LOTTA COME AMORE: LcA Dicembre 2007

Fiducia in Dio

Giornata grigia, anche se non fredda, questa in cui provo a chiudere questo numero di Lotta come Amore per affidarlo alla stampa e compiere il lavoro della spedizione non proprio a ridosso delle feste natalizie. Novembre avanza e propone trasparenze che incantano, colori caldi e struggenti, emozioni che invitano alla riflessione, mentre le giornate si chiudono presto e il sole avvampa il cielo in tramonti che calamitano lo sguardo e rubano il cuore..
Nello scrivere queste righe, soffro la distanza tra le buone intenzioni che puntualmente mi accompagnano ogni volta che "chiudo" un numero e il ritrovarmi a mettere insieme il successivo sempre un po' troppo tardi e, soprattutto, senza un vero e proprio sforzo di elaborazione di spunti che inevitabilmente rimangono tali.
Incompiuti.
E arrossisco per la presunzione che chi mi legge possa trovare in questi fili sparsi un cordino teso cui affidarsi per il cammino che si apre nella vita. Ma tant'è. Anche la comunicazione di inconsistenti fragilità possono aiutare a sentirsi meno soli nelle difficoltà che il quotidiano ci pone davanti. Il tema che sento dentro è una riflessione sulla fede che sto portando avanti in questi mesi in cui ogni domenica vado a celebrare messa con la gente di una parrocchia di Viareggio per un "appoggio esterno" ad un giovane parroco che insieme ad un gruppo di laici tenta un cammino più comunitario e meno connotato da prevalenze clericali. Se la fede è dono di Dio essa non può essere il risultato di una vita umana che la merita, ma la risposta ad una azione di Dio che intende, per sua natura, attraverso la vocazione di alcuni suoi figli, raggiungere tutti. Con una forza e un'efficacia sempre sorprendente dal momento che il Padre può suscitare figli anche dalle pietre. Se sono illuminato dalla fede, non è perché sono bravo e buono a confronto di altri che la abbandonano o non la prendono sul serio. Ma, nei miei limiti e nelle mie fragilità sono scelto da Dio (in quanto battezzato) per servire l'umanità a riconoscere la presenza di Dio nella propria storia. A dare un nome a quella ricerca di bene che sembra venire dalle viscere di questa umanità indurita: a volte nel silenzio dell'incavo di roccia che geme gocce di purissima acqua da piccole polle nascoste, a volte con il canto argentino del getto prorompente di un fontanile. La fede non è quindi, prima di tutto, una coperta in cui avvolgermi per porre riparo ai venti freddi della solitudine e dell'esperienza del fallimento nella vita di tutti i giorni. Non è, prima di tutto, un gioiello di famiglia da custodire al riparo da occhi indiscreti, all'interno di un armadio piuttosto che dentro una pentola in cucina, raramente usata. E' olio con cui alimentare la lampada di una ricerca incessante da parte di coloro che si fidano e si affidano all'amore di Dio che coinvolge ogni creatura, sia che l'umanità dorma avvolta nella sufficienza di sé, sia che vegli nella tensione di nodi cruciali della sua storia. Una chiesa di credenti è quindi luogo d'incontro di uomini e donne sorpresi dal dono della fede, gratificati dall'amore di Dio e, nello stesso tempo sconvolti da questo Dio che sta alla porta e bussa per entrare e rinnovare ogni cosa. A cominciare da relazioni nuove in cui diventar cibo gli uni degli altri per alimentare la vita che ci rende vivi.
Lungi dal brandire la fede come una spada affilata da verità incontrovertibili, la chiesa dovrebbe, a sua volta, nutrire l'umanità di fiducia, aiutandola a dare un nome non solo alle sue paure, ma anche ai suoi desideri e ai suoi sogni, al suo bisogno incessante di capire e rendersi conto delle capacità di orientare la propria storia verso destini di signoria dell'universo.

