I problemi da affrontare nel mondo operaio, nell'andamento delle aziende, determinati da una discriminazione che arriva fino a un vero e proprio sistema di sfruttamento dell'uomo, per un approfittarsi di certe sue particolari condizioni di depressione e di bisogno, sono moltissimi.
Non possiamo affrontarli tutti in una volta, anche per evitare che il discorso rimanga frammentario e confuso per il dover dire troppe cose.
Ho cercato di dire una parola circa il problema umano dei manovali.
Li ho guardati sempre con particolare simpatia nelle aziende dove sono stato uno di loro, anche se sul libretto di lavoro mi avevano fatto la considerazione particolare di scriversi « manovale specializzato ».
Varchiamo il cancello di un'azienda qualsiasi, una che abbia un certo numero di dipendenti e sia impegnata in una produzione molto varia.
Non sarà difficile notare subito le diverse mansioni. I manovali comuni. I manovali specializzati. Gli operai qualificati. Quelli specializzati. I capi gruppo, i capi squadra, i capi reparto, i dirigenti di azienda e del personale. Gli impiegati d'amministrazione e tecnici, con tutte le differenze d'importanza derivante dall'avere l'ufficio più o meno vicino a quello del direttore o dalla misura in cui è nelle grazie del principale o padrone che dir si voglia. (So di un direttore che rende il buon giorno soltanto agli impiegati fino a un certo grado d'importanza).
E' chiaro che queste differenziazioni di mano d'opera sono necessarie e inevitabili. Sarebbe assurdo pensare diversamente. Però non si capisce perchè la diversa attività debba inevitabilmente comportare una diversa valutazione umana, fino al punto che non è eccessivo dire che certi lavori di manovalanza faticosi, pesanti e spesso abbrutenti, rendono spregevole anche chi li compie e vi si ammazza sotto. Lavori che non richiedono particolari qualità d'intelligenza: quindi chi li fa può non essere considerato un uomo intelligente, il che spesso vuol dire, non un uomo meritevole di tutto il rispetto e può essere trattato tranquillamente come una pezza da piedi. Siccome lavora soltanto di braccia e di schiena e alla sera ha le spalle rotte e le reni spezzate, quello è un mulo necessariamente e gli si può chiedere e comandare tutto e deve sempre dire di sì e trotterellare, alla frusta, dalla mattina alla sera.
Lavora di più, è più bastonato dalla fatica, più maltrattato dai compagni di lavoro e specialmente dai capi, e guadagna di meno.
E' ingiusto che il manovale abbia la paga oraria più bassa, che quasi sempre sia escluso dal cottimo o abbia percentuali minime e è ingiusto, povero vecchio sfatto, che poi abbia quella miseria di pensione perchè è stabilito dalla legge che il manovale mangi poco e male quando è in condizioni di lavoro e mangi poco e male quando è in pensione, come se il suo stomaco non fosse uguale a quello dell'operaio specializzato, del ragioniere e del direttore.
E è anche ingiusto che il manovale, perchè il mercato di mano d'opera non specializzata è spesso abbondante, viva sempre sotto la minaccia del licenziamento, un vero e proprio ricatto che rende possibili maltrattamenti e pretese eccessive, da ingollarsi in silenzio e a testa bassa.
Il discorso diventa duro, lo sento bene e forse cattivo. E senza dubbio mi si dirà che queste considerazioni sono idealismi e sentimentalismi. E che i problemi vanno visti in pratica, con criteri concreti, oggettivi, di calcolo freddo fatto con la calcolatrice, non col cuore. E che la inevitabile e necessaria differenziazione della prestazione d'opera per il buon andamento economico (che evidentemente è quello che conta in misura assoluta) dell'azienda deve essere fatta col criterio del profitto.
Tutti motivi molto importanti ma che, in parole spicciole, sarebbe come dire: tu vali, conti, ti considero, ti apprezzo in proporzione a quanto mi fai guadagnare in moneta sonante.
0 meglio ancora: tu sei un uomo più o meno secondo quanto altri uomini riescono a guadagnare con te, con la tua fatica, le tue mani rotte, la tua schiena spezzata.
Non sarebbe più giusto e più umano tener presente che ogni attività compiuta nell'azienda ha la sua parte indispensabile e insostituibile per il suo buon andamento? E non sarebbe più giusto e umano considerare che chi dà otto ore ogni giorno (e quindi 40 e più anni) all'azienda dà otto ore e tutta una vita umana meritevole di rispetto e giusta valutazione come ogni altra vita umana?
