Continuando il mio giro per vedere dove gli operai delle aziende mangiano a mezzogiorno, sono andato a vedere la mensa della Fervet.
Pochi giorni fa, a mezzogiorno e un quarto. Pioveva a dirotto. Gli operai arrivavano correndo, riparandosi colle giubbe sulla testa, rasenti il muro di mattoni rossi che fiancheggia lo stabilimento lungo Via Indipendenza. Arrivavano all'ingresso della mensa e saltavano larghe pozze d'acqua, perchè un po' di ghiaia dev'essere gran tempo che non è stata gettata in quel terreno un po' depresso nei confronti della strada asfaltata.
Un breve tavolato sconnesso, mezzo galleggiante in una vasta pozzanghera, e si salta dentro.
L'edificio è una vecchia costruzione in legno, di perline incastrate, coperta d'eternit.
E' nell'angolo sud della vasta distensione di terra occupata dallo stabilimento. Praticamente è pressoché dalla parte opposta dove la gran massa operaia lavora. E per la verità è molto scomodo, specialmente quando piove, o per chi ha le gambe un po' rotte dalla fatica e dalla non più fresca giovinezza. A occhio e croce, da dove lavorano e seguendo la via obbligata per timbrare il cartellino e uscire e arrivare, gli operai devono fare, buoni buoni, 600 metri circa. Altrettanti a tornare, e si comprende che fare oltre un chilometro per andare a mangiare una gamella di pasta asciutta o di minestrone, sono un po' troppi.
Quella della Fervet è una delle prime (forse addirittura la prima) delle mense aziendali della zona.
Nell'immediato dopoguerra, data la scarsità dei generi alimentari, quella gamella di pasta (e spesso era una polentina di mais, buona come manna caduta dal cielo) che la Direzione riusciva a rimediare con grande fatica, era un grande aiuto per gli operai. Vi erano unite poi attrezzature assistenziali e ricreative, e quindi si spiega che la costruzione fosse in un angolo così lontano dal posto di lavoro.
Ma poi le cose sono cambiate con l'andar del tempo e il mutare delle esigenze e l'avanzare del progresso.
La mensa però è rimasta la stessa. Uno stanzone rettangolare con pavimento di tavolato di legno, carico di umidità e difficilmente ormai spazzabile, come sarebbe necessario dove mangiano circa 150 persone. Le pareti non sono linde, ma di un grigio celestino sporco e fatte di perline come quelle dei carri merci ferroviari, danno l'impressione di un enorme carrozzone caricato di una immensa tristezza.
Gli operai seduti su lunghe panche si assiepano ai due lati dei tavoli di legno con la superficie laccata di bianco, ma ormai molto scrostato e scurito. Vi era un tavolo solo quasi vuoto, perchè vi gocciolava l'acqua dal soffitto in una gamella messa lì, al punto giusto.
Lo stanzone era molto affollato. Consumavano la porzione molto abbondante di pasta asciutta: abbondante e assai ben fatta. L'azienda paga 100 lire per questa porzione di pasta; quando invece vi è il minestrone, una frutta completa la razione. Il vino viene passato al puro prezzo di costo e vi provvede uno spaccio situato in una stanza accanto, dove un tempo credo che vi fosse un servizio di bar o di spaccio aziendale.
Il secondo gli operai devono portarselo da casa e bisogna andare a scaldarselo in cucina dove è a disposizione un piccolo fornello a carbone di legna.
La cucina è proprio una miseria. Uno stanzino molto ristretto, in gran parte occupato dalla enorme marmitta scaldata a fuoco di legna, dal fornelletto di lato e dal grosso lavello, mezzo colmato di acqua calda in attesa delle gamelle: queste ciotole di alluminio, non proprio invitanti a mangiare con serenità, nonostante gli sforzi per tenerle pulite delle due persone addette al servizio cucina, spaccio del vino, rigovernatura e pulizia.
Una visita breve, appena di pochi minuti, ma assai completata da una impressione di tristezza e da tutto un insieme di senso d'abbandono e disinteresse.
Lo scontento degli operai è profondo e i risentimenti sono vivi e pungenti. Mi dicono che è da tanti anni che si lamentano delle condizioni igieniche e ambientali della mensa. Mi hanno parlato di progetti e di promesse : ma ancora niente è stato fatto.
Sugli spogliatoi il soffitto si sa che è praticabile: può darsi che il progetto definitivo delle opere assistenziali contemplasse la sistemazione anche della mensa. Perchè non portarlo a termine?
Sta il fatto che la mensa attuale ormai ha fatto iì suo servizio, si tratta poi di una baracca di legno di poco o nessun valore, abbandonabile quindi senza nessuna perdita di capitale. Il ricupero poi di quei metri quadrati (la terra è così preziosa ormai, a Viareggio) compenserebbe il sacrificio della baracca, anche soltanto da un punto di vista estetico, portando quella vasta striscia di terra, proprietà dell'Azienda, piantata a pioppi, fino a Via Indipendenza. (Che idea magnifica sarebbe levare via quei pioppi filiformi e costruirvi case per le maestranze e per gli impiegati e i dirigenti!).
La costruzione della mensa in prossimità dei bagni e degli spogliatoi risolverebbe e è cosa evidente - tanti problemi e renderebbe razionale e comodissima tutta la sistemazione dei servizi. E sarebbe un segno di buona volontà, di considerazione e stima verso le maestranze.
Una indicazione concreta e visibile di una seria intenzione di stabilità dell'azienda a Viareggio e quindi del suo potenziamento di attrezzatura produttiva, perchè se è vero che il complesso di opere assistenziali e di conforto amministrativamente può essere soltanto una gravosità, porta con sé significati e valori che non possono non incidere sulla produttività dell'azienda, anche se in modo indiretto.
Alla Fervet credo che sia necessario superare posizioni di irrigidimento, ormai un po' troppo indurite, sia da una parte che dall'altra.
Le ragioni economiche (bilanci deficitari, accusa la Direzione Centrale di Bergamo nei confronti dell'azienda di Viareggio, impossibilità ad andare avanti nel bilancio familiare, si lamentano gli operai), queste difficoltà economiche sono la causa di fondo di questo irrigidimento.
La buona volontà però può molte cose. Vorrei che la Direzione centrale e locale mettesse buona volontà, con serietà, senza retorica e vittimismo. Vorrei pregare gli operai di volersi caricare di un maggiore impegno produttivo e con una solidarietà accresciuta dell'operaio con l'operaio di un reparto con l'altro reparto. Si tratta de! pane di tutti e va difeso con senso di responsabilità, nel lavoro, come, se la necessità lo richiede, nell'agitazione.
Sono uscito fuori da quello stanzone dove gli operai continuavano ancora a mangiare appollaiati su quelle povere panche intorno ai tavoli consunti
Qualcuno aveva già finito e se n'andava, forse in cerca di un caffé, tirandosi la giubba sulla testa e saltando le pozzanghere dell'ingresso : pioveva con calma e tenace insistenza. Mi sono fermato a parlare ancora qualche minuto sotto la pioggia e guardavo quella baracca di legno con una immensa tristezza nell'anima : è troppo difficile risolvere i problemi degli uomini. Viene proprio da pensare che sono troppo più grandi di noi, dicevo ad un giovane prete, mio amico, che mi aveva accompagnato in questa brevissima visita alla mensa aziendale della Fervet.
d. S.
in Il Nostro Lavoro: Il NL - Anno 2 - N° 3 Viareggio - Marzo 1964, Marzo 1964
Luigi Sonnenfeld
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