Sono andato a vedere dove a mezzogiorno si fermano a mangiare gli operai della Salov.
Non ho trovato una mensa aziendale: solo una stanza veramente miserabile, dove su per giù un terzo dei dipendenti consuma quello che nella borsa, appesa alla bicicletta o al motorino, si è portato da casa. Chi può, perchè abita vicino, preferisce andarsene a casa e con mille ragioni, delle quali forse non l'ultima è la poca accoglienza della stanza destinata a refettorio.
La direzione ha voluto unire la mia visita, che voleva essere soltanto un vedere dove mangiano gli operai per continuare la descrizione di questa rubrica del giornale, alla visita di tutto il complesso industriale. E naturalmente per me è stata una gran gioia. Vedere il lavoro da vicino, l'ambiente dove si svolge, il macchinario che l'assorbe e io moltiplica, l'attrezzatura che lo potenzia, ma che anche lo schiaccia come valore umano, è sempre motivo di un interesse profondo, l'occasione di una partecipazione umana intensissima.
E passando di reparto in reparto, ho provato tanta comprensione e ho lasciato tanto cuore accanto a quei lavoratori della Salov che mi sono apparsi tanto tranquilli e sereni, silenziosi e attenti al loro lavoro.
Ed anzi li prego di scusarmi se non mi sono fermato a parlare con tutti come avrei tanto desiderato e stringere loro la mano con profonda amicizia: durante il lavoro, si sa, non si può stare a chiacchierare e poi, chissà perchè, con gli operai al lavoro provo una terribile timidezza e quasi un senso di vergogna che mi impaccia e l'altro giorno mi sentivo il visitatore che passa incuriosito a vedere chi lavora e fatica, fino al punto di sentirmi tanto imbarazzato. Però gli operai sono stati molto cordiali e simpatici, specialmente quelli della raffineria e dell'officina meccanica e mi ha fatto tanto piacere quell'operaio della macinatura che mi ha detto con tanta simpatia: lei è don Sirio del giornale?
Mi hanno accompagnato un rappresentante della Commissione Interna e un ragioniere della Direzione, quasi a bilanciare le impressioni che avrei ricevuto durante la visita, e tutti e due sono stati molto cortesi, anche se uno si premurava di farmi notare ciò che potrebbe essere migliore in ciò che riguarda gli interessi operai e l'altro metteva giustamente in risalto la bontà degli impianti, la buona volontà degli imprenditori, la serenità del clima fra dirigenti e dipendenti, ecc.
Chi guarda la Salov dalla Via Aurelia e vede i grandi silos argentei che la Meccanici Uniti ha costruito recentemente e che svettano contro il cielo, arditissimi, la grande costruzione centrale e i vecchi silos allineati di fianco, ha l'impressione di una grande azienda, ma se poi si entra dall'ampio cancello nel grande piazzale centrale e si passa di reparto in reparto, si scoprono complessi di attrezzature veramente sorprendenti.
In questo reparto l'olio d'oliva colma ininterrottamente lunghe file di bottiglie che corrono disciplinatamente sui nastri di trazione a farsi lavare, riempire e sigillare. In quest'altro reparto sono invece quei cilindretti metallici splendenti di colori che in file interminabili girano e girano fino a uscire colmati di olio di arachidi o di altri semi, sistemati in ogni rifinitura, pronti per il negozio di alimentari e la padella di cucina.
Qua invece sono lattine di ogni misura che un altro macchinario modernissimo elettronico sistema a dovere e in numero incredibile ogni ora, per essere spedite in America nel nord, dentro scatole di cartone che due o tre operaie preparano e cuciono con una velocità sorprendente, meritevoli ormai di essere operaie qualificate.
E una fontana d'olio riempie i fusti a peso automatico. Montagne di fusti vuoti. Lavaggio automatico con forte uso di preparati chimici, da far pensare che gli operai addetti abbiano il trattamento per nocività.
Stanzoni immensi colmati di balle di prodotti oleosi. Trazione meccanica dovunque. Però in certi ambienti vi è tanta polvere, chi vi lavora non può che respirarla continuamente: ma anche qui vi saranno sicuramente trattamenti particolari per nocività e, almeno d'estate, ventilatori e respiratori adatti.
