L'agitazione al «Cantiere Picchiotti» ha riproposto, con tutta la drammaticità di cui sono capaci i fatti concreti, il problema se la serrata sia compatibile con il nostro ordinamento democratico.
La questione si può porre sotto due profili, quello morale e quello giuridico, che, sotto certi aspetti, ma soltanto sotto certi aspetti, sono indipendenti l'uno dall'altro.
Sul piano morale, evidentemente, il prospettare una soluzione piuttosto che un'altra è conseguente soltanto al modo di porsi di fronte al problema del lavoro e, in generale, di fronte al problema dei rapporti umani nella loro totalità.
Per coloro che non riescono a scorgere nel rapporto di lavoro niente altro che un contenuto contrattuale, non dissimile dalla grande quantità di contenuti contrattuali di cui si sostanzia la società capitalista, la risposta è fin troppo facile.
Si dirà che dal momento in cui l'imprenditore compra la forza-lavoro della classe operaia secondo il suo valore corrente sul mercato, non si potrà pretendere da lui niente di più che la paghi ed egli sarà libero di usarne fino a quando gli parrà conveniente, qualunque sia il motivo in base al quale decide di non usarne più.
Come nessuno si sognerebbe di condannare l'imprenditore che, per ipotesi, decida, a un certo momento, di non usare più energia elettrica, o di non impiegare più certe materie prime, così nessuno deve sognarsi di condannare l'imprenditore quando decide di non usare più forza-lavoro, giacché questa è una merce, o meglio un fattore di produzione al pari di tutti gli altri. Se l'ENEL, ad esempio, non protesta quando Picchiotti chiude e non usa più energia elettrica, perchè diavolo sarebbero autorizzati a protestare gli operai, quando Picchiotti chiude e non usa più la loro forza-lavoro? Ed ogni altra soluzione, sul solco di questo ragionamento, sarebbe in contrasto con la libertà dell'imprenditore, il quale, evidentemente, se è libero deve esserlo fino in fondo; se è libero di chiudere la porta in faccia al piazzista di un qualsiasi prodotto, deve essere libero anche di chiudere il cancello in faccia ai propri operai.
La risposta è facile anche per tutti coloro che scorgono nel rapporto di lavoro un contenuto umano oltre il contenuto contrattuale e che si pongono il problema non in termini di forza-lavoro, ma di uomo-lavoratore, qualunque sia poi la tappa di arrivo a cui conduce questo loro discorso.
Coloro i quali sanno, a prescindere da ogni altra considerazione, come il fatto che ad un certo livello della società capitalista i cittadini si dividano in due grandi categorie contrapposte (da una parte una minoranza che possiede i mezzi di produzione, dall'altra una maggioranza che possiede soltanto la propria forza-lavoro) non giustifichi il predominio dell'imprenditore sul lavoratore; coloro i quali sanno come ad un diritto al lavoro debba corrispondere un dovere dello imprenditore a procurare lavoro, evidentemente hanno già risolto il problema della serrata.
Per essi la serrata non può essere che un fatto immorale, come immorale è ogni fatto che fa dipendere la sopravvivenza di un uomo dall'arbitrio di un altro, come immorale è ogni concezione che ponga l'uomo sullo stesso piano della macchina, che faccia dell'uomo un fattore di produzione, cioè un oggetto dello sfruttamento altrui e non un soggetto attivo del miglioramento economico della società.
Sotto certi aspetti, dicevamo, le considerazioni morali sono indipendenti dalle considerazioni giuridiche, in quanto si svolgono su piani diversi. Ciò, tuttavia, non ci esime dal porci un problema di aderenza del diritto ,della legge alla morale comune. Il diritto prima di essere scritto nei codici matura nella coscienza degli uomini. E' così, ad esempio, per la Costituzione, che prima di essere scritta è nata nel sacrificio che un intero popolo ha saputo far di se stesso nella resistenza.
E' per questo che ad un giudizio giuridico abbiamo premesso un giudizio morale.
La Costituzione italiana, all'art. 40, riconosce soltanto il diritto di sciopero; né in questo né in nessun altro articolo il costituente si è occupato della serrata.
