Incontro coi lettori
Fra un gruppo di nostri lettori, operai in una fabbrica di Viareggio, è nata, qualche tempo fa, una discussione su temi interessanti il mondo del lavoro. Alcune domande sono rimaste senza risposta, su altre i pareri sono stati discordi ; si è deciso, a un certo punto, di chiedere anche l'opinione de « il nostro lavoro » ed è così che quegli argomenti sono capitati sul tavolo della nostra redazione.
Da questo è nata una nuova rubrica, che ci auguriamo di poter proseguire nei prossimi numeri e completamente aperta ai problemi dei lettori.
Il giornale è destinato soprattutto alla classe operaia ed è giusto che i lavoratori vi collaborino nella misura più estesa possibile. Una forma di collaborazione, non meno efficace di altre, può esser quella di sottoporci i temi che più li interessano, in modo da suggerirci degli argomenti di discussione e da offrirci l'opportunità di svolgere un discorso su ciò di cui concretamente si parla nelle fabbriche.
Alcuni problemi, particolarmente importanti, potranno essere trattati separatamente, come avverrà per i «fondi di resistenza», dei quali ci occuperemo specificamente nel prossimo numero.
COOPERATIVE EDILIZIE
Il primo argomento che ci è stato sottoposto e sul quale avremo occasione di ritornare, riguarda le cooperative edilizie. Tutte le categorie di cittadini, organizzandosi in cooperative, possono usufruire delle sovvenzioni e dei mutui per l'edilizia economica e popolare, allo scopo di costruirsi abitazioni in zone residenziali, a condizioni particolarmente favorevoli, come è avvenuto recentemente per varie cooperative di dipendenti statali nella zona dell'ex-balipedio. Gli unici che in pratica non hanno questa possibilità, perchè, a tacere di altre condizioni, mancano del tempo e della capacità necessari per dar vita ad una cooperativa, sono gli operai, i quali debbono accontentarsi delle case popolari alla periferia, se e quando riescono ad ottenerne una.
«Perchè - si sono chiesti i nostri amici - i padroni non pensano loro a prendere l'iniziativa di cooperative edilizie per gli operai?». Il problema è certamente importante e la soluzione che i nostri amici ne auspicano sarebbe senza dubbio la più semplice, ma non tuttavia la migliore.
Non bisogna infatti dimenticare che il padrone, per la logica stessa del sistema in cui opera ed al quale appartiene, nonostante ogni sua buona intenzione non può mai regalare nulla: egli dà, non a favore dell'azienda, soltanto in quanto ne riceva una contropartita. Ed è così che ogni forma di assistenza aziendale porta il marchio del paternalismo e finisce, prima o poi, per divenire uno strumento di discriminazione. E' così, insomma, che ogni forma di assistenza aziendale, prima o poi, per diventare il mezzo con il quale l'imprenditore consegue l'asservimento morale dei propri dipendenti e la via sulla quale i lavoratori sono costretti a smarrire il senso della loro dignità.
Si sono chiesti i nostri amici quale mezzo di ricatto potrebbe rappresentare per un padrone l'aver costituito una cooperativa edilizia a favore dei propri dipendenti? Si sono chiesti, ad esempio, che cosa accadrebbe il giorno in cui si facesse capire che della cooperativa entreranno a far parte coloro che, poniamo, non parteciperanno ad uno sciopero?
E' questo il motivo che ci spinge a non condividere la soluzione prospettata, ma a ritenere che essa dovrebbe cercarsi esclusivamente in sede sindacale.
SCALA MOBILE OPERAIA E STATALE
«Perchè - ci è stato ancora chiesto - se la scala mobile scatta con l'aumento del costo della vita, gli adeguamenti salariali avvengono in misura diversa per gli operai e per i dipendenti statali?».
La risposta non è difficile sotto un profilo tecnico. Il costo della vita si misura eseguendo medie (numeri indici) dei prezzi dei vari beni ed esistono varie medie, secondo i tipi di prezzi e di beni ai quali si riferiscono. Il costo della vita, così, si può desumere dall'indice dei prezzi all'ingrosso,
dall'indice dei prezzi al minuto e, infine, dall'indice generale del costo della vita, che considera i prezzi dei beni strettamente necessari al consumo settimanale di una famiglia media.
Poiché quando il costo della vita aumenta non tutti i prezzi salgono nella stessa misura, ma, in generale, i prezzi al consumo crescono più e prima di quelli all'ingrosso e i prezzi dei beni di prima necessità aumentano più e prima di tutti gli altri, ne deriva che i tre indici danno sempre valori diversi.
