Nella ricerca di una autenticità cristiana, non si può fare a meno di avere - preghiamo vivamente di non scandalizzarsi dell'affermazione - un po' di spirito anarchico.
Il conformismo non è certamente una virtù. E se la devozione occupa un gran posto nella pratica cristiana non è detto che abbia a che fare col cristianesimo: forse è più vicina assai alla superstizione e alla magia. E' certo che vive di paura e di motivazioni personali. E' su questo filo - e spesso è strada maestra che corre l'obbedienza, fino a rasentare la passività, il famoso morire a se stessi compresa la sepoltura, per poter realizzare un fatto di Fede, che sa più di occhi bendati che di visione.
Ribellarsi spesso è semplicemente doveroso: è come scuotersi da un assopimento per troppi tran-quillanti ingeriti. E' necessario riprendere coscienza, prendere in mano risolutamente le proprie responsabilità e stabilire scelte chiare, precise, inconfondibili, prima di tutto davanti a se stesso, davanti agli altri, alla vita perché - e con tutto il coraggio che occorre - si tratta di scelte davanti a Dio, anzi di scelta di Dio.
E' allora che diventa inevitabile lottare contro.
Così, senza poter stabilire contro chi, perché, semplicemente, contro tutti e contro tutto. Non è il caso, davanti a questa decisione di lotta contro tutti e contro tutto, richiamare l'attenzione su possibilità di squilibri psichici o di rivalse psicoanalitiche per complessi di repressioni infantili o di insuccessi senili: sarebbe molto sempliciotto e anche troppo comodo.
E nemmeno va bene, visto il fenomeno da una altra angolatura, tentare un compatimento nei confronti di questo mettersi contro, rifacendosi ad una ricerca di influenzamenti vari che il tempo che stiamo vivendo, travolto così tanto da spiritismi rivoluzionari, riverserebbe anche nella problematica cristiana e in chi cerca indicazioni nuove o perlomeno allineate ai tempi che corrono.
E' semplicemente assurda ogni e qualsiasi interpretazione che non nasca dal desiderio, dalla volontà, dalla gioia di una riscoperta di Cristo e di tutto il suo mistero di vero Dio e di vero Uomo.
E cioè da una visione di Gesù Cristo che lo intravede, lo conosce e lo ama perdutamente fino a raccogliere da Lui, e soltanto da Lui, la totalità più assoluta di ogni motivazione per le proprie scelte, le proprie sensibilizzazioni, le possibilità uniche delle proprie concretizzazioni.
Si diceva all'inizio della necessità di un po' di spirito anarchico. Ma era così, tanto per intendersi fin dalle prime parole. Perché realmente Questo imparare a mettersi contro, questa necessità del ribellarsi, questa inevitabilità del contrasto e della lotta, lo impariamo (e vorremmo tanto scoprirne tutta l'adorabile violenza, forte e tenace come l'Amore di Dio).da Gesù Cristo.
Basta cominciare a leggere il Vangelo con animo pronto, con il cuore aperto, disponibili a che lo sconquasso, il rivoluzionamento, il terremoto che inevitabilmente comporta il coinvolgersi di Dio in tutta la realtà umana, entri e si allarghi e s'impossessi della propria vita, e immediatamente appare un Gesù Cristo assai diverso dai devozionalismi pietistici dei manuali di preghiere e delle immagini a sacro cuore illuminate di candele.
Un Gesù Cristo assai diverso dalle liturgie vecchie e nuove, a parate impeccabili rammollite di canto gregoriano o comunitarie sentimentalizzate di canzoni.
Un Gesù Cristo forte e coraggioso che cammina sempre e violentemente contro corrente, di traverso contro la storia, che lotta contro ogni sorta di potere, respinge con disprezzo la ricchezza, si confonde soltanto col popolo e anche dal popolo rimane libero e indipendente.
Un Gesù Cristo che fin dalla nascita è come un segno di contraddizione e è posto a rovina e risurrezione di molti e la sua solitudine, perché è contro tutti e contro tutto, rivolto liberamente e totalmente a Dio, è appena consolata da povera gente, perché è nulla la povera gente; dai bambini, perché che importanza hanno i bambini, da due ladri, nella morte, perché crocifissi anche loro come Lui
Non riusciamo a capire (e a perdonare alla chiesa perché si deve avere avuto paura di questo Ge-sù Cristo che apertamente lotta nelle piazze, impreca contro il fariseismo, l'intellettualismo, il legalismo. Tira avanti le sue cose - sono le cose di Dio - indipendentemente dal potere religioso, civile, militare e così spesso fortemente in contrasto e in lotta, che deve fuggire, fuggire continuamente per liberarsi dal loro odio che lo cerca a morte.
Non è una vita pacifica quella di Cristo. Non scorre tranquilla, d'accordo con tutti. Vi sono contrasti irrimediabili, vi sono lotte accanite, scontri micidiali fino alle misure estreme del concludersi con la croce.
E che sia stato Lui ad essere ucciso e non Lui ad uccidere i suoi nemici, non è sicuramente per meravigliosa pazienza, splendida bontà, esempio d'incredibile dolcezza, è invece e soltanto tipo e realtà e inflessibilità di lotta, tenace fino alla morte. E' realtà di una lotta che vuole essere indicazione di tutta una lotta, capace unicamente di vincere perché totalmente e infinitamente Amore.
E' per realizzare una lotta e insegnarla e propugnarla, perché è la lotta di Dio per la salvezza dell'uomo e dell'umanità.
Gesù Cristo è Dio che è venuto a vivere e morire fra gli uomini, è chiaro, non per sdolcinare e sentimentalizzare di religiosità la vita, ma perché l'Amore di Dio (cioè tutto quello che Dio è, e si tratta di Dio!) entrasse nelle sistemazioni fatte dagli uomini a sconvolgerle con lotta implacabile fino a fruttificare l'uomo nuovo, l'umanità vera.
Come un campo dove tutto vi cresce e vi prospera a landa selvaggia, arato, ribellato, trafossato per terra buona a buon grano. .
Il problema è gravissimo e terribilmente più grosso di noi. Evidentemente non pensiamo che siamo noi a scoprirlo, a chiarirlo, a risolverlo.
