La nozione
Alcuni amici hanno chiesto alla redazione che parlassimo di quel frequente fenomeno che è il «crumiraggio».
Il concetto di «crumiro», strettamente collegato a quello di sciopero, è quanto mai semplice: crumiro è il lavoratore subordinato che continua a lavorare quando i suoi compagni scioperano, come colui che prende il posto degli scioperanti. Crumiro, insomma, è chi infrange la solidarietà di classe, rafforzando la posizione padronale.
Resterebbe da stabilire fino a che limiti si estenda naturalmente la solidarietà di classe (se, ad esempio, siano crumiri o no gli impiegati che non partecipano allo sciopero degli operai), ma un discorso del genere, sul quale tuttavia torneremo, non ci interessa ora. Ci preme, piuttosto, tentar di cogliere il significato umano e sociale del crumiraggio.
Andremo avanti per approssimazione, individuando una serie di punti che potranno essere sviluppati in seguito.
Di classe operaia - è un'affermazione scontata - si può parlare soltanto in periodo di capitalismo industriale. E' quando le imprese si accentrano intorno ai mercati, scardinando di colpo dalle campagne migliaia di uomini ed addensandoli nelle cosiddette cinte suburbane, che si crea l'ambiente idoneo a far sorgere rapporti nuovi tra i lavoratori.
La vita comune, i comuni problemi di sopravvivenza producono dapprima strette maglie di solidarietà, poi la coscienza di far parte di uno stesso tessuto sociale. I lavoratori si accorgono di poter trovare soltanto nella loro unità la forza di cercare un avvenire migliore e l'unità è facilitata e cementata dalla coscienza di avere di fronte un comune avversario contro il quale impegnarsi.
La solidarietà di classe nasce a questo punto e crumiro è dunque chi tradisce la propria vocazione naturale, che è quella di essere, permanentemente, con coloro che soffrono per le stesse ragioni.
Per conquistare condizioni di vita migliori, gli operai si accorgono dì poter contrapporre al monopolio padronale soltanto la loro unità. Nell'organizzazione sindacale la classe operaia sperimenta la propria coesione, negli scioperi soprattutto, riscontra la propria capacità di sacrificio e di resistenza.
Nell'agitazione sindacale, e nello sciopero soprattutto, la classe operaia ritrova la propria dignità umana, cessando, per una volta, di essere merce-lavoro. Il crumiro, dunque, rinuncia alla propria stessa dignità.
Gli operai acquistano coscienza di come i loro problemi di categoria siano il risultato di una determinata struttura sociale e si impegnano, in prospettiva, alla costruzione di una società nuova, nella quale scompaia la distinzione fra coloro che tutto posseggono e coloro che dispongono soltanto della propria forza-lavoro e l'uomo, cessato di esser merce di scambio, si liberi dalla più penetrante forma di schiavismo dell'era moderna.
Due sistemi di vita, l'uno in atto, l'altro appunto in prospettiva, si contrappongono e il crumiro tradisce la propria classe nel momento del suo massimo impegno.
Gli economisti parlano di «costo» dello sciopero. Per i capitalisti il «costo» è rappresentato dal mancato profitto e dal mancato ammortamento; per i lavoratori il «costo» è rappresentato dalla perdita definitiva del salario, che è l'unica loro fonte di sopravvivenza.
Nello sciopero i lavoratori gettano sul piatto della bilancia la propria capacità di resistenza, che non è illimitata, sperando di costringere a cedere il datore di lavoro. Il crumiro, diminuendo il «costo» dello sciopero per i capitalisti, è come rubasse i sacrifici dei propri compagni.
Ma anche il crumiro ha una sua realtà umana.
Egli è schiavo della miseria e della diseducazione e non è in grado di accorgersi dell'esatto significato di quanto sta facendo.
Non è in grado di accorgersi, ad esempio, di star condannando non solo sé stesso, ma anche i propri figli al perpetuarsi di una condizione di vita, della quale neanche lui può ragionevolmente esser contento.
S. R.
in Il Nostro Lavoro: Il NL - Anno 2 - N. 1 Viareggio - Gennaio 1964, Gennaio 1964
Luigi Sonnenfeld
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