In questo numero
Propongo una riflessione di Arturo Paoli (tratta da Oreundici) che affronta il tema della ricerca della felicità da parte degli umani. E in questa ricerca appaiono inscindibili il bene individuale e il bene collettivo. Per cui "trovare se stessi in relazione è vivere con responsabilità le relazioni in modo che l'essere si dispieghi in tutte le dimensioni". Ciò che appare impegno, fatica, dovere, ineludibile necessità è il "terreno" in cui si libera la nostra libertà,
"Viene in mente - prosegue Arturo -l'apologo rabbinico: la colomba si presenta a Dio e prima lo ringrazia perché l'ha fatta simbolo di pace, poi si lamenta: <le mie gambe sono corte e deboli e il gatto mi raggiunge facilmente e mi uccido. Allora Dio le mette le ali, ma poco dopo la colomba torna a lamentarsi di star peggio di prima perché le ali hanno reso il corpo più pesante e la corsa è più impacciata di prima. Ma Dio sorride: <Ti ho dato le ali per volare e non per fartene un peso da portaro. Questo è un apologo della legge, ma potrebbe dirci che noi dobbiamo vivere con pienezza e con verità tutte le relazioni". "L'uomo Gesù - conclude - entra in un mondo religioso fra esseri che portano le ali chiuse e afflosciate sul dorso, camminando lentamente uno accanto all'altro, urtandosi infastiditi, non conoscendo il punto cui veramente sono diretti. Raggiungono il tempio che le loro scritture hanno indicato come luogo di incontro con Dio; ma pare che Dio manchi all'appuntamento. E per non annoiarsi cercano di riempire il vuoto con qualcosa che sia soggetta a un cambio come il denaro e così peggiorano la relazione con i propri simili".
Ha certamente allargato le ali di una vitalità sorprendente Giuliana, compagna di lavoro consumata da una condizione di vita sempre più pesantemente invasa dal cancro.
Ho dedicato a lei, colomba dal volo ardito fino a perdersi nei cieli, righe di commozione e di memoria nella speranza che possa ancora nutrire tanta vita e tanta speranza. Con gioia dò notizia dell'uscita di un appassionato piccolo volume "Paso doble per la pace" che raccoglie tre articoli sul tema della pace, scritti da don Sirio per questa testata e intrecciati dal commento di Maria Grazia Galimberti, vissuta a lungo nella sua piccola comunità, per la quale "la cura delle note divenne l'occasione per riprendere un dialogo mai interrotto con lui, insieme a un gioco di rimandi con autori e autrici".
La presenza in libreria di "Paso doble per la pace", dallo scorso settembre, segna l'inizio di una nuova stagione per gli scritti di don Sirio. Uscirà, infatti - in concomitanza con il ventennale della sua morte, a febbraio del 2008, il primo libro scritto da don Sirio nel lontano 1961 e da tempo esaurito. Intitolato "Una zolla di terra", viene ripubblicato per iniziativa della Diocesi di Lucca in una collana delle Dehoniane curata da don Marcello Brunini. Sempre curato da Maria Grazia Galimberti. Non è solo la ri-edizione di una memoria. Si tratta di riprendere contatto con un fuoco ancora acceso, di una ricerca che non si è persa, di una luce che continua a illuminare la volta del cielo sopra di noi. Incontrare Sirio vuol dire riprendere l'avventura tutta umana di incontrare il divino nella vita così come ci viene incontro nel tempo. Non è possibile, ancora oggi, avvicinarlo senza rimanere coinvolti nella sua accoglienza di Dio che traccia con tratti vigorosi e intensi proprio ne "La zolla di terra".
Ma l'anno prossimo particolare attenzione verrà dedicata alla memoria di don Beppe, a dieci anni dalla sua morte.
Venerdì 18 gennaio p.v., ci ritroveremo nell'ampia sala del teatro Jenco, nella Darsena di Viareggio. Saremo sicuramente in molti perché la nostalgia del cuore di Beppe, il suo sorriso, la sua simpatia e la semplicità disarmante del suo modo di venire incontro a tutti, ci porteranno a stringerci insieme - come è già avvenuto altre volte - alla ricerca di motivi di speranza e di fiducia per affrontare la vita oggi. E, come riporto in ultima pagina, questa non sarà la sola occasione di incontrarci per lui e con lui.
Anche Lotta come Amore non si sottrarrà a questo convergere della memoria verso occasioni di vita e cercherò di ritornare - almeno per l'anno prossimo - alla pubblicazione di quattro numeri. Non solo riportando ciò che di più rilevante andremo facendo, ma cercando anche di scavare le radici della storia della Chiesetta perché possa affluire linfa e vita alle ali di ciascuno di noi per poter essere sorpresi dalla leggerezza del volo sostenuto dalle lacrime e dai sorrisi che la vita di ogni giorno suscita.
Infine, questo numero contiene due contributi di vescovi dall'Africa e dall'America Latina. Sono situazioni "altre" rispetto al nostro mondo occidentale, ma ci rimandano un senso di freschezza e di ingenuità consapevole, quella suscitata dal sogno. Nella fiducia che è sempre vero il detto che consegna il sogno al fatto di sognare da soli e al sogno condiviso la capacità sorprendente di dar vita a nuova realtà.

