Questo primo numero di Lotta come Amore del 2007 arriverà, spero, nel mese di giugno. Metterlo insieme non è stato facile perché tante sono le sollecitazioni per un tema piuttosto che un altro. E tanti sono i fatti, gli avvenimenti che intersecano la trama delle giornate, da rendere impossibile anche solo darne conto in modo succinto. Per quanto mi riguarda, ho la sensazione, da un po' di tempo, di essere uscito dal lungo passaggio dalla fase di "piena occupazione" al "pensionamento" inteso come uscita dal lavoro (pensione di vecchiaia) e remissione di incarichi parrocchiali. Presa la decisione, un paio d'anni fa, gli atti, da parte mia, sono stati conseguenti. Ma la dismissione dei ruoli mi ha creato più di un problema dovuto ad ansie, timori irragionevoli, incertezze.. Niente di che, era facile metterlo in preventivo, ma insomma una nuova pelle non si riforma così inaspettatamente dall'oggi al domani! Lo vedo bene quando qualcuno mi domanda: "e ora che fai?". Mi sorprendo ancora a tentare di snocciolare le varie situazioni in cui mi sento impegnato, ma poi mi vien da sorridere di me stesso, impegnato in una serie di sbriciolature, a convincermi che sono tra tutte un "compito" serio. E dico semplicemente: "faccio su per giù le cose di prima, solo più lentamente". Questo rallentarsi dei ritmi della vita mi dà come di incontrare la realtà partendo dal di dentro, dall'intimo senso, più che dalla buccia; e cioè dal come e perché accadono le cose nella vita. Esprimo questa sensazione senza saperla neppure nominare. E' ancora presto, ma sento che le vele della mia vita stanno prendendo di nuovo il vento. Con la consapevolezza che "ripartire dalla Chiesetta" e cioè da un "luogo" che è insieme il volto di Sirio e di Beppe e l'intreccio della mia povera storia personale con la loro, costituisce il "bulbo" che sotto la carena degli avvenimenti quotidiani dà stabilità alla mia navigazione. Sempre un po' troppo "a ridosso", vero amici?
In questo numero
Ne "La posta di fratel Arturo", oltre a dar conto dell'indirizzo attuale di Arturo Paoli e i riferimenti per entrare in contatto con lui, sempre attingendo al sito di "Oreundici", ho ripreso un suo articolo di qualche anno fa sull'Eucarestia. "A partire dall'Eucarestia, la Chiesa in riforma", recita lo slogan del percorso pastorale di questi anni nella nostra diocesi di Lucca. Ma perché questo tentativo non abortisca identificando di fatto l'Eucarestia con il rito della messa, occorre un respiro profondo che esprima fiducia in un cammino che, intrecciando la vita con il rito e il rito con la vita, passa da vita a vita nel segno del rinnovamento e della conversione continua alla giustizia e all'amore.
Roberto Fiorini, preteoperaio di Mantova, dal suo eremo fatto di dedizione e assistenza ai suoi severamente impediti, scrive una lettera, pubblicata da "Repubblica" in cui ricorda l'ultima intervista, del monaco camaldolese Benedetto Calati, pubblicata nel 2000.
L'intervistatore, prima di porre una domanda, ricorda a Benedetto la poesia che p. Turoldo gli aveva dedicato nel 70° compleanno:
«Benedetto, monaco dal volto d'argento, fratello mio, tempi malvagi
ci sono toccati in sorte: stagioni
che non accennano a mutare..
Da lungo sono spenti i candelabri,
il baluginio delle lampade all'altare
ancora più agita le ombre per tutto il tempio: è notte, fratello!
Una grande notte incombe sulla Chiesa.
Il concilio, uno scialo di speranze.
Sempre più rara, dovunque, la Parola
mentre di inutili parole,
a ondate, rimbomba il mondo».
"Viviamo ancora, padre Benedetto,
la notte della chiesa"?
E Benedetto così risponde :"Ma, la notte di per sé non c'è mai per la chiesa, se crediamo che essa sia la testimonianza della Pasqua di Gesù, vero Dio e vero uomo. Purtroppo ci sono le notti della istituzione. E questa è una notte dell'istituzione, dovuta all'affossamento del Concilio Vaticano secondo".
Giustizia e amore sembrano quindi caratteristiche che non si ritrovano nell'agire della Chiesa oggi. Perché la Chiesa è più preoccupata di se stessa e della propria "sopravvivenza". A somiglianza di tante aziende pubbliche laiche, la struttura ecclesiastica finisce per
"consumare" i due terzi dell'energia che mette in campo per mantenersi in vita e restituisce come servizio solo un residuo. Un residuo di giustizia e un residuo di amore. Lo mette in evidenza don Angelo Casati, uomo di Dio in Milano, commentando il caso Welby: "Come fare perché in avvenire la porta non sia chiusa, sorda, inaccessibile? Ascoltando il popolo di Dio, che, in una occasione come questa, mi è parso più avanti, e non per relativismo, ma per fedeltà al vangelo. Ho visto tracce di sofferenza nei credenti, l'ho percepita negli occhi sgomenti di tanti, l'ho letta in messaggi tristi che mi sono stati indirizzati. Ascoltando il popolo di Dio e il magistero dello Spirito che lo abita. Che abita i piccoli in modo particolare. E alla mente mi corre il volto di un bambino che in una delle sere che vegliavano il Natale al papà e alla mamma disse: "Sì, mettiamo anche Welby nel nostro presepio!". I bambini mille anni luce in anticipo su spazi di chiesa - non tutta per grazia! - in ritardo, in ritardo di misericordia.