Non possiamo però non cercare di guardare a Gesù Cristo credendo a Lui interamente e unicamente. Di tutto quello che di Lui non troviamo nell'insegnamento della Chiesa, nei libri di teologia, nella educazione cristiana e sacerdotale che ci è stata data e specialmente nella costatazione. del come è andata e va avanti gran parte (per non dire le quasi totalità, almeno quella pubblica) della esistenza cristiana ed ecclesiale, cerchiamo qualcosa nella preghiera, nella penetrazione della Parola di Dio, nella celebrazione Eucaristica e quindi e appassionatamente nella Fede e nell'Amore alla persona di Gesù Cristo.
Adoriamo questa realtà di contrasto, di lotta incessante, di scontro implacabile, perché vi avvertiamo i segni inequivocabili della fedeltà di Dio nel suo Amore per l'umanità, vi avvertiamo la serenità (e non può essere che così) della presenza di Dio fra gli uomini della non paura, del rischiare tutto, del giocare tutto, con la libertà più assoluta da tutto e da tutti. Crediamo che il Figlio di Dio è venuto a vivere sulla terra per proporre agli uomini com'è che si può essere figli di Dio.
Lottare contro non è segno di scontento, di risentimento, di polemica e cose del genere, è semplicemente cercare di camminare sulla sua strada, rifarsi alle sue indicazioni, continuare, sia pure tanto indegnamente, la sua storia.
Lottare contro è accettare Gesù Cristo non come un tranquillante risolutivo per le proprie problematiche e rappacificante fra gli uomini, quasi ad essere Lui a sbollire velleità ribelli e rivoluzionarie. Lottare contro è accettare Gesù Cristo come provocazione nella propria vita fino all'impossibilità di vivere in pace, raggomitolati nei propri tornaconti, come provocazione nel vivere sociale per un rivoluzionamento permanente, implacabile, anarchico in ricerca appassionata unicamente di Dio, Esattamente come Lui, l'unico uomo apparso nel mondo veramente, autenticamente, totalmente libero e liberante. Forse perché Dio.
Non sappiamo bene come è possibile realizzare questo lottare contro. Sappiamo bene di non essere gente libera, al di là di tutte le cose, ma specialmente, più che di ogni paura (ché la paura sta svanendo sempre più), al di là di ogni ritegno, di ogni saggezza e prudenza, con il coraggio semplice e forte del «sì, sì, no, no» e del bambino, dell'innamorato, del pazzo...
Ecco, forse, non sappiamo e non riusciamo ad essere questo lottare contro perché non amiamo a sufficienza, non amiamo con la misura indispensabile e con la passione struggente tutto ciç contro cui è così tanto imperativo lottare. E' realmente un problema di Amore.
Chiediamo a Gesù d'incontrare amici con i quali mettere insieme e accendere sempre di più questa violenza di Amore che ci costringa a questa realtà di lotta incessante.
Ci dispiace che queste idee, che pur abbiamo chiarissime, nell'anima, ci vengano espresse tanto confusamente: ma è come dipanare una matassa ormai tanto aggrovigliata: inevitabilmente ci vuole molto tempo e tanta pazienza. E non stancarsi e tanto meno arrendersi.
La Redazione
2 - Nicodemo
Si è molto parlato di quest'uomo e del suo colloquio con Gesù che rivela realtà meravigliose. Sono state dette e scritte cose molto belle.
Ritrovando la sua figura nel Vangelo l'ho sentita tanto vicina per tutta una difficoltà ad accogliere questo inevitabile dover rinascere di nuovo, esistere in questo mondo per tutt'altro principio di vita che la carne e il sangue.
Posso io, e più che farne un discorso personale preferisco dire, può questo mondo uscire di nuovo dal le mani di Dio per una seconda creazione?
La fatica e la sofferenza per un po' di giustizia, d pace, d'amore così duramente frustrata da tanta umanità chiusa nel proprio egoismo, nella cecità della violenza e della disperazione. Non c'è forse in noi una maledizione di sterilità che impedisce il compiersi del miracolo della vita?
A volte la tentazione di sentirsi perduti è forte al punto di accettare la situazione contando solo sul l'istinto di conservazione. A volte la fede illumina una strada di normalità di piccoli e poveri gesti d'amore di rispetto, che portano il calore di un affetto che aiuta a sperare.
Ma, a ben vedere, mi sembra che la difficoltà di Nicodemo non sia tanto quella di una nascita nuova quanto che essa venga veramente dall'alto, in modo assolutamente nuovo, storia di Dio che va incontro agli uomini. Perché non è da quella parte che i nostri occhi si volgono in attesa di conoscere la verità.
C'è un mondo da salvare e la strada della salvezza non passa certo per Lui, nell'impazienza della riuscita, quando la sua parola invita all'attesa; nella dimensione politica che spiega tutto, quando il suo pensiero va diritto al cuore dell'uomo.
E' certo, ed è Giovanni a darcene cenno, che Nicodemo preferisce, insieme ad altri dei capi, seguire la chiarezza degli uomini piuttosto che volger lo sguardo alla luce folgorante di Dio. Benché combattuto nelle animo, non si smentisce, lui capace di coraggio solo nelle tenebre, quando il buio ti fascia e ti avvolge a impedire che lo sguardo si perda oltre l'orizzonte.
Così, in questo mondo, c'è tanta gente che cammina a testa bassa, timorosa di perdere contatto con il suolo, delusa da tanto vano ondeggiare a mezz'aria di Pietà che asciuga le lacrime, di Religione che dispensa certificati di merito, di Morale che divide tutto il buono e cattivo a uso e consumo del furbo. C'è tanta gente che, come Nicodemo, ha perso ogni fiducia, una ricerca religiosa quando l'ha sentita tanto legata a un discorso di potere. Eppure non riesce a cavarsi dallo stesso impaccio, timorosa di naufragio, incapace di affidarsi, di rinunciare alla propria piccola fetta di potere, alla propria sicurezza. Sarà la ricerca di una perfezione liturgica secondo le teorie più avanzate, di comunità senza prete con riti continuamente ritoccati nell'ansia di «autenticità », sarà il gettarsi in un discorso politico pieno di fiducia nella capacità risolutiva di nuove strutture, discorso evidentemente di ben altra levatura, a carico di speranze di conservazione vera. Ma resta in fondo l'orgoglio dell'intellettuale cullato dai preti che non vuole arrendersi di fronte alla propria solitudine e alla propria fragilità e al momento di impiegare se stesso, solo se conserva un po' d'amor proprio, china la testa e arrossisce. Uomini e donne capaci di discutere per ore sui problemi vitali dell'umanità, improvvisamente muti o appena sciocchi nel rispondere a proposte che richiedono un minimo di rischio per un concreto impegno personale: "Come può un uomo rinascere quand'è vecchio? Può forse rientrare nel seno della madre per rinascere?".