Luigi

La posta di fratel Arturo

Trovare se stessi in relazione è vivere con responsabilità le relazioni in modo che l'essere si dispieghi in tutte le dimensioni, è questo il nostro compito, siamo al mondo per realizzare la parte di creazione in cui si sviluppa la nostra libertà. Viene in mente l'apologo rabbinico: la colomba si presenta a Dio e prima lo ringrazia perché l'ha fatta simbolo di pace, poi si lamenta: "le mie gambe sono corte e deboli e il gatto mi raggiunge facilmente e mi uccide. Allora Dio le mette le ali, ma poco dopo la colomba torna a lamentarsi di star peggio di prima perché le ali hanno reso il corpo più pesante e la corsa è più impacciata di prima. Ma Dio sorride: "Ti ho dato le ali per volare e non per caricarle." Questo è un apologo della legge, ma potrebbe dirci che noi dobbiamo vivere con pienezza e con verità tutte le relazioni. L'uomo Gesù entra in un mondo religioso fra esseri che portano le ali chiuse e afflosciate sul dorso, camminando lentamente uno accanto all'altro, urtandosi infastiditi, non conoscendo il punto cui veramente sono diretti. Raggiungono il tempio che le loro scritture hanno indicato come luogo di incontro con Dio; ma pare che Dio manchi all'appuntamento. E per non annoiarsi cercano di riempire il vuoto con qualcosa che sia soggetta a un cambio come il denaro e così peggiorano la relazione con i propri simili. Il Figlio dell'uomo appare in questo mondo come il Salvatore e il suo metodo è la trasgressione: Salvatore perché trasgressore. La visita violenta al tempio è un simbolo esteriore, al quale i rappresentanti del potere possono facilmente opporre resistenza arrestando il ribelle, ma la trasgressione va oltre, è più radicale. Il tempio non è più la sola e vera casa di Dio, la vera e unica abitazione di Dio è l'uomo. Dio è Spirito e l'uomo deve solo accoglierlo: questa è la sua fondamentale relazione. Non sappiamo bene se l'assalto ai mercanti del tempio sia avvenuto all'inizio della vita pubblica o alla fine, quando ormai era allo scoperto e sapeva bene quale sarebbe stato l'epilogo; tutto fa pensare che la seconda ipotesi sia la più probabile. Il vangelo di Giovanni ci parla di parecchi scontri avvenuti nel tempio, perché la comunità giovannea ha fra i suoi principali oppositori, il personale del tempio. I responsabili principali della condanna a morte del trasgressore sono sempre indicati come i sommi sacerdoti. La trasgressione di Gesù è il risultato dello svolgimento di un programma di liberazione dell'uomo. La schiavitù si presenta a Gesù come l'impedimento a che la persona umana possa raggiungere la sua vita reale cioè dispiegare tutte le sue potenzialità. Gesù non è propriamente un guru perché il suo intento non è esplicitamente religioso, anche se tiene molto a svelare la presenza del Padre; ma dal suo agire appare chiaro che la pienezza della vita, il raggiungimento finale di tutte le potenzialità racchiuse nell'uomo, l'Adamo, è la vera lode di Dio, la vera autentica liturgia, l'espressione visibile del potere creativo di Dio. La gloria di Dio è l'uomo vivente (Sant'Ireneo). Tutti i salmi sono un inno alla vita, che si fa gemito quando la vita è stretta da un cerchio di filo spinato che arresta il suo pieno sviluppo. Gesù cammina e si imbatte continuamente con questa schiavitù rappresentata dalle varie infermità fisiche dell'uomo, dalle possessioni demoniache dell'uomo che Freud definisce pulsioni, dal sesso, la droga, da tutte le inibizioni che portiamo dall'infanzia, e anche da tutti i danni prodotti dall'ambiente e dalla relazione violenta dell'uomo sull'altro uomo.
Il cristianesimo cattolico ha ufficialmente accolto il senso profondo dell'essere Gesù: liberatore dell'uomo e di tutto l'uomo. C'era bisogno di dire tutto l'uomo perché la nostra concezione antropologica dell'uomo, è fondamentalmente dualistica: anima e corpo, spirito e materia; per un ebreo la specificazione è superflua. Questo dualismo ha pesato e pesa tragicamente sul cristianesimo occidentale. Solo qui nell'occidente potevano avvenire le successive divisioni della persona umana: tutte le avventure del corpo separato, quelle filosofiche, economiche, del sesso e ultimamente tecnologiche come la clonazione. E, non meno gravi, le avventure dell'anima, orientate da persone religiose ritenute credibili, verso avventure spirituali che hanno prodotto squilibri di cui ogni essere umano nato e cresciuto in occidente potrebbe produrre prove abbondanti. Sarebbe ora di ricomporre l'uomo, perché senza questa ricomposizione, l'occidente continuerà a produrre modelli sociali deformati. E questo vale per la società politica e la società religiosa. La Chiesa ha una responsabilità maggiore perché, nell'epoca definita modernità, lo Spirito che guida la Chiesa ha mostrato con assoluta chiarezza il modello dell'uomo totale. Da questo modello si poteva avviare un discorso che avrebbe potuto aiutare molti a scoprire la loro dimensione integrale. Il filosofo francese Jacques Maritain, circa mezzo secolo fa, vide chiaramente che il cristianesimo poteva essere un orientamento per raggiungere l'uomo integrale. "Umanesimo integrale" non ebbe fortuna e lo stesso autore ebbe paura del suo contenuto rivoluzionario. Noi oggi siamo qui a chiedere allo Spirito che mandi un soffio di vita su queste ossa perché possano ricomporre l'uomo reale. Il vangelo, come narrazione della vita di Gesù, offre argomenti per pensare questa qualità dell'uomo adulto che interessa pensatori attuali come Bauman e Cacciari: Gesù liberatore di tutto l'uomo perché trasgressore. Per noi che viviamo alla ricerca di uniformità, e usiamo il metodo di sradicare la facoltà critica che è propria dell'uomo adulto e maturo, la parola trasgressione può essere redenta dal suo senso peggiorativo di rivolta, di rifiuto aprioristico di quanto viene proposto. Questa trasgressione conduce al rifiuto di assoggettamento dell'altro a schiavo, come vuole il progetto globalizzazione. Questo progetto vuole cancellare totalmente il senso della polis, dell'agorà come luogo di incontro e di scontro dove si creava l'identità del cittadino. Il modello umano di questa ultima fase del capitalismo selvaggio è quello di spettatore e consumatore che segna la morte dell'umano reale. L'aver privilegiato in Gesù l'attributo di redentore e l'aver affidato ai teologi la discussione su questo titolo, ha portato al risultato di togliere Gesù dalla strada della trasgressione, per farne una vittima, collocandolo nella categoria dei sacrifici di ogni tempo e di ogni religione, pur dichiarando che Gesù ha soppresso i sacrifici. Gesù sarebbe apparso nella storia dell'umanità per versare gocce di sangue e ottenere dal Padre il perdono del peccato. Oggi sono i laici che vogliono riportare Gesù sulla strada, ed è un fatto nuovo di fronte al tentativo assai vecchio e abituale di dichiarare Gesù interamente uomo. E per questo tentativo l'uomo Gesù è stato spesso identificato con un modello ideologico: Gesù socialista, Gesù rivoluzionario, Gesù anarchico.
