LOTTA COME AMORE: LcA giugno 1972

Lottare tutti

E' una vocazione questa della lotta che è tutto uno con la volontà di Dio che ci ha chiamati alla vita.
Nessuno che vuol essere vivo e vivente può eludere questa chiamata, tirarsi fuori da questa vo-cazione fondamentale che è nella carne e nel sangue, nel destino della realtà umana.
Che poi l'uomo sia ridotto ai livelli animali per cui questa lotta per la vita è per il mangiare e il bere, la casa ecc. e cioè sia tutta nella sopravvivenza fisica per la stragrande maggioranza dell'umanità e per le misure senza limiti e senza incertezze del benessere fisico della minoranza privilegiata e sfrut-tatrice è questo il segno massimo dell'inciviltà, della condizione di vita dell'uomo delle caverne, dell'età della pietra.
Perché non molte cose in ordine a questa lotta sono cambiate, e forse cambieranno, a parte i metodi diversi di strappare dalla bocca degli altri quello che serve alla propria indigestione.
La storia del ricco Epulone e di Lazzaro, raccontata da Gesù, è la storia dell'umanità da sempre, da che uomo è uomo e cioè animale feroce.
Che la chiamata alla lotta che Dio ha nascosto nell'istintività alla vita sia questa lotta e si risolva tutta in quella lotta, è offesa a Dio e è oltraggio all'uomo. Che storicamente sia l'unica lotta che l'uma-nità con accanimento e selvaggiamente combatte, indica con evidenza spietata la drammaticità del co-siddetto "peccato" e cioè di quel rovesciamento della volontà di Dio per stabilire la volontà dell'uomo che è sempre e soltanto questa: l'uomo vuol essere un lupo per l'altro uomo.

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La prima e più fondamentale lotta da combattere, per chi ha intuito nel pensiero di Dio la motivazione vera che spiega l'esistere umano, è la lotta contro questa lotta selvaggia per strapparci di bocca gli uni gli altri il boccone di pane, per riempire i propri granai fino alla sovrabbondanza e lasciare morire di fame chi ha seminato e mietuto il grano.
Tirarci fuori da questa lotta contro lo spaventoso, infernale egoismo che attenaglia gli uomini e li rende belve che si scatenano per il possesso della carogna, è consentire, è essere conniventi, è essere responsabili.
E' una lotta contro la lotta alla quale ogni uomo e ogni donna sono chiamati. La lotta contro la disumanizzazione dell'umanità. E quindi contro la guerra, contro l'uccidere, contro la violenza, contro la ingiustizia, la prepotenza, l'oppressione, la schiavitù, lo sfruttamento, la ricchezza, il potere, il dominare dispotico, l'imposizione armata e poliziesca, il succhiare il sangue a vene capillari o a fiumane da allagare il mondo e affogarvi ogni creatura.
Non è lotta politica come furbescamente viene classificata, per dispensarsene, coprendosi di quella virtù e di quel merito che pone al di fuori e al di sopra di ogni contesa e è invece vizio sporco di pigrizia, di irresponsabilità e di seccante non compromettersi. Vizio così benedetto nel mondo ecclesiastico e cattolico e borghese.
Non è lotta da estremisti, da contestatori ad ogni costo, per sfizio personale, per fissazione mentale, per impossibilità a starsene in pace, come un verme nel proprio buco, ben difesi, soddisfatti e pasciuti.
E' lotta che sta alla radice e decide, come nessun altro valore umano può decidere, dell'essere vero uomo e vera donna, autentica realtà umana, vera e propria umanità.

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Perché Dio ci ha creati a manifestazione del suo essere amore, a immagine viva, fatta carne e sangue, di se stesso. E quindi per ricapitolare e raccogliere nell'essere umano tutto l'universo perché attraverso l'uomo e la donna, e nell'uomo e nella donna, tutto l'universo si rapporti a Dio e diventato Amore sia lode e gloria a Lui.
E' una lotta da combattere giocandovi dentro perfino la propria ragione di essere: è la profonda lotta di liberazione che investe tutta l'esistenza per costringerla a forza di amore a essere nella linea che nasce da Dio e a Dio ritorna, compiendo l'unità, e cioè l'Amore di tutto e di tutti, in Dio.
E' la lotta che tutti gli esseri umani sono chiamati a combattere, che lo sappiano o no, che tutti combattono quando lottano contro tutto quello che questa verità di Dio, e ogni altro valore che di questa verità è segno è realtà - ostacola, contrasta, opprime e schiaccia.
E' la lotta della redenzione contro il «peccato originale» così tragicamente connaturato alla storia umana e che nel mondo combatte (e tante volte disgraziatamente con metodi tanto impazziti) chi (e sono popoli, e sono i poveri,gli oppressi, gli sfruttati, gli affamati, tutta l'umanità schiacciata dalla disumanità) chi lotta per la libertà, la giustizia, la fraternità, l'uguaglianza, e cioè che ogni uomo possa essere uomo e ogni donna possa essere donna.
«Beati gli affamati e gli assetati di giustizia perché saranno saziati»; «beati quelli che lottano per la pace perché saranno chiamati figli di Dio».
Gesù Cristo raccoglie in se stesso e nel mistero della sua vita questa realtà di lotta di tutta l'umanità e la combatte in maniere e misure semplicemente adorabili e cioè con motivazioni e valori unicamente e infinitamente Amore e con dedizione assolutamente totale. Fino a giocarvi tutto se stesso.
E la sua lotta è contro l'uomo che si ripiega e si raggomitola su se stesso chiudendosi nel proprio egoismo. E' contro l'umanità che lotta la sua guerra spietata e selvaggia, stabilita nella ricchezza e nel potere. La sua lotta è contro l'idolatria di una disumanità che adora se stessa e a se stessa sacrifica tutta l'umanità in una immolazione senza limiti, fino anche all'olocausto incensato e benedetto, come è la guerra, il potere, spietato e assoluto della ricchezza.
Il battesimo è vocazione realizzata nel diventare il corpo di Cristo, così specificato e consacrato alla lotta, che Cristo stesso nella sua carne e nel suo sangue, nella sua vita personale di vero Dio e di vero uomo, ha così appassionatamente combattuto: quella lotta di salvezza, e cioè che l'umanità sia come Dio l'ha pensata, quella lotta per «l'uomo nuovo, creato secondo giustizia e verità», per quella umanità di cui Cristo è il primogenito: quella lotta ogni cristiano, che cristiano vuole essere, è chiamato a combattere.

