LOTTA COME AMORE: LcA maggio 1972

Fede che lotta

immagine:  Fede che lotta A lungo andare può darsi che questo nostro insistere sul tema della lotta, intesa e vissuta come precisa realtà di Amore e Amore imparato nientemeno che in una riflessione evangelica, in un approfondimento, contemplativo ed esistenziale, del Mistero cristiano, può darsi che sia giudicato come una fissazione, un dirizzone polemico, un tentativo cocciuto, quanto presuntuoso, di rimescolamento dell'acque chete e stagnanti del vivere cristiano da parte della Gerarchia, lungo tutto l'arco religioso della cristianità, fino alla rappacificante devozione popolare. Può anche darsi che sia così.
Potrebbe anche essere però (e lo speriamo tantissimo) un profondo atto di Fede, il nostro, un credere appassionatamente che il Cristianesimo, nonostante la scoloritura, la slavatura a forza di un rimanere diluito dentro la mediocrità, la banalità umana, possa significare ed essere concretamente, storicamente, un potente grumo di lievito da smuovere il mondo, una luce accesa da illuminare tutta la terra. E cioè una carica di valori di forza tale da investire una vita e impegnarla fino a costruirla interamente in una realtà di esistenza di pienezza e sovrabbondanza, che di più è impossibile. Una vita con capacità e concretezza di rapporti con il momento storico vissuto, con l'ambiente nel quale si è immersi, con tutta la realtà umana con la quale si è coinvolti, da poter esserci motivo di fiducia, prospettiva di speranza, ma specialmente realtà di coraggio capace di reggere a costo di tutto e d'impegnarsi fino ai limiti estremi.
Un immenso e coraggioso atto di Fede, dato che si tratta di credere nella realtà storica di Dio venuto a vivere la vita umana per ricostruirla in esistenza perfettamente rispondente al suo Pensiero, ma specialmente secondo il suo Amore. Un atto di Fede nel Cristianesimo, quindi, come pietra fondamentale, angolare, capace di reggere e sostenere tutta una concezione nuova e diversa della vita, nata e cresciuta non secondo gli uomini, ma da Dio e costruita dalla forze dello Spirito Santo, modellandola sulla vita storica e sulla Parola del Figlio di Dio fatto Uomo, Gesù Cristo.
Perché credere in Gesù Cristo, in fondo, vuoi dire semplicemente Fede nel tipo di vita, nella realtà d'esistenza, per se stessi, per gli altri, per l'umanità intera, progettato da Dio, vissuto da Gesù e da Lui proposto a tutti gli uomini. Fino al punto che l'essere credente in Dio vuol dire Fede che è Dio che ha creato l'uomo e la sua vita e il suo destino e l'essere cristiano vuol dire Fede in Gesù Cristo come indicazione vissuta e vivente del modo di vivere, realizzazione d'esistenza chiara, inequivocabile, concreta perché fedele continuità di Lui, delle sue scelte, della sua storia.
Tutta la Fede nel Cristianesimo non può non essere polarizzata e terribilmente impegnata nel credere che tutto Dio in Gesù e nello Spirito Santo si è coinvolto nell'umanità per costruirne Lui la storia.
Sono la luce del mondo, gridava e grida a tutti gli uomini Gesù Cristo, e sono venuto perché l'umanità abbia la vita, e l'abbia in sovrabbondanza.
Crediamo così perdutamente in Gesù Cristo, che ci angoscia con sofferenza indicibile la svalutazione, così ormai spaventosamente diffusa, del .Cristianesimo come possibilità di esistenza vera, come capacità d'impegnare responsabilmente tutta una vita. Non è creduto il Cristianesimo una strada sulla quale si può camminare sempre, dal primo all'ultimo giorno, dalla nascita alla morte, come camminando sulla propria strada, come camminando sulla strada degli altri, di tutti, del destino dell'umanità. Non è vivere accanto agli altri (assolutamente nessuno escluso) lottando la dura battaglia di ogni giorno, rischiando tutto ad ogni passo. Immersi nella folla, nella moltitudine, condividendo, fino ad ogni misura di richiesta, la sorte dell'essere uomo, dell'essere e riconoscersi umanità.
Una scelta di vita che non comporta, ma quasi dà l'impressione - e di qui nasce la respinta di complicare, di rendere difficile, per non dire impossibile, un coinvolgersi totale, in tutta la problematica umana, assumendone le responsabilità, i pesi e la gloria, la croce e l'incessante resurrezione. E l'inesauribile speranza.
E' sacrilegio che la prospettiva cristiana della vita che nasce da Dio che si fa uomo risulti e apparisca come una strana, mistificata disincarnazione. Come una inevitabilità di stare alla finestra a guardare. Accuratamente e prudentemente separati, custoditi e difesi. Lontani dai pericoli. A lavarsi continuamente ad acqua santa. Per una purificazione che in definitiva vuoi dire sollevarsi da ogni responsabilità, da ogni possibilità di rimanere compromessi, da ogni pericolo di macchiarsi vivendo come vivono gli altri, mescolandosi alla vita e al destino di tutti.
Gesù Cristo ha lottato terribilmente contro questo cristianesimo che ai suoi tempi si chiamava fariseismo, ma che in fondo è l'identica religiosità del cultualismo, del ritualismo, tendente a falsificare la vita rendendola «religiosa» e cioè letteralmente disumanizzata. Qualcosa che per onestà va semplicemente respinto. E assistiamo ad una respinta crescente ad ogni giorno che passa, specialmente per il venire avanti di una gioventù che ormai annusa anche da lontano il puzzo di candele e respinge un'idea di Dio, una scelta di Cristo, una realtà di Chiesa, una prospettiva esistenziale cristiana, che svuota la vita di una concretezza di valori umani, di scelte e responsabilizzazione a tutti i livelli, di possibilità d'incidenza storica nel momento in cui vive: vita svuotata da riempire poi di remissività e passività totali, con liturgie più o meno sentimentali, con devozioni sospirose e al massimo con impegni di opere buone.
Ci ribelliamo semplicemente contro questo svisamento di Cristo, contro questa svalutazione dell'esistenzialità del Cristianesimo.