E se il criterio di profitto vuol essere usato, non deve essere una bilancia che pesa al milligrammo un essere umano per sapere quanto rende in contanti per poi ripagarlo di considerazione e di stima e con la busta della quindicina secondo quel peso e basta.
Perchè allora è il guadagno, è l'egoismo, la ragione economica che regola i rapporti fra gli uomini, determina l'apprezzamento o il deprezzamento, il considerarli più uomini o meno uomini.
Questo criterio di valutazione umana quando si trova in condizioni di poter essere applicato freddamente e spietatamente, perchè la legislazione non riesce a contenerlo e le istituzioni di difesa umana non hanno forza sufficiente per combatterlo e impedirlo, comporta dovunque, ma specialmente nelle aziende, le peggiori discriminazioni, le divisioni più ringhiose, gli odii più spietati fra gli operai stessi, fra gli operai e la dirigenza.
E normalizza ingiustizie pesanti che si trascinano spesso per lunghi anni perchè il passaggio di qualifica non arriva mai, perchè la specializzazione rimane un sogno, con le conseguenze sulla paga che tutti sanno. Il lavoro compiuto, le mansioni svolte sono già da tanto tempo da qualificato o da specializzato, ma sul cartellino vi rimane scritto « manovale » e sulla busta vi è la paga del manovale e, povero vecchio sfatto, la pensione sarà quella del manovale.
Sappiamo bene da chi e da che cosa dipende questo triste stato di fatto e anche perchè le cose continuano ad andare così nonostante le stanche proteste e i profondi risentimenti degli interessati, mi pare però doveroso notare che spesso anche gli operai sono responsabili di questa odiosa discriminazione fondata sul profitto. ,
Bisogna essere chiari: sono molti, troppi, gli operai che guardano soltanto a cosa c'è dentro la propria busta e non importa loro per niente cosa c'è nella busta degli altri, a meno che non abbiano l'impressione che qualcuno abbia una busta più piena della propria.
Capita che anche gli specializzati e i qualificati abbiano interesse a certe discriminazioni per tutto un vantaggio che a loro può venirne: perchè il privilegio è una tentazione irresistibile per tutti quando può fruttare quattrini. .
E succede che i colleghi di ufficio tentino di tenere sotto i piedi altri colleghi, meno dotati di furbizia o anche di capacità. E lo specializzato succede che si approfitti del manovale perchè è un pover'uomo o impasticci difficoltà a dare il mestiere a chi potrebbe domani creargli delle concorrenze, ecc. Gli operai devono sapere e ricordare che, in definitiva, è a tutto loro danno, umano ed economico, vivere in un ambiente di lavoro come degli antagonisti, dei concorrenti, dei rivali e che è disonesto cercare di dare ai compagni di lavoro lo sgambetto, tentare di scavalcare danneggiando altri, tenere a bada e possibilmente ai ferri corti, chi è legato alla dura catena del bisogno, umiliando e approfittandosene per i propri tornaconti.
E' perchè spesso sono così i rapporti fra compagni di lavoro, che poi la dirigenza riesce a fare quelle discriminazioni così ingiuste ma che servono magnificamente al capitale che cerca in tutti i modi di dividere per poi più comodamente imperare.
Gli operai, prima che in ogni altro modo, devono lottare contro l'ingiustizia della discriminazione, abolendola fra loro per mezzo di un forte spirito di solidarietà capace di rispetto vicendevole e d'impegno serio perchè la dignità di ogni lavoratore e quindi del lavoro stesso, sia difesa e affermata contro qualsiasi manovra di menomazione o di avvilimento.
E penso al Cristianesimo che ci comanda che il prossimo, cioè ogni essere umano, deve essere amato come amiamo noi stessi, perchè siamo tutti figli di Dio, partecipi della stessa dignità umana e divina, resi uguali, veramente fratelli, da uno stesso identico destino.
E' un insegnamento, è vero, molto coraggioso, certamente potrà essere considerato antieconomico e utopistico, rimane però l'unica possibilità data agli uomini di vivere in pace, come fratelli, con la sicura speranza di un po' di vera felicità anche in questo mondo tanto travagliato.
don Sirio
in Il Nostro Lavoro: Il NL - Anno 2 - N° 2 Viareggio - Febbraio 1964, Febbraio 1964
Luigi Sonnenfeld
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