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A combattere senza armistizi e compromessi, con Amore inesauribile e quindi con tenacia senza stanchezza, senza mezzi termini e allo scoperto.
Lotta da combattere in se stesso perché in se stesso è forse il primo e più tremendo campo di battaglia. E poi intorno a sé, al di là di ogni limite, qui, là, dovunque, "fino agli ultimi confini della terra". Dove imperano, per dirla con S. Paolo, le potenze delle tenebre, i dominatori di questo mondo tenebroso, i principati, le potestà». (Ef. 6, 12)
Perché è comunione con Dio che lotta da sempre nel mondo per il suo infinito Amore di Padre. E' fedeltà a Cristo che è venuto nel mondo a lottare fino alla fine per lottare è morto in Croce, per continuità di lotta è risorto e è vivente, contro il peccato e la morte, in una lotta che si concluderà soltanto nella vittoria dell'ultimo giorno.
E' la realtà e verità di comunione fraterna con ogni uomo e donna, è concretezza di Amore da riversarsi in ogni angolo della terra a traboccarne il mondo.
E' l'unica vera realtà di Chiesa, questa della lotta nel mondo, perché - pugno di lievito che lotta dentro la massa di farina dell'esistenza per lievitarla -, è lotta di luce accesa a vincere le tenebre dell'orrore che rabbuia la terra.
E' questa luce (ma come specificarla e chiarirla, quando è verità così essenziale in una visione umana e tanto più cristiana della vita?), è questa lotta che decide della sincerità ed autenticità di uomo vero e di donna vera, di cristianesimo o no.

La Redazione

Gente del Vangelo

4 - La samaritana

La donna incontrata in Samarìa è fra le prime che trovano in Gesù una risposta alla loro vita, insieme a Maria, a Elisabetta, alle donne che lo seguono da lontano e da vicino e che formano dall'inizio del suo camminare incessante per la Palestina, una folla che si muove intorno a Lui. Le sue parole trovano immediata rispondenza fra il popolo e fra le donne - là dove esiste un cuore e un'anima che nessuno ancora ha compreso - sembrano scostare il velo che ricopre la realtà, tanto da donarci una visione diversa della vita, un'immagine della creazione quale Dio l'ha pensata. In quel momento l'esistenza umana "vive" quasi miracolosamente, sembra non più umiliata dalla morte che continuamente la frantuma e dal peccato che la snatura. Sono indicate, appena accennate, vie diverse che portano a ritrovare la strada che lega il presente con l'eterno, il limitato con l'infinito, il vivere con l'Essere. La donna, questa custode della vita che non si rassegna che la vita abbia un termine, guarda attonita questo Figlio dell'Uomo che semina nella esistenza tesori tali da renderla preziosa, non secondo gli uomini ma secondo il pensiero di Dio dato all'inizio dei tempi e poi perduto nella storia umana. Un pensiero di purezza intatta, di amore che non finisce, di capacità di accoglienza e generazione, di rispetto al creato e alle creature, di una vita che vive accanto alla vita di Dio.
Quel giorno mentre parla, la samaritana trova in lui la risposta al suo sogno di sempre, che l'aveva portata a cercare l'amore, un passo dietro l'altro, un uomo e poi un altro nella sete di trovare un perché all'esistenza, un motivo di vita, la possibilità di dire in pienezza: ti amo, e perciò sono.
In Gesù intravede qualcosa che non morirà: le parla di un'acqua viva. E subito il dialogo si accende ritmato dalle domande della donna, povere domande, dubbi semplici e ripetuti di chi non ha cercato con i profondi pensieri di Nicodemo, ma entrando nell'esistenza sospinta da questa sete che non può estinguersi. Più tardi Gesù dirà al popolo: beati gli affamati e gli assetati di giustizia, cioè di un rapporto diverso, di una possibilità di comunione fra gli uomini.
La donna spera che la morte, la grande nemica, che interrompendo la vita ne rivela l'intima contraddizione tanto da acuire il bisogno incalzante di un perché - sia vinta. E' sconfitto anche lo spazio: Dio sarà adorato dovunque in spirito e verità. Ha del miracolo il rapporto liberatore che Gesù ha con le donne, dipanandole, ridonandole a se stesse, raggiungendole sempre ai crocevia della loro esistenza: è il primo dei nati da donna che non morirà; quando incontra una donna incinta la creatura portata le sussulterà nel seno; parIa come pochi hanno saputo fare dei dolori del parto che la donna accetta solo poiché portano la vita; capisce il senso profondo che muove la samaritana, Maddalena, l'adultera; lo svela loro che forse non lo conoscevano, ma lo riconoscono alla prima occhiata guardando Lui: cercavano la vita che non finisce. Questo figlio del popolo sa capire la lotta per l'esistenza nella donna che spazza la casa per ritrovare la moneta perduta (esistenza benedetta e resa capace di diventare Regno di Dio); la pena della vecchia malata da lunghi anni, e infine la ribellione della madre di fronte al figlio che muore.
Accanto al pozzo, stanca per il troppo sole, la samaritana domanda: «Signore sei tu che cercavamo?» Questa speranza accesa qua e là, donata a chi aveva da sempre sofferto, sbandato come pecora senza pastore, a questi cuori di donne e di popolo, e perciò di umanità nella sua realtà più viva il figlio di Dio la compie lottando alla radice dell'esistenza contro il male e la morte.
Si consegna volontariamente alla morte, la nemica dell'uomo. E a una donna, non rassegnata di vedere proprio lui morire, si mostrerà risorto a indicare possibilità insperate di esistenza: "non tenermi così... ma va e di loro"; dono nuovo consegnato perché sia sparso nel mondo, rapporto liberato: l'acqua viva potrà scaturire dal petto di chiunque ama.