Come fare perché in avvenire la porta non sia chiusa, sorda, inaccessibile? Frequentando, abitando le case di questa umanità. Penso con commozione a chi si è fatto compagno di viaggio per anni di un uomo di cui tanti di noi hanno conosciuto il volto solo attraverso il mezzo televisivo. E come se ne sarebbe potuto parlare se non avendo in qualche misura
tentato di entrare nel suo mondo interiore, oltre il confine di quegli occhi che erano lago di sentimenti e di pensieri, di sofferenze e di drammi? Che cosa puoi dire se non hai abitato? Dio - ce lo ha ricordato il Natale, se lo abbiamo celebrato in verità - si è fatto carne. Non sta nelle parole senza carne, nelle parole di coloro che predicano, ad occhi asciutti dai palazzi, senza aver abitato la tenda di carne di questa umanità. Parliamo, o forse meglio sogniamo una chiesa madre. Ma come potremmo dimenticare che madre dice grembo e grembo dice calore? Offri a Dio e all'umanità il calore di un grembo. Dio, se non c'è questo calore, se non c'è questo essere grembo, se ne va. Lontano. Perché Dio è lui stesso - e ce lo ricorda la Bibbia - grembo. Lui ha viscere di maternità e di misericordia. E se la chiesa anela a rispecchiarlo deve essere chiesa-grembo, dunque madre e non matrigna. Come fare perché in avvenire la porta non sia chiusa, sorda, inaccessibile? Esplorando i territori dell'altro, rifuggendo da ogni pregiudizio, dalla pretesa di tutto sapere. In una intervista che ha suscitato clamore, alcuni mesi fa, il Card. Martini parlava di zone grigie che attendono di essere esplorate e interrogate con onestà intellettuale. Diceva: "Là dove per il progresso della scienza e della tecnica si creano zone di frontiera o zone grigie, dove non è subito evidente quale sia il vero bene dell'uomo e della donna, sia di questo singolo sia dell'umanità intera, è buona regola astenersi anzitutto dal giudicare frettolosamente e poi discutere con serenità, così da non creare inutili divisioni".
Le porte si chiudono, quando la verità e la sincerità della ricerca sono appannaggio di alcuni e il mondo dell'altro a priori è paese di falsità e mistificazioni: il caso è chiuso, la porta è chiusa.
Come non capire che stiamo entrando in territori inesplorati, dove non è consentita alcuna spavalda presunzione, dove tutti, credenti e non credenti, siamo chiamati a chinarci non su parole o su tesi, ma su creature vive e pensanti? Ci è negata, dalla coscienza e da Dio, ogni sorta di rozzezza dell'intelligenza e dello spirito. E l'accesso non è per gli addetti ai lavori, è per coloro che nei drammi dell'umanità non si permetterebbero mai di entrare se non in punta di piedi, rispettosi come sono della sacralità intangibile di ogni coscienza."
In un mondo ancora così tanto terribilmente ingiusto da far apparire i vittimismi di una cultura che riduce la carne e il sangue a valori etici in sé, l'eterno tentativo di togliere il moscerino dall'occhio dell'altro senza nessuna attenzione alla trave nel proprio. Come scrive Roberto Fiorini nella stessa lettera ricordando che il Vangelo ci avverte: "filtrate il moscerino e ingoiate il cammello" (Mt. 23,25). Il moscerino corrisponde ai "DICO", il cammello evoca il rapporto dell'ONU del dicembre scorso secondo il quale "quasi metà delle ricchezze del mondo sono in mano all'1%. Il 50% della popolazione mondiale ha meno dell'1%". Dietro ai numeri c'è la sofferenza, l'agonia e la morte di milioni di esseri umani. Il "diritto naturale" alla vita viene quotidianamente infranto. Se per i "DICO" la protesta ecclesiastica, con tutti i media a disposizione, supera i 120 decibel, di quanto dovrebbe alzarsi la voce in difesa del 50% della popolazione mondiale? E dov'è questa voce?".
Dove la voce materna della Chiesa, grembo caldo di umanità?
Cerchiamo di non chiudere la porta del cuore.
Luigi
Arturo Paoli, dall'11 dicembre scorso, si è trasferito presso la casa "Beato Charles de Foucault" a san Martino in Vignale (Lucca). Ecco la lettera che ha rivolto a tutti gli amici.
Cari amici,
verso l'inizio del mese di dicembre spero che la mia "tenda" sia la casa annessa alla chiesa di "S. Martino in Vignale" nei dintorni di Lucca che sarà detta "casa" beato Carlo de Foucauld. Questa insegna vi apre al ricordo di Spello. Di fatto penso a questo progetto voluto dal nostro Arcivescovo Italo Castellani, sul modello di Spello, di cui vorrei continuare lo stile. Casa di spiritualità non vuol dire casa di orazione, anche se vi saranno spazi di orazione e una liturgia domenicale che considero al centro della settimana; spiritualità vuole essere un riferimento chiaro a quel "soffio" (ànemos) che Paolo raccomanda ai cristiani come il centro dell'esistenza. Non rendete triste lo Spirito Santo (Ef. 4,30). Non spengete lo Spirito (1Tess. 5,19). Queste esortazioni dell'apostolo mi indicano chiaramente lo statuto e il senso della casa: scoprire il soffio nella nostra esistenza - liberare il soffio - nutrire il soffio. La casa di S. Martino non invita solo i credenti definiti dalle parole della lettera ai Romani come figli di Dio consapevoli che si lasciano guidare dallo Spirito (Rm. 8,5) ma è aperta a quelli che avvertono l'esistenza e l'importanza del soffio con disagio e forse con angoscia. E questi sono individui, piccole comunità, giovani disorientati in questa società chiassosa e confusa. La casa sarà un "laboratorio dello Spirito" e per questo c'è bisogno di silenzio e di preghiera. I non invitati sono solo coloro che cercano un angolo per le chiacchiere da caffè. Da Spello porto la tradizione di giornate distribuite tra lavoro - preghiera - contemplazione - dialogo. E anche l'assenza di un personale di servizio permanente. I vari compiti vengono distribuiti tra gli ospiti della casa. Il tempo di permanenza viene fissato secondo i bisogni dell'ospite. La notizia di questo progetto vi porrà molte domande, fra cui: perché Lucca? Quale il futuro della casa, considerando il breve tratto di vita che resta ad Arturo? Voltandomi indietro trovo con molta gioia che le svolte della mia vita sono state sempre guidate da Colui che chiamo L'Amico e la sua voce costantemente mi avvisa - obbedisci, poi capirai. E dall'amara partenza per l'esilio sulle navi nel 1953 ad oggi, non ho da pentirmi di alcuna di queste scelte.