Oggi Gesù è semplicemente il trasgressore, cioè modello di quell'umano che rifiuta la sofferenza ingiusta che un uomo mette sulle spalle di un essere simile a lui: è il trasgressore delle tradizioni degli antichi create per farsi beffa dell'amore, il trasgressore del culto che serve a ricoprire sotto lo spettacolo della solennità le ingiustizie che uccidono il povero. Gesù dichiara osceno il tempio, nascondiglio di ladri, luogo dove non solo i capitali vengono imbiancati ma addirittura sacralizzati. Ed è per questo che Gesù viene messo in croce, non per mettere nelle mani dei sacerdoti un agnello sgozzato in redenzione dell'uomo peccatore. Gesù vittima innocente ma non inconsapevole, vittima di quel progetto di liberazione dell'uomo che durerà quanto la storia. In Gesù questa trasgressione avvenuta nel tempo è liberata dal tempo e quindi dalla durata delle ideologie, dall'infedeltà dell'uomo, dalla sua fragilità, dalla sua paura di andare fino in fondo. Perché per Gesù queste trasgressioni che avvengono nel tempo, sono episodi di quella persecuzione amorosa del Padre che non può permettere che la crudeltà dell'uomo contro se stesso arrivi a cancellarlo per sempre dalla faccia della terra. Così la trasgressione è allo stesso tempo trascendenza. A noi cristiani credenti è offerta un'opportunità storica gravida di conseguenze, quella di cogliere il senso attuale dell'universalità di Gesù che non può essere solo quello teologico-religioso. Lo hanno dimostrato le convocazioni che Giovanni Paolo II ha rivolto ai capi religiosi del mondo. Se questi avessero intuito di servire alla proclamazione di una verità di fede unica e superiore a tutte le altre credenze, non si sarebbero mossi dalle loro sedi oppure sarebbero accorsi ad Assisi con un'intenzione belligerante: finalmente avremo occasione di dire al Vescovo di Roma che rinunzi a sentirsi il capo religioso dell'umanità e a proclamare una religione unica e universale. Sapevano di essere chiamati per una dichiarazione di pace che è un valore universale e urgentemente necessario. Sarebbe difficile dire se tutti i convenuti, o almeno alcuni di loro, conoscessero e soprattutto accettassero le ragioni o le non ragioni sulle quali il povero predicatore di Nazaret ha collocato le fondamenta della pace. Sono le prerogative che oggi i pensatori che si dichiarano non credenti scoprono dopo la rinunzia degli "uomini superiori" (Cacciari). Cercando una energia che rivitalizzi la società umana per una ripresa storica, si scopre l'anti-potere di cui indiscutibilmente il soggetto unico nella storia è Gesù. Per non parere astratto quando parlo di una ricerca su Gesù da parte di pensatori laici, trovo in Cacciari, anche se in altro contesto, questa traccia della personalità unica del Figlio dell'Uomo di Nazareth: "Ogni techné politiké incontra lo scandalo dell'assolutamente in-politico, una figura che non avanza alcuna pretesa di potere - infinitamente più: che ne mina per sua stessa natura fondamento, rifiutando l'idea stessa di poter essere persuasa, convinta". Per ironia della sorte o per altra ragione da accettare umilmente e silenziosamente questo soggetto dell'antipotere, tanto potente da sfidare l'umanità di tutti i tempi, così stabilito all'ultimo posto che non gli sarà mai tolto, è diventato il centro della religione più razionalizzata dell'umanità. E la sua estrema povertà viene presentata sotto i segni che gli uomini hanno inventato per imporsi sugli altri e fare degli altri delle schiene che si piegano al loro passaggio. Vorrei tornare a una espressione che potrebbe apparire puramente retorica e per me coglie un senso che va oltre quello di una parola caduta quasi per caso nel nostro linguaggio colto. Voglio alludere all'attualità della kenosis, dello svuotamento della persona di Gesù che sceglie l'ultimo posto fino alla morte come schiavo. Perché considerare questa una forza storica più valida oggi di ieri? Perché il potere, l'avversario di oggi non è nella forza della ragione, non è in quella che Cacciari chiama peitarchia, forza della persuasione, ma è nel potere del denaro. Non è mai esistito nella storia un potere tanto rozzo, tanto primitivo come quello della globalizzazione. Contro questo non vale la parola ma solo questo ritirarsi nel nulla, portando in questo nulla la misteriosa forza dell'Essere. Non so se il presidente degli Stati Uniti era cosciente di rappresentare l'uomo della clava, che emerge nel neolitico, quando presentava il suo impero nell'immagine di guerra infinita. Contro questa forza bruta, questo buio a mezzogiorno, vale solo la rinunzia totale, quella non-resistenza poeticamente descritta dal profeta Isaia: Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba: non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto confuso, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare deluso. (Isaia 50, 6-7)
La trasgressione di Gesù che sceglie i poveri e scopre quella povertà risultato della violenza fa luce su un tipo di solidarietà che diventa neccessariamente politica, che è scontro con i poteri, che scalza i poteri dalle fondamenta. Non è una realizzazione storica di utopie o progetti politici pensati da lontano, dal di fuori della storia, ma conseguenza dell'aver assunto la povertà reale, la situazione concreta del povero. Bisognava che avvenisse il silenzio degli "uomini superiori", loro sanno in quale senso ancora cercare, questo sì, nel loro viaggio, i grandi anelanti, gli uomini della grande nausea possono indicarlo. In quale direzione andare cercando chi potrà resistere al planetario dominio dell'ultimo uomo - in ciò consiste la loro debole forza messianica. (Cacciari). Ed è proprio questa ricerca che fa di Gesù di Nazaret il modello universale, la pace infinita, la giustizia infinita. E l'anticristo si rivela come guerra infinita.