C'è tutta la stanchezza di chi si è bruciato in mille esperienze alla ricerca della verità e non riesce più a credere, ad avere un cuore che semplicemente si offre a sognare di nuovo. .
E' proprio tutta la maledizione contenuta nella ricerca di sapienza fatta dagli uomini seguendo vie e modi tutti terrestri. Per loro unica è la strada verso la luce: "se non diventerete come fanciulli. ..".
Forse un modo di amarli è proprio offrir loro questa possibilità, con dolcezza e rispetto se è possibile, ma anche con rude violenza se occorre. Sono in fondo dei ricchi, anche se aggrappati a tesori che spesso han perso valore, e come tali il solo amore è farli passare per la cruna dell'ago anche se questo può risultare scomodo fino alla sofferenza.
Ed è amore dar loro l'occasione di toccare con mano la loro paura e la vergogna. Con un impegno cristiano sempre più preciso e serio fino a coinvolgerli a decisioni concrete. Con una serenità di dono e di offerta che dia loro fiducia fino ad abituarsi ad uscire alla luce del giorno, a perdersi tra la follia, ad accogliere senza difendersene ciò che non viene dai loro studi, dai loro sforzi.
Impegno cristiano sempre meno per la salvezza della propria anima e sempre più perché ci sia luce e in abbondanza per tutti i fratelli.
Luigi
Abbiamo letto con attenzione la «Lettera ai cristiani di Roma» dei tredici preti, nostri fratelli in questa lotta d'amore di Chiesa e nella Chiesa che li trova a condividere la condizioni di folle stanche e affaticate.
Ci sentiamo perfettamente solidali con loro e con le loro motivazioni, se non altro per quelle poche briciole che riusciamo a spartire con la sofferenza dei poveri.
Un discorso serio, anche se può molto turbare, preciso nell'individuare i punti, le persone, i fatti concreti nell'intento, - e sono parole loro -, «di provocare una riflessione sui fatti e non su discorsi generici di facile contestazione»,
« A Roma regna l'arbitrio, come in tante altre città»,
Chi ha il potere lo usa per consolidarlo e accrescerlo, non per servire.
Ogni uomo è mio fratello.
Se vuoi la pace impegnati per la giustizia.
Sono parole vuote se tacciamo o permettiamo il trionfo dell'egoismo di alcuni. Dobbiamo avere il coraggio del bene operare e della denuncia del male a qualsiasi livello. Specialmente del male che viene programmato dall'alto»,
Ma è sopratutto e prima di tutto una riflessione di fede.
Non vogliamo affrontare il problema delle baracche dal punto di vista politico, economico, sindacale, giuridico, sanitario. Non è nostra competenza.
Noi abbiamo incontrato la sofferenza dei baraccati.
Vogliamo che questa sofferenza non passi sulla Chiesa di Roma come acqua sul marmo, ma lasci un segno nella vita di ciascuno di noi. Vogliamo che nel giorno del giudizio il Cristo giudice possa dire di questa Chiesa, in cui viviamo e che amiamo: "Venite, benedetti dal Padre mio, perché ero senza casa e voi mi alloggiaste"».
In quanto tale non ha potuto non essere presa in considerazione dal Vicariato di Roma e precisamente (come riferisce anche IDOC) nell'assemblea dei parroci presieduta dal vescovo vicegerente mons. Ugo Poletti. Non è mancato chi ha richiesto un intervento disciplinare ed è stato invitato dal vescovo ad assumere pubblicamente le proprie responsabilità come avevano fatto i preti che hanno posto la loro firma in calce al documento.
Non conosciamo le vicende che saranno seguite nella Chiesa di Roma. E' certo però che essa ha avuto un dono di cui dovrà render conto: che in essa risuonino le voci della povera gente per bocca di sacerdoti fedeli alla comunione. Non è davvero . dono da poco e quindi responsabilità grande il saperlo accogliere. Finora le Chiese che l'han ricevuto, in genere, non solo non l'han saputo custodire, ma l'hanno soffocato e schiacciato o strumentalizzato con astuzia da mercante. Una cortina di silenzio è comunque la migliore difesa; poi ci pensa il mondo ad andare avanti.
Le voci della povera gente, le voci dure, ma schiette di chi non ha niente da perdere, ma neppure da guadagnare, in una coerenza continua alla parola di Gesù. Non voci impreziosite di studiosi che risuonano nelle aule dei corsi di aggiornamento, né voci promettenti di esperti nell'arte pastorale. E neppure voci che salgono da comode poltrone per dibattiti su problemi che svaniscono prima del fumo delle sigarette. Le voci dei "piccoli" cui il Padre ama rivelarsi.
Penso al vescovo, anzi, ai vescovi di Roma. ai monsignori, ai preti, alle suore, agli uomini e alle donne, ai giovani. Quando potranno udire ancora queste voci? Quando potranno ancora avere la possibilità di unirsi ai loro fratelli che stanno "dall'altra parte" per una autentica riflessione di fede nel Signore che viene?
E' responsabilità seria non ascoltare, non dar peso, non rispondere o peggio trincerarsi dietro «l'ortodossia », la teologia, la prudenza, il "non me ne importa", i motivi che spiegano tutto e permettono sempre di cadere in piedi.
Non so se ci saranno altre occasioni perché ci vuol sempre più coraggio, non nel parlare ché ora l'inquisizione almeno non ha cataste su cui bruciare l'eretico, ma nell'amare questa Chiesa così indurita, nel tentare di renderla realtà viva dove risuonano tutte le voci alla ricerca di quell'armonia che è Cristo Gesù.
Lo spero tanto anche se so, per esperienza, quanto si affievolisca la speranza, e quanta fede ci voglia per riprovare, ritentare a penetrare in questa ruvida scorza senza vita che riveste il Corpo di Cristo.
Ed è speranza che uno tiene nel cuore mentre folle immense passano scivolando in silenzio sui marmi delle chiese, sulle operazioni finanziarie del Vaticano, sulle grandi proprietà degli ordini religiosi, su quel "cristiano" appiccicato a giornali e partiti.
