Gli auguri di Natale

immagine:  Gli auguri di Natale Ci avviciniamo a Natale e l'usanza, ormai diffusissima, vuole che ci scambiamo gli auguri. Non è un formalismo a sfondo sentimentale, né per un intenerimento generale. Non è per via del Bambinello Gesù sulla paglia, con tutte quelle statuette, del presepe, costruito dai vostri bambini, né per l'albero smagliante di luci, né per il panettone scartato sulla tavola imbandita a gran festa per il buon pranzetto natalizio. Non credo nemmeno che sia particolarmente sentito il Natale per via della tredicesima, che a Natale (o chissà forse da quando) è già stata tutta «sistemata» nel cappottino e nelle scarpette dei bambini e spese del genere o, speriamo di no, per tappare qualche buco che si è andato scavando per qualche malattia o simili guai.
Cosa vogliamo dire, quando diciamo «buon Natale» e quando ce lo dicono a noi e ci fanno un mare di tenerezza?
Il Natale è come un'alba per l'umanità, è luce che nasce nel buio della storia, qualcosa che accende la speranza. E tutti, sia pure per un giorno soltanto, e in modo molto vago e inconsapevole, avvertono questo «qualcosa di misterioso» che è avvenuto e di cui gli uomini hanno così essenzialmente bisogno.
Per me cristiano credente, Il Natale vuol dire una Verità fondamentale nella mia Fede, lo credo che Dio, e con più esattezza il Figlio di Dio, si è fatto Uomo, è nato da una donna, bambino come ogni altro bambino. Il Natale è il giorno d'inizio della Sua storia terrena, umana.
Da quel giorno Dio è fra gli uomini, a condividere la loro vita, a portare nel Suo il loro destino, a realizzare la loro felicità sulla terra e in cielo.
È' chiaro che questo è un avvenimento di Bontà, a un fatto di Amore. E' soltanto Bontà e Amore e quindi è Pace. Il Natale è il giorno della pace.
Penso che il « Buon Natale » voglia anche dire e essere un augurio di Bontà, di Amore, di Pace. Per tutti. Ormai anche per i non credenti, anche per i non cristiani. Basta essere sensibili e aperti ai problemi della giustizia, ansiosi e bisognosi di bontà, in ricerca serena e profonda di pace e il Natale ci porta nell'anima la dolcezza del sue messaggio, la gioia del suo annuncio, la speranza del suo augurio, garantito dal Mistero di Dio nato piccolo bambino dal seno di Maria Vergine.
Attraverso questo povero foglio che vorrebbe essere chiarimento di rapporti, rappacificazione di contrasti, avvio alla comprensione vicendevole e quindi apportatore di pace nel mondo del lavoro, giunga a tutti l'augurio più sincero di Buon Natale.
A tutti. Alle maestranze. Ai dirigenti. Agli impiegati. Agli industriali.
Buon Natale in tutte le aziende, nelle fabbriche, nei cantieri, nelle officine, dove si lavora, si fatica, si logora la vita e si spende la salute per guadagnare il pane quotidiano, per sé e per là propria famiglia, e quel benessere fondamentale perché l'esistenza sia esistenza di uomini liberi come la dignità della persona umana giustamente richiede ed esige.
Ma nel mondo del lavoro, più che altrove, l'augurio di Buon Natale vuole essere un augurio di pace.
E vorrei parlare di quella pace cristiana che è frutto del superamento di ogni egoismo e di ogni impostazione egoistica e individualistica della vita.
Perché questo è il grande comandamento che Gesù ha dato agli uomini: bisogna considerare gli altri come esseri umani esattamente con gli stessi fondamentali diritti e doveri di noi. E' per questo che i rapporti fra gli uomini non possono essere su un piano di guerra e cioè di egoismi incontrollati, di interessi assoluti, di contrasti irrimediabili, di sfruttamenti spietati e quindi di tentativi, con ogni mezzo, di asservimento degli altri ai propri scopi e ai propri interessi.
Penso che per realizzare la pace nel mondo del lavoro (e in generale nella convivenza umana) sia necessario almeno modificare e limitare alcune mentalità e modi concreti di comportamento.