I dettagli di questo ritorno a Lucca, sono così luminosi ed intimi che li affido al giornale dell'anima.
PER CONTATTI:
Casa "Beato Charles de Foucault"
via della Pieve di S.Stefano, N° 3771
55100 S. Martino in Vignale (Lucca)
telefono/fax/segreteria telefonica: 0583394475
e-mail: luciomalanca@tin.it; patolomei@tin.it
Fratel Arturo celebra la Messa nella Chiesa di San Martino in Vignale la domenica alle ore 11.15 e il giovedì alle ore 20.30.
Eucaristia mistero del mondo
Non posso pensare all'Eucarestia se non pensando all'umanità che deve accoglierla
Penso all'Eucarestia come mistero del mondo, non partendo da trattati teologici nei quali si trovano delle contemplazioni piene di luce. Qualcosa è tramontato definitivamente, l'impianto su cui è stato posto il mistero della fede e cioè la concezione dell'uomo come individua substantia rationalis naturae. Questo non ha fatto perdere di vista la risposta al perché dell'Eucarestia e cioè una umanità riconciliata e fatta "corpo mistico di Cristo", ma non ha impedito la privatizzazione dell'Eucarestia tanto da farne oggetto di un devozionismo individuale fino alle forme più estreme, di andare a "mangiare l'ostia" come un rimedio che infallibilmente salva. Invece Paolo parlava di Gesù centro dell'universo, centro della storia, il nuovo Adamo da cui discende un'umanità nuova. La meschinità di certe messe quotidiane, e delle celebrazioni ordinate a pagamento per anticipare l'uscita dal purgatorio dell'anima separatasi dalla famiglia, ha collocato il simbolo fra gli atti ordinari della giornata.
Quando ritrovai Paolo nell'impianto scientifico di Teilhard de Chardin la mia devozione a Cristo è cambiata. Sono diventato più buono? Meno peccatore? Non so perché ho perso l'abitudine di guardarmi troppo dentro, di pensare a "farmi santo" secondo il ritornello che tornava sempre fuori nelle riunioni bigotte e che ha cessato di essere la méta da raggiungere. Ho capito che la frase scandalosa di Gesù che invita a "perdere l'anima" per seguirlo è di una verità assoluta. Per Gesù anima e vita non sono come per noi due concetti distinti, ma è una sola realtà. E veramente l'esperienza della sequela ci fa scoprire questo passaggio perché nella visione cosmica del progetto del nuovo Adamo, la preoccupazione per il "tuo personale" futuro, al di qua e al di là della morte, è cancellata per sempre. Non si tratta di discutere su quello che è stato scritto da S. Tommaso in poi sull'Eucarestia, su quello che la Chiesa nei suoi atti ufficiali ha definito del mistero eucaristico. Penso che ogni generazione di credenti che riceve oltre la parola del Maestro, il dono della sua vita da accogliere e da assumere, deve prima di tutto coglierne il senso. E' un fatto così insolito, che uno ci inviti con parole mai ascoltate dalla bocca d'uomo. Tutti coloro che hanno saputo di questo fatto, ne sono rimasti sconvolti. Ad ogni generazione Gesù ha motivo di rivolgere questa domanda: "Anche voi ve ne volete andare?".Perché Gesù capisce che la risposta più logica a questa sua uscita "prendete e mangiate, questo è il mio corpo" è quella di allontanarsi discretamente e rispettosamente, perché non ci si aspettava che questa persona che aveva detto delle cose tanto serie, e aveva dato degli orientamenti di vita così saggi, pronunciasse delle parole così insolite e diciamo pure, ripugnanti.
Io sono partito da lì, dopo quattordici anni di celebrazioni quotidiane dell'Eucarestia, vissute credo con devozione e con fede. Mi trovavo solo nel deserto con una comunità che aveva scelto, a imitazione di Charles de Foucauld, l'Eucarestia come unico riferimento religioso. Avevo letto molti libri per confortare e illuminare la mia fede. E ora ero di nuovo al principio, tra il pubblico della sinagoga il cui racconto ci è stato trasmesso nel capitolo sesto di Giovanni. Se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Mi trovavo in condizioni simili a quella vissuta da fratel Charles di Gesù. Anch'io come lui con il simbolo eucaristico come unico argomento della mia fede e contenuto unico della mia spiritualità. Anch'io come fratel Charles attratto e allo stesso tempo allontanato da frequenti e lunghi digiuni eucaristici. Mi sono trovato tante volte sulla porta d'uscita della sinagoga: questo discorso è troppo duro. All'epilogo del cammino considero una grazia l'aver vissuto la mia lunga vita, non posso dire fra le fede e il dubbio, non sarebbero le parole vere, ma fra il bisogno di capire il discorso di Gesù e la gioia di scoprirlo, e poco dopo, sentire che c'è altro da capire, che non puoi fermarti. In conclusione mi accorgo che il vero senso della mia vita spirituale, la sua unità è stato un cercare di capire -raggiungere una intuizione tranquillizzante - perderla, trovando troppo parziale e incompleta la scoperta e riprendere il cammino di ricerca. Forse è stato il mio oscuro itinerario di amore. Vivere con responsabilità e onestà la mia relazione con il Maestro Gesù pensando che ogni sua parola è verità. Tutte le sue parole. "Alzati e cammina". "Questo è il mio corpo e questo è il mio sangue".