fratel Arturo

da www.oreundici.it


Paso doble per la pace

Nello scorso settembre è uscito in libreria per l'editrice Servitium (Bg), "Paso doble per la pace", un interessante e vivace volumetto che contiene tre articoli di don Sirio Politi pubblicati nell'84 su Lotta come Amore e intrecciati da un esteso commento da Maria Grazia Galimberti che con don Sirio ha condiviso la vita facendo parte per molti anni della sua piccola comunità. L'occasione ce la spiega la stessa Maria Grazia: "Nell'estate del 2003 la diocesi di Lucca organizzò un incontro per i giovani sul tema della pace; io ero chiamata come relatrice per presentare il pensiero di Sirio sull'argomento. La preparazione aveva richiesto la lettura di quanto aveva pubblicato nel corso degli anni sul periodico Lotta come Amore, da lui diretto. Tre articoli mi colpirono per la loro bellezza: scritti nel 1984, dalla primavera all'autunno. La pace era trattata in maniera contemplativa, una visione nata dal cuore di Dio, scriveva addirittura che "la pace è Dio". In un tempo in cui la pace è diventata un tema spesso ideologico, usato talvolta con intenti politici, pensai che fosse prezioso pubblicarli. La cura delle note divenne l'occasione per riprendere un dialogo mai interrotto con lui, insieme a un gioco di rimandi con autori e autrici. Nei due anni di lavoro, scrittori, pittori, filosofi, registi di film e sceneggiatori di fumetti sembravano voler partecipare sempre più numerosi alla composizione del quadro d'insieme, donando varietà ai collegamenti" (pagg. 26 e s.). Le affermazioni di don Sirio sulla pace sono fin da subito decise e forti e sono un richiamo vibrante al cuore di ogni essere umano: "Il comandamento è chiarissimo: ama la pace perché la pace è te stesso.
Cioè la vita, la dignità umana, l'uguaglianza, la libertà... Tutto quello che è uomo e donna" (pag. 40). Maria Grazia nota che "La pace comincia ad emergere come il sole all'orizzonte, la via da percorrere per arrivare alla nostra epifania che è l'epifania di Dio" (pag.41) e riprende una citazione di Drewermann che per esprimere il proprio destino usa questa immagine: "Ogni individuo porta dentro di sé un suono che solo lui può esprimere in un canto".
Insieme, la pace è espressione di comunione con tutto l'universo: "Quella pace che è dono di Dio, grazia illuminante dello Spirito, serenità perfetta di anima e carne e sangue nella propria interiorità, intorno a sé e nel rapporto di comunione con ogni essere umano e l'universo intero" (pag. 46). E Maria Grazia ricorda che "in una conferenza sulla felicità tenuta nel 1943, Theilard de Chardin diceva che non basta "sviluppare solo se stessi o darsi, nell'amore, a un altro simile a sé, ma occorre sottomettere e ricondurre la propria vita a un più grande di sé". Perché i tempi sono "dapprima essere, quindi amare. E infine adorare per la felicità di perdersi" (pag. 47). Avviandosi verso la conclusione del primo articolo (Il comandamento della pace), don Sirio, dopo aver affermato che in Gesù Cristo "la pace è semplice, chiarissima essenzialità perché tutto il suo messaggio è fondato, raccolto, ratificato nella pace che nasce dall'incontro fra l'umano e il divino", si interroga sul fatto che mai nella storia del cristianesimo la pace è stata al centro della fede, "nemmeno oggi in cui è decisiva per la sopravvivenza dell'umanità essa figura come argomento di ricerca teologica e pastorale" (pag. 50). E ancora fa da contrappunto la nota di Maria Grazia che riecheggia l'interrogativo nelle parole dell'anziano cantore, voce narrante del film "Il cielo sopra Berlino": "I miei eroi non sono più i guerrieri o i re, ma i fatti di pace. Ancora nessuno è riuscito a cantare un èpos di pace: cosa c'è nella pace che non entusiasma e non si presta al racconto?" (pag. 51). Il secondo articolo si intitola "La teologia della pace" e se nei sottotitoli don Sirio sembra cercare una certa sistematicità, il tema della pace lo riporta subito all'unico canto della sua vita: "Ho sempre pensato che avere le ali - Rivelazione, Magistero, Dogmi -è dolcissima grazia di Dio, ma aprirle e volare nell'azzurro del cielo e inebriarsi d'infinito spazio e di chiarissima luce è dono dell'adorabile rapimento dello Spirito di Dio..." (pag. 60). Ma questo, per "il povero prete dal martello in mano da ormai venticinque anni e con le forze logorate dal camminare gomito a gomito con la gente" (pag. 56) non significa davvero spiritualità disincarnata. Nel giustificare l'affermazione che Dio è pace, è molto chiara l'affermazione che è nel nodo della storia umana che si incontra Dio: "Affermare che la Pace si identifichi con l'Essere di Dio non è strumentalizzazione pacifista o disarmista. E nemmeno un tentativo di liberare Dio, sciogliendolo da ogni alleanza, disinquinando il mistero della divinità da compromessi temporali, impossessamenti terreni e necessità militari. La liberazione di Dio cammina infatti allo stesso passo e sulla medesima strada della faticosa liberazione dell'uomo" (pag. 68). Forse, conclude don Sirio, "una teologia della pace è possibile soltanto lasciandosi illuminare da Dio come se fosse luce del sole. Quella 'luce che illumina ogni uomo che viene nel mondo'" (pag. 88), rendendolo consapevole "che esiste l'Unità in attesa di tradursi nella storia: è compimento che aspetta. 'Io sto alla porta e busso. Se uno mi sente e mi apre, io entrerò e ceneremo insieme, io con lui e lui con me'" (pag. 94). E' nel terzo articolo (Pace. Amore e l'Assoluto), complice forse la sua prolungata permanenza solitaria in un casolare sperduto in Sardegna che don Sirio esprime con forza la sua grande nostalgia di Dio e della pace sentita come terra d'origine: "La pace è come la ricerca, il bisogno di Dio: una insaziabilità che divora, una necessità assoluta e irrinunciabile. Non stanca il non trovare: semmai impazzisce sempre di più per l'impossibilità di arrendersi. Bisogna abbattere le muraglie della prigione, segarne le inferriate e calarsi giù con le lenzuola annodate, per ottenere la libertà di correre e correre a cercare. Perché, è chiaro ormai, cercare è già trovare" (pag. 102).
E questa umanità che cerca, don Sirio la identifica nei santi "sconosciuti e pur vivi, fonte di vita senza che loro stessi lo sappiano, a ottenere che la libertà continui a liberare, la verità a rendere veri, l'Amore a unificare" (pag. 118). Ma non solo: "Accanto ai santi esiste un'altra 'alterità' che ha il merito grande di non permettere che scompaia l'umanità. Sono i poeti, gli artisti, i cantastorie, gli innamorati, i sognatori, gli esploratori, gli utopisti, i pacificatori, gli oppressi, quelli che piangono, che vivono di speranza.
I non arresi, i perseguitati, tutti coloro che non si allineano, che non si vendono e è impossibile comprarli, ricondurli nella norma, gli anarchici, i ribelli, gli eretici, chiunque è libero e liberante..." (idem). "Perché ciò che Dio ha compiuto personalmente nel suo Essere è ancora da compiersi nel tempo. E ciò che più sorprende ed esalta è che questo cammino sarà compiuto 'insieme': Dio e uomo, Dio e umanità, uomo e uomo, popolo e popolo, tempo e tempo... Insieme con me, tra noi, con tutti... Allora è la gloria" (pag. 120).
II libro è introdotto da una articolata biografia di don Sirio. In essa si ritrova l'avventura interiore e la storia vissuta che è - come bene dice Maria Grazia - "la sua opera più preziosa" (pag. 5).
Mi sembra giusto ripetere quello che Maria Grazia scrive soprattutto riguardo allo stile di scrittura di don Sirio: "Quando parla e quando scrive Sirio ama mettere insieme aggettivi e sostantivi contrari o enunciare in rapida successione una serie di brevi frasi tra loro contrapposte... La coabitazione dei contrari lo spingeva a creare degli ossimori: come ripercorrendo continuamente con la parola e la penna - ma anche con il pennello, il martello, il cannello da saldatore, il punteruolo - il cammino che andava svolgendo, dal principio alla fine. Un continuo tessere, un fare ininterrotto, un opus che è stato tutta la sua vita. Un tenere unito l'impossibile: il verticale, Dio e l'uomo, e l'orizzontale, siamo una cosa e l'altra, una cosa e il suo contrario, bene e male uniti" (pagg. 27 e s.). Questo piccolo libro, infatti, impreziosito in copertina dai vivaci colori del murale che orna la parete verso monte della Chiesetta del Porto, precede di pochi mesi l'uscita in ristampa del primo libro di don Sirio "Una zolla di terra" esaurito da tempo immemorabile. Esso quindi apre con bellezza e dignità la strada a quelle pagine di vent'anni prima in cui don Sirio esprime compiutamente il desiderio, la nostalgia, l'incontro con Dio nella danza dell'Amore.