Chiediamo che il nostro vescovo pronunzi il suo giudizio di maestro di morale sulle attività degli speculatori fondiari e dei costruttori che operano in Roma.
Si ascoltino i diretti interessati, coloro che nella chiesa di Roma hanno particolari competenze e i semplici fedeli non inquadrati nelle organizzazioni.
Era giusto scrivere tante pagine sulla pillola.
Non è altrettanto giusto esaminare e giudicare costoro che stanno diventando i "soli proprietari del paese" (Is. V, 8)? Il silenzio è complicità. Sarebbe grave scandalo dare a intendere che: "tutto va bene, tutto va bene! e invece tutto va male" (Ger. VI, 14).
Saranno questi i primi passi di una chiesa animata dal desiderio di essere fedele allo Sposo e che renderà credibile l'annuncio che fa di lui. Non solo comincerà così la nostra purificazione, ma i beni sono così tanti che i prezzi di tutte le case dovranno diminuire.
(dalle proposte della "Lettera")
don Luigi
"Papà non è morto, può essere fisicamente morto, ma il suo spirito non morirà mai.."
(i suoi quattro figli)
Aprile 1968: quattro anni dalla morte di Martin Luther King
Era un negro ma con
un'anima pura.
come neve bianca.
Venne ucciso da un bianco
con un'anima nera.
Quando ricevetti la notizia
quella stessa pallottola
colpì anche me
quella pallottola che lo uccise.
Per quella pallottola
io rinacqui
e rinacqui negro.
Eugeny Evtushenko
Martin Luther King è morto il 4 aprile 1968.
Sono già passati quattro anni da quando egli fu assassinato a Memphis, mentre portava avanti la lotta per la giustizia, alla testa di un movimento che aveva trovato migliaia di uomini disposti a combattere l'ingiustizia senza tentare di distruggere I'avversarlo. Con la ferma, testarda speranza che la luce avrebbe vinto le tenebre, che "i fratelli bianchi gravemente ammalati" si sarebbero lasciati curare. Una lotta tirata avanti fra mille pericoli, alimentata continuamente da una fede profondissima in Gesù Cristo.
Chi lo ha ucciso sembra abbia avuto partita vinta. L'America continua ad essere tutt'ora immersa fino al collo nell'ingiustizia. La logica della violenza è ancora l'ideologia che regge l'impostazione dei rapporti interni e esterni. La crocifissione di migliaia di creature continua inesorabile e i crocefissori sono tutti a piede libero, capi rispettati e accolti nelle piazze di molte nazioni.
Anche in tante altre parti del mondo la violenza è l'unica strada su cui gli uomini si ostinano a camminare per risolvere i loro problemi. Anche da noi c'è chi sogna di scardinare il sistema tra le fiamme di una rivolta fatta di dinamite, di bombe, di bottiglie molotov.
Noi pensiamo ancora al sogno che aveva Luther King, pensiamo alla sua morte nella luce e nella fiducia della Resurrezione. E preferiamo affidarci alla sua testimonianza, alle sue scelte, alle sue profonde intuizioni, per mantenere viva la sua voce di profeta e cercare di continuare a tracciare la strada per la quale egli ha lavorato.
Nel 1958 ricordando le lunghe lotte contro la segregazione razziale, Luther King scriveva: - oggi la scelta non è più fra la violenza e la non violenza. E' fra la non violenza e la non esistenza. Il negro può essere la voce di Dio in questa epoca; un'epoca che avanza rapidamente verso la sua distruzione. La voce divina prende forma di ammonimento "chi di spada ferisce di spada perisce".
Di questo concetto chiaro e preciso delta situazione storica che stiamo tuttora vivendo, King ne ha fatto un metodo concreto di lotta, una linea di vita. Nel suo impegno di liberazione dall'ingiustizia che gravava sui rapporti tra Bianchi e Negri negli Stati Uniti, egli si è sempre ispirato a questo principio sostenuto da una attiva, incrollabile fede: l'Amore e la Verità sono le armi più efficaci contro qualunque forma di oppressione e sono precisamente le armi che i poveri, gli oppressi, gli sfruttati, gli emarginati di ogni specie dovrebbero sempre adoperare. E' una proposta radicalmente nuova, che supera la contrapposizione delle classi spostando il campo della lotta: non lo sceglie più ,chi ha sempre preordinato tutto in anticipo organizzando la vita e prevedendo i modi per affrontare chi volesse porvi mutamento. Si è riscoperta con lui una tragedia sapiente e illuminata che colpisce gli avversari mediante la miracolosa unione di migliaia di negri che con lui hanno accettati mettersi in marcia verso la libertà senza causare sofferenza a nessuno, neppure a coloro che mediante il loro potere erano causa della loro umiliazione.
Siamo più che mai convinti che egli sia stato un uomo mandato da Dio, a indicare una strada dura, apparentemente assurda e utopistica, fallimentare, per il nostro comune modo di valutare la realtà. Una strada costruita da una fede incrollabile nella Presenza del Dio vivente, nel Dio della liberazione, della giustizia, della comunione. Egli ha dimostrato con la forza indiscutibile dei fatti che E' POSSIBILE LOTTARE SENZA FUCILE, è possibile affrontare il male senza uccidere, senza organizzare la distruzione l'avversario, ma organizzando semplicemente un popolo cosciente dei propri diritti, dei propri doveri, la propria missione e dignità - un popolo liberato dalla paura, e quindi non più schiavo, ma veramente libero e liberatore.
Ricordare la sua azione, la sua vita e la sua morte durante questa lotta per Amore, ci costringe a riprendere tutta una ricerca che dovemmo essere capaci di tirare avanti, non lasciandola cadere nel vuoto.
Essere cristiani non ci dispensa affatto dal caricarci dei problemi che travagliano la vita, dal partecipare alla costruzione di una società in cammino verso la Giustizia e la Fraternità. La lotta contro il male di ogni tipo e dimensione ci chiama direttamente in causa come gente viva che vuole essere protagonista del destino umano. Ma in quanto cristiani il nostro stile dovrebbe acquistare una crescente originalità e creatività.