Per capire l'Eucarestia secondo me non bisogna partire dal capitolo sei di Giovanni, ma dal terzo di Matteo: la presentazione di Gesù all'umanità: "Questi è il mio Figlio diletto nel quale ho posto la mia compiacenza" (Mt 3, 17). Questa comunicazione di Dio agli uomini della identità di Gesù rappresenta la decisione di Dio, che è per la sua stessa essenza creatore, donatore, sorgente di vita, di portare avanti il suo progetto creazionale. Per parlare un linguaggio più vicino all'uomo d'oggi, l'energia di vita continua a espandersi sulla terra e trova il suo centro di azione nella persona umana che deve collaborare con essa per arrivare ad essere quel figlio, quell'essere pieno che è la realizzazione compiuta e portata a termine del progetto. Tutte le creature dell'universo sono coinvolte in questo progetto creatore, in questo trascendersi progressivo verso una méta, e in un certo senso sono coinvolte in questo processo di crescita aprendosi e accogliendo sempre di più la vita: "La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio" (Rm 8, 19-20). Per ottenere che l'uomo collabori liberamente a questo processo creazionale, che significa accogliere vita, l'uomo deve essere liberato dagli incagli, dai peccati. Dal grande peccato che è l'origine di tutti i peccati, l'amore di sé, l'io come centro. Penso ai cammelli del deserto che passano pomeriggi interi per il rifornimento dell'acqua. E li vedo alzare la testa, guardare per lungo tempo la distesa del deserto, e poi tornare lentamente a bere. Nella mia preghiera mattutina torno spesso a questo ricordo, perché la mia preghiera è accogliere la vita, bere lentamente questa acqua che zampilla per la vita eterna, che è simbolo della vita eterna.
Voglio riportare una lunga citazione tolta dal libro: "Chi è l'uomo" di A. J. Heschel. "Forse la tragedia dell'uomo moderno è dovuta al fatto che egli ha dimenticato di domandarsi: chi è l'uomo? L'incapacità di trovare la propria identità, di sapere che cosa è l'autentica esistenza umana, lo spinge ad assumere una falsa identità e fingere di essere ciò che è incapace di essere e di non riuscire ad accettare ciò che si trova nella vera radice del suo essere. L'ignoranza riguardo all'uomo non è mancanza di conoscenza, ma una conoscenza errata". E questo è avvenuto anche se noi europei a partire da Socrate abbiamo predicato nei templi del sapere e in quelli della preghiera: "Conosci te stesso". Non è esatto dire che l'uomo abbia poi lasciato di interrogarsi sulla sua identità, ma si è separato dal progetto di Dio "non è bene che l'uomo sia solo". Tutto il percorso filosofico dell'occidente "cristiano" è la storia della ricerca di identità. Questo io umano ha cercato la sua identità volendo rompere la sua dipendenza e tutto questo percorso è segnato da una meta da raggiungere disobbedendo: è bene che l'uomo (l'io) sia solo. Dio ha pensato che mettere sulla terra questo io solo c'era da attendersi dei disastri. Ne vogliamo di più di quelli che sono avvenuti nel secolo passato? E i fuochi sono tutt'altro che spenti. Anche la Parola umile, semplice, chiara inculturata nell'occidente si è spesso rivestita di violenza autorizzata da questo io solitario - io verità . E' vero che Gesù ha detto io sono verità, che vuol dire io coincido con la verità, la mia esistenza è nella verità, anzi è la sola verità dell'essere umano. Gesù è definito come l'uomo-per gli altri. E non un io che vuole fagocitare, distruggere il non-io che è il mio avversario: non dare morte all'altro, ma la vera identità dell'io è essere per l'altro.
Oggi siamo entrati, o meglio stiamo entrando in un altro percorso filosofico. Chiusa al traffico la strada seguita finora che siano credenti o non credenti: vietato l'ingresso. Se la chiesa ufficiale non capisce questo e pretende addirittura ripescare la ratio del medioevo, fra una decina di anni apparirà uno dei segni di violenza dell'occidente cristiano che è stato centro di violenza per tutta l'umanità. Sarebbe addirittura ridicolo e prova di debolezza mentale, non tenere in conto quanto di arte, di bellezza, di valori umani l'occidente ha donato al mondo, quanti segni della tenerezza di Dio la chiesa ha offerto all'umanità. Ma Hitler, Stalin, l'Olocausto, il progetto-globalizzazione che sta in piedi solo sulla fame e la morte di milioni esseri umani? L'occidente cristiano al comando di questi stermini. E' l'io proiettato fuori e al di sopra dei singoli esseri umani, che crea idoli i quali vogliono essere obbediti, e il loro obiettivo è eliminare l'altro.
Non posso pensare all'Eucarestia se non pensando all'umanità che deve accoglierla e vedere le condizioni per questa accoglienza. Credo che quella fondamentale sia il bisogno, la fame, perché l'Eucarestia è accompagnata dalle parole "prendete e mangiate". L'io autosufficiente e assoluto non ne ha bisogno. Ed questa la vera tragedia dell'occidente cristiano. Mi sono sentito sempre uno dei settantadue discepoli inviati da Gesù ad annunziare la pace e per questo so che devo essere verità pace. Dopo la morte della filosofia, annunciata da Lévinas come la vera novità dell'epoca attuale, ascolto con gioia i primi vagiti dell'altro uomo che sarà quello della fame, del bisogno dell'altro e quello solo potrà veramente capire il "prendete e mangiate". Non ho più il tempo di leggere in diretta i grandi pensatori come Husserl altri e mi metto umilmente fra i discepoli di maestri che ci offrono in forma scolastica questo nuovo pensiero che mi entusiasma. Per questo le mie citazioni non sono corredate come quelle di un ricercatore sistematico. Di questo ne parlo con Gesù che voglio annunziare proprio nel suo gesto finale: "prendete e mangiate".