E in questo risentirci, in questo scandalizzarci, specialmente se fatto a lamentele tipo riunioni di suore e di clero, o a toni più altisonanti a nostalgia apologetica fatta di stolti trionfalismi, ci ritroviamo tutti d'accordo. Dal Papa che parlando al mondo del lavoro, schiacciato com'è da tremendi problemi, parla di simpatia della Chiesa verso il mondo operaio nell'ormai battezzato e devozionalizzato 1° maggio, fino alla vecchietta ridotta a rosario nell'angolo di casa, ci troviamo tutti d'accordo nel constatare questa scissione della Fede dalla vita, della religione dalla storia e nel condannare quello spiritaccio laicizzante che s'infiltra ormai dovunque a deprezzare i valori della Fede, a disorientare da una fiducia nella Chiesa, a svanire sempre più le possibilità d'incidenza della Fede cristiana nella storia e cioè nelle scelte e nelle determinazioni della vita individuale, familiare, sociale, politica.
Essendoci stufati di piagnistei inutili che sarebbe invece più opportuno e lodevole sostituire, se non altro, con rammarichi cocenti di pentimento per responsabilità che ci crollano addosso, rimbalzate da un secolo all'altro della storia della Chiesa, abbiamo deciso di incaponirci a testardaggine che non ascolta saggi consigli, in un credere appassionatamente, e cioè con fiducia totale, che Gesù Cristo è ancora vivo e vivente a faticare nel mondo la costruzione cristiana della vita, la liberazione dell'uomo, la redenzione dell'umanità e non soltanto per la salvezza eterna, ma anche per un'esistenza storica, di ogni giorno e in ogni angolo della terra.
Evidentemente allora non è possibile non rifarci alla speranza che insieme alla fiducia in Dio, alla Fede in Gesù Cristo, conta e si affida tutta alla lotta.
Lotta inevitabilmente da portare e combattere là dove la chiarezza di Cristo è annebbiata. La sua iden-tità, pur annunciata con assoluta fedeltà dottrinalmente, è come introvabile e impresentabile per incrostazioni sovrapposte da strappar via impietosamente e cioè per Amore appassionato a Cristo e a chi ha infinito, vitale bisogno di Lui.
Non è più il tempo di carità untuosa, così miserabilmente polarizzante l'impegno cristiano fin quasi ad esaurirlo e buona soltanto a coprire piaghe nascoste purulente, a trattare i nostri mali con cataplasmi ammorbidenti, a scambiare vicendevoli rispetti che riescono unicamente a coprire o a smussare, arrotondandole, tremende responsabilità.
Responsabilità di ridurre la potenza creatrice e costruente d'esistenza umana degna di Dio e traboccante di Mistero di Cristo, segno evidente della sua resurrezione, capace di convincere l'uomo e l'umanità a tentare l'avventura di vivere la vita a esistenza cristiana, in una slavatura culturale e rituale, a complicazioni di giuridicismi a labirinto, ad amministratività di piccole e grandi aziende commerciali, a saggezze diplomatiche, a compromessi furbeschi, a salvezze personali, alla conservazione di privilegi, a devozioni promettenti, a grande religione lodevole e ammirevole per tante cose come la grande cultura teologica e umanistica, la potenza economica a livelli mondiali, l'organizzazione, almeno fin qui, veramente invidiabile..
E tante altre cose ancora che possono essere colte abbondantemente nel giudizio, impietoso e parziale quanto si vuole, ma giudizio della storia e dell'uomo che ti cammina accanto, nella fabbrica dove lavori, nella scuola dove studi, al bar dove prendi il caffè e se tu hai occhi per vedere e orecchi per ascoltare, ma specialmente anima anche appena capace di sognare il Mistero di Dio e di accendersi alla lettura del Vangelo, anche nella chiesa dove vai a pregare e nella Chiesa dove vai a cercare il segno di Dio.
Lottare semplicemente perché la Chiesa, popolo di Dio, sia la Parola di Dio che s'incarna nella realtà quotidiana della storia a viverne la vita, tutta la vita, per lievitarvi la speranza di un mondo diverso. Una Chiesa che cerchi, pagando qualsiasi prezzo e a misura di qualsiasi Croce, la liberazione dell'uomo lottando per la giustizia, ribellandosi alla sopraffazione, facendosi tutt'uno con l'oppresso, il povero, l'affamato di giustizia, chi si rifiuta contro tutto ciò che non è pace, il dissanguato dallo sfruttamento, l'ammazzato da qualsiasi polizia, lo sterminato da qualsiasi guerra...
La Chiesa, e cioè chi unicamente può farla questa ribellione e questa lotta a nome di Dio, sulla parola di Cristo, con la libertà e la violenza della Croce.
Per favore, non è questa azione sociale, temporalismo rivoluzionario, un lasciarsi andare a tentazioni sociologiche, un mescolarsi a confusionismi ideologici, un compromettersi con marxismi e materialismi, un benedire la rivolta e un consacrare la rivoluzione....
E' semplicemente realizzare in concreto e non mettere limiti alla lotta perché sia parola finalmente vera, e non una vuota e falsa parola, quella preghiera che diciamo continuamente con le labbra e mai ci compromettiamo e ci giochiamo la vita: Padre nostro. Dio padre di ogni uomo. Ogni uomo, ogni uomo, ogni essere umano figlio di Dio.
E' cercare di fare qualcosa, almeno un tentativo, almeno un tormentarcene dal desiderio, per obbedire all'unico comandamento che Gesù Cristo ha comandato ai cristiani: amatevi come io vi ho amato.
Ci vergogniamo a morte per questa incapacità di lotta a testimoniare che il Cristianesimo è Dio a co-struire la vita, a fare l'uomo uomo, l'umanità umanità. E non branco feroce condannato a dilaniarsi dentro un rinserraglio di dove è impossibile uscire altro che mangiati, divorati. Annientati perfino nei valori più fondamentali della vita, annullati fino ad una impossibilità di ribellione, di lotta, di tentativo a rovesciare l'enorme gabbione e ritrovarsi fratelli, figli tutti dello stesso Padre.
Gesù Cristo è questa violenza di Amore liberante. E' questo tentativo appassionato di fraternità umana. E' questa testimonianza adorabile di paternità divina.
Credere in Lui non può non voler dire lottare. E lottare fino a morirne. Per una risurrezione che è continuità di lotta. Finché non sia venuto il Regno di Dio.
Discorriamo incaponiti di lotta e non siamo capaci nemmeno di muovere un dito, nemmeno di rischiare un capello. E' rimprovero questo che nessuno ci fa, tanto meno ce lo fa la Chiesa, che anzi è in timore per noi già per il solo fatto che parliamo e scriviamo di lotte.
Abbiamo fiducia a poco a poco di trovare fratelli e amici, riuniti così tanto nel nome di Cristo da costringerci a vicenda a questa lotta.
Ci permettiamo, in questo numero, di guardare alla Chiesa del Brasile e imparare qualcosa, anche se può essere soltanto ad avere vergogna di noi.