C'è un modo di camminare che distingue immediatamente le persone ed esprime qualcosa della loro personalità più segreta. C'è un modo di lottare, di contestare, di fare la rivoluzione che deve essere particolarmente indicativo di un popolo, di gente che mette Gesù Cristo a fondamento della propria vita. Gente liberata da tutto ciò che vincola personalmente al punto che i legami creati (verso noi stessi o verso gli altri) diventano ragione stessa di vita; gente capace di libertà che è capacità di prospettive più ampie; gente sicura che la forza della verità è più potente di tutta la ferraglia che gli uomini schiavi hanno potuto mettere insieme. Gente che percìò si muove, si organizza, spinge, lotta, si mescola alle vicende umane, ma senza venir meno alla propria "utopia", al privilegio, come diceva spesso King, di amare. Abbiamo avuto per Cristo Gesù, il privilegio di scoprire che gli uomini sono fratelli e dobbiamo compiere la missione di rivelare a tutti questa realtà. Il traguardo della lotta è indubbiamente questo, perché è da questa scoperta che sarà possibile a molti intravedere il volto di Dio.
A noi è chiesto di essere gente rivoluzionaria capace di scoprire e far sorgere un volto umano, là dove valori superficiali, assurdi o inesistenti lo hanno negato.
* * * * *
Luther King è stato un formidabile e tenace obiettore di coscienza. Un uomo, un cristiano che ha avuto la capacità, la fede necessaria a trasformare un impegno personale in un impegno di massa. Egli è riuscito a organizzare la obiezione di tutto il popolo con mezzi pacifici - contro l'ingiustizia di un altro. Ha indicato così, concretamente, la possibilità di costruire un mondo nuovo quando appare un mondo nuovo. Il popolo dei poveri può fare questo contro il popolo dei ricchi, non per annientarlo, ma per costringerlo a passare dalla cruna dell'ago e così entrare nel Regno dei Cieli.
Il popolo sfruttato può fare questo contro il popolo sfruttatore, mantenendo nel proprio cuore un'insaziabile fame e sete di giustizia che non si lascia comprare né acquistare da concessioni né privilegi, perché il suo scopo non è quello di strappare il posto a ohi già lo detiene, è quello di trovare uno spazio di libertà non conquistabile con la lotta armata. E' un'altra la lotta da combattere, incessante, che si gioca palmo a palmo, là dove si è tentati di barattare continuamente la capacità critica, la propria dignità, una visione globale dell'uomo, la libertà di poter credere agli altri e di alzare gli occhi al di là del proprio orizzonte, con i valori di massa e le idee prefabbricate, con l'offerta di una vita confezionata per ognuno prima che nasca: dai suoi valori base, alla loro contestazione.
Un popolo simile sarebbe capace di mettersi in marcia verso una rivoluzione radicale della vita sociale: perché sarebbe un popolo creativo, costruttore di novità perché fatto di uomini nuovi. Gli uomini vecchi hanno bisogno di un tremendo arsenale per difendere l'ordine, la giustizia, la democrazia (come dicono): esercito, polizia, capitale, classi, codici, tribunali, e galere. Gli uomini nuovi sanno invece che l'ordine vero è quello che nasce dal pane spezzato e diviso.
Ci sembra che questo sia il momento, e quando non lo è nella storia? - che questa umanità nuova di cui i cristiani dicono di essere lievito, mostri il suo volto.
Non attraverso un'onestà di vita, nel difendersi ogni giorno dalle contaminazioni del mondo, nel cercare uno spazio dove poter respirare una boccata d'aria pura, e neppure in slanci anche eroici a mot-ivazione strettamente personale. Non più tra le mura di una casa o di una chiesa, nel profondo di una coscienza.
E' il momento di scendere per la strada, nelle piazze, dimenticando le paure, gli egoismi, le divisioni, perché parole di verità risuonino alle orecchie degli uomini. E' il momento di verificare se «comunione» fra noi vuol dire solo consolazione di saperci fra amici oppure è spinta, energia e forza a dividere quanto si ha, e quindi anche la povertà, l'impotenza, un cuore che ama capace di spezzare la violenza dell'uomo.
E sarebbe tanto bello conoscere ohi porta dentro questo seme per ritrovarci e sostenere in questo cammino di piena fiducia. Per osare di più. Per credere di più. Perché questa parola di vita nuova sia detta ad alta voce fino a gridarla fra gli uomini.
Don Beppe
La violenza è stata l'inseparabile gemella del materialismo, il marchio della sua grandezza e della sua miseria. Questa è una delle caratteristiche della clviltà moderna che io non mi curo di imitare. L'umanità sta aspettando ben altro che una cieca imitazione del passato. Se noi desideriamo vivamente mettere in marcia l'uomo nuovo dobbiamo distogliere l'umanità dalla lunga e desolata notte della violenza.
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Un'autentica rivoluzione di valori significa in ultima analisi che le nostre fedeltà debbano divenire universali e non semplicemente particolari: perché è sviluppando una fedeltà primordiale ali. umanità tutta intera che le nazioni realizzeranno il meglio della loro originalità.
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Questi sono tempi di rivoluzione: in tutto il mondo gli uomini sono in rivolta contro i vecchi sistemi di sfruttamento e di oppressione. I descamisados, quelli che vanno a piedi nudi, stanno rizzando il capo come non hanno mai fatto prima. « La gente che ha camminato nell'oscurità ha visto una gran luce.. Noi occidentali dobbiamo sostenere queste rivoluzioni. E' triste pensare che a causa del lusso, della sufficienza, della morbosa paura del comunismo, della nostra facilità ad adattarci all'ingiustizia, noi nazioni occidentali che avevamo iniziato lo spirito rivoluzionario del mondo moderno siamo ora diventate le nazioni più antirivoluzionarie che esistano.
* * * * *
La parte più numerosa dei giovani sta lottando per adattarsi ai valori prevalenti della nostra società. Senza grande entusiasmo essi accettano un sistema di governo, un sistema di relazioni economiche basate sulla proprietà, e accettano le stratificazioni sociali che ne nascono. Ciò nonostante formano un gruppo tormentato, e aspramente critico dello status quo. Un'altra parte sono i radicali. Ce ne sono di moderati e di estremisti, a seconda del grado in cui essi vogliono alterare il sistema sociale vigente. Tutti sono d'accordo che occorrono dei mutamenti di struttura altrimenti. i mali di oggi non saranno mai eliminati, poiché essi hanno le loro radici non negli uomini o nella organizzazione più o meno perfetta, ma nel sistema stesso. Essi sono in rivolta contro i valori tradizionali e non ne hanno formulato di nuovi.