Fuori da questa visione realistica vedo l'Eucarestia spesso profanata non volontariamente. Confesso che celebro l'Eucarestia con la comunità che trovo e lo faccio con coscienza sempre più ferita quanto più diviene cosciente. Il momento in cui m'invade la gioia è quello dell'omelia. Il ripartire la Parola è l'annunzio che la tenerezza di Dio è scesa per sempre fra noi e per noi e la sentiamo come gioia profonda quanto più la compartiamo. Alla fine della vita Gesù ci ha detto: "Amatevi come io vi ho amato" e non amatemi, ma amatevi. La tenerezza di Dio è come acqua di sorgente, non torna indietro. Sgorga sempre più abbondante quanto più numerosi sono quelli che vengono a calmare la loro sete. Il momento che direi problematico per me è quello della distribuzione di quei dischetti leggeri che devo proteggere da correnti di vento, che devo affidare con la formula "corpo di Cristo". Mi tornano in mente i versetti di Tommaso, poeta dell'Eucarestia: "sumunt boni, sumunt mali", la accolgono i buoni e i cattivi, per gli uni è vita e per gli altri è morte. Non mi preoccupano i cattivi che forse (per lo meno alcuni), colpiti dalla Parola e illuminati, potranno appropriasi delle parole che tutti, dal celebrante all'ultimo di coloro che assistono, devono dire: Signore, non sono degno. I cattivi possono fare di queste parole il pianto dell'anima. Ma mi invade la tristezza pensando che i più sono gli indifferenti, gli habitués. E lì come servitore della Chiesa, sento in me un conflitto mai risolto. La chiesa ha messo dei divieti spesso poco comprensibili, e poi ha fatto tanto estensivo e facile l'uso dell'Eucarestia che è usata spesso, troppo spesso, come un calmante delle cefalee. Mi sento meno in conflitto quando distribuisco l'Eucarestia ai poveri del Brasile fra cui alcuni restano seduti, non si alzano a ricevere il Corpo del Signore. So che i poveri non sono del tutto i buoni di Tommaso, ma sono certamente i più vicini al senso dell'Eucarestia "memoriale mortis Domini", ricordo della morte sulla croce. So che io come celebrante sono tanto indegno quanto i miei fratelli dell'assemblea, ma forse ho maggiore coscienza di quello che voleva dire Gesù a noi, all'umanità - prendete e mangiate. Mettete la tenerezza di Dio nella vostra storia troppo piena del sangue dei vostri fratricidi, ininterrotti da Caino in poi, perché diventi storia di fraternità.
Arturo Paoli
Le citazioni sono tratte da:
1. A. J. Heschel "Chi è l'uomo", Milano 1971
2. Emilio Baccarini "La soggettività dialogica", Roma 2002
3. Carmine Di Sante "L'io ospitale", Lavoro 2001
Il dialogo per noi cristiani non è "parlo io e parli tu", botta e risposta, non è una lotta a parole, a discorsi, a dottrina, a conferenza, a pagine di riviste e a pile di libri. Il nostro dialogo è un rapporto di Amore che parte da noi come offerta, a cuore aperto, con la sola sicurezza che è Amore, comunque venga accolto, e questo ci basta perché sappiamo bene che noi nel mondo dobbiamo essere "il sole del Padre celeste che splende sul campo del buono e del cattivo, la Sua pioggia fecondatrice che scende sul campo del giusto e dell'empio".
Ogni altro dialogo non lo sentiamo il dialogo cristiano con il mondo.
(don Sirio Politi, La Voce dei Poveri, n° 6/1965 pag. 1)
Una mattina, tornando dalla quotidiana passeggiata, dalla pineta in spiaggia, con il cane, ho avvertito uno strano silenzio per essere una giornata di lavoro. Di solito a quell'ora cantieri e officine sono in movimento e il traffico si infittisce di mezzi di trasporto per le prime consegne di materiali e semilavorati. Sul ponticello che mi porta a casa ho incrociato due uomini con uno striscione ripiegato e ho chiesto loro "Ma che succede?". Uno di questi mi è venuto incontro attraversando la strada e mi ha dato un volantino senza dire una parola. Ho letto: "Joubert è morto".
Da alcuni giorni questo sudafricano di 23 anni era in coma irreversibile all'ospedale di Pisa dopo una rovinosa caduta dal ponteggio che fasciava lo yacht su cui era imbarcato, portato in banchina per una revisione.
Erano vent'anni che in tutta la Darsena di Viareggio non moriva qualcuno sul lavoro.
E la Darsena si era fermata tutta, come non accade nemmeno in occasione degli scioperi generali.
Sono andato incontro al corteo dei manifestanti partito dal Municipio. L'ho lasciato sfilare ed era palpabile la commozione, la partecipazione davvero non formale, quel parlare a bassa voce che si assume quasi senza accorgercene quando si sente di rasentare l'indicibile.
Eravamo veramente tanti.
Mi sono reso conto di come è cambiato il volto operaio della città. Alcuni "vecchi", da tempo in prima linea per le battaglie per un lavoro dignitoso e giusto, ma soprattutto giovani. Bianchi, olivastri, neri. Un piccolo condensato di quel "villaggio globale" che sta diventando questo nostro mondo.