Ciò che impedisce la pace
Bisogna respingere assolutamente l'idea fissa che il capitale ha sempre ragione. Sarebbe come dire che la materia va avanti allo spirito, che l'irrazionale vale più della ragione, che il calcolo conta più del cuore.
E nel mondo del lavoro molte cose vanno male, e sembra impossibile perfino la speranza di un miglioramento, perché chi comanda e di tutto dispone è il capitale e la ragione economica.
Troppi valori umani sono ridotti a sottoporsi, fino al servilismo più abbrutente, a questo materialismo fatto di quattrini, che non conosce e non accetta altra realtà che non siano i quattrini.
Di qui nascono mentalità assurde, insensibilità incredibili, machiavellismi impressionanti, e il tutto è tirato avanti con serena disinvoltura, con buona pace della propria coscienza, senza dubbio con la profonda convinzione di una condotta incensurabile. Perché il capitale, fra le altre sue nefaste possibilità, ha anche quella di méttere in pace con le sue ragioni anche la coscienza e trasformare in un sacro dovere, il realizzare i propri egoismi, l'arrivare ai propri scopi, senza guardare troppo per il sottile al mezzi necessari.
E quando il capitale è onnipotente (e è ormai potente nella misura della sua quantità), o si mette anche al di sopra della legge, o l'aggira o compra le istituzioni che fanno la legge adatta allo scopo, ma va avanti come un rullo compressore.
Dove comanda il capitale non vi può essere pace e nel mondo del lavoro il capitale è ancora principio e fine e legge assoluta, propone e dispone, fa e disfà in modo pressoché dispotico.
1 padroni subiscono il suo impero ne sono i creatori, ma anche gli schiavi fedeli. E se il capitale serve il loro sovrabbondante benessere, aiuta le vanità, sostiene il lusso, favorisce la potenza, li impoverisce però di senso umano, ne fa degli egoisti, degli ingiusti, fino al punto che spesso nell'ambiente di lavoro non si respira che nella paura, nell'incertezza, si va avanti con la piaggeria, si spera nel servilismo, ci si lascia comprare per sfondare, per fare carriera, per avanzare di grado e quindi di sti-pendio.
Succede allora che non vi sia pace nel mondo degli impiegati, perché ormai sono stati succhiati nell'orbita della classe padronale, ne respirano il clima e ne condividono, più o meno allegramente o supinamente, le mentalità e i metodi e non possono che confidare nel loro servire al capitale per le proprie speranze. E i rapporti fra loro spesso diventano antagonismi perché bisogna conquistare i favori del capo ufficio e poi del capo personale e poi del vice direttore e del direttore ecc., e troppo spesso, per voler arrivare uno scalino più in su, diventa logico pagare a spese della propria dignità personale, della libertà, della giustizia.
Allora si capisce come sia andato il distacco fra gli impiegati di una azienda e gli operai, l'indifferenza e spesso l'ostilità, certo il nessun rapporto o quasi di comprensione, di solidarietà.
E tanta pace sparisce dagli uffici, mangiata ancora una volta dall'egoismo, e guerra sorda è fra gli uffici e i capannoni, perché quel lavoro, quella fatica che dovrebbe unire, disunisce, che dovrebbe rendere fratelli, rende invece nemici.
E' triste e infinitamente doloroso, ma pure non vi è pace nemmeno fra gli operai. L'unione è indispensabile per la pace. E l'unione è creata non dalla sparizione delle persone, per una irreggimentazione a tipo militare dove l'unica libertà concessa è di dire soltanto Signor sì, ma per un rispetto vicendevole nel superamento dell'individualismo che porta sempre all'egoismo e cioè all'anteporre H mio interesse a costo di tutto e di fronte a qualsiasi altro valore, compreso l'essere compagni di lavoro, amici e fratelli di fatica e di destino.