Un articolo del codice penale fascista, il 502, per consolidare l'ordinamento corporativo e la risoluzione coercitiva delle controversie di lavoro, corrispondentemente alla fine della libertà sindacale, puniva come reati tanto lo sciopero quanto la serrata.
Il reato di sciopero venne cancellato immediatamente dall'art. 40 della Costituzione, poiché, per ovvie ragioni, ciò che è diritto non può costituire alle stesso tempo reato. Restava il problema della serrata: il fatto che la Costituzione neppure la nominasse lasciava in vita o no il divieto dell'art. 502 del codice penale?
La questione è stata risolta dalla Corte Costituzionale la quale, con sentenza del 4 maggio i960, a conclusione di un processo intentato contro la Richard Ginori di Pisa, dichiarava incostituzionale l'art. 502 del Codice Penale anche per ciò che riguarda la serrata.
Il problema, perciò, si presenta oggi in termini diversi. Alla luce dei principi costituzionali è possibile l'emanazione di una norma che dichiari reato la serrata e che come tale la vieti e punisca?
Le considerazioni che abbiamo svolto sul piano morale in parte ci forniscono già la risposta.
Una risposta ancora più precisa ci è data dalla stessa Corte Costituzionale, la quale chiaramente motiva l'abrogazione del reato di serrata punito dal codice fascista con l'abrogazione di tutto il regime corporativo. Il ragionamento della Corte, in sostanza è questo : se i due reati dello sciopero e della serrata sono nati insieme in regime fascista, debbono egualmente cadere in regime democratico.
Però la Corte Costituzionale non disconosce la possibilità che il legislatore torni a vietare, per motivi evidentemente diversi da quelli del codice fascista la serrata. La Corte dice: se la Costituzione ha abolito il regime fascista e la relativa legislazione corporativa, è chiaro come anche il divieto penale della serrata deve venir meno. Se poiché ciò che non è espressamente vietato è lecito, la serrata non è più punibile.
Tuttavia la Corte è fin troppo esplicita quando testualmente scrive nella sentenza: « ...La posizione innanzi delineata è però tale che immediatamente si presenta con l'aspetto di una provvisorietà che attende una soluzione. Da un lato infatti si ha un diritto di sciopero che è costituzionalmente garantito, ; dall'altro la serrata, la cui posizione attuale di atto penalmente lecito è piuttosto la risultante di un sommovimento di sistemi che non l'effetto di una propria disciplina normativa. Spetterà al legislatore il valutare la necessità di una tale disciplina».
E' questo il motivo che spingeva un autorevole commentatore a scrivere sulla sentenza che essa «non significa che il legislatore - ed è eloquente l'invito al proposito della Corte - non possa disciplinare la serrata con tutto il rigore che crederà opportuno e porre gravi sanzioni per l'inosservanza delle condizioni e delle precisazioni da esso fissate».
La condanna morale della serrata ha dunque tutta la possibilità di tradursi in un divieto di legge. E non venga a dirci la confindustria che il ricorso alla serrata è per gli imprenditori un diritto costituzionale, il quale oltre tutto deve esistere come contropartita al diritto di sciopero.
Il fatto che la Costituzione riconosca il diritto di sciopero e non parli della serrata è fin troppo significativo. Il diritto di sciopero è riconosciuto perchè è l'unica arma a disposizione della classe economicamente più debole nell'attuale fase di economia capitalista ed è un'arma proprio in quanto non vi sia la possibilità di ricorrere alla serrata. Il costituente ha assicurato il diritto di sciopero, ma non il diritto di speculare sulla fame altrui.
E la serrata può e deve essere punita come reato non solo per le considerazioni che abbiamo fatto, ma proprio in base all'art. 41 della Costituzione il quale stabilisce che l'iniziativa economica privata non possa svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
Una norma, questa, che è troppo spesso dimenticata dalla confindustria al pari del diritto al lavoro.
S. R.
in Il Nostro Lavoro: Il NL - Anno 2 - N. 5 Viareggio - Maggio 1964, Maggio 1964
Luigi Sonnenfeld
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