Maria Grazia

4 - La proposta cristiana: il silenzio del popolo

Si discorreva nel numero precedente di maggio dello strano e sgomentante «silenzio» del popolo di Dio. Il popolo cristiano è un popolo che non parla, è senza parola, pare che non abbia niente da dire come se fosse senza idee, insensibile e irresponsabile.
E' vero che i popoli non contano niente, anche nei regimi più democratici, nelle repubbliche più popolari, la gran folla, la moltitudine, il popolo è oggetto di governo, è carne da lavoro e spesso da cannone.
I suoi destini sono nelle mani di altri e questi di altri ancora e dei giri e rigiri diplomatici, copertura di interessi e di ragioni politiche ed economiche che hanno rapporto col popolo e coi popoli unicamente perché i popoli li devono, questi supremi interessi, servire e pagare, e a volte i prezzi sono spaventosi.
Raramente il popolo parla e quando parla la sua parola non può che essere come una eruzione vulcanica, a lungo repressa, come uno straripamento od alluvione. Ma poi tutto ritorna «nell'ordine costituito» e cioè nelle condizioni in cui la parola del popolo è di nuovo impossibile.
E' semplicemente amaro sarcasmo credere che i rappresentanti liberamente eletti siano «la parola» del popolo, semmai sono quelli dei partiti o dei gruppi di potere, di cui i partiti sono l'espressione e lo strumento politico ed economico.
E fanno, i rappresentanti del popolo e tutto ciò che rappresentano, il loro discorso, ma non quello del. popolo e tanto meno ne sono il parlare vivo ed efficace. Ugualmente i sindacati per tutta la tremenda problematica del lavoro: questa organizzazione nata su dalle lotte operaie, allagate di sangue e soffocate di carcere, perché il popolo del lavoro, la c1asse operaia, avesse finalmente voce nel gran capitolo della produzione e diventasse attiva partecipazione là dove è il logorarsi della propria vita, il rischiare quotidiano della pelle, l'ingoiare l'amarezza di una schiavitù fino ai quattro soldi della pensione.
Ma la storia del sindacato è sempre meno la storia parlata della classe operaia.
La quale riesce a parlare soltanto nelle piazze quando straripa il suo silenzio, nonostante le dighe della polizia e dell' esercito, ed è fragore spaventoso come di uragano che tutto travolge.
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Il fatto che la parola del popolo possa essere soltanto esplosione di violenza, dimostra che al popolo è sempre e da tutti negata la parola, il parlare, il discutere, l'avanzare le proprie ragioni. Il dialogo è proprietà della ricchezza è concessione del potere, è pertinente alla scienza, è realtà di privilegio: se l'offrono ed elegantemente se lo rigirano fra le mani, come un gioco, quelli che lo possiedono. E dopo, la stampa, la televisione ha finito per togliere al popolo la parola, quel poco di balbettamento che ancora rimaneva per farne proprietà assoluta del potere, riducendo il popolo in maniera totale ad essere ascoltatore e spettatore. Cioè oggetto, un povero oggetto da uso e consumo a piacimento.
Così e tanto più il popolo cristiano. Se vi è un popolo senza parola, senza un suo parlare, senza possibilità di esprimersi, di sentirsi vivo e vivente, con delle idee, delle problematiche, con una sensibilità, con delle esigenze e ricerche, è il popolo di Dio.
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Il popolo della Messa domenicale, il popolo iscritto sui registri del battesimo, catechizzato da bambino, da studente, da adulto, il popolo de1le famiglie cristiane, delle associazioni cattoliche, caritative, i gruppi giovanili delle parrocchie, i terzi ordini, i gruppi di spiritualità, il popolo degli ordini religiosi dei frati e delle suore, il popolo dei conventi, il clero delle diocesi, il popolo delle parrocchie, il popolo dei credenti, del segno della croce al mattino e alla sera, il popolo che fa battezzare i suoi figli e porta i suoi morti in chiesa prima che al cimitero.... Il popolo di Dio, misterioso, raccolto dallo Spirito, tenuto su nella Fede da non si sa che cosa, questo popolo che pure ancora affolla le chiese e accende le candele e partecipa alla liturgia, riceve i sacramenti, crede profondamente in Dio, in Gesù Cristo, rispetta il sacerdozio, i vescovi, il papa, nonostante tutto, questo popolo è un popolo senza parola, che non parla, non dibatte la problematica della Fede, non discute liberamente, non affronta i problemi della Chiesa, non si occupa del travaglio che sconvolge il mondo, è totalmente senza un criterio chiaro e oggettivo, cristiano, per giudicare la storia, è un povero popolo che scorre ad acqua cheta, lungo e dentro le rive a cemento armato costruite dalla. tradizione, dal dogmatismo, dal magistero gerarchico, dal codice di diritto canonico, da un mo-ralismo tutto sistemato fino al capello, da una liturgia imposta come un cerimoniale, da una irresponsabilizzazione assoluta a virtù di obbedienza, fino ad una passività di povero gregge che può soltanto belare, o se meglio si vuol dire, cantare.
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Tutto bene, però la constatazione è amarissima: un .popolo che non è un popolo. E trattandosi di un popolo che è il popolo di Dio, chi ci rimette in misure di gloria e di lode è Dio.
Chissà perché Dio non è mai riuscito a costruirsi un popolo nella storia che sia concretamente un popolo degno di Lui, costruzione del Suo Amore, segno concreto della Sua pienezza, espressione vivente del Suo Pensiero, manifestazione storica del Suo sogno.
Quel suo sogno adorabile, che rapisce l'anima in contemplazione estatica, di quando ha creato l'uomo e la donna. E di quando poi ha chiamato Abramo per costruirsi il Suo popolo. E vi ha mandato i Suoi profeti a realizzarne l'autenticità e cioè la rispondenza al Suo sogno.
Finché ha mandato Suo Figlio, ha mandato la Sua Parola a farsi carne, ad essere Uomo, la Sua Parola ad abitare fra gli uomini. La Sua Parola pronunciata, gridata, vissuta, morta e risorta per essere invita «a tutte le creature, fino agli ultimi confini della terra». E questa parola l'ha resa in tutte le lingue perché ogni uomo la potesse parlare, di qualunque lingua o razza o civiltà, nella Pentecoste.
Si chiama Vangelo questa parole nuova; buona novella, annuncio glorioso di creazione nuova, di liberazione dalla schiavitù, d'inizio d'umanità - famiglia di Dio Padre.
Ma poi se ne sono impossessati di questa parola, come di tutto, di ogni pezzo di terra, dell'aria, del sole, dell'acqua, e più ancora, ne hanno fatto proprietà di questa Parola.
E il popolo di cui è questa Parola perché è per il popolo, perché sia la Parola del popolo di Dio, ne è rimasto defraudato, privato, senza.
La parola del popolo di Dio soltanto per essere ascoltata non per essere parlata.
E così si stabilisce il destino del popolo di Dio che è popolo eternamente ridotto ad ascoltare, ad essere istruito, ma non per poter un giorno parlare, ma per ascoltare meglio e capire di più. E se succede che capisca di più, dev'essere come se non avesse capito, quindi deve continuare ad ascoltare, ad essere catechizzato.
La Parola si è fatta carne, ha abitato in maniera adorabile fra gli uomini e ancora vi abita creando continuamente urgenze incontenibili di annuncio, ma non è Parola di popolo. Perché il popolo di Dio non parla.
«Ha fatto bene tutte le cose (diceva il povero popolo giudaico ridotto al silenzio dalla scienza degli scribi e dal potere dei farisei e del sinedrio) ha fatto udire i sordi e parlare i muti». Povero popolo stupito di tutto il meraviglioso mistero di Cristo, ma specialmente dal fatto che Dio dava la parola ai sordi ed ai muti. Nel fatto miracoloso, con quell'intuito proprio del povero popolo sempre oppresso e sopraffatto, vi sentiva un dono liberante e costruttivo da tempi nuovi. E ascoltava, quasi con smarrimento per la novità assoluta, il parlare di «questo figlio del carpentiere» che era il parlare del popolo «con autorità, non come gli scribi e i farisei Ma poi se ne sono impossessati di questa pa-rola, come di tutto, di ogni pezzo di terra, dell'aria, del sole, dell'acqua, e più ancora, ne hanno fatto proprietà di questa Pero!«.
E il popolo di cui è questa Parola perché è per il popolo, perché sia la Parola del popolo di Dio, ne è rimasto defraudato, privato, senza.
La parola del popolo di Dio soltanto per essere ascoltata non per essere parlata.
E così si stabilisce il destino del popolo di Dio che è popolo eternamente ridotto ad ascoltare, ad essere istruito, ma non per poter un giorno parlare, ma per ascoltare meglio e capire di più. E se succede che capisca di più, dev'essere come se non avesse capito, quindi deve continuare ad ascoltare, ad essere catechizzato.
La Parola si è fatta carne, ha abitato in maniera adorabile fra gli uomini e ancora vi abita creando continuamente urgenze incontenibili di annuncio, ma non è Parola di popolo. Perché il popolo di Dio non parla.
«Ha fatto bene tutte le cose (diceva il povero popolo giudaico ridotto al silenzio dalla scienza degli scribi e dal potere dei fari ei e del sinedrio) ha fatto udire i sordi e parlare i muti». Povero popolo stupito di tutto il meraviglioso mistero di Cristo, ma specialmente dal fatto che Dio dava la parola ai sordi ed ai muti. Nel fatto miracoloso, con quell'intuito proprio del povero popolo sempre oppresso e sopraffatto, vi sentiva un dono liberante e costruttivo da tempi nuovi. E ascoltava, quasi con smarrimento per la novità assoluta, il parlare di «questo figlio del carpentiere» che era il parlare del popolo «con autorità, non come gli scribi e i farisei». La Parola di Dio si è fatta popolo e è venuta ad essere parlata dagli uomini, fino ad essere la loro Parola.
* * * *
Non è un problema teorico, da immaginazione più o meno fantasiosa e utopistica, questo del «silenzio, mancanza di parola, il non sapere, il non poter parlare, il non parlare» del popolo cristiano, del popolo di Dio.
A meno che non si preferisca una passività, un disinteresse, una disincarnazione, una religione alienata, un vuoto di presenza storica, un popolo eternamente infantile, considerato inguaribilmente analfabeta e ritardato ecc., a meno che questo «silenzio» non sia giudicato la giusta condizione del popolo di Dio, che così è e così deve rimanere, questo problema di dare la Parola e cioè di dare coscienza che il popolo ha diritto alla parola e possiede la Parola e deve parlarla, gridarla «sui tetti» dopo millenni che l'ha soltanto ascoltata, è problema pastorale misurabile per la sua importanza fondamentale e decisiva, dalla misura della Fede che la Chiesa è il popolo di Dio nel mondo e nella storia.
Come sia possibile questo parlare di popolo, questa partecipazione attiva, consapevole, responsabile di popolo di Dio, il parlare di Dio agli uomini, fino al esserne la Parola viva, storica, non è facile indicarlo.
E' certo che molte cose dovrebbero rivoluzionarsi nel Magistero come metodologia magisteriale, nella ricerca teologica, nella celebrazione liturgica (l'essere passati dal latino alle lingue volgari ha reso possibile l'ascolto, ma non ha dato la parola, quindi in ordine al problema non ha modificato e riformato niente), nella pastorale, nella responsabilizzazione popolare, nel far entrare le problematiche esistenziali nella vita cristiana.
Nelle nostre chiese non entrano, né dalle finestre istoriate, né dalle doppie porte d'ingresso e tanto meno da quelle della sagrestia, i problemi che travagliano il mondo e che sono i problemi del popolo perché poblemi di popoli. Tutto si ferma sulla soglia come i cani randagi, per non disturbare, non si sa bene, se il raccoglimento devoto della liturgia o la tranquillità pacioccona, borghese e sorniona dei buoni fedeli. Non dilaga nelle nostre chiese la fiumana che travolge il mondo e straripamento di lacrime e di sangue, di disperazione di popoli e popoli, realizzando una coscienza di popolo di Dio per la comunione con la passione e morte resurrezione di tutti i popoli crocifissi nel mondo.
Riflettevo questi pensieri, mi si affollavano questi pensieri (e non era senza angoscia per la troppo difficile speranza) in questi giorni leggendo e sentendo raccontare delle riunioni a seduta ple-naria della Conferenza Episcopale Italiana, circa il resoconto del triennio passato e le programmazioni pastorali per quelle avvenire, le problematiche discusse e le pastorali future.
E il popolo, il popolo cristiano, il popolo di Dio?
Mi viene sempre in mente il povero malato mentre i professori, i medici gli anestesisti, i chirurghi, gli assistenti ecc. fanno il consulto, decidono e gli si fanno d'intorno naturalmente per guarirlo.
E sia senza offesa di nessuno, né della Gerarchia, ma nemmeno di questo povero popolo, per il quale tutti parlano e parlano, studiano, programmano, s'impegnano, ma ascoltarlo non l'ascolta nessuno. Evidentemente perché non sa parlare le parole che non sono quelle del popolo e quindi sa di non dover parlare e difatti non parla.
Tace, non dice nemmeno che non gliene importa niente, Nemmeno di essere popolo e tanto meno di essere popolo di Dio.