* * * * *
Ma non abbiamo molto tempo. Lo spirito rivoluzionario è ormai diffuso In tutto il mondo. Se l'ira dei popoli del mondo di fronte alla ingiustizia delle cose deve essere incanalata in una rivoluzione di amore e di creatività dobbiamo incominciare a lavorare ora, urgentemente, accanto a tutti i popoli per formare un mondo nuovo.
Luther King
Fare proposte, noi che siamo un zero nella vita, tenendo conto di tutto l'ingranaggio di potenza che domina il mondo, è semplicemente ridicolo e forse anche penoso: si rischia l'ingenuità e la dabbenaggine. Eppure non possiamo, se non altro, sognarle ....
Si parlava ieri sera fra noi, durante il nostro meditare la Parola di Dio alla Messa della compromissione della Chiesa nella guerra nel Vietnam: dopo anni di lotta pazza e miserabile, si stanno macellando attualmente in misure e in modi sempre più violenti e tremendi. E' un popolo diviso da chi nel mondo pare che sia apposta per dividere, e la sua riunificazione bisogna che passi attraverso l'orrore di una distruzione di una parte o dell'altra di quel popolo.
E scavano abissi, a impedire ogni possibilità di incontro, quei milioni di tonnellate di bombe: un fossato spaventoso colmabile ormai soltanto a forza di morti.
La Chiesa. Che significato ha la Chiesa (e intendiamo Chiesa, cominciando dal Papa fino all'ulti-mo credente, compresi io, tu, noi, gli altri, tutti i cristiani) in un conflitto così orrendo, come de! resto in tutte le guerre di sempre, ma specialmente dei nostri tempi?
Ormai, quando leggo le parole di pace che il Papa ripete ad ogni occasione, da dove guarda il mondo, dalIa finestra, in piazza S. Pietro, ai messaggi natalizi e pasquali, mi viene come una specie d'insopportazione.
So bene che son parole cariche di apprensione e di angoscia paterna, ma sono parole, e forse ancora di più, perché le so accompagnate da tutta una cosiddetta attenta, sollecita, premurosa azione diplomatica. E cioè sono parole d'impegno e ricerca di pace, innocenti, ovverosia innocue, e quindi ben accettate e ottimamente sfruttate a beneficio di una parte e della altra in guerra.
Non per nulla le relazioni diplomatiche (questo maledetto modo di essere presente, la Chiesa, nelle cose politiche del mondo, questo sinistro destreggiarsi per poter rimanere sempre a galla nel gran mare del potere che domina, signoreggia, spadroneggia sull'umanità), non per nulla le relazioni diplomatiche continuano tranquillamente nei confronti di una parte e dell'altra, giustificandosi con le possibilità di salvare il salvabile, medicare le ferite, inviare soccorsi ai profughi, sollevare i prigionieri e rimanere nella possibilità di benedire e assistere (e quindi confortare il morale, il che vuol dire incoraggiare) gli eserciti di una parte e dell'altra a uccidersi meglio, fino allo sterminio.
Quando poi tutta l'attenta e premurosa azione diplomatica non rimane unicamente rivolta, e quindi determinata, da un cercare di salvare gli interessi (d'accordo, tutti gli interessi!) della Chiesa nei diversi opposti campi di battaglia che evidentemente oltre a dove i nemici si stanno scannando, si allargano alle opposte alleanze, quasi sempre fino a spaccare il mondo in due, uno contro l'altro armato.
Per non prendere posizione da una parte né dalla altra, l'unica maniera possibile e irresponsabile, anzi ammirevole, è parlare di pace, implorare la pace, pregare per la pace. E chi è che è in guerra e non dice di non cercare altro che la pace?
Anche gli americani di Nixon vogliono la pace, e difatti è per via della loro decisa e risoluta volontà di pace nel mondo che hanno scatenato la terribile guerra del Vietnam e allagano di bombe quella disgraziatissima terra, ormai terra di scarico di tutta l'immondizia guerrafondaia del mondo.
E così ogni volta che il Papa parla di pace, gli americani se lo sentono alleato nella loro impegnatissima volontà di pace nel Vietnam fatta così unicamente di guerra e della peggior guerra come quella aereo navale.
Vorremmo allora'che il Vietnam del sud fosse abbandonato alla sopraffazione del Vietnam del nord, con tutte le conseguenze del dilagare comunista in tutta l'Indocina, in tutta l'Asia, in tutto il mondo?
E' molto sciocco e da sagrestia mettersi a discutere di queste strategie e è vergognoso guardare alla storia soltanto attraverso la propria paura, giocarsi l'esistenza di popoli interi per una programmazione della propria salvezza.
Prima ancora di qualsiasi problematica, giustificatissima quanto si vuole a livelli di prudenza e di saggezza umana, c'è un dovere, realmente assoluto, anche a costo di tutto, un dovere di Fede e cioè di fedeltà al criterio di Dio e di Cristo, attraverso il quale va giudicato il mondo e tutto ciò che nel mondo succede.
La guerra va unicamente e radicalmente maledetta.
La Chiesa (il Papa e tutto il popolo di Dio) non può rimanere al di sopra della mischia a raccomandare la pace. Deve coinvolgersi in quella spaventosa sciagura prendendo posizione contro la guerra, ribellandosi contro i governi che l'hanno scatenata. Succeda tutto quello che vuol succedere.
Sicuramente avverrà che la Chiesa perderà il rispetto, la protezione, la possibilità di convivenza correrà il rischio dell'insopportazione, della respinta, della persecuzione: il che vuoi dire semplicemente la Croce.
E non è questa la ragion d'essere della Chiesa, nel mondo? Cosa vi è di più importante per il di-scepolo che essere trattato come il suo Maestro?
La tentazione che ha sopraffatto sempre la Chiesa, ma specialmente da quando è cominciata l'epoca dei concordati, è il bisogno di andare d'accordo con tutti.
Mentre il dovere della Chiesa, continuità del Mistero di Cristo nella storia, è d'essere in disaccordo con tutti, specialmente con le forze politiche, con i governi, i poteri economici, la potenza militare ...
La missione della Chiesa, e la sua giustificazione ad essere nella storia, è l'annuncio della Parola di Dio. E' una realtà profetica. E' la speranza di Cristo fra gli uomini.