La Redazione

Gente del Vangelo

Giovanni Battista

Tutta una ricerca di secoli, di generazioni, tanta strada dell'umanità tortuosa fino a ripetersi con infinita monotonia, tanta sete di speranza tutta racchiusa nella breve esistenza di un uomo, anzi nel suo messaggio, nella sua voce.
Vita che fende la dura crosta di coscienze intorpidite e fiacche perché vi possa calare il seme che porta energia tutta nuova. Non possiamo essere tranquilli davanti a lui quando la vita non fruttifica questa capacità di lotta in coloro che hanno conosciuto Gesù e per questo non possono non farlo conoscere al mondo. Non possiamo darci pace se in noi cristiani, e quindi nella Chiesa, non c'è questa coscienza di spiegare qualcosa nel mondo unicamente per essere questo sconvolgimento che non permette assestamenti, che non sopporta l'ordine costituito, che preme con durezze indicibili perché la terra si apra e germogli il salvatore.
Non è atteggiamento che si improvvisa per essere alla moda o per reazione o per spirito di polemica. Lo si impara lentamente se si ha il coraggio di fare silenzio dentro di sé e intorno a sé per ascoltare ed accogliere il mistero di Dio nella storia degli uomini. Silenzio e non tanto quello della lingua, quanto quello del cuore che non risponde se non al richiamo dell'unico vero Amore.
E' necessario allora andare nel deserto abitato dagli uomini dove cresce la solitudine ed ogni cosa viene livellata a misure impossibili di aridità. Dove non c'è speranza che non sia il tirare avanti giorno per giorno. Andare. portando dentro di sé il sogno di un mondo nuovo, di un'umanità creata di nuovo nell'unico Figlio di Dio. E gridarlo questo sogno, per le strade, nelle case, là dove c'è uomo e donna che possano sollevare la testa e mutare il loro atteggiamento di fronte alla vita. Gridare senza paura, senza carità, perché l'aratro non si scusa con la terra quando la sventra e la rovescia, perché c'è sofferenza che è unicamente discorso di amore.
Essere voce che si perde nella vastità dei problemi umani, ma capace di destare risonanze misteriose in esistenze che si convertono a motivi e valori così tanto diversi perché motivi e valori che appartengono a Dio.
E' una risposta precisa quella che ci viene dalIa figura di Giovanni ed è questo, di questa nostra storia, il momento più adatto perché chi ha un sogno nel cuore lo tiri fuori e lo riveli agli altri. E' il momento, e quando non lo è, che chi coltiva una speranza la doni ai fratelli, anche se ferisce, se fa male. se giudica e decide del nostro vivere. In questo mondo pieno di parole inutili non è il momento di tacere per non perdersi nella vanità, ma di gridare più forte perché chi cerca possa trovare, perché a chi bussa venga aperto. Siamo chiamati ad essere come Giovanni, unicamente voce che grida nel deserto. Il resto ci verrà donato.

Lui

Referenze per candidati all'episcopato

Abbiamo letto su «Avvenire» del 13 maggio «le norme per la scelta dei Pastori della Chiesa».
A parte la tristezza e l'aridità così terribilmente burocratica del documento col quale la Chiesa intende provvedere agli Apostoli i loro successori e al popolo di Dio i suoi pastori (burocrazia giuridica, del resto, che disgraziatamente forse è inevitabile) ci impressiona sfavorevolmente che tutto il problema sia affrontato e interamente risolto nel breve giro del mondo ecclesiastico. Il popolo, il gregge, il governato, i cristiani, la gente credente, quella da evangelizzare, ecc. non rientra per niente in questo problema così fondamentale di Chiesa, di popolo di Dio. A meno che per popolo si intendano quei «laici (di cui all'art. 12 numero 2) prudenti e degni di fiducia, i quali posseggano sul candidato notizie utili da conoscersi» interpellanza da realizzarsi dal rappresentante pontificio a mezzo di questionario appositamente preparato.
E ci viene da immaginare, naturalmente perché siamo cattivi, che tipo di laici sono quelli sopra indicati.
A meno che non sia popolo di Dio chi possiede i non abrogati (nonostante il voto del Concilio Vaticano Secondo) «legittimi privilegi concessi o giuridicamente acquisiti e le procedure particolari approvate dalla Santa Sede mediante accordo o altra maniera».
Non abbiamo cultura sufficiente per precisare le cose (né ci interessa averla): pensiamo però che chi ha questi privilegi di interferire nientemeno che nella scelta dei Vescovi, non sia popolo o Chiese locali ecc; ma piuttosto governi concordatari. (Ci viene in mente il giuramento che i Vescovi italiani devono fare sul Vangelo al Quirinale davanti al Presidente della Repubblica che, con tutto il rispetto, non giudichiamo né Chiesa, né popolo di Dio).
Ci è di enorme pena che ancora una volta non si sia tentato (non sappiamo nemmeno immaginare come, evidentemente, da quanto tutto è al di là anche di una possibilità di fantasia) di aiutare il popolo cristiano a prendere coscienza della sua responsabilità di Popolo di Dio nell'aiutare la Sacra Gerarchia a scegliere gli uomini che vi vivranno in mezzo come padre e pastore, fonte e garanzia della Fede di tutto il popolo.
Come ci è motivo di sgomento e quasi di umiliazione (è cosa sbagliata soffrire a causa di qualcosa nella Chiesa o è consigliabile fregarsene allegramente?) quella cantilena di referendum dell'articolo 6 n. 2 circa l'esame a radiografia totale, comprese le caratteristiche ereditarie, dei poveri candidati: «... se godano di buona reputazione, se siano di condotta irreprensibile, se abbiano retto discernimento, prudenza, carattere equilibrato e costante, se siano saldi nella fede ortodossa, se siano devoti alta Sede Apostolica e fedeli al magistero della Chiesa, se siano profondamente versati nella teologia dogmatica e morale e nel diritto canonico, se spicchino per la loro pietà, per il loro spirito di sacrificio e per lo zelo pastorale, se abbiano l'attitudine a governare. Occorre tener conto anche delle qualità intellettuali, del corso di studi compiuti, della sensibilità sociale, della disposizione al dialogo e alla collaborazione, della apertura ai segni dei tempi, della lodevole (sic) preoccupazione di restare al di sopra delle parti, dell'ambiente familiare, della salute, dell'età e delle caratteristiche ereditarie».
Abbiamo respinto la tentazione di commentare frase per frase «queste doti necessarie che distinguono un buon pastore d'anime e un maestro della fede» e ci teniamo nel cuore tutta l'amarezza di dover pensare che i candidati all' episcopato vengono vagliati con lo stesso crivello, su per giù, dei prefetti dei distretti provinciali, dei questori di pubblica sicurezza.
Ci verrebbe da aggiungere, dal momento che sono così tante, alcune altre indicazioni, facilmente trovabili nella Rivelazione, nella scelta degli Apostoli: nel grande e meraviglioso Mistero di Dio che sceglie uomini per farne uomini di Dio.
Ma da un decreto che è qualcosa da diritto canonico non c'è da aspettarsi qualcosa di diverso né qualcosa di più.
Vuol dire che tireremo fuori ad ogni nomina di Vescovo tutta la fede di cui siamo capaci per vedere in lui l'uomo di Dio e il segno di Cristo.
Confidiamo però assai nello Spirito Santo e crediamo che quello che è impossibile agli uomini o che gli uomini non vorrebbero (compresi gli uomini di Chiesa) è possibile a Dio e lo voglia la sua onnipotenza.
Successe così anche per l'elezione di Papa Giovanni.

don Sirio

Il cuore di un Vescovo per il suo popolo

Recife, 1 maggio 1972

Ai nostri fratelli nell'episcopato
e al popolo di Dio della diocesi di Olinda e Recife.