don Sirio

Nel cuore del popolo ridotto al silenzio

il gridare di gente viva

Perché ci sia di condanna e ci costringa alla «parola», il primo segno vivo di libertà e di umanità più vera, raccogliamo alcune voci, quelle che abbiamo potuto ascoltare in queste ultime settimane, gridate nel mondo. Umili parole e urli di angoscia, venute su dalla nebbia dell'indifferenza, dal buio del conformismo, dal vendersi al padrone, dalla paura di pagare di persona, dalla rassegnazione pigra e interessata... alcune voci fra le tante che si levano continuamente di tra i popoli oppressi (e lo sono tutti) a invocare liberazione e dignità umana per tutti gli uomini

Brasile

Informiamo l'opinione pubblica Nazionale e Internazionale che, a partire dalla mezzanotte di venerdì 9 Giugno 1972, i prigionieri politici di S. Paolo hanno ripreso lo sciopero della fame.
Ecco i motivi di questo gesto estremo:
1) il lunedì i prigionieri politici inviarono lettere al direttore del carcere Carandiru e a Don Paolo Evaristo Arns, Arcivescovo di S. Paolo, avvertendo che, temendo per la sopravvivenza fisica di tutti i prigionieri, se non fossero posti tutti insieme entro il sabato 17-6 come avevano promesso le autorità militari, avrebbero ricominciato lo sciopero della fame;
2) il mercoledì 7-6, i tre frati Domenicani insieme ad altri tre prigionieri politici furono trasferiti a Presidente Venceslao, al confine del Mato Grosso. Altri prigionieri politici pure furono trasferiti verso luoghi sconosciuti. Per questo i prigionieri politici hanno sentito l'esigenza di questa misura estrema.
3) La situazione è più drammatica perché questi fatti confermano che la dittatura militare Brasiliana intende assassinare nei carceri del regime tutti gli elementi considerati di avanguardia attualmente in prigione.
4) I militari fino ad oggi non hanno permesso che il Pastore della Chiesa di S. Paolo D. Paolo Evaristo Arns entrasse in contatto con i prigionieri che avevano chiesto la mediazione della chiesa.
Insistiamo col dire che lo sciopero della fame dei prigionieri politici si basa sulla situazione di arbitrarietà totale nella quale si trovano. Facciamo appello perciò a tutti quelli che amano la giustizia nel Brasile e in tutto il mondo perché facciano uso di tutti i mezzi a loro portata, per denunciare l'attuale drammatica situazione dei prigionieri politici.