Siamo arrivati a poche decine di metri dal luogo dove Joubert è caduto e hanno fatto proseguire solo il sindaco, l'assessore alle attività portuali e due delegati sindacali che hanno portato un mazzo di fiori. Sarei andato anch'io e mi avrebbero fatto passare sicuramente. Sono conosciuto, e poi un prete ha il suo ruolo quando si tratta di morte. Ma sono rimasto con gli altri, nel silenzio rotto solo da un applauso al momento in cui il mazzo di fiori è stato deposto. E lì, in mezzo ai compagni, sentendomi ancora parte di loro, ho pregato in cuor mio perché questo stillicidio di croci sul lavoro finisse una buona volta. Perché ci fosse almeno una tregua in questo eterno sfruttamento dell'uomo sull'uomo. E pregavo anche per la Chiesa, assente, sorda, impegnata solo a far valere i propri diritti, impaurita da ogni confronto sullo stesso piano, capace solo di salire in cattedra, cieca alla dimensione umana della vita. La Chiesa nata dall'acqua, dal pane e dal vino e così assurdamente lontana dalla materia per predicare una interiorità astratta segnata da tanta disumanità..
Poi il sindaco ha avuto parole forti e giuste per allontanare ogni ricorso alla fatalità e cercare risposte concrete alle domande di sicurezza sul lavoro. E così i delegati sindacali che hanno riproposto la durezza di un percorso di riconversione dell'area dalle barche da trasporto in ferro alla nautica da diporto, il silenzio dei media locali sulle condizioni precarie di lavoro più volte denunciate.
E, nel venir via a malincuore da quel "cuore" caldo e appassionato di gente che reagisce e "canta" il lamento della lotta e della solidarietà, ripensavo a quanto mi aveva detto un amico tempo addietro, Queste barche da sogno vengono realizzate per persone "rampanti" e - diceva l'amico - quando a gente veramente ricca gli viene la voglia della "barca" e vanno nei cantieri americani o nord-europei, questi mettono quattro, cinque anni a realizzarla con tutte le regole. A Viareggio, in due anni è pronta. Allora vengono qui. E qui, non c'è una vera ricetta sul come far presto se non saltando le regole, comprese quelle della sicurezza. Il lavoro arriva, la città si fa bella, ma qualcuno deve pagare. Con la vita, a 23 anni.
Luigi
A Viareggio c'è una generazione cresciuta a cinema centrale e pizza da mané. E "il pidocchino" - nome comune di sala cinematografica popolare, di solito lunga e stretta - è, dagli anni del dopoguerra, uno dei luoghi familiari della città che siamo abituati a considerare inamovibili, come i monumenti nelle piazze in cui si giocava da ragazzi. Un gestore, oculato e attento, ne ha fatto una sala conosciuta oltre provincia per una programmazione di qualità, attraverso un circuito di distribuzione che propone titoli che non appaiono nel cartellone delle grandi sale, riservati a un pubblico di appassionati.
Ma - c'è sempre un "ma", anche nelle favole più belle! - la proprietà dell'immobile è di una parrocchia. Questa, retta da religiosi, ha dietro la chiesa parrocchiale il convento. E, ancora dietro, una piccola chiesa, ormai "sconsacrata" con poche stanze.
Oltre dieci anni fa la parrocchia inizia un procedimento di sfratto per il gestore del cinema. Il progetto è di vendere l'immobile e con il ricavato ristrutturare la chiesetta e le stanze annesse in modo da farne locali per la catechesi e le attività culturali e ricreative.
Il procedimento di sfratto segue il suo corso, lungo e tortuoso, tra rinvii, eccezioni e lungaggini burocratiche. Diventa infine esecutivo.
A fronte dell'imminente chiusura del cinema, viene promosso un comitato popolare che raccoglie firme per una petizione all'amministrazione comunale perché non vada perso un punto di aggregazione e di cultura della città.
Il comitato agita la stampa, la parrocchia preferisce affidarsi a uno scarno comunicato. Non c'è più il progetto di alienare il cinema, ma di realizzare una ristrutturazione dell'immobile, restringendo la sala del cinema per circa 150 posti dei 300 attuali, e ricavando locali da vendere/affittare per ripagare le spese. Il parroco, con convinzione, proclama: tutto continuerà come prima. Il cinema sarà gestito dalla parrocchia con uguale impegno e spessore culturale. Ma non spiega come.
La tensione cresce. Un primo tentativo di eseguire lo sfratto finisce con una proroga "ultimativa" fino al 31 maggio di quest'anno.
Comitato e parrocchia non si parlano. C'è sfiducia e diffidenza reciproca. L'accenno di una mediazione di un inviato del vescovo di Lucca abortisce presto. La parrocchia vuole a tutti i costi il suo cinema. Nei confronti di un comitato "di sinistra", la parrocchia si esprime, in una assemblea, attraverso le voci della "destra". La spaccatura è irrecuperabile.
Una vicenda amara, significativa di un clima più generale in cui la Chiesa cattolica, non solo nelle sue componenti di vertice, esprime tutta la sua difficoltà ad accettare di vivere una condizione in cui stima e rispetto non sono più garantiti da privilegi indiscutibili, ma si devono guadagnare attraverso atteggiamenti coerenti con la propria ragione d'essere.
Con tutto questo la parrocchia continua ad affidarsi a comunicati stampa che ripetono la stessa assicurazione che il cinema continuerà a svolgere la sua funzione di socialità e cultura.. ma allora, non si poteva lasciar tutto com'era?
