Il picchettaggio

Il problema dello sciopero, della sua legittimità e, soprattutto, della sua libertà ne pone un altro strettamente connesso: quello del «picchettaggio» .
Se è vero che con lo sciopero lo stato di tensione esistente fra datori di lavoro e lavoratori, frutto della coscienza di appartenere a categorie sociali portatrici di interessi contrapposti, raggiunge il suo apice, è anche vero, d'altra parte, che è proprio lo sciopero, momento di massimo impegno collettivo dei lavoratori, a portare in luce, drammaticamente, le fratture di mentalità e diremmo quasi di «vocazione» che si agitano al sottofondo della stessa classe operaia.
Uno sciopero è sempre manifestazione di autocoscienza e di impegno in senso collettivo di una minoranza qualificata e sensibilizzata della massa dei lavoratori, che si pone immediatamente come «élite» di guida della agitazione e che raccoglie, con ciò, il frutto e il significato della propria opera, svolta nella organizzazione sindacale.
A questo stimolo, una parte dei lavoratori reagiscono cercando una soluzione individuale e contingente dei propri problemi, allineandosi con gli |imprenditori: sono i «crumiri», che con il proprio atteggiamento testimoniano la fondamentale frattura esistente in campo operaio fra coloro che sono capaci di identificare il proprio interesse con quello della generalità e di impostare un'azione umana conseguente e fra coloro i quali sono incapaci di una coscienza del genere.
AI «crumiraggio» la massa più qualificata della classe operaia reagisce con il «picchettaggio», cioè con la affermazione - e la imposizione - sul luogo dello sciopero, della propria unità contro il fronte padronale. Si possono, anzi, distinguere due generi di «picchettaggio»: uno intimidatorio, che si verifica correntemente durante ogni sciopero, quando squadre di operai al cancello dell'azienda cercano di convincere i renitenti dell'ultima ora ad aderire all'agitazione, l'altro violento, quando acuitosi lo stato di tensione e divenuta ancor più necessaria l'unità dei lavoratori, si cerca di impedire con la forza il crumiraggio.
E' soprattutto verso il secondo tipo di «picchettaggio» che si indirizza il corrente giudizio negativo.
Ed infatti sarebbe estremamente più difficile scorgere alcunché di illegittimo nell'estremo tentativo, anche se organizzato, di convincere i compagni renitenti a partecipare allo sciopero (ma anche questo, del resto, non ha quasi mai impedito, sia pur certamente al fine di prevenire disordini, che i «picchettatori» si trovassero spesso sulle camionette della polizia).
Il biasimo verso il secondo tipo di «picchettaggio», invece, è generalmente comune. Si dice - e la considerazione ha a prima vista un certo valore - che se esiste ed è ammessa una libertà di sciopero, deve esistere ed essere tutelata una libertà di «non sciopero».
In termini individuali l'argomentazione è ineccepibile e, infatti, l'allontanamento violento dal luogo di lavoro di un lavoratore che non vuol scioperare viola la fondamentale libertà individuale di autodeterminazione e di autodecisione.
Sotto un profilo di classe, o di categoria, invece, la condanna diviene, a nostro parere, molto meno fondata. Ci si può chiedere se la libertà individuale giunga, o possa giungere, fino all'autolesionismo: ed è certo, ora, che il «crumiro» altro non compie, ignorando quelli che sono anche i suoi fondamentali interessi, che opera di autolesionismo. Ci si può chiedere, ancora, se la libertà individuale possa giungere fino al tradire i propri interessi e, soprattutto, fino a tradire, allo stesso tempo, gli interessi e la solidarietà della classe alla quale si appartiene.
Ci si può domandare, insomma, se il «picchettaggio» non abbia almeno, sul piano morale, l'attenuante dell'autodifesa, se, insomma, non sia comprensibile, forse scusabile il gesto di colui il quale, attraverso quello che indubbiamente è un atto di violenza, cerca di difendere, in extremis, l'utilità e il significato del proprio sacrificio contro un tradimento che viene dalla sua stessa parte.
Non vogliamo, con questo, incitare al «picchettaggio» e neppure dire che esso sia lecito, ma desideriamo sforzarci di vederlo sotto una luce nuova, che non sia quella della consueta aprioristica condanna.
Il discorso è fin troppo complesso e potrebbe concludersi soltanto distinguendo fra violenza primaria e violenza secondaria, fra violenza lecita e violenza non lecita. Particolarmente, dovrebbe concludersi in termine di responsabilità.
Dovremmo, cioè, riuscire a stabilire se, per caso, la responsabilità dell'atto violento di «picchettaggio» non sia proprio di colui che ne è la vittima apparente, di colui, cioè, che per cecità e per egoismo, non esita a tradire gli interessi della classe alla quale appartiene, pronto poi ad appropriarsi dei sacrifici dei compagni se questi avranno avuto successo.
Ancora dovremmo riuscire a stabilire se, per caso, la responsabilità del «picchettaggio» non ricada su coloro che, per mantenere la propria posizione di predominio, speculano sul «crumiraggio» e lo favoriscono.
Se, per caso, questa responsabilità non debba ricadere, nella sostanza, su coloro che creano gli stessi «crumiri».
E ci vien fatto di pensare, a questo proposito, all'atteggiamento di quegli imprenditori che, nel corso di uno sciopero, si preoccupavano di predisporre autobus con i quali caricare a casa propria i «crumiri» e trasportarli indenni in fabbrica, non certo allo scopo di assicurare la produzione, ma allo scopo manifesto di conseguire una prova di forza attraverso la simbolica manifestazione di mancanza d'unità fra i lavoratori.



in Il Nostro Lavoro: Il NL - Anno 2 - N° 2 Viareggio - Febbraio 1964, Febbraio 1964

menù del sito


Home | Chi siamo |

ARCHIVIO

Don Sirio Politi

Don Beppe Socci

Contatto

Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455

Link consigliati | Ricerca globale |

INFO: Luigi Sonnenfeld - tel. 0584-46455 -