Leggere: "il taglio del bosco"

Chi comincia a leggere il Taglio del Bosco (è un racconto scritto nel 1950 che ora dà il titolo a un volume delle edizioni Einaudi in cui sono contenuti tutti i racconti più lunghi dello scrittore toscano) come prima impressione può anche restare deluso. Tutto gli può sembrare eccessivamente dimesso, semplice. E difatti dai libri si è portati ad aspettarci piuttosto la complessità che la semplicità. In questo caso, ciò che non ci si aspetta sono delle battute di dialogo così semplici, dei gesti così semplici, delle descrizioni così semplici. Che cosa significa mettersi a descrivere un uomo dell'apparente età di 37-38 anni vestito dimessamente, che scende da una corriera, entra in uno spaccio, mangia una minestra in cui prima ha spezzettato del pane e versato un po' di vino, paga, saluta, esce, seguirne i passi fino al suo arrivo al paese, accompagnarlo fin dentro casa sua in cui d'altronde c'è poco di speciale - una sorella e due bambine già a letto ; la moglie è morta qualche mese prima - il tutto aprendo bocca quasi contro voglia, come quasi contro voglia pare che scriva lo scrittore stesso?
Significa proprio questo: mettere il lettore a contatto con le cose più semplici della vita: mangiare, camminare, dormire, scambiare frasi come «fa freddo?», «vuoi passare in casa» «di dove vieni» come va?» a cui si aggiungeranno nelle pagine seguenti tutti i gesti, le parole ecc. che formano il contesto quotidiano del lavoro del protagonista; ma in ciascuno di questi gesti, di questi atti, di queste parole, lasciare trasparire qualcosa.
Nel caso del presente racconto - e basterà andare avanti a leggere per rendersene conto - ciò che traspare è il sentimento del protagonista, il suo dolore per la moglie perduta che lo accompagna ovunque senza quasi che lui se ne accorga.
Giacché c'è sempre «qualcosa» nella giornata di ciascuno di noi, qualcosa di triste, come nel caso dell'uomo di nome Guglielmo a cui è morta la moglie, ma anche, se pur più raramente, di allegro; comunque qualcosa. Per cui mentre mangio, cammino, lavoro, pronuncio le solite parole, (e si noti che di simili atti semplicissimi è composto il 90 per cento della nostra giornata, il 999 per mille della nostra vita) in realtà, una realtà un po' particolare, ammettiamolo, io non mi limito a mangiare camminare lavorare parlare. E che cos'altro farei ancora?
Ma andiamo avanti nella lettura del Taglio del Bosco. Vediamo come Guglielmo, che oltre che taglialegna è anche privato imprenditore, raccoglie la squadra ingaggiata, quattro uomini con cui prima in corriera poi a piedi, raggiunge la zona del «taglio»; e come costoro si costruiscono il loro capanno, lavorano d'accetta, lavano i loro panni al torrente, fumano e giocano a carte durante le lunghe serate di veglia... Finiscono le serene giornate autunnali, viene Natale, poi la pioggia, poi la neve, finalmente la primavera e il «taglio» è finito. Ciascuno dei quattro è un tipo a sé, e sebbene il racconto sia ambientato negli anni trenta, non è difficile almeno per noi toscani riconoscervi dei tipi familiari. Ma ciò che conta non sono le descrizioni dei tipi, per quanto gustose, o delle varie operazioni che costituiscono il « taglio » di un bosco, per quanto insolite e inte-ressanti; ciò per cui vale la pena, nel senso che precisammo l'altra volta, di Leggere queste pagine, è il qualcosa che traspare dietro gli atti, i gesti, le parole del protagonista: il suo dolore silenziosissimo, che non si manifesta ad alcuno e a malapena a lui stesso.
Come è appunto silenziosissima, e si manifesta a malapena o addirittura affatto, la cosa qualsiasi che rende allegra o triste la nostra giornata, ciò che se non coincide sempre con uno scopo, ci fornisce almeno un minimo di calore.


Il lettore


in Il Nostro Lavoro: Il NL - Anno 2 - N° 4 Viareggio - Aprile 1964, Aprile 1964

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