Potrà pure continuare anche meglio di prima il cinema, ma nel frattempo non si è forse perso qualcosa di "importante"? Avremo una parrocchia che gestisce un cinema, sia pure attraverso un comitato. Ma è questa una direzione davvero significativa per una presenza di fede nel contesto della città? Nonostante il "progetto culturale" della C.E.I., mi permetto di dubitarne. Certo, la mia è opinione trascurabile e viziata da una storia personale di marginalità ecclesiastica e di consuetudine di frequentazione di ambienti e persone di stampo "laicista". Ma non riesco a togliermi dalla testa che con questa operazione può darsi che la parrocchia possa fare le tanto attese ristrutturazioni di ambienti da investire nella aggregazione giovanile e non solo, a "costi" che sul piano dell'annuncio evangelico mi sembrano davvero elevati.
Intanto, nel sollevare la questione un po' da tutte le parti, parrocchia compresa, ci si è inchinati di fronte al valore pressoché assoluto della "proprietà privata". Nessuno è andato al di là del supino riconoscimento che la proprietà del cinema è indiscutibile e che la parrocchia può disporne come vuole. Si è fatto un discorso di opportunità dai "pro" come dai "contro"; di eventuale accordo tra le parti. Ma senza discutere il sacro principio della proprietà privata. E questo "assoluto" - come ogni assoluto, del resto - con il vangelo non quadra proprio. Diviene ostacolo in sé dell'annuncio di una realtà completamente nuova, di cui ogni annunciatore (e la Chiesa quindi) non può esserne più che sacramento e lievito, consegnandosi ad una povertà del proprio diritto che sempre deve lasciar trasparire l'universale destinazione dei beni. E un cinema, sia pure benedetto dal progetto culturale dei vescovi, non mi pare che sia un bene così essenziale alla missione della Chiesa su cui poggiare il proprio buon diritto, difeso dalla ragione della legge, del tribunale e della forza pubblica, alla libertà dell'annuncio del vangelo.
E qui si passa a quello che mi pare l'equivoco che ha animato la "lotta" della parrocchia: il cinema come strumento di evangelizzazione. Non lo è di per sé. E non lo è perché dipende da una parrocchia. Può esserlo se aiuta a crescere la dimensione umana e sociale di un ambiente, di un territorio. Se cioè incrementa lo spessore umano della consapevolezza capace di ascolto e di accoglienza della "buona novella". Ma se questo viene riconosciuto alla storia del cinema centrale fino al punto che si comunica pubblicamente che il cinema continuerà ad erogare cultura alla città, come prima, a maggior ragione la parrocchia poteva riconoscere nel "suo" cinema - così come è stato in questi anni - un progetto valido da affiancare con un sapiente annuncio del vangelo, senza bisogno di fare piazza pulita. E questa contraddizione lascia campo libero a supposizioni che dietro l'operazione ci sia "dell'altro" o "qualcun altro". Altro, rispetto a scivoloni della gestione del tipo "Carne tremula" di Almodovar proiettato in orario pomeridiano accessibile anche a giovanissimi.
Si parla di evangelizzazione e non ci si rende conto che l'annuncio del vangelo inizia proprio con una esplicita chiamata alla conversione. In un clima di esplicita contrapposizione e di accusa di offese ricevute, la conversione diventa qualcosa di più di un riconoscimento dei propri limiti (e chi non ne ha?). Essa diventa pratica di perdono e di concreto tentativo di battere vie nuove alla ricerca di un dialogo difficile, ma mai impossibile a priori. Pace non è esser lasciati liberi di fare e disfare a proprio piacimento, ma elaborazione nonviolenta dei conflitti alla ricerca di livelli di vita sociale che esprima meglio la ricchezza delle differenze in un clima di confronto costruttivo.
L'assenza di una pratica, sia pure imperfetta, dell'esercizio del perdono e della pace, mi pare la "ferita" più difficile da guarire di questo episodio affatto esaltante della vita della città e della presenza di chiesa nella città.
La contrapposizione per parti, così ricalcata sulla contrapposizione politica, vanifica e sterilizza ogni seme di "novità", di cui tutti abbiamo così tanto bisogno per una speranza rigenerata, una fiducia più forte. E l'annuncio del vangelo soffoca in una dimensione così priva di respiro perché l'unica certezza, a questo punto, è la chiusura del cinema.
La parrocchia potrà poi fare miracoli - e spero davvero che li faccia nel recupero di un atteggiamento positivo, aperto, sinceramente accogliente. Ma quello che non potrà cancellare è la negatività di questo scontro. Per come è stato voluto, condotto e combattuto. Se ci son voluti anni per rientrare nel pieno possesso del cinema, ci vorranno anni perché si ristabilisca terreno fertile alla fiducia, all'incontro, all'ascolto. E "seminare" sarà più duro per tutti.
Luigi
"Se molta gente di poco conto,
in molti luoghi di poco conto,
facesse cose di poco conto,
la faccia della terra potrebbe cambiare"
(Raoul Follerai)
Calapuja (Perù), marzo '07
L'appuntamento è periodico, ma vogliamo rimanergli fedeli!
Regalarci tempo, dedicazione, pensiero, carezza, ricerca e affetto è poco, ma è l'unica ricchezza che ci fa amici, fratelli, vicini e parenti.
Un saluto per tutti, da quassù in alto, ..più vicini al cielo che alla terra!
Marzo è capriccioso e pazzerello, su tutte le latitudini! Anche da noi, ma generosissimo: ci regala pioggia, verde, pascolo, acqua abbondante nei fiumi, clima mite, silenzio, profumi di terra, natura splendida e paradisiaca.
Tempo anche di visite! Quelle ordinarie e, per questo, eccezionali! Il forno riscaldato a "bosta" o a legna, il mercato del sabato, le danze e le musiche a carnevale, il profumo del pane, la pioggia del pomeriggio e quella che ci addormenta di notte, la passeggiata mattutina al fiume.