Luigi

Con i fratelli in ricerca dei fratelli

Quando Gesù va a farsi battezzare da Giovanni, è lo Spirito che lo guida. Immerso nell'acqua, confuso con la folla dei peccatori, vive un'esperienza inedita. Poiché Gesù accetta di donarsi totalmente ai suoi fratelli identificandosi con i peccatori, il Padre lo riconosce come suo Figlio. Gesù si vede così collegato con il Padre in modo unico, come nessun altro al mondo. E' investito dal Padre come profeta e sacerdote di un "nuovo patto". Riceve la missione di annunciare a tutti, con le parole e con il suo modo di comportarsi, la forza di questa nuova comunione che, nella sua persona, salderà insieme Dio e gli uomini.
Gesù non vive da solo questa missione poiché appartiene a un "mondo comunitario", sceglie i Dodici perché vivano con lui e condividano la sua missione.
Accompagnato dai Dodici e da qualche donna (Le. 8,1-3), mosso dallo Spirito, Gesù percorre le strade alla ricerca dei fratelli, particolarmente dei più abbandonati. Proclama dovunque che, attraverso la sua persona, è Dio stesso che si fa vicino ad ogni donna e ad ogni uomo: fratello di tutti e specialmente dei poveri e degli esclusi di ogni tipo. Afferma di essere inviato a realizzare gli ultimi tempi annunciati dai profeti. A tutti lancia l'appello alla conversione, tutti devono aprirsi alla realtà nuova della vicinanza di Dio, entrare nella festa di nozze. Più di ogni altro profeta, si pone decisamente dalla parte degli emarginati della società del suo tempo; mangia alla mensa dei peccatori pubblici, fatto però che non gli impedisce d'accettare gli inviti dei farisei. In casa di uno di questi, si lascia toccare da una prostituta. Un'altra volta prende per mano un lebbroso, l'escluso per eccellenza nel mondo di allora. Non dà peso alle barriere e ai tabù posti dagli "uomini d'ordine", che cercano di eliminarlo. Non per questo cessa di smascherare le loro ipocrisie. Il tempio, luogo in cui il popolo di Dio si radunava per rendere il culto a Yahwé e per ritrovarsi come popolo di fratelli e sorelle dell'Alleanza, era diventato un centro commerciale; da spazio di comunione fraterna era diventato un luogo di esclusione. Gesù compie allora un gesto di grande portata religiosa, cacciando i venditori dal tempio. Di fronte allo scandalo provocato dal suo gesto, Gesù parla del "nuovo tempio", che è la sua stessa persona: attraverso il sacrificio del suo corpo e del suo sangue versato per tutti, con la risurrezione diventa il sacerdote della Nuova Alleanza. Gesù inaugura un nuovo sacerdozio a servizio di tutti gli uomini, senza alcuna esclusione. Predica un ordine nuovo, quello dell'amore. Offre la sua vita per manifestare agli uomini il perdono del Padre, per riconciliarli tra loro e condurli verso Dio, suo e nostro Padre. Ai tempi di Gesù, erano in attesa del messia. La pietà popolare lo vedeva come un liberatore politico, che avrebbe ricacciato i romani e fatto d'Israele una nazione potente e dominatrice. Gesù esclude un messianismo di questo tipo. Quando Pietro cerca di sviarlo dalla sua linea messianica, lo rimprovera aspramente. Quando, dopo la moltiplicazione dei pani, lo vogliono prelevare per farlo re, fugge sui monti. Rifiuta costantemente ogni violenza (Mt.5,39-45).
Il nuovo cammino di "convivenza politica" che Gesù ha aperto è quello dell'umile servizio. Chi vuole essere grande, deve farsi servo degli altri, secondo il suo esempio (Me. 10,42-45).
Un giorno, mosso da compassione per la folla che numerosa l'aveva seguito e non aveva di che nutrirsi, trova il modo di aiutarla, chiedendo l'apporto dei suoi discepoli: a partire dai cinque pani e i due pesci - quanto i discepoli erano riusciti a racimolare -suscita un movimento di condivisione, tanto che tutti si cibano a sazietà. Questo nuovo stile di convivenza, che Gesù inizia e vive con i suoi discepoli, non piace però a tutti. E' come un grano di sabbia in un piatto di riso. Per la classe sacerdotale del tempo, per tutti i potenti, questo stile di vita diventa una minaccia al loro potere. Una società giusta e fraterna era nella linea dell'Alleanza, ma quello stile dava fastidio, disturbava. E progettano di farlo tacere, prima che sia troppo tardi.
Sulla croce Gesù vive in pienezza la profezia della nuova convivenza: accetta d'andare fino in fondo nella sua identificazione con gli esclusi, i peccatori, d'essere un crocifisso fra i tanti crocifissi della storia umana. Sulla croce, Gesù adempie radicalmente il sacerdozio della nuova convivenza: consegna la sua vita per recare il perdono di Dio a tutti, anche a quanti sembrano senza cuore, i suoi uccisori: "Padre, perdona loro, non sanno quello che fanno". Quando Gesù "rende lo spirito" avviene la diffusione della forza del suo amore, che si estende a tutti gli uomini; si verifica la vittoria dell'amore sull'odio, la vittoria della colomba sul serpente, si compie la Pasqua; ha inizio la Chiesa, di cui Maria e Giovanni, ai piedi della croce, sono i primi rappresentanti. Gesù è ormai presente per sempre in mezzo ai suoi discepoli. Il Risorto è la Parola di Dio strappata al sepolcro e recata al mondo dagli amici di Gesù. Uniti a lui attraverso il legame dello Spirito, formano una comunità di fratelli e sorelle, chiamata a continuare nel proprio tempo la sua missione d'iniziatore della "nuova convivenza", a partire dall'alleanza prioritaria con il mondo degli esclusi e dei "persi", con i quali si è identificato. Carissimi, attraverso il suo Spirito, Gesù ci fa dono d'essere suoi fratelli e sorelle e ci unisce in un solo Corpo. Ci manda a vivere e ad annunciare la "nuova convivenza" nella nostra Africa assetata di comunione fraterna, ma attualmente in preda a guerre fratricide. Sappiamo che Cristo è dalla parte dei deboli, dei vinti. E' con noi ogni volta che lottiamo per un mondo diverso con le armi dell'amore, perché solo l'Amore avrà l'ultima parola. Che lo Spirito ci faccia artefici di questa "nuova convivenza" là dove viviamo, al cuore stesso del disprezzo, dell'intolleranza, dell'odio. Alla nostra Chiesa di Bondo il Signore ha fatto dono della Fraternità: ci affida una missione. Una società alternativa è alla nostra portata.