Grecia

il grido di una madre

Alla Associazione Nazionale Magistrati Italiani - Alla lega italiana dei diritti dell'uomo
E' fin troppo conosciuto anche da voi il regime di violenza e di terrore instaurato in Grecia dalla dittatura militare. Sono migliaia i prigionieri e i torturati nelle carceri della Grecia e vogliono tutti il rispetto e l'appoggio del mondo libero. .
Ma ve n'è uno che è stato torturato, ed ancora è torturato più degli altri é mio figlio Alessandro Panagulis, del quale sono sicura che la storia un giorno parlerà come del detenuto politico più torturato del mondo, solo paragonabile a quelli torturati durante l'inquisizione del Medio Evo.
Signori, non voglio occupare il vostro tempo tanto prezioso; per questo cercherò di soffocare il dolore che strazia il mio cuore di madre per raccontarvi i fatti in modo obiettivo, come se fossi un qualunque freddo osservatore; per dirvi quello che ha sofferto e soffre l'ormai leggendario Alessandro Panagulis.
Panagulis vive da cinque anni in isolamento assoluto, in una cella che è stata costruita appositamente per lui nel cortile delle carceri militari di Bojati, in modo che non confinasse con nessun' altra costruzione per poterla sorvegliare giorno e notte da tutte le parti con guardie armate. L'unico contatto con la vita è il pezzo di cielo, che si vede da un abbaino delle dimensioni di dieci centimetri quadrati. coperto da una doppia grata di ferro.
In questa tomba buia,che l'estate brucia per afa e l'inverno stringe nella morsa del gelo, in questa cella che non sarebbe nemmeno adatta come canile, vive nel ventesimo secolo UN UOMO.
Malato, spesso affamato, perché non mi è consentito di portare dei viveri dal di fuori, striscia lì dentro, parlando da solo e rispondendo alla sua ombra. Una forte gastrite che è il risultato della pessima alimentazione e dei frequenti scioperi della fame per protesta lo tortura da alcuni mesi.
A ciò è venuta ad aggiungersi anche una ematuria cronica, risultato della « tortura dell'ago», patita fra le altre al tempo dei primi interrogatori....

Athena Panagulis
da il Regno n. 246 15 giugno 1972


Russia

Al Patriarca Pimen di Mosca
... Santità, non disprezzate la mia indegna voce. Non lasciateci supporre che per i vescovi della Chiesa russa l'autorità terrena ha più valore dell'autorità celeste, che la responsabilità delle cose della terra è più terribile di quella di fronte a Dio. Né di fronte agli uomini e ancor meno nella preghiera possiamo astutamente far credere che i legami esteriori sono più forti del nostro spirito. Anche all'inizio non fu facile per il cristianesimo, eppure resistette e prosperò. E mostrò a noi la via del sacrificio. Privi di ogni forza materiale, nel sacrificio conseguiamo sempre vittoria. Sappiamo bene che molti dei nostri sacerdoti e fedeli furono resi degni di subire lo stesso martirio dei primi secoli di cristianesimo. Un tempo si veniva gettati ai leoni, oggi si possono perdere soltanto gli agi ... (Un brano di una lunga lettera).

Aleksander Solgenitzin
Domenica dell'adorazione della Croce 12 marzo 1972


Lituania

Un giovane di venti anni Roman Talanta si è bruciato vivo il 14 maggio per protesta politica contro le persecuzioni di cui sono oggetto i cattolici del suo paese. Gravi disordini si sono verificati il 18 maggio in occasione dei suoi funerali, la rivolta di migliaia di persone, soprattutto giovani, e stata domata sabato 20 maggio con l'intervento di reparti speciali della polizia di stato e dei paracadutisti. Questo il bilancio: alcuni morti, numerosi feriti, centinaia di arresti.

Madagascar

Quaranta morti e centinaia di feriti sono il risultato degli scontri del 13, 14 e 15 maggio a Tananarive. Il pomeriggio del 13 ha avuto luogo una manifestazione popolare, alla quale partecipano studenti, lavoratori, funzionari. Analoghe manifestazioni si verificano nelle maggiori città del paese: la polizia respinge i dimostranti a colpi di arma da fuoco. Il bilancio è di decine di morti e centinaia di feriti.

U.S.A.

Agendo di propria iniziativa nelle loro diocesi 6 vescovi cattolici degli Stati Uniti hanno risposto pubblicamente con dure prese di posizione o di condanna alla decisione di minare i porti del Nord-Vietnam e all'intensificazione della guerra.
Mons. HOGAN, di Rochester - insieme ad altri religiosi -, ha redatto una dichiarazione e l'ha portata lui stesso a Washington, per consegnarla personalmente ai rappresentanti del governo. Il documento, tra l'altro, afferma:
"Gli Stati Uniti e la Russia vanno accusati di servirsi dell'infelice popolo del Nord e del Sud Vietnam per il loro tragico gioco di guerra". "Noi pensiamo che la recente azione del nostro governo faccia capire chiaramente quanto questa guerra sia immorale e inumana". "Noi andiamo a Washington perché siamo profondamente sconvolti a causa dell'intensificarsi da parte del nostro paese della guerra nel Vietnam. Più bombe vogliono dire esattamente più sofferenze, mutilazioni, fame, separazione e morte per madri, bambini, vecchi e più vittime fra i soldati ".
Mons. BEGIN. di Oakland, ha redatto un documento con la commissione diocesana per la giustizia sociale in cui si fanno tre richieste:
- Al Presidente Nixon, la richiesta della immediata e unilaterale cessazione del fuoco, il ritiro delle truppe, l'impegno di portare il problema del Vietnam al Consiglio di Sicurezza dell'ONU.
- Al Papa Paolo VI, la richiesta di far pressione per il cessate il fuoco e di indire una veglia di preghiere e di digiuno perché sia messo fine alle uccisioni.
- Al segretario dell'ONU Waldehim, la richiesta di adoperarsi per far capire che quando due o più nazioni della comunità mondiale continuano ad uccidersi in misura crescente, è in questione un problema che riguarda tutto il mondo.
Mons. BUSWELL, di Pueblo, ha fatto alcune dichiarazioni ad un giornale: "lo sono uno di quegli americani - ha detto - nel cui nome vengono sganciate le bombe ed ho le mie forti obiezioni di fronte a questa uccisione indiscriminata e di massa. E' tempo che gli americani chiedano di essere ascoltati e che si metta fine a questa guerra, alle uccisioni e alla disumanizzazione di un intero popolo".
* * *
Nel suo lungo e faticoso viaggio intorno al mondo iniziato nel marzo del 1971 questo indiano domanda con calma determinazione a tutti i responsabili politici che incontra nel suo viaggio, il disarmo generale e simultaneo e la cessazione del commercio delle armi. Può sembrare una amabile utopia ma la vera speranza Ramsahai la ripone nel popolo: «E' venuto, il tempo dell'uomo semplice; il destino dell'umanità è nelle sue mani. E' giunto il momento nel quale egli deve esprimersi con la parola e con le azioni contro l'abuso crudele della conoscenza scientifica. Egli deve essere deciso a non accettare nessun tipo di guerra e a lavorare per eliminarne le cause. lo tengo a dire al popolo che lui è il vero sovrano, lui deve fare sentire la sua voce per la pace mondiale. Deve erigersi coraggiosamente contro lo spreco insensato rappresentato dalle attività militari»,