Gravi e tristi avvenimenti ci obbligano ascrivervi ancora una volta, a breve scadenza dal comunicato che facemmo in occasione dell'espulsione arbitraria e ingiusta dal paese del nostro caro collaboratore, il padre Joseph Comblin.
Si direbbe che le autorità siano convinte che la sovversione tenda a spostarsi dal sud al nordest, e più specialmente a Fortaleza e Recife.
Si assiste nella nostra città al moltiplicarsi degli arresti, dei sequestri, delle sparizioni, specialmente di studenti e operai.
Cogliamo l'occasione per spiegare ancora una volta la ragione delle nostre denunce e dei nostri interventi.
La legge per la Sicurezza dello Stato e i decreti che hanno seguito l'Atto Istituzionale n. 5 non sono rispettati. Infatti non solo coloro che sono incaricati di eseguire gli arresti molto raramente segnalano la loro identità, ma neppure è presentato il mandato di cattura, che dovrebbe portare la data e la firma della autorità competente, con l'esposizione dei motivi. Si procede agli arresti nel domicilio delle persone, e nel caso di operai, nel luogo e nell'orario del lavoro, (come è accaduto nelle fabbriche di Torre, di Pilar e di Santista) dando così l'impressione che gli arrestati siano dei pericolosi agitatori. I prigionieri sono trattati con estrema e inutile durezza: si arriva a casi di saccheggio del domicilio, e di solito sono usate in queste operazioni automobili senza targa ufficiale. E' facile immaginare il clima di panico che regna nelle famiglie, lasciate senza la minima indicazione del luogo dove sono trascinati gli esseri a loro cari. In seguito i parenti fanno degli inutili pellegrinaggi di ufficio in ufficio, dalla polizia all'esercito, dallo stato al governo federale, là dove pensano di poter scoprire il nascondiglio delle povere vittime. Si parte dal principio che si tratti di terroristi che non meritano nessuna considerazione.
Perché questa violazione delle disposizioni che emanano dallo stesso governo? Perché, per esempio, gli arresti non sono comunicati alla giustizia militare nello spazio previsto dalla legge? E perché la giustizia militare non fa la notifica dei casi ai parenti più prossimi, o almeno ai responsabili, affinché possano provvedere l'indispensabile, per esempio la biancheria di ricambio, visto che le vittime sono state sequestrate nello stato in cui si trovavano, senza il diritto di portarsi qualcosa con sé?
Come pastori assumiamo le nostre responsabilità, in coscienza e di fronte agli uomini che depositano in noi la loro fiducia, e affermiamo che l'applicazione di torture fisiche e morali indescrivibili è la regola generale in questo paese.
Le pressioni sull'azione cattolica operaia sono in aumento: molti militanti e anche una dirigente nazionale del movimento sono stati arrestati.
Constatiamo ancora una volta che la causa della diffidenza e delle prevenzioni nei riguardi della chiesa si legano al fatto che la nostra coscienza non ci permette più di scendere a patti con strutture di oppressione che riducono i figli di Dio a condizioni infraumane, in nome del cosiddetto ordine sociale da salvaguardare.
Fino a quando l'anticomunismo sarà usato con pretesto per conservare ingiustizie che gridano al cielo? Fino a quando, col pretesto di combattere il terrorismo in nome delle autorità militari e di polizia, si utilizzeranno metodi terroristi, che non solo costituiscono un attentato ai diritti elementari della persona umana, ma ci fanno venire la voglia di esigere l'applicazione delle leggi per la protezione degli animali alle vittime di questo regime, come già chiese al tempo di Getulio Vargas il grande uomo e grande avvocato Heraclito Sobral Pinto?
Mettiamo la data del 1° maggio a questa lettera con precisa intenzione: 1) la maggior parte delle vittime sono operai e la chiesa è sempre più preoccupata per la loro sorte. 2) vogliamo inoltre esprimere nostra preoccupazione di pastori per il modello di sviluppo economico adottato dal nostro paese, il cui tributo più pesante è pagato dai piccoli, che sono senza speranza e senza voce. Appena essi cercano di esprimere una protesta (che è tra le più legittime e le più giuste) sono immediatamente trattati da sovversivi e comunisti.
Come sempre, c'è chi dirà che questa lettera un atto sovversivo da parte di vescovi che sarebbero più uomini politici che uomini evangelici. In questo giorno della festa del lavoro, ricorderemo allora a tutti gli uomini di buona volontà e specialmente ai nostri fratelli lavoratori una scena degli atti degli apostoli: "Li ammonirono dunque e proibirono loro di pronunciare parola e di insegnare in nome di Gesù. Ma Pietro e Giovanni risposero: Giudicate voi stessi se è lecito obbedire a voi piuttosto che a Dio. Per quello che ci riguarda, noi non possiamo non dichiarare ciò che abbiamo visto e inteso" (Atti, 4,18-19).



HELDER CAMARA
Arcivescovo di Olinda e Recife
JOSE' LAMARTINE SOARES
Vescovo ausiliare


Grido d'aiuto di fratelli

Quella che segue è una lettera pervenuta direttamente dal Brasile, di cui, per ovvi motivi, si omettono i nomi del firmatari e del destinatario.
Lettera del 15-5-1972
Poche righe per chiedervi con urgenza di aiutarci. La situazione di Fr. Betto, Fr. Fernando e Fr. Ivo è molto grave. Sono stati posti in celle di segregazione, incomunicabili Continuano lo sciopero della fame per protesta e per la sopravvivenza fisica di quindici altri prigionieri politici che sono stati ritirati dal Carcere per essere posteriormente eliminati fisicamente prima che il governo decida con un gesto paterno l'amnistia. I prigionieri politici del Carcere Tiradentes stanno ormai da quattro giorni in sciopero di protesta. Sono un centinaio. Le eliminazioni di prigionieri politici continuano.
Fate qualche cosa per scuotere l'opinione pubblica. L'immagine che il governo brasiliano vuol vendere è che non esiste problema in riferimento alla situazione di estrema miseria e necessità. Che non esistono contestazioni. Che esiste il pieno ritmo di sviluppo in tutto il paese e persino la televisione a colori. Ora Fr. Betto si chiama N. 2405; Fr. Fernando N. 2406; Fr. Ivo N. 2407; sono i nuovi arrivati del Penitenziario di Stato, incomunicabili e in celle segregate.
Non possono ricevere visite, non .possono ricevere libri e giornali. Possono soltanto ricevere due paia di calzetti ogni quindici giorni, e due fazzoletti. Tutto qui. Dopo più di due anni e mezzo di questo calvario, si aggiunge adesso questa nuova e più drammatica situazione. Ti prego e vi prego di fare qualcosa con urgenza. Di smuovere tutta quella brava gente, di comunicare a tutti gli organi di informazione questa nuova fase del martirio dei presi politici di S. Paolo.
Se potete inviare qualche telegramma alla Croce Rossa Internazionale, alla Commissione di giustizia e pace a Roma, alle Chiese Ecumeniche nella sede di Ginevra, insomma a tutti questi enti che possono fare qualcosa.
Aiutateci per favore!