C'è chi si lascia comprare da un fuori busta. Chi cede davanti alla prospettiva di un miglioramento, per la speranza di diventare capo reparto. C'è chi si piega alle minacce e chi si stanca ormai di lottare. Vi è quello che ha il campicello e la casetta e non vuole storie... e chi per un conto, e chi per un altro, cerca soltanto il proprio tornaconto e intanto la solidarietà si sgretola, l'unione si spezza e al tempo in cui occorrerebbe l'impegno compatto collettivo c'è chi sta dentro e chi sta fuori dell'azienda, chi guadagna di più e chi perde le giornate, chi s'ingrazia il principale e chi si fa mettere sulla lista nera...
La pace è scomparsa, svanita per un individualismo borghese che ha trovato buon terreno nell'egoismo (o più spesso nel bisogno) dell'operaio, alimentato furbescamente da chi ha tutto l'interesse a dividere, a disorganizzare, a mettere antagonismi, suscitare rancori, spingere al ri-sentimento e spesso all'odio.
Ciò di cui la pace ha bisogno
Lamento generale, constatazione fatta con orrore: il mondo operaio è un mondo agitato, di scontenti, di turbolenti, di gente pericolosa, di rivoluzionari...
No, no, è semplicemente un povero mondo senza pace. E è senza pace perché nessuno là dentro vi porta della pace e è motivo di pace.
Basterebbe così poco a volte: una buona parola, un gesto d'amicizia, di comprensione. Un modo di trattare sereno, rispettoso. Un apprezzare il lavoro e le capacità che lo producono. Rendersi conto personalmente della fatica, dei disagi, del pericolo di certo lavoro. Studiare i problemi economici delle famiglie. Non sopportare situazioni economiche impossibile, ecc.
E speriamo che venga l'ora in cui la ricerca di giustizia nel mondo operaio, l'esigenza di rapporti umani, il diritto a un'esistenza tranquilla e sicura e a un benessere dignitoso per le famiglie operaie non sia più per nessuno motivo di scambiare gli operai come pericolo pubblico, ne sia più per gli operai costrizione al ricorso ai mezzi di forza, perché le agitazioni operaie non vi saranno più se gli operai hanno ciò che occorre alla loro pace.
E intanto occorre subito un clima di serenità e di libertà. E' necessario abolire i privilegi e il favoritismo e ogni discriminazione.
Occorre che gli impiegati si sentano dei lavoratori e semmai posizioni di scelta devono maturarsi, non devono dimenticare la massa che lavora anche per loro e non devono guardarla dalla finestra mentre si agita per chiedere aumenti che poi essi subito si prendono allegramente.
No, amico e compagno di lavoro, non maltrattare chi lavora accanto a te. Bisogna che tu !lo rispetti anche se è di idee diverse dalle tue. Non fare il crumiro al momento dello sciopero e non cercare di «arrufìanarti» col padrone magari a scapito di altri operai. Nel cottimo metticela tutta insieme a quelli della tua squadra, perché se no bevi il loro sudore...
Molte volte (forse sempre) il problema della pace è soltanto un problema di buona volontà.
Non per nulla la notte di Natale, intorno al Figlio di Dio e di Maria, deposto sulla paglia, appena nato fra gli uomini, gli Angeli hanno cantato l'augurio di pace a tutti gli uomini di buona volontà.
Augurarci buon Natale vuol dire dirci a vicenda di essere uomini di buona volontà.





don Sirio


in Il Nostro Lavoro: Il NL - Anno 1 - N. 2 Viareggio - dicembre 1963, Dicembre 1963

menù del sito


Home | Chi siamo |

ARCHIVIO

Don Sirio Politi

Don Beppe Socci

Contatto

Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455

Link consigliati | Ricerca globale |

INFO: Luigi Sonnenfeld - tel. 0584-46455 -