Ora, mentre i salari degli statali sono ancorati all'indice generale del costo della vita, che è il più esatto e sensibile dei tre, i salari operai hanno seguito, secondo ciò che è stato possibile ottenere in sede di contrattazione collettiva, talvolta l'indice provinciale o regionale del costo della vita, talaltra l'indice dei prezzi al consumo, che ha un valore sempre meno alto dell'indice del costo della vita, perchè nella sua media sì calcolano anche i prezzi dei beni di seconda necessità, che crescono in misura minore. In qualche caso, infine, hanno seguito l'indice dei prezzi all'ingrosso, che aumentano assai meno e assai più tardi di quelli al consumo.
Ecco perchè la contingenza scatta in misura diversa per gli operai e per gli statali e sempre di qualche punto in più per questi ultimi.
Più difficile è spiegare che cosa sia all'origine di tale diversità di trattamento. Il discorso sarebbe necessariamente lungo. Basti accennare che ogni classe dominante tende a consolidare il proprio potere soprattutto assicurandosi una casta di funzionari fedeli ed accennare ancora che la fe-deltà della burocrazia si compra in varie maniere: anche concedendole un trattamento economico migliore dì quello goduto dagli altri lavoratori.
ASSISTENZA SOCIALE
Lo stesso gruppo di lettori ci chiede perchè i contributi sociali a carico dei lavoratori italiani siano i più alti d'Europa, mentre le prestazioni assicurative sono inferiori alla media del livello europeo.
Confessiamo che non abbiamo esperienza dei sistemi di assicurazione sociale degli altri paesi. Sappiamo tuttavia che il costo della assistenza sociale è, più o meno, lo stesso in ciascun paese e che prestazioni migliori con minor peso contributivo per i lavoratori si possono ottenere, a parte una più razionale organizzazione degli enti previdenziali, o aumentando i contributi a carico dei datori di lavoro, o con fondi che lo Stato è in grado di procurarsi maggiorando le imposte sugli strati più ricchi della popolazione.
Per quanto riguarda l'assistenza sanitaria, però, possiamo dire che l'Italia è l'unico paese in cui essa sia completamente gratuita per la quasi totalità degli operai, che costituiscono poi la maggioranza degli assicurati (28 milioni su 42).
Se consideriamo l'INAM, che è il più importante istituto assicuratore, notiamo che nel suo bilancio la spesa per i medicinali ha assunto proporzioni astronomiche (per il 1964, ad esempio, si prevede una spesa per medicinali pari a 194 miliardi, contro soltanto 13 per indennità malattia) ed è questo uno dei motivi principali per cui le altre prestazioni non vengono migliorate.
A ciò si potrebbe porre rimedio riducendo i profitti degli industriali farmaceutici, che sono i più alti del settore industriale italiano, o, meglio ancora, creando un'industria farmaceutica di Stato.
C'è però anche un altro aspetto del problema e a questo proposito sono indicative le esperienze di quei paesi che, come l'Inghilterra o l'Unione Sovietica, hanno dovuto rinunciare alla assistenza farmaceutica gratuita, imponendo una partecipazione alla spesa da parte dell'assistito per i casi di malattia meno gravi, perchè si sono accorti che il fatto di potere ottenere medicinali gratuitamente spingeva gli assicurati a farne richiesta anche quando ciò non era necessario.
Questo avviene anche in Italia e non è azzardo dire che, talvolta, si fa un vero e proprio spreco di medicinali.
Il sistema assistenziale italiano, sotto molti aspetti, non è certamente dei migliori e dei più funzionali, però anche i lavoratori potrebbero, per la loro parte, contribuire a sanarlo. Qualche settimana fa un giornale pubblicava una lettera di un netturbino, il quale, durante il suo servizio nella città di Milano, aveva notato come, molto spesso, i secchi delle immondizie contenessero, fra l'altro, flaconi di medicinali scaduti, o usati soltanto a metà. Perchè questo spreco? Perchè qualche volta ci si fa prescrivere medicine che poi si lasciano scadere senza usarle, o perchè si gettano via medicine ancora buone, che potrebbero servire in seguito?
Noi non condividiamo la risposta di quel giornale, il quale sosteneva che unico rimedio sarebbe quello di seguire l'esempio dei paesi dove gli assistiti devono pagarsi i medicinali. Però vorremmo che ciascuno di noi, quando, anche soltanto una volta, va dal medico a farsi prescrivere una medicina non necessaria, magari per regalarla al vicino di casa, comprendesse che sta facendo, senza accorgersene, il proprio danno.
S. R.
in Il Nostro Lavoro: Il NL - Anno 2 - N. 6 Viareggio - Giugno 1964, Giugno 1964
Luigi Sonnenfeld
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