1° maggio

immagine:  1° maggio 1° maggio
Lascio da parte tutte le considerazioni che mi si affollano alla mente, suscitate dalla celebrazione della festa del lavoro. E anche tutti i sentimenti di solidarietà, di entusiasmo, di impegno che premono nell'anima, ravvivati e accesi dal sentire tutto insieme un enorme, tremendo problema di esistenza umana sbriciolato lungo anni e anni di sofferenza, d'ingiustizia, di lotte, di ideali, di liberazioni e di affermazioni....
Voglio invece raccogliere il significato di una celebrazione che è cominciata nel sangue e tante volte vi si è rituffata non so se a purificazione o a ravvivamento di ideale o per l'acquisto sempre più giusto, perchè sempre più meritato, di un diritto, ma forse per tutte e tre le ragioni insieme e per altre ancora. Una data che ricorda un fatto di sangue e che poi ad ogni celebrazione si è andata colmando di altri sacri-Ilei, di tante lotte, di enormi sofferenze e di immensi entusiasmi e di sconfinate speranze.
Quando nel '55, a seguito di un'aperta richiesta dei lavoratori cattolici, la Chiesa ha, per così dire, battezzato il 1" maggio, facendone la festa cristiana del lavoro da celebrarsi sotto la protezione di S. Giuseppe, il falegname capo della famiglia di Nazaret, nella quale stava crescendo «in età e in grazia» Gesù, il Figlio di Dio fatto Uomo, mi ha fatto una strana e spiacevole impressione. Come se la Chiesa s'impossessasse di un giorno e di una celebrazione che non le apparteneva. Era nata fuori della Chiesa e sempre rimasta ignorata e forse, se non altro in periferia, osteggiata e sicuramente temuta.
Ma poi mi è sembrato che il battesimo del 1" maggio abbia voluto significare come una consacrazione di una liberazione ohe il movimento operaio è andato sempre più realizzando, da tutto un fatto di necessità di lotta violenta, sia per ottenere una capacità di (un'affermazione di se stesso e dei propri diritti, sia per un essere accettato come una realtà d'esistenza da parte degli altri strati sociali.
A un certo punto la classe operaia dovrebbe poter vivere, per diritto ormai acquisito e non in pro-porzione alla forza di urto della sua massa e alla potenza delle sue organizzazioni, nel tessuto sociale della esistenza umana, con piena parità di diritti e di doveri.
Questa purificazione è ancora un sogno, è vero e sembra perfino irrealizzabile: le classi sociali non proletarie, ancora non hanno accettato nella convivenza umana la classe operaia come «una realtà d'esistenza avente diritto, pieno e assoluto, ad una parità e uguaglianza di valore umano e sociale.
La classe operaia è ancora la classe operaia (con l'effetto sgradevole che questa parola produce nelle orecchie e naila sensibilità dell'aristocrazia borghese arricchitasi colle braccia dei lavoratori) perchè viene ancora tenuta «distinta» e accuratamente separata, con ogni mezzo possibile. La sua promozione ed elevazione, la sua integrazione nel vivo della partecipazione umana sociale, dev'essere ancora ottenuta «strappandola» pezzo a pezzo dalle mani di chi niente vorrebbe dare per poter conservare il proprio privilegio: quel privilegio che da millenni crea la classe dei non privilegiati, per il chiudersi spietato in se stessi dei privilegiati.
Mi è sembrato che l'accettazione del 1° maggio nel calendario delle festività religiose possa indicare con chiara e concreta evidenza, che la Chiesa ha inteso e intende « accogliere » la classe operaia in tutto il suo enorme problema di liberazione da ogni forma schiavistica e di affermazione di tutta la sua dignità umana e di tutta la sua impostazione sociale e storica (problema che è magnificamente contenuto ed espresso dalla festa del lavoro del 1" maggio) nell'insieme di tutta l'esistenza umana e di tutta la convivenza sociale.
Ho visto in questo semplice gesto della Chiesa il riconoscimento di una liberazione in gran parte già avvenuta e l'incoraggiamento al mondo operaio di continuare nella ricerca di un inserimento nella convivenza umana fino ad una parificazione sociale intera e perfetta.