(da «Croissance des jeunes nationes», giugno 1972).

La lotta dei braccianti
I boicottaggi organizzati dalla UFW (l'unione dei braccianti della California) che hanno avuto origine dallo sciopero per la raccolta dell'uva, si sono dimostrati gli unici mezzi effettivi e non violenti attraverso i quali i lavorate americani più poveri e più sfruttati hanno potuto ottenere alcune delle sicurezze delle quali usufruiscono altre categorie di lavoratori.
Nel 1935 i grandi proprietari terrieri riuscirono a fare escludere i braccianti agricoli dallo statuto federale che garantiva il diritto ad organizzare e contrattare il lavoro collettivo. Il famoso sciopero della vendemmia organizzi dalla UFW che iniziò nel '65 e finì nel '70, con la vittoria dell'unione, ruppe la catena dolorosa di miseria e lamenti. Il boicottaggio nazionale dei consumatori dell'uva da tavola fece il resto. I produttori potevano ancora contare sullo stato e sulle strutture locali di potere (polizia, pubblici ufficiali e giudici); per i loro raccolti potevano anche importare migliaia di messicani disperatamente poveri con la connivenza delle autorità all'immigrazione. Potevano perfino vendere migliaia di partite extra all'esercito degli Stati Uniti che aumentò enormemente la sua richiesta di uva. Ma nonostante questo i milioni di individui e le migliaia di istituzioni che smisero di comprare l'uva da tavola per appoggiare i braccianti della California, diede. all'UFW potere economico bastante a forzare i contrasti dei recalcitranti produttori. Fu proprio il boicottaggio che muovendo la coscienza della gente, preoccupata di assicurare la giustizia a questi uomini che raccoglievano il cibo da loro consumato, diede all'unione la capacità di resistere attraverso un potere che è di tipo non violento, nato da gente che lotta insieme mossa da un amore per la giustizia abbastanza forte da accettare il sacrificio. Per molti l'elemento sacrificio fu minimo: non scegliere un certo negozio quando vi trovano il gruppo di picchettaggio,o a volte, rinunciare all'uva, a un certo vino, o alla lattuga. Per i sostenitori attivi significato dare tempo ed energia ai lunghi picchettaggi e alle dimostrazioni. Per i dimostratori del boicottaggio, i braccianti agricoli e i volontari, il sacrificio è stato più tangibile: portare avanti un giorno dopo l'altro il faticoso e frustante giro di picchettaggio, di volantinaggio, di coscientizzazione, tentando di interessare cittadini indaffarati, che non avevano mai considerato da dove veniva il loro cibo nelle così dette famiglie bene che spesso parlano una lingua, o sono di un'altra razza. Per i braccianti, poi, darsi all'unione ha quasi voluto dire rischiare la vita: il licenziamento, l'arresto, l'entrare nelle liste nere; affidare, proprie famiglie, la possibilità di cibo e di alloggio all'assurda speranza che 1'unione non sarebbe stata un'altra chimera ma che li avrebbe guidati attraverso una lunga lotta, è durata cinque anni.
La vittoria dell'Unione ha provocato da parte dei produttori, un nuovo tentativo di distruggerla. Il nuovo consigliere generale dell'Unione produttori, nominato da Nixon sta tentando di fare dichiarare illegale il boicottaggio dell'UFW. Mentre i braccianti pensano di avere buone probabilità di successo affrontando subito un processo, non possono permettersi di sostenere una lunga battaglia legale che può durare degli anni. Così, dopo una breve pausa comincia la lotta per la sopravvivenza dei braccianti agricoli della California. Cesar Chavez ritiene il partito Repubblicano responsabile di questo nuovo attacco all'Unione sta montando una campagna nazionale per denunciare pubblicani. Se questa minaccia di battaglia legale non é ritirata Chavez ha. promesso di portare 25.000 braccianti al Congresso Repubblicano che si terrà a San Diego in agosto. Jim Drake, direttore della UFW ha detto: «Nixon e i suoi complici hanno deciso di dare battaglia ai braccianti e noi accettiamo la sfida. In qualsiasi punto del paese parlerà un candidato repubblicano noi saremo lì per domandargli: «perché il suo partito vuole levare ai braccianti la loro Unione?». Il partito Repubblicano può avere un piano per distruggerci. e forse ci riusciranno, ma Cesar Chavez garantisce che trascinerà in questa sconfitta alcuni senatori e deputati repubblicani. Per noi boicottare vuol dire sopravvivere, per questo lotteremo per salvare il diritto al boicottaggio». .

(dal « Catholic Worker », aprile 1972).


