno, l'altro dal suo annientamento. La lotta di classe porta in germe una società umana dove gli uomini potranno guardarsi negli occhi e chiamarsi "fratelli"... Nel mondo operaio, lo sfruttamento spezza i corpi, divide i fratelli, abbrutisce le coscienze, soggioga gli spiriti. Nella lotta la classe operaia ritrova la sua speranza e la sua anima. Questa lotta è un vero atto spirituale collettivo. Nel senso profondo della parola, esso implica una carità politica. La massima, diceva un papa! Là, come nella resistenza, l'abbandono o la neutralità della chiesa, preti e laici, sarebbe ingiustificabile!...
In Gesù Cristo, la parola è divenuta carne. Non si tratta di vuoto verbalismo. La chiesa parla molto. Nei secoli recenti, salvo qualche testimone sconosciuto e qualche militante, essa non s'è affatto mostrata come "la carne della carne" dei lavoratori, vittima con loro, schiava con loro, affrontando in loro difesa il rischio dello spogliamento e della persecuzione. Ecco perché la sua parola è svalutata...
Nel mondo operaio, il grande scandalo, l'ostacolo infrangibile, non si trova dove generalmente gli uomini di chiesa lo pensano. Assai più che nelle debolezze degli individui, che i poveri comprendono sempre, i compromessi collettivi della chiesa e il fatto che essa si pone sempre al di fuori e al di sopra per moralizzare, fanno barriera al vangelo. Fedeli a Gesù Cristo, fedeli alla chiesa, fedeli ai più sfruttati del mondo operaio a causa del vangelo, ecco cosa ci chiede la nostra ordinazione sacerdotale. Ecco quello che vorremmo vivere nella fatica, nel silenzio e nel grigiore di tutti i giorni... sino alla fine.
dal documento «dell'equipe nazionale dei preti operai francesi»
Autorizz. Tribunale di Lucca - Decreto N. 228 del 7.3.1972
55049 - Viareggio Tel. 46.455
Spedizione abb. postale gruppo III/70
Redazione: Lungo Canale Est, 37
Direttore Responsabile: Don Sirio Politi
Nella testata: "la sciabica" di Inaco Biancalana
Tip. Marchi - c. 3.000 - Ottobre 1972
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455