E' difficile per chi vuol vedere il problema dei rapporti fra la Chiesa e il mondo del lavoro non su un piano di devozionalità pietistica, ma su un piano di ricerca di autentica esistenza cristiana in tutta la vastità del programma cristiano che investe una visione e una interpretazione cristiana di tutta la vita u-mana, individualmente e socialmente presa, nei suoi valori terreni ed eterni, è difficile e, se non altro, limitato, celebrare il 1" maggio recitando preghiere in onore di S. Giuseppe, il buon falegname di Nazaret, o facendo un pellegrinaggio a qualche santuario o celebrando una Messa all'aperto, sia pure con un folto gruppo di aclisti e di adiste. E' necessario forzare - sia pure a forza di Amore - certe barriere divisorie ohe il mondo borghese tiene ancora alzate contro il mondo proletario. E' dovere costringere - e certamente nell'ordine e nella legalità - il mondo padronale ad aprire i cancelli delle fabbriche non solo alle braccia che entrano a lavorare, ma anche alle persone umane dotate di anima, di intelligenza, di diritto alla giustizia, di diritto alla libertà dall'oppressione del bisogno e dello sfruttamento.
Il 1° maggio diventato cristiano vuol dire che si è riconosciuto ed accettato da parte della Chiesa e quindi - per chi vuol essere obbediente da buon fedele - da parte dei cattolici, che il mondo operaio porti avanti la sua lunga storia di ricerca di libertà e di giustizia e di dignità umana, in nome di Gesù Cristo e nella forza della Sua Redenzione.
E se può e forse dev'essere cambiata, o almeno in qualche punto deviata, la strada che porta avanti questo lunghissimo camminare del mondo operaio, così faticoso e duro e segnato da tanto sangue e da tante lacrime, non possono essere cambiati i traguardi, né strozzate quelle finalità che in definitiva sono state ritenute giuste dal riconoscimento di quella festa che per anni e anni e a costo di tutto, le ha indicate e cercate.
Diversamente era onesto e doveroso lasciare la festa del 1° maggio al tentativo doloroso e disperato dell'umanità operaia che da sola - senza Dio - cerca la sua giustizia.
Io mi sono abituato - e non vedo perchè non dovrebbe essere così - a prendere alla lettera tutto quello che la Chiesa fa, che il Papa dice e insegna, in ordine alla dottrina e all'esistenza cristiana. E prendere alla lettera vuol dire, secondo me, dare tutto il significato possibile all'insegnamento fino al suo esaurire tutta la Verità cristiana.
Non posso pensare, e tanto meno accettare, che l'istituzione della festività di S. Giuseppe nel 1° maggio sia stata fatta per aumentare la devozione al glorioso Patriarca nell'ambiente operaio, e nemmeno per santificare il lavoro consacrandone la festa e tanto meno levare via e svuotare quella ricorrenza di tutta la sua carica di umanità e di solidarietà, anche se spesso sopraffatta dall'estremismo e dalla faziosità.
Quel gesto della Chiesa in modo pratico mi ha detto la volontà della Chiesa di coinvolgersi nei problemi operai, di farli suoi. La volontà della Chiesa che n mondo operaio entri e viva con pieno diritto di parità e di dignità, nella convivenza umana e sociale. La volontà della Chiesa di dare un senso sacro - quindi degno di rispetto infinito per essere stato segnato con segno inviolabile - allo sforzo che gli nomini fanno nella ricerca della giustizia e della uguaglianza fraterna.
Quasi a dire che l'opporsi e il resistere e il contrastare questo camminare verso la liberazione totale, non è più un cercare d'impedire un movimento della storia, ma è il sacrilego tentare di arrestare il farsi del Regno di Dio nel mondo.
E allora ho accettato, a cuore aperto, che il 1° maggio sia diventato cristiano, per la certezza che ogni ricerca di giustizia, di libertà, di Amore, di pace sia Cristianesimo.
E è per questa Fede che non riesco a non pensare che il 1" maggio sia sempre stata una celebrazione cristiana, perchè il Mistero Cristiano tutta l'esistenza raccoglie - specialmente quella dolorosa - per salvarla a Dio nel Sacrificio di Gesù Cristo.
E' in questa Fede che il 1° maggio celebro la mia Messa di ogni mattina allargandone tutta la onnipotenza di Salvezza e di Redenzione fino a raccogliere tutto il dramma di passione e di morte, di speranza di giustizia e di libertà che questo giorno porta con sé nella sua già lunga storia e nel suo valore simbolico.


don Sirio


in Il Nostro Lavoro: Il NL - Anno 2 - N° 4 Viareggio - Aprile 1964, Aprile 1964

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