Il grave odore dove avviene la prima macinatura di tonnellate e tonnellate di prodotto. Poi i separatori chimici, di cui uno modernissimo, costruito anch'esso dai Meccanici uniti e poi il grande complesso di raffinatura, pare d'essere, per tentare un paragone, nella sala macchine di un grande transatlantico. In basso le caldaie e poi diversi piani di una intelaiatura imponente e grovigli inimmaginabili di tubi di ogni diametro. Vi è un rumore sordo e incessante, un'aria pesante che d'estate è soffocante, mi dicevano gli operai. Ma il lavoro è tranquillo perchè tutto è automatico e quindi si tratta solo di controllare, a parte la pulitura dei filtri, che bollenti come sono, in estate diventano un tormento.
Uscendo fuori, a pochi passi vediamo l'officina meccanica per la manutenzione dell'attrezzatura. Mi è sembrato d'entrare in una vecchia e simpatica officina di trent'anni fa, con quei torni all'antica, le pulegge multiple a cinghia, tutto alla buona come una vecchia bottega di fabbro-ferraio, dalle mura nere di fumo, coperta a tettoia, dai pavimento di cemento che pare terra battuta e fuliggine secolare.
Mi ha fatto piacere vedere una vecchia officina come quella: ora non se ne trovano quasi più, neanche in Darsena. Peccato che i cancelli della Salov siano così chiusi agli estranei: mi piacerebbe tanto andare spesso a vedere quella vecchia officina, simpatica come una vecchia casa colonica, rimasta intatta fra palazzine moderne.
Perchè qui alla Salov vi sono attrezzature modernissime e intelligenti accanto a sistemazioni di reparti veramente antiquate.
A parte l'officina meccanica del resto così pittoresca e con quei suoi operai così simpatici e tranquilli, contenti, mi è sembrato, di lavorare, per quella loro gran pratica, con attrezzature così gloriose di storia meccanica, vi sono magazzini che sono soltanto stanzoni immensi di una cupezza impressionante e poi la parte assistenziale è in condizioni realmente miserabili, veramente indegne di un grande e glorioso complesso come è la Salov.
Mi diceva il ragioniere che vi è un progetto e ho visto una larga zona di terra, attualmente a deposito di demolizione, per ruggine e abbandono, di attrezzature e materiale scartato e gettato al macero, zona di terra destinata alla costruzione del reparto assistenza agli operai. Ma intanto quella stanza che dovrebbe essere un refettorio somiglia a una topaia, con quelle panche sconnesse e tavoli coperti pressoché da uno straccio: non invita a mangiare quella stanza. Un soffitto qualsiasi. Un po' di formica sui tavoli, quattro sedie e una buona imbiancatura, non sarebbe una grande spesa, in attesa che sia realizzato il progetto, anche perchè si sa quanto vanno alla lunga certi progetti. E ugualmente anche per gli spogliatoi degli operai e delle operaie: sono veramente indecenti, senza un'ombra di rispetto e di considerazione per chi lì deve cambiarsi gli abiti, trovare una decorosa sistemazione dei propri indumenti, sia quelli «buoni» che quelli da lavoro.
E un'occhiata è bastata per vedere gli impianti igienici e la loro assoluta inadeguatezza. Tanto più che non vi è nemmeno chi è deputato alla loro pulizia.
Non so, ma può darsi che alla Salov regni ancora la vecchia idea secondo la quale ciò che non serve alla diretta produzione, è sempre e soltanto pura perdita per l'amministrazione dell'azienda.
Può darsi, ma io non voglio accettare che una arretratezza simile guidi i rapporti fra dirigenza e maestranze in una azienda ormai così affermata nella sua serietà produttiva e amministrativa in Italia e all'estero.
Penso che non possa mancare una considerazione e un apprezzamento umano verso quelle maestranze che guidano e animano tutto quel groviglio di tubi che da montagne di arachidi fanno scendere fontane d'olio prezioso, splendente come l'oro.
Quell'oro che poi andrà, sì, nelle buste degli operai e del personale amministrativo e nella nuova costruzione di impianti ecc., ma in maggiore abbondanza nei dividendi azionari della Società Anonima S.A.L.O.V.
d. S.
in Il Nostro Lavoro: Il NL - Anno 2 - N° 4 Viareggio - Aprile 1964, Aprile 1964
Luigi Sonnenfeld
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