Dai sotterranei della storia

A Pedro
S. Paulo, 29-3-1970
Caro Pedro, buona Pasqua a te alla tua comunità. Che sia davvero Pasqua, passaggio verso la libertà, lungo cammino da percorrere....
Non si tratta di vincere, ma solo di recuperare il terreno perduto da una Chiesa legata ai potenti, al denaro, agli onori. Per questo non aveva bisogno di lavorare per vivere e viveva nei palazzi. Adesso torna ai poveri, alle loro aspirazioni e alle loro lotte. Adesso lavora per vivere e per questo è imprigionata, calunniata, maltrattata. E' sempre successo così nella storia, e sempre succederà. Siamo una parte della Chiesa che vive nel carcere. Non ci lasciamo abbattere. Siamo felici e grati di essere qui, in questa situazione, facendo l'esperienza della insicurezza, della calunnia, delle torture, ma anche dell'unione, della solidarietà, della preghiera costante, dell'approfondimento della carità, di una vita che dipende unicamente dalla speranza ,di un appoggio totale da parte delle nostre famiglie e del settore più cosciente della Chiesa. Tutto questo è un tesoro costantemente rimaneggiato e vi troviamo l'essenziale, la meditazione della vita, dell'esistere per sempre, e la morte è cammino. Siamo ancora una volta in noviziato, per cominciare una nuova tappa. Mai come oggi mi sono sentito sacerdote, per l'olocausto, e religioso, per la testimonianza... Posso trasmetterti solo qualcosa di questa nostra speranza. E' impossibile dire tutto.
Un grande abbraccio anche agli altri.

Padre Betto


Preghiera

Che i nostri fratelli che hanno fame non si esasperino contro di noi, Signore, che ci sediamo alla stessa mensa a fianco degli sfruttatori del mondo.
Dividere il pane fraternamente... scambiarsi il calice dell'amore ....
Che pagliacciata, Signore, che pagliacciata grottesca è la nostra, di uomini assoldati, ben serviti da schiavi che dormono nelle cantine delle nostre ville.
Con che faccia, Signore, spartiamo il tuo pane con quelli che ci nutrono a prezzo della loro fame?
Quanti bambini muoiono, Signore, per comprare le vesti del tuo lusso?
Come devi vergognarti dei .pastori, che mostrano di preferire le pecore grasse ...
Signore, con che diritto i tuoi ministri occultano le pecore storpiate che, nella pubblica piazza, li ac-cuserebbero dei loro crimini nascosti? le pecore sporche, storpiate, moribonde, si nasconderanno da sole nei boschi, vergognandosi di questi giorni di fasto! Signore, basta con tanta ipocrisia! impedisci con la violenza che noi continuiamo a profanare pubblicamente il tuo corpo e il tuo sangue.
Liberaci dal vizio del seguitare a gettare le perle ai porci, dello strappare il pane ai figli per gettarlo ai cani,
Che intorno alla tua mensa, Signore, si riuniscano solo gli uomini di buona volontà, i .poveri, i perseguitati, coloro che hanno fame e sete di giustizia.
Signore, infondi maggior coraggio nella tua Chiesa, affinché essa si vergogni di essere finanziata dagli oppressori, dai repressori del nostro popolo amato.
Signore, porta finalmente il tuo falco lontano dal cibo ripugnante dei potenti.
E non si deve neppure fuggire nel deserto e morire di sete.
Signore, il pane e il vino divisi con fraternità ci bastano a reggerci in piedi, senza ricorrere a illeciti guadagni.
Signore, toglici dalle pubbliche piazze e gettaci nelle catacombe: là dove fiorisce il Vangelo, dove marcisce il seme e nasce la vita. Facci trovare il coraggio di strappar via a forza dalla sala coloro che non hanno la veste nuziale, ossia coloro che non indossano la tuta sporca dell'operaio, i calzoni stracciati del contadino.
E fa che non ci troviamo mai in accordo con coloro che pretendono di bere il tuo sangue dopo aver bevuto avidamente il sangue benedetto del popolo.
LA CHIESA IN CARCERE
(preghiera per il Congresso Eucaristico 1970)