Philippe Nikiere Kena
Vescovo di Bondo (Rep. di Centrafrica)

Lettera ai cristiani per farli riflettere sulla novità cristiana nell'Africa attuale.


La politica è morta... viva la politica!

Politica sì? Politica no? E innegabile che le delusioni che la politica sta seminando praticamente in tutti i paesi crea un clima di sfiducia, di disprezzo e di indignazione nei suoi confronti. Scandali di corruzione e nepotismo, falsità nelle promesse elettorali, alleanze spurie, inerzia interessata delle oligarchie nazionali e sottomissione dei politici e dei governi alla macrodittatura del capitalismo neoliberale... È una politica che deve morire. Già ora mondialmente è una politica morta.
Denunciamo questa politica iniqua e rivendichiamo una politica vera. Sono molti gli specialisti che danno il loro contributo alla nostra Agenda ( 1 ) offrendo informazioni e linee di azione, soprattutto nei settori più profanati e dimenticati: politica e diritti umani, diritti della donna, mezzi di comunicazione, movimenti popolari, cultura, religione, economia...
È necessario sognare, camminando. Vogliamo e dobbiamo essere politici, fare politica. Ci autoconvochiamo per entrare, determinati e pieni di speranza, in questa grande mobilitazione verso obbiettivi, di forum, di campagne, di realizzazioni. Volando alto, chiediamo che la politica sia un esercizio di amore, la quotidiana celebrazione di una convivenza veramente umana. Una politica di fratellanza. Un culto quotidiano alla Umanità e il miglior culto al Dio vivente. Vogliamo essere politici e fare politica, senza ambigue neutralità, senza ipocrite equidistanze.
Questa edizione della nostra Agenda vuole aiutare a pensare e ad assumere le proprie responsabilità perché la politica viva, risuscitata, e sia una politica umana e umanizzante.



(1) il testo è tratto dalla quarta pagina di copertina della "Agenda Latinoamericana", edita in Panama, a cura di P. José Maria Vigil. Vedi sito internet: http://latinoamericana. org


Pedro Casaldaliga
Vescovo emerito di Sao Felipe de Araguaya, nell'Amazzonia brasiliana, grande animatore delle "Comunità di Base"