America Latina

Nei paesi andini dell'America Latina gli indiani vivono in netta stato di inferiorità rispetto ai bianchi ed ai meticci. Il movimento di «Llano grande» ha dato inizio a un'azione non-violenta per restaurare i diritti della comunità indiana. H. Tasiguano così descrive la situazione: dopo secoli di oppressione, soprusi e ingiustizie, la Chiesa evangelica locale si è schierata dalla parte degli indiani per ridare a un popolo la sua dignità. Per prima cosa abbiamo dovuto organizzare noi stessi e i nostri trasporti, che erano uno dei punti chiave dell'oppressione dei meticci. E in questo siamo riusciti al 100%, aiutati dalla chiesa locale che ha essa stessa preso coscienza del suo ruolo accanto al popolo. Il passo successivo è stato più difficile: bisognava fare entrare effettivamente gli indiani nella vita locale, in questo abbiamo incontrato forti resistenze da parte dei meticci che non volevano considerare gli indiani come esseri capaci di responsabilità. Questo secondo passaggio è molto più lungo e complesso e comporta il famoso problema dell'educazione. Ho lavorato ultimamente come tecnico a questo programma di educazione informale per il nostro popolo: si tratta di provocare dei cambiamenti sociali usando delle capacità naturali, dei talenti e delle motivazioni dello individuo, quando esso abbia compreso il senso del fine che gli proponiamo. I risultati sono stati prodigiosi: gli adulti sono stati alfabetizzati con un risparmio di tempo del 70% rispetto ai metodi classici. Per di più bisogna notare il cambiamento di atteggiamento di queste persone nel prendere parte all'organizzazione delle loro comunità. Per fare conoscere il nostro problema dall'opinione pubblica abbiamo usato tutti i mezzi a nostra disposizione, interessando la radio, la stampa e la televisione, e non ultimo arrivando ad occupare pacificamente il Grand Hotel di Plaza che è di fronte al palazzo presidenziale, per farci ricevere dal Pre-sidente della Repubblica ed esporgli le nostre rivendicazioni. Ora attendiamo delle leggi che rispettino i diritti della comunità indiana.
(da «Croissance des jeunes Nationes » giugno 1972).

La storia di un viaggio

Quando ho saputo dal giornale che a Roma, per un'intera settimana, si sarebbero riuniti tutti i vescovi italiani in discussione comune sull'impegno della Chiesa per portare avanti l'annuncio del Vangelo fra gli uomini di oggi, una piccola speranza è affiorata nel fondo dello spirito. Una speranza debole e fragile come il primo germoglio di un seme, ma che non sono riuscito a respingere del tutto: la situazione che stiamo vivendo è talmente carica di tensioni, il momento storico così travagliato - dal Vietnam, al Brasile e a tutto l'arco del mondo - che mi è sembrato giusto sperare contro ogni speranza.
Sapevo che cercare di portare ai vescovi problemi urgenti, colmi d'angoscia perché fatti di carne, di lacrime e di sangue, e credere che il loro cuore si sarebbe commosso e che avrebbero raccolto il grido che sempre più sale da ogni angolo della terra, era come intraprendere un viaggio nel deserto - senza scorte d'acqua - e sperare di non morire di sete.
Ma poiché si trattava di problemi vasti quanto la sofferenza di tutto il popolo che da trent'anni non conosce pace, sopraffatto da un crescendo spaventoso di morte e di disperazione; o come quella di centinaia di uomini torturati dalla polizia politica e trattati come animali dalla spietatezza della repressione, ho preferito affidarmi alla debole e fragile speranza piuttosto che all'evidenza di una realistica valutazione delle cose. Anche perché mi sembrava giusto - su un piano di Fede - fare ciò che sentivo come un dovere di fraternità, anche se tutto aveva l'apparenza di un gesto inutile.
Così me ne sono andato a Roma e mi sono mescolato per qualche giorno 'al folto gruppo di vescovi che svolgevano la loro assemblea nella tranquillità della «Domus Mariae» (che tutto può essere meno che «Casa di Maria»): mi ero messo in testa di incrinare, anche se appena appena, quel loro tranquillo radunarsi, gettando nel loro cuore un fascio di preoccupazioni che per milioni di uomini sono una crocifissione quotidiana. Pensavo che in qualche modo l'appello avrebbe dovuto far breccia, trattandosi di uomini chiamati a continuare la missione apostolica.
Ho trovato un vescovo dal cuore largo che ha subito accettato di :portare in assemblea il grido di aiuto e di denuncia lanciato da 12 vescovi e molti cattolici americani contro la guerra del Vietnam e da Helder Camara e il suo ausiliare di Recife per la repressione poliziesca in Brasile. Insieme alla notizia che nel carcere Carandiru di S. Paolo alcuni detenuti politici, fra cui tre religiosi domenicani, avevano ripreso un duro sciopero della fame per protestare contro la eliminazione criminale di prigionieri in atto nelle carceri brasiliane.
Nella sala immediatamente precedente all'aula delle assemblee, i documenti son scivolati piano piano nelle mani di quasi tutti i vescovi, molti dei quali non ne conoscevano neppure l'esistenza.
Documenti a parte, almeno per il Vietnam la stampa e la radio-televisione (anche se in modi addomesticati) hanno sempre riferito ampie notizie: come può un cristiano non sentire arrivare, tra le righe di un giornale, il grido terribile di tutto un popolo violentato nel suo diritto alla libertà e alla vita da chi è talmente potente da poter decidere la carneficina di un'intera nazione o l'abbruttimento di coloro che - affamati e assetati di giustizia - lavorano per la liberazione e la dignità della propria gente.
La richiesta fatta ai vescovi era precisa: dare un appoggio pubblico e comune alle denunce fatte da altri fratelli vescovi, sulla base dei loro documenti, per creare un movimento di opinione che spingesse sempre più i responsabili ad abbandonare i loro piani criminali; e per aiutare tutti i credenti in Cristo ad uscire dalla propria egoistica tranquillità e schierarsi con chi è appeso alla croce su tutte le strade della terra.
La richiesta era per il Vietnam e per il Brasile (certo, se avessero voluto, anche per la Grecia, la Lituania, la Palestina, il Sudamerica, il Burundi, l'Irlanda, il Mozambico, e tutti gli altri calvari aperti): perché ci sono delle croci che hanno braccia enormi e i cui crocifissi non si contano più ed hanno il volto di madri, di bambini, di vecchi, di poveri soldati ingannati e mandati al macello.
Di fronte a tutto questo, ho cercato di tenere in vita la piccola speranza che mi portavo dentro, mentre continuavo a reggere il fragile tessuto dei poverissimi contatti che sono riuscito ad avere con i vescovi più attenti all'uomo ferito dai banditi lungo il viaggio da Gerusalemme a Gerico.
Ho sperato fino all'ultimo, anche se mi rendevo ben conto dei mille ritrovati della sapienza umana che sa difendersi dal grido dei poveri e trova le ragioni giuste per voltarsi dall'altra parte della via e non vedere il sangue uscire dalle piaghe di chi rantola colpito a morte. E mi ricordavo con profonda tristezza che Gesù aveva detto che proprio un sacerdote e un levita - sulla strada di Gerico - «passarono oltre, dopo averlo visto».
Nemmeno una parola è stata spesa per problemi così seri e terribili, non un accenno in quell'arido e inutile comunicato finale che i vescovi hanno firmato e diffuso. Tutto è scivolato via come acqua sul marmo. E' stato come gridare nel deserto, dove nessuno ti sente e il vento disperde la voce.
Certamente i vescovi avevano i loro problemi, le loro preoccupazioni, le programmazioni per la pastorale nazionale: non hanno potuto trovare un angolino, un pezzo di cuore che raccogliesse il grido di Abele colpito dalla violenza omicida dei propri fratelli.
Ci sono delle cose che si possono sperare, ma, che non si possono pretendere; una capacità d'Amore che si può desiderare appassionatamente, anche se poi bisogna accettare - sia pure con profonda amarezza - le misure che ognuno porta dentro di sé. Non si può tuttavia fare a meno di chiedersi quale «evangelizzazione» possono portare avanti uomini così imprigionati negli schemi di una visione della vita che non si sa quanto abbia a che fare col Mistero dell'Incarnazione.
Così me ne sono tornato a casa, a mescolare la vita con la povera gente di tutti i giorni, dopo aver fatto un viaggio inutile. Un viaggio però che non mi ha impedito di sognare ancora più profondamente un cielo e una terra nuovi; una Chiesa nuova - che lo Spirito sta costruendo nel tessuto dell'umanità povera, fra quelli che non contano nulla, fra gli ultimi, fra i senza potere, fra i miti e gli affamati di Giustizia. Una Chiesa fatta di uomini dal cuore largo, capace di contenere il vino nuovo del Regno di Dio.
Il vino nuovo di un Amore che s'espande a misura universale, pronto a raccogliere le lacrime del povero che incontra appena fuori dall'uscio di casa, come I'angoscia disperata di chi è bruciato dal napalm a migliaia di chilometri di distanza.
Il vino nuovo di una testimonianza cristiana, di un annuncio del Vangelo che venga su da una sempre più intima incarnazione nella vita, perché la luce della Resurrezione sia accesa al centro della Passione di tutti.
Il vino nuovo di una Chiesa, Corpo di Cristo e Popolo di Dio, che abbia la Fede e il Coraggio di uscire dalle mura della città e salire il Calvario insieme con chi è condotto al patibolo dagli Erode e i Pilato di tutti i tempi. Una Chiesa, perciò, che abbandoni le vie dei saggi ragionamenti, della prudenza e della scienza, dell'equilibrio e della falsa cultura imparati nel circolo chiuso del proprio mondo, e si mescoli - come sale e lievito, come luce e fuoco - alla folla degli uomini, sulle strade e nelle piazze, davanti ai palazzi dei capi, dei potenti, per annunciare solamente lo scandalo e la follia, ma anche l'immensa Speranza, del Cristo crocifisso.
Poiché questo è l'unico Vangelo che porta la Liberazione, l'unico Sacramento che fa germogliare la Salvezza fra l,e zolle di una terra sempre più bagnata dal sangue e inaridita dall'ingiustizia.