Il lievito nella pasta

Vorremmo mantenere viva l'attenzione del cuore - e quindi raccogliere tutto in una autentica comunione - per tutto ciò che è successo in questi ultimi anni nella Chiesa del Brasile. E' storia di ieri e di oggi, che continua in una testimonianza di fede e in una lotta estremamente dura e pagata fino all'ultimo spicciolo. Ricordare questa Chiesa non è un fatto sentimentale né una commemorazione: è necessità di un confronto di fede con la vita e l'impegno di uomini e donne, sacerdoti e laici, saldamente legati al destino del loro popolo in nome di Cristo, pugno di lievito mescolato e confuso nella pasta umana del proprio paese, nel processo storico che vi si va svolgendo,
Per noi significa spingere lo sguardo sotto la superficie degli avvenimenti e cercare di leggere i segni che il tempo matura, di contemplare i germi di vita nuova che lo Spirito di Dio fa esplodere, la nuova costruzione che lentamente emerge dalle rovine della vecchia casa. " Là sta agonizzando la vecchia Chiesa; là - nelle carceri e nelle favelas - vere nuove catacombe - sta nascendo la Chiesa dell'avvenire".
Accanto alla Chiesa compromessa col potere politico, con i privilegi e la tranquillità che il sistema le assicura in cambio del suo silenzio, e quindi sottomessa allo spirito del mondo, c'è tutto un popolo di uomini che rifacendosi direttamente a Gesù Cristo, alla sua parola e alla sua vita, alla sua lotta, hanno legato il loro destino di fede al destino dei poveri, degli oppressi, dei dimenticati, degli ultimi.
Una Chiesa quindi che diventa, per la strada della croce, proposta concreta, sperimentabile, di liberazione umana, luogo storico della rivelazione di Dio, prolungamento vivente dell'Incarnazione del Figlio di Dio che si manifesta in tutta la sua pienezza di Figlio dell'uomo.
IL SEGNO DEI CHIODI
Le carceri del Brasile hanno visto passare fra le proprie mura, in questi anni, molti cristiani. Tanti di essi vi si trovano tuttora. La polizia ha torturato atrocemente uomini e donne che stavano aiutando il popolo a prendere coscienza dello sfruttamento e dell'ingiustizia che lo schiaccia, della dignità e libertà a cui è chiamato. Lo «squadrone della morte» - un corpo di polizia specializzato in omicidi - ha assassinato sindacalisti, sacerdoti, militanti. Parecchi preti stranieri sono stati espulsi come "sovversivi" e nemici del Brasile.
Questa Chiesa brasiliana perseguitata, torturata, crocifissa (insieme a tutti gli altri "affamati di giustizia" ugualmente colpiti) porta nella propria carne il segno che autentica la sua testimonianza di fede e la fa serva obbediente del suo Signore, profondamente unita alla sua crocifissione. Così essa aggiunge ciò che manca alle sofferenze di Cristo per realizzare pienamente il disegno di Salvezza che non può avvenire fuori di altro segno che non sia quello dei chiodi. Solo le mani squarciate di Cristo e il suo petto spaccato provano la profondità del suo Amore, di quanto Dio abbia amato il mondo in Lui, autenticamente uomo nuovo, esistenza umana perfettamente rispondente al pensiero del Creatore, emerso dall'abisso della più totale umiliazione e del più assoluto schiacciamento. E sono le sue ferite, il suo corpo sacrificato e il suo sangue sparso per Amore - per fedeltà cioè a ciò che l'uomo e l'umanità dev'essere - che diventano il segno credibile della sua Resurrezione.
I cristiani brasiliani, segnati così duramente dalia lotta, portano l'annuncio di un mondo nuovo che matura e cresce lentamente, tessuto nella fedeltà coraggiosa e tenace al Dio di Gesù - al Dio che sceglie le cose deboli e quelle che non sono per confondere quelle che sono - e che in Lui ha preso il volto dell'uomo dei dolori, oppresso e fiaccato, disprezzato e respinto, caricato della salvezza di tutti, " per le cui piaghe siamo stati guariti".
E' una Chiesa diversa che appare, una Chiesa che non si siede più alla mensa dei potenti, che non accetta compromessi con i padroni del momento, che non si dimentica dell'uomo ferito dai banditi lungo la strada e non vuoi passare oltre. «Sarebbe gradito al governo che la missione della Chiesa fosse puramente spirituale e che essa trattasse gli uomini come fossero angeli, e che il buon samaritano avesse preso cura soltanto dell'anima dell'uomo ferito. Sarebbe molto gradito al governo che la Chiesa dicesse che non può immischiarsi nella politica e che poi collaborasse col governo. Tutto ciò sarebbe molto gradito; ma non sarebbe la Chiesa... Non possiamo accettare di essere dominati, non possiamo accettare di essere repressi. Accettare questo significa accettare di essere meno uomini, accettare la dominazione del peccato, poiché qualsiasi oppressione è peccato. Accettare questo è negare la creazione e la redenzione, negare che siamo fatti ad immagine e somiglianza di Dio, non più schiavi del peccato ma definitivamente liberati da Cristo. Non si può incrociare le braccia davanti alla situazione in cui è stato messo il Brasile: è nostro diritto lottare contro questa situazione», (cristiani del carcere «Tiradentes»)
E' una Chiesa liberata dalla paura di perdere se stessa, sicura di potersi ritrovare soltanto così. Sicura soprattutto di poter essere solo così Chiesa di Gesù Cristo.

A FIANCO DEI POVERI
«Amici miei, quando voi mi dite: "noi siamo al vostro fianco, padre", io non ne sono felice. lo sono felice quando voi gridate: "noi siamo tutti a fianco dei poveri" » (mons. Pragoso).
Se in Brasile ci sono dei cristiani perseguitati, e alcuni anche uccisi, il motivo è tutto nella scelta che essi, nella fedeltà allo Spirito di Dio, hanno compiuto: "saremmo cristiani se non dessimo ascolto alla voce del nostro fratello che chiama dalla terra?". Scegliere i poveri, gli umili, quelli che non contano e non hanno niente, i rifiutati e gli schiavi, mentre costituisce un atto essenziale del credente, porta con sé inevitabilmente la persecuzione. In un mondo pieno di contraddizioni e di ingiustizie, frantumato dalla divisione e dallo sfruttamento. posseduto dai demoni del denaro, del privilegio, della forza, il fatto di mettersi a fianco dei poveri, assumendone il destino e giocandovi il proprio, costituisce uno scandalo e attira la croce. Per questo è un atto fondamentale per il cristiano, un appuntamento che non può essere evitato, perché ripropone - incarnandola - la consacrazione di Gesù Messia e Liberatore: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo egli mi ha consacrato, per evangelizzare i poveri mi ha mandato, a guarire i contriti di cuore, ad annunciare ai prigionieri la libertà, a restituire ai ciechi la vista, a rendere liberi gli oppressi, a proclamare l'anno di grazia del Signore".
Non sono parole, ma la storia fatta carne e sangue del Figlio di Dio, la dimensione salvifica del suo farsi uomo, la dilatazione dell'Incarnazione a tutta la realtà drammatica dell'esistenza, il compimento del disegno di Dio nel vivo tessuto della pasta umana. Una Chiesa che riscopre questa dimensione e vi aderisce dal più profondo di se stessa, non può non assomigliare al chicco di grano che viene macinato prima di diventare pane. Essa diventa realmente "il corpo di Cristo", dono di liberazione per gli uomini, fuoco vivo dove si fondono le catene che serrano le braccia di tutti i prigionieri.