Giuliana Martinelli

Un sabato pomeriggio, colorato di sole ancora caldo di questo bel mese di ottobre, ero a Stiava vicino Viareggio per l'intitolazione del locale Centro di Socializzazione a Giuliana Martinelli. Nata e vissuta a Stiava, nel Comune di Massarosa, educatrice, morta un anno fa dopo un lungo e doloroso calvario, lasciando il marito e una bambina di quattro anni. Mi hanno chiesto un intervento, ma quando ho iniziato a parlare un fiume di ricordi mi ha travolto e sono riuscito solo a balbettare il sogno che quel luogo fosse seminato di rispetto, sincerità accoglienza e incontro. Ho lavorato con Giuliana dal 1999 al 2002, quando entrò in maternità per la sua bambina. Erano anni di crescita della cooperativa per gli inserimenti lavorativi, anni di lavoro duro in cui si alternavano avventure esaltanti e disavventure davvero disastrose. Io ero il boss e Giuliana mi era stata indicata dalla direttrice della cooperativa di assistenza come una educatrice che poteva essere invitata a completare la sua formazione con una esperienza di gestione del personale. C'era un lavoro di coordinamento da iniziare da zero con una squadra di una quindicina di spazzini molto eterogenea e con esperienze lavorative che lasciavano immaginare solo difficoltà. Giuliana accettò l'incarico. Ebbi modo di apprezzare la sua professionalità, in un contesto votato alla confusione. Annotava tutto e rielaborava le note. Lasciava poco al caso, ma la sua partecipazione all'evoluzione dei problemi era sempre calda, mai distaccata. Non è stato facile per nessuno lavorare con me: poche parole, un lasciare intendere più per silenzi che le cose andavano, precise e immediate le disapprovazioni. Sono sempre stato uno "scorfano". Sembrava non soffrire di questo mio carattere. Forse avvertiva (non solo lei, spero) che la fiducia era a tutto tondo. Due logiche diverse le nostre. Da parte mia la preoccupazione della gestione complessiva, della riuscita del lavoro, del contenimento dei costi; da parte sua i lavoratori (uomini e donne), con i loro profili spesso assai problematici, la difficile composizione delle squadre, l'assillo del controllo, l'attenzione alle motivazioni personali e del gruppo. E' con Giuliana che credo di aver vissuto con più chiarezza l'incontro/scontro del maschile e del femminile riguardo al lavoro e alle relazioni che nel lavoro si esprimono. Era anche il tempo in cui in cooperativa e non solo, si poneva attenzione a quelli embrioni di gestione "al femminile" che parevano suggerire modi "altri" che non fossero quelli verticistici e competitivi tipici del modello maschile. Si ragionava, nelle pieghe del lavoro, di quel "rimescolamento delle carte" che il lavoro sociale, connotato dall'aver cura tutto al femminile, poteva introdurre attraverso l'interpretazione al maschile. E di quella contaminazione provocata dall'introduzione nel lavoro sociale di criteri di efficienza, di compatibilità, di obiettivi da raggiungere, tipici del lavoro di produzione. Anni, quelli di fine ed inizio secolo, in cui nel nostro ambiente di lavoro si respirava ancora il fervore tipicamente artigiano dell'impresa in cui investire tutto di sé. Una presunzione di "innocenza" di chi è rivolto al bene, se vogliamo; un atteggiamento del cuore ancora tutto fasciato di fanciullesca onnipotenza e, insieme, i tratti adulti di chi non rinuncia all'idea che lo "star bene" richiede apertura alla condivisione e alla solidarietà. Per Giuliana si è aperta la durissima strada della malattia. Non ci siamo più visti. Non ho difficoltà ad ammettere che il mio rinunciare ad andare a trovarla, nei periodi di remissione, a casa sua sa di vigliaccheria.
Avevo - ma non vuole essere una scusante per ciò che non ammette scuse - l'impressione che ognuno di noi fosse avviato in un percorso in cui la vita, per strade diverse e, ahimé, la sua di vera croce, ci stesse proponendo un confronto in cui le idealità tanto amate dovevano passare al vaglio della carne e del sangue diventando parte viva di noi. Non più nella trasparenza non corrosa dal tempo del pensiero e dello spirito, ma nella opacità feconda della materia vivente affidata alla storia di ogni essere.
Per me, la fatica di un quotidiano che si prolunga in una non-decisione rispetto a dove gettare il cuore oltre. Per lei un andare incontro alla consumazione affinando la capacità di starci tutta in quel corpo esausto e mangiato dal male. Nel mio balbettio, davanti alla piccola folla riunita per ricordare Giuliana, dicevo del "tirare alla fune" tra le nostre rispettive differenze e concludevo che quasi sempre era lei a vincere.
Anche ora ciò che le invidio di tutto cuore è la convinzione di ogni sua cellula che "nulla va perduto della nostra vita, nessun frammento di amore e di bellezza, nessun sacrificio nascosto, nessuna lacrima e nessuna amicizia".

Luigi

"anniversari"

Nel 2008 scadono due importanti anniversari per la Chiesetta del Porto di Viareggio e per la storia dei preti operai: il 19 gennaio saranno dieci anni dalla scomparsa improvvisa di don Beppe e il 19 febbraio ricorre il ventennale della morte di don Sirio, date che noi vorremmo trasformare in occasioni di vita. In onore di Beppe abbiamo pensato di ridare vita agli appuntamenti della "Scuola della Pace" che lui aveva contribuito a creare nella nostra città.
Vorremmo rileggere la sua esistenza di condivisione, vissuta con tanta passione e dedizione, attraverso il filo conduttore di alcune riflessioni svolte dalla filosofa Maria Zambiano: quelle che ripropongono la Pietà come il più gigantesco dei sentimenti, l'unico che sa alimentare il cuore e le viscere (come Beppe ben sapeva fare!....) aiutandoci ad uscire dal vuoto che ci circonda; e quelle che parlano della convivenza, la dimensione che condivide il pane e le rose, concetto bem diverso dalla asettica tolleranza. Nel mese di febbraio verranno presentati due testi di don Sirio: Una zolla di terra, il suo primo libro, ripubblicato dalle Dehoniane di Bologna per iniziativa della Diocesi di Lucca, con prefazione di Luisito Bianchi e Paso doble per la pace, una raccolta di suoi articoli sulla pace a cura di M.G. Galimberti, edito da Servitium. Venerdì 18 gennaio ci incontreremo al teatro Jenco in Darsena per ricordare Beppe e quindi andremo a piedi alla Chiesetta del Porto per inaugurare due grandi pannelli in ceramica, realizzati dai ragazzi del liceo Artistico di Lucca, dedicati alla memoria di don Beppe e di don Sirio.


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