Il concordato è sempre basato sulla contropartita: !'interesse vicendevole, il "do ut des" e quindi è inevitabile il compromesso, il vendersi.
La libertà da ogni accordo (e quindi da ogni concordato) è condizione indispensabile per l'autenticità e la fedeltà a questa missione.
Non voglio che il Papa - con tutto il suo prestigio di potenza mondiale a seguito dei vantaggi che possono derivare ai vari regimi, ai governi, alle correnti politiche, a chi detiene il potere, da un accordo, comunque sia, con il Vaticano, mi sia di protezione, mi comporti dei privilegi, mi salvi da difficoltà e da complicazioni, me e la mia Fede.
Di questo Papa e di questa Chiesa non so che farmene. Anzi mi complica difficoltà di Fede perché riduce il mio essere cristiano, nella terribile problematica dei rapporti fra Cristianesimo ed esistenza, a vantaggi e sicurezze, come avviene quando ci si mette setto la protezione di un forte partito politico o sotto l'ombrello di un regime al governo.
E' il momento (e quanto spesso accade, disgraziatamente) in cui vengono in mente le parole rivolte da Gesù a Pietro: «Vai via da me, satana! Tu mi sei di scandalo perché non hai i sentimenti di Dio ma quelli degli uomini».
Ho bisogno di un Papa e di una Chiesa guidati unicamente dalla Fede e da una incessante e appassionata scelta di Cristo, mi comprometta continuamente in richieste di autenticità cristiana, esponendomi al rischio, senza pietà, di rimanere allo scoperto, in solitudine disperate, in trincee avanzate, dove è quotidiano il pagare la Fede, dove l'essere cristiani è lo scontrarsi, dove l'Amore di Dio e del prossimo è lottare contro tutto ciò che non è Amore, ma odio, prepotenza, sfruttamento, oppressione, schiavitù, potere, e cioè la guerra, tutta la guerra, ogni guerra.
La Chiesa gerarchica sta sparendo da ogni possibilità di essere considerata con Fede, per questa mania protezionistica, realizzata con i guanti vellutati della diplomazia e della più consumata saggezza, dei cosiddetti interessi della Chiesa, ormai assolutamente non più conciliabili con gli interessi della Fede.
I tempi (e lo Spirito Santo) hanno finalmente dissociato la Chiese gerarchica - la Chiesa fatta di valori e di rapporti a livelli umani, terreni - dalla Chiesa, popolo di Dio, profezia vivente nella storia, realtà visibile di Cristo, pugno di lievito, luce accesa, sale della terra.
E' doveroso prepararsi a questo coraggio di Fede ad essere piccolo gregge al quale è affidato il Regno di Dio, una pietra scartata da tutti i costruttori della storia e che diventa pietra angolare.
E' una proposta, e fatta da chi aveva e ha tutto il diritto di fare proposte e di pretendere che vi si creda perdutamente fino a giocarsi tutto, rischiando in quella proposta anche la speranza. L'unica spe-ranza possibile al cristiano.
Don Sirio
Le statistiche della speranza
Il problema della guerra del Vietnam ha posto i giovani americani in età di leva di fronte a un drammatico «dilemma morale»: molti di loro hanno risposto con la diserzione. Questa ha assunto le proporzioni di un vero e proprio fenomeno di massa, perché sono migliaia i giovani che hanno disertato il servizio militare. Questo fatto è motivo di immensa speranza, segno luminoso in una società violenta e oppressiva.
Le statistiche dicono che dal 1967 fino all'anno scorso ben 354.427 militari americani, o giovani che dovevano adempire agli obblighi di leva, sono stati giudicati disertori. Solo nel 1971 3.689 giovani sono stati perseguiti dalla legge penale militare per diserzione.
Mano mano che progrediva l'escalation bellica nel sud-est asiatico (invasione della Cambogia e del Laos) il conflitto diventava sempre più impopolare specialmente fra le masse delle giovani generazioni. Una testimonianza di questo disagio è stata offerta continuamente dalle gran di manifestazioni svoltesi a più riprese in molte città americane. Nel corso di queste dimostrazioni molti reduci dal Vietnam bruciarono persino le insegne dei rispettivi reparti e gettarono le ricompense al valor militare davanti al campidoglio di Washington.
Ora molti giovani, che ancora non hanno raggiunto l'età della leva, fuggono dagli Stati Uniti per non indossare l'uniforme e per non finire nell'inferno vietnamita. La maggior parte si stabilisce in Canada e in Svezia. Una recente inchiesta del dipartimento della difesa indica che negli ultimi cinque anni almeno 75.000 giovani si sono stabiliti nel Canada. Questi giovani vengono indicati col nome di "esiliati" perché è riconoscimento unanime che essi sono stati spinti ad agire così perché si sono trovati di fronte ad un grave problema di coscienza.
I nuclei più numerosi vivono a Toronto, Montreal, Vancouver, Ottawa. In Svezia ce ne sono soltanto circa 500.
Larghi consensi ha suscitato negli Stati Uniti la proposta del senatore Robert Taft che prevede l'amnistia per tutti i giovani che hanno disertato finora il servizio militare con l'alternativa di un periodo di servizio civile della durata di tre anni. Ma il Presidente Nixon, fedele alla linea «dura» ha detto di no. Egli così ha dichiarato: «Il nostro sistema politico e costituzionale ha sempre permesso che fossero concesse delle amnistie. Non vedo però come si possa essere indulgenti con quei giovani che hanno disertato mentre altri giovani erano nel Vietnam dove combattevano con onore e spesso si facevano uccidere»,
I giovani renitenti alla leva hanno capito che di fronte ad una simile durezza di mente è molto meglio andarsene al di là delle frontiere.
(da «avvenire»)
La lotta deve partire dalle officine
«Compagni operai, voi siete degli uomini e non dei robots, Pensate a cosa serve il vostro lavoro (le armi servono solo per uccidere) e all'avvenire dei vostri figlioli. Richiamarsi a dei principi socialisti, vuol dire rifiutarsi di fare della Francia un arsenale per i Sionisti, gii Arabi, i dittatori ... La vostra lotta sindacale sarà perduta se si ferma soltanto alle richieste di tipo salariale...
«Operaio di Panhard, ti hanno letto che le autoblinde inviate in Nigeria prima del luglio '67 hanno ammazzato centinaia di Biafrani?