UNA SPERANZA CHE NIENTE SPEZZA
«Io chiedo a Dio per voi, per me che sono debole come tutti voi, di mantenerci in una speranza simile a quella che Egli ci ha rivelato per mezzo di Gesù Cristo, Suo Figlio. Una speranza che non indietreggi di fronte a nulla». (mons. Fragoso)
La Chiesa che ci viene incontro da questi anni di storia brasiliana, la Chiesa incatenata in carcere, seviziata dalla polizia, la Chiesa perduta tra la folla dei poveri contadini del Nord-est, nelle cinture delle grandi città traboccanti di miseria e di fame, assomiglia a una madre che custodisce in sé, nel misterioso calore del suo grembo, i germi di una vita nuova, di una speranza senza fine. I suoi dolori sono veramente quelli del parto, doglie che accompagnano la venuta di un uomo nuovo al mondo. Un uomo che non ha più i lineamenti dello schiavo, del dannato della terra, del servo, ma quelli del figlio, dell'uomo libero, dell'amico. E insieme all'uomo, è anche un cristiano nuovo che appare, mescolato col popolo, con le sue lotte, compromesso con la vita, quella che scorre nelle fabbriche, nelle scuole, nelle proprietà terriere, nelle foreste, nelle miniere. Un cristiano dalle mani aperte, senza difese e senza separazioni, che si vergogna di non farsi tutto a tutti.
"Devi solo guardarti dalla chiusura in te stessa, perché ti perderesti, come l'albero che rimane solitario nel deserto, ululando al vento, o come la conchiglia in fondo al mare, che si apre solo per dare rifugio alle alghe ed espellere i rifiuti. Ci sono uomini che vivono come questo albero e questa conchiglia; ma l'uomo è più di questo. L'albero dà i suoi frutti alla terra affinché nascano altri alberi e i frutti si moltiplichino. Ma tu e io e tutti quelli che amiamo, non abbiamo bisogno che qualcuno ci prenda: noi ci doniamo, ci offriamo ". Francisco Juliào, lettera dal carcere).
E' una speranza forte quella che sale su dalle tormentate vicende della Chiesa del Brasile; una speranza radicata profondamente in Cristo, che nasce come la sua da un abbandono totale alla potenza liberatrice di Dio, che non rifiuta la croce, ma vive in pieno i rischi dell'assunzione della vita umana, con una capacità di accoglienza in cui c'è posto per tutta la solitudine degli uomini.
Una speranza che è il segno di una fede che non vuoi dire separazione, una fuga, un ritirarsi fuori dalla vita, ma che invece agisce con urgenza sempre crescente, un immergervisi dentro, uno sparirvi interamente a seminare il seme di Dio.
E' una Chiesa che ci chiede di confrontarci con essa, molto seriamente, senza paraventi di prudenza né maschere: la sua speranza chiama in causa la nostra, la sua lotta coinvolge anche la nostra. La Parola che essa tenta di far diventare carne, anche a prezzo di lacerazioni dolorose, è Parola che ci chiama ad uscire dalle nostre pigrizie e a camminare sulla strada dove è in marcia il popolo dei poveri.
Essa ci fa comprendere che essere cristiani non vuoi dire entrare in una città ben custodita, ben protetta dalle sue leggi, dai suoi tribunali, dalle sue guardie, dai suoi templi e dai suoi sacerdoti. Comporta invece un entrare nell'unico spazio sacro che è l'Incarnazione del Figlio di Dio, per mescolarsi al grande fiume dell'esistenza, per appartenere per sempre al proprio popolo che è l'umanità, alla propria città che è tutta la terra, alla propria storia che è quella di tutti.
Questo vuoi dire, perciò, accogliere l'invito a lasciare il proprio angolo di pace per entrare in un terreno dove ci attende la lotta: lotta di liberazione, perché il popolo degli uomini sia un popolo libero da tutti gli idoli ai quali si pretenderebbe di sacrificar!o. Perché esso sia veramente popolo di Dio.