Il colibrì è il nostro amico straordinario! Tutte le mattine viene a.. prendere il caffè con noi! Arriva improvvisamente. Senza<preavviso, ma puntuale. Titubante, passa in rassegna i "cohetillos", i fiori del giardino. Rapidissimo nel battito delle ali, ci osserva, ci saluta e riparte.. E' lui il "chaski" incaricato di portarvi l'abbraccio e il sorriso, specialmente quello dei bambini!
Gennaio 2007
01 - "Otro aňo comienza.."
"Pasan los aňos. Uno se gasta, florece, sufre y goza.
Los aňos le llevan y le traen a uno la vida" (Pablo Neruda)
02 - La scuola di teologia, in Puno, mi tiene impegnato da molti anni.
Fare teologia è, fondamentalmente,.. scoprire che si è amati.
Dio ama! Dio si lascia trovare! Non si può amare se prima non siamo stati amati.
19 - Forum Sociale di Nairobi (Kenia, Africa)
Viviamo in un mondo caratterizzato da relazioni di soggezione, sofferenza, privazione e spoliazione. Uno sprezzo globale per la dignità umana e per la santità della vita è al centro della esistenza umana.
20 - Festa di S. Sebastián! Una festa comunitaria di tutti, di gente, di colori, di musica, di accoglienza.
La celebriamo in Calapuja e in Caminaca.
Nel contesto andino, questa festa è conosciuta anche come "carnaval chico", l'inizio delle feste di carnevale: la festa della vita!
22 - L'Abbé Pierre è partito improvvisamente, per le "grandi vacanze". Un mistico e un profeta di riferimento per l'oggi che viviamo. Il testamento che ci ha lasciato è la verità e la credibilità della sua vita.
"Nonostante tutto
la vita è splendida,
se la si dona agli altri" (Abbé Pierre)
Febbraio 2007
03 - La Pachamama (Cusco 1716)
"Sull'altipiano andino, "mama" è la Madonna e "mama" sono la terra e il tempo. Va in collera la terra, la madre terra, la Pachamama, se qualcuno beve senza offrirgliene. Quando ha molta sete, rompe l'anfora e la rovescia. A lei si offre la placenta del neonato, sotterrandola tra i fiori, perché il bambino viva; e perché viva l'amore, gli amanti sotterrano capelli annodati. La dea terra accoglie gli stanche e gli afflitti, che da lei sono nati e si apre per dar loro rifugio alla fine del viaggio. Da sotto terra i morti la fanno fiorire" (Eduardo Galeano, "Memoria del fuego").
04 - Spiritualità è fondamentalmente interiorità (Hannah Arendt): il mondo interiore è un mondo vasto, più vasto del mondo esterno, e tendenzialmente infinito. Il capitalismo ha fatto il deserto all'interno dell'uomo, ha reciso le radici dell'anima all'interno della persona. Spiritualità è porsi in una dimensione terra-cielo, per la quale è necessario lo "stare eretti" (cfr. E. Bloch): stare sulla terra andando verso l'alto e, cioè, non piegati sotto qualcosa (che è poi la condizione dell'essere liberi!).
09 - "¿Por qué he debido amar
la rosa y la justicia,
el mar y la justicia,
la justicia y la luz? " (Juan Ponzalo Rose, "Carta a Maria Teresa")
Marzo 2007
12 - Pensieri al vento in un giorno piovoso di marzo!
Come vorrei che le "alte sfere" viaggiassero non solo per un giorno, non solo per una settimana, nemmeno per un mese, ma per anni, per la vita, in bus, collettivi, "combi", camions, mezzi di fortuna..
Come vorrei che le "alte sfere" avessero 5, 7, 9, 12 figli da sfamare, non solo per un giorno, non per una festa, ma per tutto l'anno, per tutti gli anni..
Come vorrei che le "alte sfere" fossero invitate a pranzo, con il primo piatto loro riservato (perché sono ospiti!), e non avessero le posate a disposizione..
Come vorrei che le "alte sfere" avessero a che fare con la giustizia degli uomini, quando la giustizia non arriva mai nella casa del povero..
Come vorrei che le "alte sfere", con la salute a rischio, avessero bisogno di un medico, di un pronto soccorso, di un ospedale e dover correre a casa, a vendere la prima pecora.. per salvare la vita di una persona cara!
I poveri "si salvano" non perché sono buoni, ma perché sono poveri!
I ricchi "si salvano" solo se si convertono alla causa dei poveri!
(giustizia, fraternità, solidarietà, vita).
Dei poveri è il Regno dei cieli! (Gesù).
24 - 27° anniversario dell'assassinio di mons. Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador (El Salvador C.A.).
Il 2 febbraio 1980 a Lovanio (Belgio), disse: "Vengo dal più piccolo paese della America Latina.. Il nostro mondo salvadoregno non è un'astrazione.. E' un mondo che nella sua immensa maggioranza è formato da uomini e donne poveri e oppressi.. Ora sappiamo meglio cos'è il peccato. Sappiamo che l'offesa a Dio è la morte dell'uomo. Sappiamo che il peccato è veramente mortale, però non solo per la morte interna di chi lo commette, ma per la morte reale e oggettiva che produce.. Gli antichi cristiani dicevano: "La gloria di Dio è che l'uomo viva". Noi potremmo concretizzare questo dicendo: "La gloria di Dio è che il povero viva".
Nella saggezza campesina si dice che "frente a los malos vientos, hay que agacharse, para no enfermarse"! Tanti venti cattivi ci circuiscono, ma solo per un momento. Nelle notti stellate andine è anche sufficiente alzare lo sguardo, incontrarci sulla scia delle miriadi di stelle (bella la Croce del Sud!...) e continuare, insieme, il cammino della speranza!
Un abbraccio.
Giovanni Gnaldi
Apartado 321 - Juliaca (Puno) - Perù
gggnaldi@latinmail.com
Luigi Sonnenfeld
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tel: 058446455