La domanda e l'offerta

Problemi raccolti presso l'azienda Pavimenti Apuani

immagine:  La domanda e l'offerta La mano d'opera, purtroppo, segue come gli altri beni di consumo o strumentali, la legge economica della domanda e dell'offerta.
Ad essa si attengono con "sacro scrupolo" gli imprenditori, applicando le norme economiche del liberalismo più degenere a tutto scapito dell'umanità e della dignità dei lavoratori.
Frequentemente - direi con titolo di merito - si sente dire: - Ma io applico le paghe contrattuali, do' tutti i suoi diritti. E questo specialmente lo si dice con soddisfazione come per aver compiuto integralmente il proprio dovere.
Accade anche che quando la mano d'opera abbonda, il padrone che ne ha bisogno offre il minor prezzo - quello per lui più conveniente e che gli consente di realizzare il maggior guadagno.
Per minor prezzo - sia chiaro - indichiamo la pura e semplice paga, base e contingenza. Quindi niente terzo elemento, niente caro pane, niente mensa (o indennità sostitutiva mensa) niente scatti paga, niente cottimo e spesso viene richiesta una prestazione superiore all'orario giornaliero stabilito, perchè "se non si fa la produzione che fa la concorrenza non sarebbe possibile far fronte alle ordinazioni col pericolo di sospendere il lavoro almeno parzialmente".
Questa spada di Damocle, anche nel XX secolo, pesa sugli operai e condiziona la loro personalità alle esigenze della produzione che, poi, si traducono in reddito del principale.
In situazioni di questo tipo non è possibile riconoscere un aumento di paga ai lavoratori più capaci, più anziani ed esperti e quindi più preparati e cioè che incidono di più sulle possibilità di realizzo della azienda perchè - altrimenti - bisognerebbe darlo anche a quanti - pur facendo lo stesso lavoro - non hanno gli stessi requisiti.
Il nuovo assunto viene posto alla conduzione di macchine ed immatricolato come manovale o manovale specializzato, mentre la sua retribuzione dovrebbe essere quella dell'operaio comune.
E le azioni del padrone vengono così autogiustificate, le une dopo le altre, in perfetta buona fede, che però costringe l'operaio a vedersi - per un verso o per l'altro - maggiormente sfruttato a tutto interesse dell' azienda.
Sappiamo dei periodi di fecondità e dei periodi di carestia anche per le aziende, ma esaminiamo un arco di tempo di 10-15 anni in cui sono compresi anche tempi di prosperità, si rileva che le cose non sono mai cambiate. Allora ci prende un senso di sgomento e di sfiducia in certa parte dell'umanità, tanto forte, fino a giustificare e legittimare ciò che la disperazione e le continue ristrettezze ma soprattutto la sete di giustizia sociale e la dignità umana offesa fanno compiere.


A. B.


in Il Nostro Lavoro: Il NL - Anno 2 - N. 1 Viareggio - Gennaio 1964, Gennaio 1964

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