E' un ambiente moderno e realizzato con criteri intelligenti. Arioso, pieno di luce, dà una confortevole impressione di sanità e di pulizia.
Non sono però molti gli operai che vi mangiano e è provvidenziale perchè la sala da pranzo non può contenere che circa 230 persone: una minima parte nei confronti della massa operaia che lavora all'Apice. Chi può (è pressoché tutta gioventù traboccante di energia la maestranza) perchè è rela-tivamente vicino a casa, salta in bicicletta o sul motorino e va a casa sua a mangiare: anche con tutti i confort di questo mondo, mangiare a casa è sempre un'altra cosa, se non altro per quella boccata d'aria di libertà che dentro i cancelli è assolutamente impossibile respirare.
Però molti dipendenti vanno a casa a mangiare anche perchè non solo vi è una boccata d'aria di libertà, ma anche una boccata di più di pane e companatico. Tant'è vero che la maggior parte di quelli che si fermano a mangiare alla mensa aziendale, consumano quello che si portano da casa. Fatti i conti, evidentemente hanno concluso che è migliore il loro mangiare, è più abbondante e spendono meno.
Questo va detto per la verità e senza voler far torto alla ditta che ha in appalto la mensa, la quale ditta è giusto che faccia i suoi interessi (non è lì certamente per fare un'opera assistenziale di carità cristiana); d'altra parte anche gli operai hanno diritto di mangiare a sufficienza, dato che poi, all'Apice si sa non si scherza, bisogna lavorare sodo. Bisognerebbe che la Direzione dello stabilimento rivedesse le tariffe, aumentandole, se è necessario, (cioè se dipende da motivi economici) perchè vi sia un corrispondente aumento quantitativo (e un po' anche qualitativo) nei piatti.
Una maggiore attenzione da parte della Direzione per il miglioramento della mensa, dovrebbe rientrare nei suoi doveri per motivi di normale vigilanza e premura, ma anche per il fatto che quel "quid" di mancata mensa che non viene corrisposto (come mai, si domandano da tanto tempo gli operai?) a chi non mangia alla mensa, ma va a casa o si porta il mangiare da casa (sono la stragrande maggioranza dei dipendenti) venga almeno impiegato nel far stare meglio chi intende mangiare di quello che passa il convento.
La merce poi che può essere comperata allo spaccio aziendale risulta in generale che non ha, co-me sarebbe logico e giusto, prezzi di favore, ma tutto costa come ad un qualsiasi altro negozio fuori dello stabilimento. E quei panini (spesso non troppo cotti e che pesano 65 grammi), hanno un prezzo eccessivo a 15 lire ciascuno; il pane comune, sia pure in panini, è un po' troppo che costi circa 250 lire al Kg.
Altra cosa poco simpatica è che gli impiegati che mangiano alla mensa abbiano una saletta loro riservata.
Il tutto sa molto di privilegio. Crea distanze su un piano umano e separazioni che non possono non comportare lontananze sempre deprecabili fra i dipendenti della stessa azienda. E inevitabilmente una separazione così accurata comporta possibilità anche di differenze di trattamento fino al punto che corre la voce che gli impiegati mangiano assai meglio. Sappiano però gli impiegati che se gli operai si lamentano di certe differenze, non è perchè desiderino che gli impiegati siano trattati come gli operai, ma che gli operai siano trattati come gli impiegati, il che vorrebbe dire mangiare un po' meglio e un po' più abbondante.
Un gruppo di operai
in Il Nostro Lavoro: Il NL - Anno 2 - N. 5 Viareggio - Maggio 1964, Maggio 1964
Luigi Sonnenfeld
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