Una domanda propostaci nel mese scorso (perché i sindacati non predispongono dei fondi che permettano di integrare il mancato salario durante gli scioperi?) ci ha offerto l'opportunità di occuparci specificamente di un problema forse più suggestivo che importante, ma comunque assai dibattuto in seno al movimento operaio: quello dei «fondi di resistenza».
La necessità di avere dei fondi accantonati, attraverso prelevamenti salariali, durante i periodi di occupazione, per attingervi durante i periodi di sciopero si è profilata in seno al movimento sindacale a varie riprese, pressoché puntualmente nelle situazioni di massima tensione (i lettori più anziani, ad esempio, ricorderanno il gran discutere che se ne fece in coincidenza con gli scioperi susseguenti alla prima guerra mondiale, dal 1919 al 1922 circa). La questione esula, infatti, dai confini della pura solidarietà, per inserirsi in una vera e propria prospettiva di metodo di lotta - per questo al nome di « fondi di solidarietà » abbiamo preferito quello ben più significativo di "fondi di reesistenza" - e diviene quindi di particolare attualità in quei momenti in cui più incisivo ed efficace deve farsi l'effetto dell'agitazione sindacale.
Parlando in altra occasione dello sciopero, notammo come per esso possano individuarsi due costi: uno per il lavoratore, rappresentato dalla perdita di salario, l'altro per l'imprenditore, rappresentato dal mancato profitto e dal mancato ammortamento dei capitali fissi. Dicemmo ancora come il risultato dello sciopero dipenda, in grande misura, dal limite di resistenza di ciascuna parte rispetto al proprio costo e come il lavoratore scenda in lotta in situazione di svantaggio, data la natura alimentare del suo salario, dato, cioè, che l'utilizzazione della propria forza-lavoro è l'unica sua fonte di sopravvivenza.
Da qui la necessità di spingere al massimo la resistenza degli scioperanti, anche perché, mentre il costo sopportato dal lavoratore (perdita del salario) rimane costante per ogni giornata di sciopero qualunque sia la sua durata, J! costo sopportato dall'imprenditore non è costante, ma ge-neralmente è tanto maggiore quanto più lungo è lo sciopero (si pensi, ad esempio, alla possibilità di deperimento di cene scorte di materie prime, o all'influenza che il mancato ammortamento degli impianti fissi può avere sui piani preventivati di rinnovamento aziendale).
Ecco perché - dicevamo - il problema dei «fondi di resistenza» ricompare puntualmente ad ogni "grande sciopero".
Ma altrettanto puntualmente il problema viene accantonato senza essere stato risolto. Vediamo, dunque, di individuarne i motivi.
La costituzione di un «fondo di resistenza» assumerebbe l'aspetto e la sostanza di una forma previdenziale. Ne esiste la possibilità? Esistono, cioè, i presupposti per un risparmio da parte della classe operaia? Per rispondere di no, basta attingere alla nostra comune esperienza di tutti i giorni, senza bisogno di ricorrere a quella nota teoria economica la quale ci dice e dimostra che il risparmio, massimo per redditi alti, diminuisce progressivamente al diminuire del reddito, fino a ridursi a zero in corrispondenza del «reddito minimo vitale», cioè di quel reddito che è appena sufficiente ai bisogni essenziali di sopravvivenza. Che se così non fosse, vale a dire se i lavoratori disponessero di salari superiori alle loro necessità di vita, non ci sarebbe bisogno di «fondi di resistenza», dal mo-mento che essi si troverebbero nella medesima condizione dell'imprenditore, il quale, se non fosse per il mancato ammortamento e per gli impegni di produzione che ha assunto, sarebbe in grado di resistere pressoché indefinitamente ad uno sciopero, attingendo al proprio risparmio.
Si potrebbe obiettare che quanto è irrisorio per il singolo, può esser rilevante per la collettività, se sommato allo sforzo degli altri. Che, insomma, anche minime offerte individuali, se provenienti da tutta la classe operaia, potrebbero contribuire ad un grosso « fondo di resistenza ». La risposta a questa obiezione non è difficile. O un «fondo di resistenza» serve a tutti, cioè dà la assoluta sicurezza di poter resistere, oppure non serve a nessuno. Il problema non si presenta mai durante scioperi limitati, di settore, in quanto il fondo, allora, si crea immediatamente attraverso le sottoscrizioni degli altri lavoratori che non partecipano allo sciopero, i quali sanno benissimo che, su un piano di prospettiva di classe, non esistono agitazioni limitate, ma che ogni azione sindacale, anche se circoscritta a piccoli gruppi, investe automaticamente gli interessi di tutti i lavoratori ed è cosa propria dell'intero proletariato.
Il problema si presenta invece, in misura drammatica, durante gli scioperi generali, in quanto non ci sono più, nella classe, settori non scioperanti che possono contribuire alla resistenza dei settori che scioperano.
Ed un fondo di resistenza idoneo a sostenere uno sciopero generale dovrebbe avere una dimensione tale, da essere addirittura impensabile per le possibilità della classe operaia.
Paradossalmente, poi, potremmo notare che un « fondo di resistenza » per quanto grande possa essere, non sarà mai in grado di risolvere il nodo cruciale dello sciopero, poiché sempre maggiori sarebbero le possibilità dei capitalisti di creare un loro « fondo », per contrapporre la pro-pria resistenza a quella operaia.
Il successo di uno sciopero, insomma, non dipende dai « fondi », ma dai legami di solidarietà che la classe operaia sa crearsi durante la lotta e, soprattutto, dipende dal suo peso a livello politico, dalla capacità che essa ha di imporre al paese la soluzione per cui lotta (fu questa mancanza di capacità e di maturità politica a determinare il fallimento dei grandi scioperi del primo dopoguerra, ai quali ci riferivamo all'inizio).
Ciò non toglie tuttavia che il «fondo di resistenza», anche se insufficiente, possa avere un suo valore, soprattutto sotto il profilo morale, in quanto dimostrazione di maturità e di dignità da parte operaia.
Ma è pensabile, oggi, una iniziativa del genere, quando i sindacati stentano a raccogliere perfino i contributi indispensabili per mantenere in vita un'organizzazione, che, in ordine alle funzioni del sindacalismo e dell'economia contemporanea, particolarmente a livello di contrattazione collettiva, deve essere sempre più complessa ed efficiente?
E' possibile oggi che, per una strana forma di qualunquismo mista a stanchezza, che va a tutto gioco del capitale, ci si distacca sempre più dalla vita del sindacato, accusandolo molto spesso di non aver fatto ciò che materialmente, data la situazione attuale, non poteva fare?
S. R.
in Il Nostro Lavoro: Il NL - Anno 2 - N. 7 Viareggio - Luglio 1964, Luglio 1964
Luigi Sonnenfeld
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