«Tornitore dell'arsenale di Roanne, lo sai che il carro-armato fatto con le tue mani può servire al governo sud-africano contro dei negri offesi nei loro diritti?
« Sindacalista della Sud-Aviation, che gridi alle manifestazioni slogan anticolonialisti, hai mai pensato che la «Lodola» uscita dalla tua officina e venduta al Portogallo ha sorvolato la foresta dell'Angola per mitragliare altri fratelli oppressi?
«E voi tutti, dell'immensa schiera delle officine di M. Dassault, che partecipate senza dubbio alle campagne contro la fame, pensate mai quanti miliardi rubati allo sviluppo corrisponde la vendita dei «Mirages» al Brasile al Perù, alla Columbia? Dormirete tranquilli se un giorno si affrontassero mirages libici e mirages israeliani?
E voi donne, portatrici e custodi della vita, cosa fanno le vostre mani quando rifiniscono un obice, quando riuniscono i fili dei sistemi elettronici che permettono lo scoppio delle bombe? Esse preparano la morte: la morte di padri di famiglia come siete voi, di bambini come i vostri, un giorno potrebbero essere dilaniati, disintegrati.
« Operai, operaie, vorrete continuare SENZA DIRE NIENTE ad essere dei costruttori di morte, dei semina tori di lutto e di miseria, a preparare fiumi di sangue e di lacrime?
Renè Cruse
Solidarietà sacerdotale
Trentadue preti e pastori della Svizzera romanda si sono dichiarati obiettori di coscienza. Altri 4 preti e pastori hanno firmato una mozione di solidarietà con loro, pur senza seguire l'esempio. In una lettera all'autorità civile ed ecclesiastica, i 32 dichiarano di rifiutare ogni partecipazione alla difesa nazionale, convinti che essa «compromette uno sviluppo più giusto del nostro popolo e di tutti i popoli di cui siamo solidali» e che «praticamente più non serve se non agli interessi delle potenze economiche e finanziarie»,
Questa decisione comporta, nel sistema militare svizzero, il rifiuto di ogni servizio armato (periodi di corsi e di tiri) e della tassa militare. In sostituzione, i 32 hanno deciso di partecipare finanziariamente « a un organismo di nostra scelta che opera nella linea della solidarietà internazionale »,
Essi notano inoltre che « quando l'esercito interviene per ristabilire l'ordine interno, lo fa contro il popolo, in particolare contro gli operai, i contadini, i giovani ... Con il nostro rifiuto esprimiamo la nostra solidarietà con gli obiettori, vittime dell'arbitrio dei tribunali militari ». Il gesto è anche una denuncia contro i due miliardi e trecento milioni di franchi per spese militari dell'anno mentre « i crediti votati in favore della cooperazione tecnica non superano i 134 milioni ».
Sono previste varie obiezioni, cui essi rispondono. Non si tratta .di un gesto clericale: « Non vogliamo tagliarci dal popolo cristiano, ma piuttosto unirci a quei fratelli, cristiani o no, già impegnati in questa direzione »,
Non si tratta di fare politica, ma di applicare il vangelo: « Abbiamo scoperto che predicare il vangelo ha necessariamente ripercussioni nella vita sociale, culturale e politica. Una parola che non s'incarna nella realtà quotidiana, con le sue dimensioni collettive, umane e politiche, è una ipocrisia carica di complicità con tutte le ingiustizie »,
Non è un gesto che porti nuovi elementi di divisione nella chiesa, essendo stato posto in nome della solidarietà di Cristo con i poveri e « noi crediamo che l'unità si costruisca da coloro che, liberi dai tabù del nostro secolo, accettano il dialogo, cercando appassionatamente la verità che si chiama Cristo »,
(da "Settimana del clero")
La giustizia in Italia
A parte queste distinzioni politiche fra i suoi rappresentanti, la giustizia langue e crolla in Italia soprattutto sotto il peso, cieco e sordo, di una burocrazia e dei suoi doveri. L'aumento della popolazione, in certe regioni in modo particolare, l'aumento dell'immigrazione interna in certe altre, soprattutto dal Sud al Nord, aumenta il numero, il peso e la gravità dei procedimenti inevasi. Secondo Guarnera, dal 10 luglio 1970 al 30 giugno 1971 tali procedimenti sono aumentati da 395.572 del periodo precedente a 454.231, con un aumento globale dell'11 per cento. L'attività degli uffici giudiziari è nel complesso aumentata, ma i procedimenti sono anch'essi cresciuti di numero: a 834.740. da 752.860 del periodo precedente. Il numero delle cause non definite è doppio di quello delle cause affluite in un anno. 42.283, ad esempio, sono le domande di divorzio, 4.732 soltanto quelle definite con sentenza.
(da "La Prora", periodico fiorentino, Nazareno Fabbretti)
Vivere come sperare
Mi dissero
che avrei
potuto vivere
con libertà
nella giustizia.
Mi dissero
che avrei
potuto vivere
con giustizia
nella libertà.
Poi venne
l'ingiustizia
con la libertà
e la libertà
con l'ingiustizia.
Non è vivere
è sperare.
Carlo Russo
I giovani negri hanno apportato una nuova azione creativa servendosi della resistenza non violenta. Per riuscire a fare questo dovettero prima trasformare se stessi: fino a qualche tempo fa avevano tradizionalmente imitato i bianchi nel vestire, nel comportarsi, nel parlare, secondo ben precise leggi borghesi. Smisero di imitare e cominciarono a creare forme nuove.
* * * * *
Si stanno preparando programmi nuovi, per trasformare il movimento di riforma sociale dalla fase di protesta, oggi inadeguata, in una nuova fase. di massiccia attiva resistenza non violenta contro tutti i mali del sistema moderno.
Mentre questa preparazione sta svolgendosi, incominciamo a vedere quali orizzonti immensi si apriranno al mondo, se si riuscirà a riformare l'alleanza dei giovani scatenati d'oggi.
Ringraziamo gli amici che ci hanno incoraggiato a ricominciare con fiducia questa nostra fatica. Offriamo queste pagine a chi vuole unire alle nostre le proprie esperienze e .ricerche a comunione fraterna d'impegno cristiano.
Non chiediamo abbonamenti: Chi volesse darci una mano può farlo se e come crede.
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