don Beppe

3 - La proposta cristiana

Tutto il Mistero di Dio nei rapporti con l'umanità. cosi come noi lo conosciamo nella rivelazione che ce ne fa la Sacra Scrittura, è fatica infinita di Dio a formare e tirarsi su un popolo che fosse segno e realtà di presenza di Dio a espandersi nell'umanità intera, dove il suo pensiero fosse manifestato in una concretezza storica, la sua volontà si realizzasse in una obbedienza di popolo e la sua voce risuonasse nella vita, nella storia, fatta voce di uomini di Dio, di folle sterminate, di popolo che Lui diceva di sognare «innumerevole come le stelle del cielo e la sabbia sul lido del mare».
E una Parola (e tanto più quella di Dio) non è vivente se non è pronunciata, incessantemente pronunciata. E a viva voce e a gran voce da riecheggiare nel mondo intero e a realtà di vita vissuta, di carne e di sangue, di storia.
Per la continuità di Gesù Cristo nel mondo, fra i tanti valori di Fede che possono realizzarla, è certo che questa Parola (Lui fatto carne) gridata nel mondo, ne è uno dei segni più chiari e potenti.
E questo gridare nel mondo la Parola che è Cristo, è la missione fondamentale della Chiesa, del Popolo di Dio.
Perché se è vero che è della sacra Gerarchia il magistero dell'insegnamento, è altrettanto vero che questo insegnamento è per dare (ed essere) la Parola a tutto il popolo cristiano, perché sia il Popolo di Dio la voce nel mondo.
Questa voce di popolo di Dio non è sostituibile da nessun'altra voce. Fino al punto che se non risuona fra gli uomini questa Parola di popolo di Dio, non si ascolta nel mondo la voce di Dio. Non è ripetuta la Parola che si è fatta carne, non vibra nelle vicende della storia, violenta e appassionata, carica d'infinito Amore e chiarissima tutta di luce, la Parola di Cristo.
Perché da dopo Gesù e il tempo apostolico, non è più tempo di profeti: uomini cercati da Dio e strappati a viva forza da Lui dal grigiore della loro gente, dallo smarrimento a gregge di pecore sbandate del loro popolo, e violentati a dire la Sua parola, ad annunciare i Suoi giudizi, a frustare per raddrizzare un camminare sbagliato, a rivelare il suo Amore, a chiamare a stringersi a popolo, a popolo di Dio.
Da dopo Gesù e il tempo apostolico, la profezia è alla Chiesa, profeta è il popolo di Dio.
E se qualcosa ci raduna e ci unisce e ci carica di una missione tremenda nei destini dell'umanità, è questa profezia. E' l'annuncio della Sua Parola. Il gridarla sui tetti, ai quattro venti. L'essere Parola di voce che grida e l'essere insieme Parola vissuta che si offre, che si scontra, che lotta, che ama perdutamente: Parola profetica che significa solo che Dio è qui, è con noi, è con tutti e che dice questo e questo, tutto quello che soltanto Dio può dire...
Sono tante le cose che si affollano nell'anima a meditare seriamente questa grandiosità di missione della Chiesa, popolo di Dio nel mondo.
E ci angoscia e sgomenta il silenzio, il non dir parola, nemmeno un balbettar qualcosa, da parte del popolo di Dio.
E un popolo senza parola, un popolo muto, o è un popolo vuoto di idee, di convinzioni, di verità, un popolo banale, analfabeta, infantile, assurdo, o è un popolo di schiavi, un popolo oppresso, mutilato perfino della parola: un popolo che non è un popolo.
Una realtà umana capace di riflettere il suo Mistero, un popolo profetico indicazione fedele della sua onnipotenza, segno scoperto, visibile della sua presenza nel mondo.
Crediamo fermamente che Gesù, nel suo essere vero Dio e vero Uomo, concretizza in modo diretto e immediato questa voce di Dio fra gli uomini. E' adorabile il pensare e il credere che «Lui è la Parola di Dio fatta carne e venuta ad abitare fra gli uomini».
Un popolo, il Popolo di Dio, al quale si parla continuamente, catechizzato in tutti i modi immaginabili e possibili, oggetto di un Magistero infallibile, scolarizzato, tenuto a balia come se fosse un bambino... ma che poi non crescerà mai, che non acquisterà mai l'uso della Parola, rimarrà sempre passivo e muto, ad ascoltare e tacere, ad alzare la mano a parlare, ma soltanto per chiedere spiegazioni, per implorare permessi, gridare pietà.
E il popolo tace. E' muto come uno che non sa e non riesce a dire una parola. O sa che non deve parlare, sa bene che la parola non appartiene al popolo e il popolo vi ha rinunciato.
Sono secoli e millenni che dura, rassegnato fino alla sparizione perfino del problema, il silenzio, il tacere, il non dir parola del popolo di Dio.
Specialmente quella realtà così essenziale importante di popolo di Dio che sono i poveri, i lavoratori del braccio, gli oppressi, i malati di fame e di sete di giustizia le masse sfruttate dal lavoro, dissanguate dalle guerre, strapazzate da tutti, dai ricchi, dai potenti, da quelli che sono padroni della parola, della scienza, della culture, della teologia, dei codici, ridotte al silenzio dal clero, dalla religione-devozione, dalla paura dell'inferno, dal miraggio del paradiso...
Trattandosi del Popolo di Dio, questa passività, questo silenzio, questo essere muto, senza parola, oltre ad essere realtà di vuoto pauroso, di nullità storica, indicazione di realtà di dominio e oppressione che rasenta la disumanità, la peggiore schiavitù, è anche qualcosa come di un sacrilegio, perché in definitiva è Dio che viene profanato opprimendo il suo popolo. E' come spengere la voce di Dio nel mondo. E' impedire la profezia nel cuore dell'umanità. E' ammutolire la Parola di Dio nelle storia. E' delitto contro l'umanità intera.
La proposta di Dio agli uomini è che un popolo sia la sua voce a gridare a tutta l'umanità le sua Parola.
E la Chiesa del pensiero e del sogno di Gesù Cristo è popolo che Dio in Cristo si è prescelto, raccolto e formato a forza di Spirito Santo, per essere nel mondo come lievito, come sale che dà sapore, pietra angolare della storia, luce del mondo: popolo continuità del suo essere Parola fatta carne ad abitare fra uomini e Buona Novella da annunciare «fino agli ultimi confini della terra».
La volontà di Dio è che questo suo popolo sia la sua Parola, sia la sua voce a risuonare nel mondo. Sia Parola vivente, Parola cioè che cammina per le strade, che abita fra la gente, che condivide la storia, che si lascia crocifiggere nella disperazione dell'umanità per risorgervi continuamente a Parola viva, sempre presente a chiamare gli uomini alla salvezza. sia la vivente Parola di Dio che si è fatta carne, Gesù Cristo, e che il popolo di Dio rende visibile attraverso se stesso e annuncio di voce attraverso la sua voce.
E' un'infinita, adorabile proposta, questa di Dio che dura da sempre, da quando Dio ha iniziato un rapporto di Amore con l'umanità.
E in questa proposta di Chiesa popolo di Dio, è forse il segno che scopre la misura infinita di questo suo Amore.
Ma è ancora una. proposta che aspetta di essere raccolta e vissuta. Un popolo che sia profeta ha ancora da nascere forse, nascere storicamente, perché nel sogno di Dio e nel tentativo di Cristo questo popolo. nelle possibilità di esistenza che dipendono dal suo Amore, questo popolo dovrebbe essere realtà concreta.
E in qualche modo, stranamente e misteriosamente, nonostante gli uomini e gli ostacoli e le respinte e le violenze fino alle più estreme e terribili con le quali si tenta di mettere a tacere questa voce di popolo (e spesso è più assai, per forza di cose, voce di popoli) .risuona dai quattro angoli della terra, come la tromba che chiama al giudizio, questa voce di Dio nella storia fatta popoli, a scuotere e a sconvolgere l'umanità per richiamarla a riprendere il cammino lungo un Esodo incessante dalla schiavitù verso la terra promessa del Regno di Dio.
E' il Mistero profetico della storia che, tacendo il popolo di Dio, come se per tutta un'immensa, tremenda problematica nemmeno esistesse, è fedele alla missione di gridare nel mondo la Parola di Dio.
Perché nessuna forza può mettere a tacere questa Parola di costruzione della storia, onnipotente come la Parola che fu pronunciata all'inizio dei tempi e che è l'universo, come la Parola che si è fatta carne, nella pienezza dei tempi, e che è Gesù Cristo.
Bisognerebbe che chi ha responsabilità nelle Chiesa per aiutare alla Parola il popolo di Dio o a fargliela morire in bocca e nel cuore, ricordasse quello che Gesù rinfacciava ai Farisei (sempre i soliti a tentar d'impedire che il popolo parli e annunci la sua profezia) quando volevano che la folla tacesse al suo ingresso in Gerusalemme (nella realtà viva della storia): "Vi dico che se questa gente tacesse grideranno le pietre" (Lc. 19, 40).
La Chiesa, Popolo di Dio, tace, non grida quello che dovrebbe essere gridato, inadempiendo alla sua missione di voce di Dio nel mondo: gridano però le pietre, le pietre del selciato della strada sulla quale l'umanità cammina.
Lo so bene che può essere discorso polemico, questo, e può suscitare problematiche pastorali impressionanti, ma potrebbe anche essere, al solito, un atto di Fede e un impegno concreto di lotta perché la cristianità, la Chiesa, sempre più sia popolo e Popolo di Dio.
(continua)

don Sirio

Un Vescovo contro la guerra nel Vietnam

Mons. Maury, vescovo di Reims, ha preso una netta posizione contro la guerra del Vietnam, denunciando i veri responsabili: «La guerra del Vietnam è una guerra fratricida. Questo popolo era fiero della propria indipendenza, ma i «grandi» l'hanno contaminata nel nome dei loro interessi materiali e ideologici. Una sete di dominio li porta a disprezzare le vite umane e un intero popolo. I contrasti delle ideologie e degli interessi non bastano più a legittimare la guerra. I «grandi» si impegnano in una diplomazia che non è che un sordido mercato sulla pelle dei piccoli e dei poveri. Essi speculano col sangue dei propri fratelli.
Al punto in cui siamo, il negoziato sembra l'unica soluzione: ma chi avrà abbastanza autorità da costringere i combattenti a negoziare? Al momento attuale pare che dobbiamo essere costretti al ruolo di. spettatori, dolenti e impotenti, di questo dramma.
Ma non si può rassegnarsi, perché un cristiano deve saper provocare dei risvegli di coscienza. Se fossimo tutti dei militanti della pace - tutti noi cristiani, naturalmente - ne deriverebbe una grande ondata capace di portare con sé la pace di Cristo. Che la nostra coscienza si risvegli, si commuova. e sappia comunicare ad altri la propria legittima RIVOLTA CONTRO LA GUERRA».


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