don Beppe

Le forze dell'ordine

E' impressionante notate come ogni sistema politico riesce ad avere a suo servizio un numero considerevole di uomini disposti a mantenere ad ogni costo l'ordine stabilito. E che quindi sono pronti a rinunciare alla propria capacità di giudizio e di autodecisione, per diventare dei semplici robot manovrati da quel terribile padrone che è il POTERE. Essi finiscono così per essere - dietro il paravento della difesa della libertà e della pace sociale - i difensori e gli artefici dell'ingiustizia. Sono la prima categoria di schiavi generati da tutti i padroni del momento e che a loro volta riproducono e alimentano la schiavitù. A qualunque . esperienza politica appartengano essi portano una medesima divisa: quella dei servi.
E' davvero tanto difficile scoprire dietro la maschera il volto dell'uomo che vi è stato nascosto: eppure esso avrebbe poter apparire e rompere i legami con l'oppressione e l'assassinio. I tempi, purtroppo, non portano ancora la promessa di questi segni.
«Durante uno sciopero nella città spagnola di El Ferrol del Caudillo, la polizia spara sugli operai: due morti». (l0 marzo '72)
«La polizia è intervenuta per disperdere circa duecento dimostranti contro la guerra del Vietnam nell'università della Columbia a New York. Trentacinque giovani sono stati arrestati dagli agenti della polizia militare a Chicopee mentre dimostravano davanti all'ingresso di una base aerea militare». (26 aprile '72)
«Un giovane di 20 anni è morto nel carcere giudiziario Don Bosco di Pisa dov'era stato condotto nella notte fra venerdì 5 e sabato 6 maggio, a seguito dei disordini avvenuti per impedire un comizio missino. Il giovane aveva detto al magistrato di essere stato colpito dalla polizia quando si era ribellato all'arresto. Il certificato di morte parla di «emorragia da trauma cranico». (5 maggio '72)
«La polizia di Nixon ha sparato contro i pacifisti in lotta per fermare l'aggressione americana in Vietnam. Due giovani sono rimasti feriti gravemente ad Albuquerque nel Nuovo Messico. Una ragazza di 22 anni è in condizioni disperate. Nel Minnesota, nel Connecticut e in altri stati, i giovani hanno sostenuto duri scontri con la polizia con numerosi arresti e feriti». (11-12 maggio '72)
«Il l° maggio alle 17,30 in piazza Davidka a Gerusalernme abbiamo organizzato una manifestazione.... La polizia era già pronta intorno la piazza. Quasi non abbiamo fatto in tempo ad organizzarci che gli idranti, la polizia a cavallo e gli agenti con manganelli e scudi hanno cominciato ad attaccarci picchiando molto duramente i numerosi studenti e i semplici curiosi che si erano radunati. Dopo la manifestazione la polizia ha continuato nella caccia per tutta la notte, arrestando circa 80. persone», (10 rnaggio '72)
«La polizia portoghese sta cercando di portare scompiglio tra i militanti antifascisti. Oggi ha tratto in arresto al termine di una vera e propria retata nella zona della capitale, circa 200 persone come «sospette di attività sovversive contro la sicurezza dello stato». (12 maggio '72)
«A Vicenza, la polizia ha violentemente caricato un gruppo di circa 250 giovani appartenenti a vari movimenti antimilitaristi e non-violenti, riuniti in P.za dei Signori per una manifestazione autorizzata, al termine della quale due giovani obiettori di coscienza si sarebbero consegnati ai carabinieri. Ma la polizia, prima del dibattito, è intervenuta a prelevare con la forza i due giovani. A questo atto chiaramente provocatorio, i giovani hanno risposto recandosi pacificamente davanti alla questura per esprimere la loro protesta. E' lì che, dopo aver bloccato la via, i poliziotti hanno fatto una carica violentissima: molti giovani sono rimasti feriti, 29 sono stati fermati e successivamente rilasciati e 4 sono stati trattenuti in stato di arresto». (13 maggio '72)

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